Viaggi nel tempo
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Book preview
Viaggi nel tempo - Carmelo Sciascia
633/1941.
Prefazione
Una testimonianza è un segnale un segnale dell’esserci stato, di avere partecipato e vissuto un evento, abbiamo una serie di segnali che ci mettono in comunicazione con il mondo che ci circonda.
Il momento preciso di questo contatto è l’atto in cui percepiamo noi e la realtà esterna come un tutto unico: un indistinto unicum.
Quando si annullano i confini del mio essere soggetto con la realtà esterna che ci sentiamo partecipi della storia: Facciamo Storia.
Il diario è una testimonianza, nel diario annotiamo, giorno per giorno i fatti che riteniamo importanti.
Nella vita di tutti i giorni noi rendiamo testimonianza della nostra esistenza, ma non sempre ne abbiamo piena coscienza. E, non tutti i giorni, ci succedono fatti degni di nota.
Una coincidenza può rappresentare una presa di coscienza, piacevole o spiacevole, dolorosa o appagante, a seconda se le nostre aspettative concordano o meno con i fatti con i quali ci rapportiamo.
La realtà è l’attimo della presa di coscienza, della mia partecipazione a tutto ciò cha avviene intorno a me. Un libro letto può facilmente essere dimenticato, non trovare nessun riscontro col mio modo di sentire, un altro rimanere indimenticabile, ci ha dato delle emozioni, è stato positivamente coincidente
con il nostro modo di essere e percepire la realtà. Sarà allora annotato nel diario della nostra esistenza. Così sarà per un film, per un quadro, un semplice cartellone pubblicitario o per un incontro.
Le coincidenze, i rimandi, gli eventi sono tutto ciò che ho annotato e pubblicato fino ad ora e che con il presente libro continuo ad annotare. Anche con queste pagine la storia quindi si ripete, ho scritto un diario come testimonianza, la testimonianza di un viaggio. Un viaggio non sempre chiaro e lineare, come la vita medesima, spesso piena di contraddizioni. Vedo il mondo da un punto di vista particolare, ben lontano da quello descritto con le certezze matematiche dagli Scienziati o quello descritto con le certezze della fede dei Santi, forse un po’ come tutti.
È difficile leggere e capire la realtà perché le cose (e le persone) a volte sembrano giocare a nascondino.
Il mondo così rischia di apparire un indistinto insieme di attributi accidentali. Fatti privi di senso e significato.
Si fa fatica a capire lo scorrere della vita, a capire il mondo che oggi ci circonda, alle difficoltà comuni io aggiungo le personali avverse condizioni climatiche (a Piacenza avvolto nella nebbia padana, a Racalmuto accecato dal sole siciliano).
…tutti quanti vogliamo rappresentare questo mondo: il musico, il poeta, il cantore, il pintore… stiamo ai margini, ai bordi della strada, guardiamo esprimiamo, e talvolta, con invidia, con nostalgia struggente, allunghiamo la mano per toccare la vita che ci scorre davanti!
(Consolo)…. allora continuiamo, in un immane sforzo titanico, a cercare di capire, a riflettere, a testimoniare….
C. S.
I viaggi nel tempo: Storia di un lungo viaggio,
tra letteratura e paradossi filosofici*
Inizio questa conversazione partendo da Sciascia, Leonardo si intende. Perché, oggi come ieri, Sciascia è ancora attuale. Lo spunto iniziale, un libro che mi è stato recapitato un po’ di tempo fa: Per la giustizia in terra
di Andrea Verri, con prefazione della piacentina Ricciarda Ricorda, docente dell’Università Cà Foscari di Venezia. Il Verri, un sincero e giovane studioso dello scrittore racalmutese, sviscera alcuni suoi scritti, tra questi il racconto Il lungo viaggio
. Leonardo Sciascia scrisse una serie di racconti, tra il 1959 ed il 1972, che pubblicò nel 1973 con l’editore Einaudi, con il titolo Il Mare colore del vino
. Il mare ed il vino, due elementi naturali e primordiali che hanno tanto in comune. Nel piacere e nel dolore. Più nel dolore in questi ultimi tempi per il sangue delle migliaia di vittime che hanno visto nel Mediterraneo la loro fine: il mare, non come mezzo, strada per raggiungere una qualche parte, ma ultima meta dell’esistenza umana.
A proposito di questo libro, Sciascia scrive: «... mi pare di aver messo assieme una specie di sommario della mia attività fino ad ora e da cui vien fuori (e non posso nascondere che ne sono in un certo modo soddisfatto, dentro la mia più generale e continua insoddisfazione) che in questi anni ho continuato per la mia strada, senza guardare né a destra né a sinistra (e cioè guardando a destra e a sinistra), senza incertezze, senza dubbi, senza crisi (e cioè con molte incertezze, con molti dubbi, con profonde crisi); e che tra il primo e l’ultimo di questi racconti si stabilisce come una circolarità: una circolarità che non è quella del cane che si morde la coda».
Ecco in sintesi, elencati come programma politico tutti gli elementi di un viaggio: letterario (soddisfatto, dentro la mia più generale e continua insoddisfazione), politico (senza guardare né a destra né a sinistra e cioè guardando a destra e a sinistra) morale (senza tentennamenti e cioè con molte incertezze, con molti dubbi, con profonde crisi). Perché un viaggio può essere un percorso letterario, un percorso politico, una scelta morale: contenere solo alcuni di questi elementi come contenerli tutti. All’alternarsi del movimento dei passi che si fanno per iniziare un viaggio corrisponde un altro movimento, incostante, a volte in modo costante, il movimento (o meglio il momento) dell’intelligenza: la riflessione.
Questo libro Il mare colore del vino
, contiene un racconto titolato Il lungo viaggio
, che narra la storia di una sconfitta. Una sconfitta come quelle subite dagli umili di verghiana memoria ne I Malavoglia
. I personaggi de Il Lungo viaggio
e dei Malavoglia hanno diverse affinità, sono della stessa estrazione sociale, hanno la stessa diffidenza verso il mare, hanno semplicemente e più d’ogni altra affinità, la stessa povertà. Andiamo al dunque del viaggio che ci interessa.
La vicenda narra di un gruppo di persone che partono dalla costa siciliana compresa tra Licata e Gela per recarsi in America, negli Stati Uniti, allora, dai primi del Novecento agli anni Cinquanta, meta agognata di tanti emigranti italiani. Dopo dieci giorni di navigazione, queste persone, convinti di essere arrivati a Nuovaiorche,
vengono sbarcati su un’altra costa isolana, sempre in Sicilia.
È un racconto amaro, sarcastico, è la narrazione di una cocente delusione: il fallimento di un’aspettativa.
Gli emigranti sono stati presi in giro, non solo perché non sono andati in America, ma perché, cosa ancora più grave, sono rimasti in Sicilia. Un’analisi attenta avrebbe messo in risalto il fattore tragico di questo viaggio. Gli aspiranti emigranti sarebbero stati comunque presi in giro ugualmente dai fatti, anche se fossero sbarcati in America, perché, nella realtà avrebbero continuato a condurre la stessa vita che conducevano nell’isola prima di partire, una vita fatta di stenti, privazioni e rinunce. Come in realtà è successo veramente a molti connazionali emigrati all’estero e come succede con molti emigrati oggi.
Questo è uno dei paradossi dell’emigrazione di tutti i tempi, allora per gli Italiani, come oggi per gli emigranti di altre regioni africane e mediorientali.
Si fugge dalla miseria politica ed umana per una meta messianica, una città ideale, una civitas dei
che appunto perché divina, quindi immaginaria, è esclusa agli uomini e ci si imbatte in un’altra realtà, spesso misera come, se non ancora peggiore, di quella che si era lasciata alle spalle. Oggi l’attesa di tanti profughi s’infrange nella triste realtà dei campi di prima accoglienza, realtà sicuramente peggiore delle loro tribù di provenienza, anche perché questi campi sono destinati spesso a trasformarsi in dimore a lungo termine. Oppure, nel migliore dei casi, ospitati in strutture dove sono costretti all’inoperosità. E sappiamo che il cosiddetto dolce far nulla
non è una condizione ottimale per nessuno, perché conduce all’apatia, alla sfiducia, alla mancanza di senso, di vuoto, all’inutilità dell’esistenza (negativo, questo amaro dolce far nulla
tanto per gli emigranti quanto per le popolazioni autoctone).
La storia, non è per nulla maestra di vita. La storia non ci ha insegnato nulla e nulla continua ad insegnarci, perché quando si ripete, lo fa nella forma che le è più congeniale: negativamente come il luogo della violenza e del sopruso. A proposito della storia non posso non ricordare e consigliare di leggere (o rileggere) La storia
, una significativa lirica scritta nel 1969 da Eugenio Montale.
La storia dell’emigrazione, come viaggio del bisogno o dal bisogno, può farsi risalire alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre.
Adamo ed Eva vengono allontanati da Dio in persona, quel Dio che non avendo nessun altro essere subordinato a disposizione se la prende con le sole creature che Egli stesso ha creato, le uniche ad avere sottomano. Un incipit che sarà avvalorato dal girovagare nel mondo degli Ebrei (che non dimentichiamo era il popolo eletto) per gran parte della loro storia.
Adamo ed Eva, creature forgiate ad immagine e somiglianza del Creatore, vengono fatte sloggiare dall’unico luogo che conoscevano e dove si trovavano a loro agio. Il popolo ebraico scelto da Dio, quindi il popolo eletto, il suo popolo, viene costretto alla diaspora. In altre parole possiamo affermare che l’emigrazione ha origine biblica, ma possiamo anche dire che, per i non credenti, inizia con la comparsa dell’uomo sulla terra. L’uomo compare sulla terra tra i 500.000 ed i 250.000 anni fa e sembra proprio in Africa, è del 1974 la scoperta di un austrolopiteco, cui hanno dato il nome Lucy. Quindi l’uomo compare in Africa e, ironia della sorte, sarcasticamente possiamo dire che dall’Africa continua ancora oggi ad emigrare, ad occupare altri continenti.
Tutta la storia dell’uomo sapiens è quindi storia di migrazioni. Ma non solo, i cosiddetti fossili climatici
testimoniano come nel Mediterraneo sono giunti, più di diecimila anni fa i cosiddetti ospiti caldi
che sono molluschi di acque tropicali e gli ospiti freddi
, molluschi provenienti dai mari del Nord, a causa di opposte condizioni climatiche. Oggi il disastro ecologico, provoca condizioni climatiche avverse tali da causare lo spostamento di interi popoli. Ci dice giustamente il ricercatore Mario Tozzi: "La colpa (dell’emigrazione dei popoli della fascia circumsahariana)