Viaggi sulla carta: Funambolismi sul filo dell'italiano
By Marco Bisanti and Laura Franco
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Book preview
Viaggi sulla carta - Marco Bisanti
2017
Prefazione
di Marco Bisanti
Viaggio
Per capire meglio certe poesie
che stavo traducendo
quell’estate visitai l’Inghilterra.
Le parole sono luoghi per davvero,
un ponte una collina un cimitero
una roccia su cui il piede batte
come un accento,
o l’acqua nera da cui sale un pesce.
Invece molti continuano a crederle
fantasmi di suoni soltanto o ipotesi
inverificabili di là dalla pagina
come se fosse messo in mezzo un muro.
In Inghilterra poi ho portato la mia casa.
Quell’estate senza saperlo
Io traducevo il futuro.
Nicola Gardini (da Tradurre è un bacio , 2015)
L’ultima grande scritta che i miei passi hanno segnato sulla carta del mondo è quella che, due primavere fa, mi ha portato ad Amsterdam con alcuni amici. La piccola scritta che invece continuo a perfezionare da anni mi riconsegna puntualmente alla città di Roma con un volo spiccato da punta Raisi, pago di una rassicurazione: i miei cari (luoghi e affetti) ci sono, ci sono ancora, e ci sono anche se non li vedo né frequento. I viaggi – brevi o più elastici sulla griglia immaginaria che inquadra il globo – rispondono sempre a una primaria esigenza di verifica.
Il motivo del viaggiatore infatti non è scoprire come sono fatti altri posti, ma prima di tutto assicurarsi che ci siano davvero, che davvero il mondo fuori portata esista e alla parola Amsterdam risponda un cielo, delle strade e tante vite veramente. Nessuna immagine, fissa o in movimento, ci darà mai la conoscenza e la certezza che viene da una camminata. Che poi, nei posti altri, ci siano usi e culture diverse dalle nostre non ha importanza, o meglio, è solo un corollario alla terra che arriva fin lì. E il viaggiatore che torna può solo testimoniarlo coi suoi occhi – che la terra fin lì ci arriva davvero – perché qualunque parola riporti ai compagni rimasti, anche quella non sarebbe una strada.
La scrittura, tuttavia, in quanto forma aurea del ritorno, resta la mappa migliore da comporre a invito nei paesaggi attraversati e vissuti, si tratti di luoghi fisici o dei territori più intimi che formano la geografia di ognuno. Per questo, chi scrive si pone sempre come artefice di un itinerario inedito per il lettore che, sulla carta, risale paesaggi altri da sé assicurandosi per primo che gli altri ci sono davvero, che davvero le persone estranee alla sua pelle esistono e a ogni testo risponde un battito, delle storie e una vita veramente. Arthur Rimbaud lo disse meglio in sole quattro parole, coniando una formula magica: Je est un autre.
Gli altri, in questo caso, ideatori dell’itinerario collettivo che si propone qui, sono i viaggiatori che nell’autunno del 2017, riunendosi nei locali della Casa delle Traduzioni a Roma, grazie al magnetismo perfetto di una bussola che risponde al nome di Laura Franco, hanno orientato e definito la mappa dei loro territori, i tratti del genius loci che ne ha popolato l’infanzia o accolto le valigie temporanee su scenari italiani e meraviglie estere, raccontando partenze nate con l’aurora o ritorni confortati dal vento. Come ogni viaggio davvero proficuo, poi, anche il nostro ha goduto di qualche fuori programma.
Ci siamo trovati così a camminare in equilibrio sul filo delle parole, assicurati contro eventuali cadute dai vincoli di autori più navigati come Leonardo da Vinci, Giacomo Leopardi e Galileo Galilei; abbiamo offerto un panorama su alcune nostre biografie; siamo approdati nell’arcipelago orientale delle distopie, delle bizzarrie e degli haiku, mettendo insieme tracce che, rinvenute in mezzo a punte di grattaceli negli scavi di Singapore, conquisteranno tutte presso l’archeologo del 3000 questa descrizione: homo scribens, variazioni di Atlantide.
Marco Bisanti
Viaggi sulla carta
Solo quarantadue giorni
di Laura Franco
Appena si sono aperte le vetrate ci siamo ritrovati dentro l’abbraccio dell’aria tropicale: densa, calda, carezzante, abbiamo dilatato le narici e allargato il torace.
Saremmo rimasti quarantadue giorni nel deserto australe.
Abbiamo preso il camper e presto avremmo dormito tutte le ore di cui i nostri corpi avevano bisogno dopo ventotto ore passate nelle arie molto condizionate di molti aerei e aeroporti. Non sapevamo, né aveva importanza, che ore erano fuori o dentro il nostro corpo. Eravamo arrivati, eravamo felici e stavamo per sdraiarci.
Al risveglio saremmo partiti per la nostra vita nel deserto.
All’uscita dell’aeroporto vediamo un McDonald’s: perché non fermarci, perché non impaesarci subito nel ritrovato down under?
Prendo un chickenburger e al secondo boccone un quadratino di petto di pollo s’incastra nella laringe. Capisco subito che non posso tossire, né respirare, sono lucida, mi alzo, si è incastrato alla perfezione, non passa un filo di aria – avrò ancora uno o due minuti di vita – non sono Maiorca, anche se ci fosse un ospedale a due chilometri non ci arriverei – dunque sto per morire – e penso: ‘se solo mi fosse capitato tra quarantadue giorni… che peccato morire alla vigilia dei quarantadue giorni di felicità – la vita mi sorprenderà sempre… –ora potrei aggiungere: … e anche la morte!’ Ma come faccio non posso neanche dirlo rido solo dentro di me – dentro di me rido di me – mi sono simpatica, rido anche di fronte alla morte. Lei, signora con la falce: perché non al ritorno? Quarantadue giorni, solo quarantadue giorni e morirei felice, felice di non dover tornare dove non voglio, felice di avere vissuto dove sono felice… mi viene da ridere e che senso ha il riso se non è condiviso? Come faccio a parlare se non posso più neanche respirare.
Nel mondo esterno Adriano col suo Happy Meal: che cosa fai? Perché ti sei alzata?
Massimo: Tossisci! Vuoi bere? Vuoi andare in bagno?
Lo ho guardato negli occhi, si è alzato, mi è venuto dietro, ho sentito tutta la sua cassa toracica sulla mia schiena, le sue braccia sono arrivate sotto il mio petto, ha preso i suoi avambracci dentro le sue mani, è rimasto fermo, poi – un attimo una stretta violenta – fortissima e un cubetto di pollo è arrivato sulla mia lingua proveniente da dietro! È ritornato, è atterrato sulla lingua esattamente da dove era partito.
In un attimo tutto il mondo era cambiato, avevo conati di vomito, sono andata in bagno, da sola, ho vomitato pianto riso, tossivo e sentivo le lacrime ovunque, ho cercato di bere e deglutire, lavarmi la faccia e ridere: ero rinata ero viva.
Potevano iniziare i miei quarantadue giorni di felicità nel deserto.
E qui inizia il racconto del viaggio.
Big Sur
di Alessio Di Simone
I video di Alanis Morrisette fanno quasi sempre ‘sti cazzo di primi piani di Alanis Morrisette che canta. Due video sono leggermente diversi e iniziano con lei che guida un’automobile. In Ironic guida nel bel mezzo del nulla, in un’America completamente innevata che io ho visto solo nei film. Guanti e cappello di lana, Alanis guida e canta portando a spasso una versione di se stessa schizofrenica a volte sul sedile posteriore e altre sul lato passeggero, quando la schizofrenia contagia anche la regia e il montaggio.
Il testo del brano è un elenco di racconti brevissimi, tutti finiscono sempre con la frase:
Ironico... Non trovi?
Nell’altro video in cui guida percorre la HighwayOne, lungo Big Sur. Il testo sciorina una serie di citazioni che sembrano prese da wikipedia: prima la poetessa francese Anais legata a Henry Miller, poi Miller stesso passando per Kerouac, poi i nativi americani Ohlone, gli Esselen, e i Salinan, tribù nomadi rimaste allo stadio di cacciatori-raccoglitori che vivevano in quei luoghi. Con la macchina passa il Bixie Bridge e lì Kerouac ci ha davvero vissuto per un po’ di tempo, in una capanna.
Io e Virginia ci siamo stati, guidavamo verso San Francisco, abbiamo fatto l’itinerario che solitamente viene proposto a tutti i turisti però al contrario. Spessissimo io e Virginia facciamo le cose al contrario. Così siamo partiti da Los Angeles, risalendo la costa e attraversando la regione di Big Sur verso San Francisco, il panorama con l’architettura di Muennig.
Morissette fa esattamente il contrario, canta pure di Mickey Muennig, ma non vale. Noi abbiamo fatto anche una tappa di una notte a Morro Bay. È impossibile mancare la cittadina, il Morro Rock, un collo vulcanico, si distingue da lontano. A distanza ravvicinata e nella mia memoria sembra un mucchio di stracci impilati alla rinfusa. L’hotel è una serie di casette attaccate l’una all’altra che affacciano tutte sulla Morro Rock. La roccia è più vicina, ma l’effetto che mi fa è quello del panorama dell’Argentario, dove si ha sempre più o meno di fronte l’isola del Giglio.