La neve dei gatti: GLI ATOMI: micro romanzi per chi va di fretta - volume 3
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La neve dei gatti - Claudio Montini
che...
1 – Un forestiero che disegna
Parlare straniero e disegnare sui muri di casa, giocando con ogni colore che gli altri avrebbero fatto sparire in un tombino della fogna, dopo aver tinteggiato pareti e soffitti e infissi e persiane, anche in quel paese abituato a farsi i fatti suoi e a dire la sua solo a gentile richiesta, era una cosa che suscitava perplessità e diffidenza tanto nelle nonne quanto nelle giovani mamme. Eppure, il prevosto sembrava conoscerlo bene perchè gli aveva lasciato le chiavi della sacrestia e spesso si tratteneva con l'americano
in lunghe chiacchierate, in una lingua che Amelia, la perpetua, non era ancora riuscita a decifrare: la guerra era finita da qualche anno ma erano ancora troppo pochi perchè, esclusi i tedeschi che erano scappati rincorsi anche dai partigiani dell'ultima ora, chi non parlasse almeno in italiano doveva essere arrivato dall'America coi liberatori.
Il resto del paese aveva capito solamente la sua comparsa era in relazione al ponteggio, comparso dietro l'altare maggiore, che andava da terra fino al colmo della volta: come sempre, stava alla finestra in attesa di nuovi sviluppi elaborando congetture a più non posso e a bassa voce. Qualche illazione non del tutto benevola era cominciata a circolare, confezionata proprio da coloro che abitualmente occupavano le prime panche alla messa domenicale; del resto, la barba lunga e nera e i capelli arruffati del forestiero facevano solo pensare a un vagabondo, con chissà quali traversie e malaffari alle spalle: il silenzio di prete e vescovo, che pure era venuto a dispensare prime comunioni e cresime, rendeva il tutto ancora più fumoso.
Per fortuna sua, in paese c'era ancora chi non guardava in faccia al prossimo, se non il tempo necessario a mettersi in tasca un mese di affitto anticipato; così si installò nell'ultima porzione di un caseggiato che chiudeva, dignitosamente, un dedalo intricato di cortiletti, aiuole cintate e orti senza una foglia fuori posto o un sentiero storto.
Sotto il portico sistemò la giardinetta e si avvide del pozzo a manovella, a sinistra, quindi l'acqua era assicurata mentre a destra, nella penombra vide la legna che lo salutava: se avesse trovato un camino o una stufa era a cavallo, almeno per i primi giorni, dal momento che si era portato farina e lievito madre; erano da qualche parte, nel bagagliaio, vicino al fiasco con l'olio e al sacchetto del sale: certe abitudini son dure a morire.
Trovò molto di più di quanto s'aspettasse in casa: oltre a odore di chiuso e polvere asciutta, c'era la luce elettrica e un bagnetto con uno scaldabagno a legna, una vecchia stufa dall'aria ancora efficiente e un tavolo da falegname coperto da barattoli di vero colmi di tinta per muro e pennelli sporchi e secchi. Il padrone di casa glielo aveva detto che era una specie di magazzino degli scarti e delle cose inutili, autorizzandolo a sbarazzarsi di qualunque cosa gli desse noia, anzi, così la corrente era un omaggio della ditta; tanto meglio per lui se quella roba poteva bruciare nella stufa, tanto i camini erano sani e tiravano che era una spettacolo della scienza e della tecnica.
Diede lo sfratto a un buon numero di ragni e scoprì, grazie alla scopa e allo spazzolone, che il pavimento era una discreta graniglia posata anche piuttosto bene; neppure lì c'erano segni d'umidità affiorante: non che la cosa lo toccasse più di tanto, ma era pur sempre in vacanza...almeno ufficialmente.
Aveva già una mezza idea riguardo a come avrebbe impiegato quelle morchie di pittura, ma si limitò a portare dentro le provviste e il sacco a pelo che, una volta tanto avrebbe steso sull'asciutto e sul pulito. L'unica cosa di cui aveva veramente bisogno, di cui sentiva uno spasmodico desiderio, una tentazione che sapeva poter compromettere tutto il programma, era quella di poter aprire e sbattere le ali per sgranchirle e tuffarsi tra le nuvole fino alle stelle, planando poi sui comignoli e svegliando i piccioni sordi che sonnecchiavano nella torre campanaria della chiesa in cui, il giorno dopo, avrebbe preparato il muro della lunetta absidale per disegnarci il ritratto del Capo, il Figlio del Principale, intronizzato e benedicente.
Un angelo non ha bisogno di mangiare e di dormire, ma il corpo umano che gli viene assegnato sì e, al termine della vacanza, lui lo voleva restituire addirittura meglio di come gli fosse stato dato. Sapeva che le case degli uomini, sebbene costruite con mattoni pieni cotti al forno, avevano pareti trasparenti come il vetro ma era anche certo che, se non avesse ecceduto nelle stravaganze, ben presto sarebbe uscito dai loro pensieri diventando un'accessorio del paesaggio. Ma lui era lì per dipingere e, siccome era qualche secolo che non teneva un pennello in mano, decise di esercitarsi sui muri della sua attuale dimora, i cui intonaci avevano bisogno di una decisa rinfrescata; per i colori si sarebbe servito di tutti quei barattoli di vetro e secchi che aveva trovato lì sul posto; la fantasia avrebbe fatto il resto.
2 – Lo straniero, il comunista e la perpetua
Col prevosto parlava volentieri in francese invece con Mario, il taciturno e solido muratore che l'aiutava nella rimozione dell'intonaco e dei calcinacci, si affidava a un medio italiano solo appena sporcato d'accento toscano, come ai tempi in cui era conosciuto nei conventi come il Beato Angelico.
Al prete era stato suggerito di perfezionare il francese da influenti prelati, ben introdotti nelle segrete stanze della Curia romana; costoro gli avevano fatto intendere, con la dovuta religiosa cautela, che fosse stato fatto il suo nome per una futura destinazione nelle missioni o, addirittura, presso qualche nunziatura estera: insomma, c'era la possibilità, divina provvidenza volendo, d'una carriera nel corpo diplomatico della Santa Sede e non una vita ad aprire e chiudere le porte di una chiesa di campagna. In realtà, in lui era ancora forte l'eco della vocazione e pertanto sarebbe andato dove quella voce interiore l'avrebbe condotto senza rimorsi nè ripensamenti.
Tuttavia, era rimasto sorpreso nello scoprire che l'arruffato pittore incaricato dalla Curia vigevanese fosse di natali valdostani e padroneggiasse entrambe le lingue dei due versanti delle Alpi; pensando che l'avessero mandato apposta per agevolarlo nella futura nuova missione ecclesiale, almeno così credette sempre, ne approfittò per migliorare la pronuncia e la conoscenza della lingua per la vita