Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La donna dei sigari
La donna dei sigari
La donna dei sigari
Ebook651 pages

La donna dei sigari

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Giugno 1940. L’esercito tedesco marcia su Parigi, Mussolini schiera le forze italiane sulle Alpi e attacca a sua volta la Francia, nel Mediterraneo si combatte, come nei cieli della Cirenaica.
Immaginate di vedere tutto questo dall’alto, una panoramica d’insieme sull’Europa e sul mondo intero. Poi, le luci si concentrano su tre punti diversi della terra, a inquadrare tre uomini, giovani in un’epoca in cui la giovinezza equivale a una condanna.
A Roccaspina, un piccolo paese dell’Italia centrale, vive Ardito, detto Tuccio, comanda la tenenza locale dei Carabinieri e vive una storia d’amore segreta con la figlia del podestà.
A Greifswald, nella Germania nord orientale, incontriamo Harald, tenente della polizia locale, in lotta con l’ex migliore amico per una ragazza.
Vincent invece è a New Haven, sulla costa est degli Stati Uniti: da poco orfano, innamorato della nipote di un boss mafioso, non ha ancora trovato un equilibrio.
La guerra stravolge le loro vite e per vie diverse il destino li condurrà a incontrarsi proprio a Roccaspina, Harald e Vincent su fronti diversi e Ardito su un fronte che cambia, dove chi era amico da un giorno all’altro diventa nemico.
In un intreccio emozionante tra vicende storiche e personali, l’autore ci regala un romanzo epico, popolato da uomini e donne che lottano per sopravvivere e per conservare i propri sogni e la propria umanità.
Una storia perfetta per i fans di Ken Follett e Nelson DeMille
 
LanguageItaliano
Release dateJan 26, 2018
ISBN9788894806496
La donna dei sigari

Read more from Alessandro Testa

Related to La donna dei sigari

Titles in the series (9)

View More

Thrillers For You

View More

Related categories

Reviews for La donna dei sigari

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La donna dei sigari - Alessandro Testa

    ALESSANDRO TESTA

    LA DONNA DEI SIGARI

    Edizioni Il Vento Antico

    ISBN: 978-88-94806-49-6

    I Edizione gennaio 2018

    Questo libro è stato realizzato e pubblicato da

    Edizioni Il Vento Antico

    www.ilventoanticoeditore.com

    info@ilventoanticoeditore.com

    Copyright © 2014 Alessandro Testa

    All rights reserved

    No part of this publication may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical, including photocopy, recording, or any information storage and retrieval system, without permission in writing from the publisher.

    Pagina di benvenuto

    Inizia a leggere

    Informazioni su questo libro

    Informazioni sull’autore

    Indice

    Informazioni su questo libro

    Giugno 1940. L’esercito tedesco marcia su Parigi, Mussolini schiera le forze italiane sulle Alpi e attacca a sua volta la Francia, nel Mediterraneo si combatte, come nei cieli della Cirenaica.

    Immaginate di vedere tutto questo dall’alto, una panoramica d’insieme sull’Europa e sul mondo intero. Poi, le luci si concentrano su tre punti diversi della terra, a inquadrare tre uomini, giovani in un’epoca in cui la giovinezza equivale a una condanna.

    A Roccaspina, un piccolo paese dell’Italia centrale, vive Ardito, detto Tuccio, comanda la tenenza locale dei Carabinieri e vive una storia d’amore segreta con la figlia del podestà.

    A Greifswald, nella Germania nord orientale, incontriamo Harald, tenente della polizia locale, in lotta con l’ex migliore amico per una ragazza.

    Vincent invece è a New Haven, sulla costa est degli Stati Uniti: da poco orfano, innamorato della nipote di un boss mafioso, non ha ancora trovato un equilibrio.

    La guerra stravolge le loro vite e per vie diverse il destino li condurrà a incontrarsi proprio a Roccaspina, Harald e Vincent su fronti diversi e Ardito su un fronte che cambia, dove chi era amico da un giorno all’altro diventa nemico.

    In un intreccio emozionante tra vicende storiche e personali, l’autore ci regala un romanzo epico, popolato da uomini e donne che lottano per sopravvivere e per conservare i propri sogni e la propria umanità.

    Collana

    I Romanzi

    A Emilio e Paola,

    genitori e figli

    O tu che vegli, Ermes sotterraneo,

    del padre mio la sorte, a me che imploro

    da’ tu salvezza, al fianco mio combatti:

    ché a questo suolo io giungo. Io sono qui.

    E lancio un bando al padre mio, sul clivo

    di questa tomba, ch’egli mi oda, e mi ascolti.

    Eschilo -Le Coefore

    PROLOGO

    Aprile 1928

    Sporano

    Ardito Manzi uscì di corsa da casa, ansioso di sfidare a bottonelle i compagni di scuola prima dell’ora di ingresso. Il gruzzolo di bottoni rubati dal cesto da cucito gli ballava in una tasca: li avrebbe rimessi a posto al ritorno, e si sarebbe tenuto quelli vinti. Nessuno riusciva a batterlo, al gioco come nella corsa.

    Ardito!

    Sua madre, come tutti, lo chiamava Tuccio. Quando usava il nome per esteso, erano guai. Rassegnato, tornò sui propri passi; il mucchio di bottoni, che fino a pochi istanti prima gli era sembrato leggero, gli pesava nella tasca e la gonfiava, rischiando di tradirlo.

    Hai dato la biada ai cavalli? gli chiese, indicando il recinto in cui due animali erano fermi lungo lo steccato.

    , rispose. Ho fatto tutto come mi ha ordinato il babbo.

    E le mani? Le hai lavate dopo? Non vorrai entrare in classe con le unghie nere di terra!

    Ardito scosse il capo; per nulla convinta, sua madre gli intimò di mostrargliele ma lui rifiutò mettendosele dietro la schiena.

    Se non lo fai lo ammonì, dovrò dirlo al babbo e lui non sarà contento.

    Il pensiero delle enormi mani del maresciallo Manzi sul suo piccolo sedere fu sufficiente a convincerlo.

    Me ne sono dimenticato per la fretta ammise.

    Le lasciò i libri e si avviò al lavabo. Addio bottonelle, pensò con disappunto, immergendo le dita sporche nell’acqua fredda. Quando tornò da sua madre per riprendersi i libri, lei lo trattenne per la spalla.

    Dammi i bottoni gli ordinò aprendo una mano. Sconfitto, Ardito restituì il maltolto. Tanto non sarei arrivato in tempo disse correndo via per non ascoltare la ramanzina: quella, almeno, poteva risparmiarsela.

    Anna Manzi rimase in mezzo all’aia fin quando suo figlio non fu sparito oltre il crinale della collina, lungo la strada che portava a Sporano, poi rientrò in casa sorridendo.

    Alcune ore dopo Ardito correva ancora, questa volta verso casa. Si era perso la sfida a bottonelle ma era felice e impaziente di presentarsi ai genitori: che faccia avrebbero fatto davanti al dieci in storia, la nota di encomio della maestra scritta sulla pagina del quaderno di marocchino rosso? La mamma gli avrebbe dato un bacio e preparato un dolce, forse quello con la farina di castagne, il suo preferito. Suo padre sapeva nascondere bene la soddisfazione, ma il voto gli avrebbe strappato un sorriso sotto i baffi, ne era sicuro. Quegli occhi che lo fissavano mentre cenava o quando bardava i cavalli per una passeggiata nei giorni di festa gli rimanevano addosso per tutto il tempo in cui non lo vedeva. E quando si chinava per baciarlo sul capo, nel buio della camera prima dell’alba, doveva sforzarsi per non gettargli le braccia al collo e stringersi a lui; gli ometti non fanno certe cose, lo avrebbe rimproverato rimboccandogli le coperte.

    Superata la curva oltre la quale poteva scorgere la casa, vide la camionetta dei carabinieri ferma davanti al recinto dei cavalli, riconobbe la chioma rossa del brigadiere D’Elia e la figura allampanata dell’appuntato Caserta. Giunto sull’aia, si avvicinò a D’Elia. Il brigadiere si voltò, uno strano rossore negli occhi.

    Tuccio! esclamò; fece per andargli incontro, ma si fermò portando le mani al viso, scosso dai singhiozzi. Sconcertato, Ardito si voltò verso Caserta, il più anziano della tenenza, che non piangeva ma aveva uno sguardo strano; avvicinatosi al ragazzo si accovacciò, posandogli le mani sulle spalle.

    È successa una cosa brutta. Tua madre...

    Mamma? Cosa è successo alla mamma? urlò, mentre un altro carabiniere usciva di casa con lei sottobraccio. Caserta cercò di trattenerlo, ma lui si liberò per correrle incontro.

    Mammina, cosa ti è successo? le chiese, e non ricevendo risposta entrò guardandosi intorno: Babbo, babbo? chiamò più volte prima di uscire di nuovo: sua madre stava per salire sulla camionetta.

    Salta su lo esortò D’Elia.

    Andiamo dal babbo? La mamma aveva il viso tra le mani e continuava a piangere; quando si sporse verso di lui, ne vide il pallore e temette che stesse per svenire. Andiamo dal babbo? ripeté sistemandosi al suo fianco.

    Sì.

    Ardito si appoggiò allo schienale mentre la camionetta si avviava. In quel momento, si accorse di avere ancora in mano il quaderno di marocchino rosso. Mamma, ho preso dieci in storia: lo facciamo vedere al babbo?

    Lei guardò a lungo il quaderno, trovando infine la forza di sussurrare. Il babbo sarà contento.

    La camionetta procedeva spedita mentre la gente si fermava per strada; c’erano uomini coi cappelli in mano e donne che si segnavano. Quando giunsero in paese, vide la piccola folla riunita davanti all’ingresso dalla caserma e si asciugò le lacrime col vestito della madre, prima che macchiassero il quaderno.

    PARTE PRIMA

    Così gli uomini del seguito vivevano felici

    nella gioia finché non si mise

    a compiere crimini un nemico infernale

    Beowulf cap. I

    1

    9 giugno 1940

    Campagne tra Sporano e Roccaspina

    La luna era alta nel cielo estivo.

    Un'ombra era in attesa ai margini di un campo di granturco, nel punto in cui la strada compiva una stretta curva per salire verso il paese. Ciò che aspettava giunse con un rumore di ferraglia, ruote sconnesse e zoccoli; a pochi metri dall'incrocio rallentò e in quell'istante l'ombra spuntò dalle siepi fermandosi davanti al carro, con una pistola puntata al conducente.

    Scendi subito! urlò. Per tutta risposta, l'uomo tirò le redini e si tuffò nel carro mentre il telo che copriva il pianale si sollevava e tre carabinieri balzavano a terra puntando i fucili contro il rapinatore.

    In nome della legge, getta l'arma e arrenditi!

    Sorpreso, l’uomo si voltò per fuggire ma perse l’equilibrio, esplodendo un colpo di pistola mentre si gettava nel granturco. Uno dei carabinieri cadde a terra mentre un altro esclamava: Tenente, quello scappa! Ha ferito Presutto! ed era già pronto a lanciarsi all’inseguimento quando Ardito Manzi lo fermò con un gesto. Salite sul carro e andate a cercare il medico. Scalzone, tu stammi dietro!

    Si lanciò lungo la scia di spighe schiacciate dal fuggitivo e riuscì in pochi istanti a portarsi alle sue spalle e a tuffarsi su di lui, inchiodandolo a terra.

    L’uomo urlò di dolore.

    Manzi lo lasciò in custodia al brigadiere Scalzone e raccolse la pistola. Era una Nagant di fabbricazione albanese; soddisfatto, se la mise in una tasca e recuperò giberna e cappello. Scalzone intanto aveva ammanettato il malvivente e lo spingeva fuori dal campo.

    Si chiama Umberto Avolio. Un ladro di galline, mi meraviglia che fosse armato disse; era l’effettivo con maggiore anzianità di servizio e conosceva la maggior parte dei briganti che transitavano nelle celle di sicurezza della tenenza. "

    Manzi gli lanciò un'occhiata distratta: non era la prima volta che aveva a che fare con contadini e pescatori che la fame aveva trasformato in briganti, e ne aveva già lasciati andare molti perché a perseguirli tutti avrebbe riempito le celle nel giro di una settimana. L'uomo sorrise, ammettendo la sconfitta. È stato in gamba; non credevo che mi avrebbe raggiunto.

    Scalzone scoppiò a ridere. Il tenente? Per tua informazione, sei di fronte alla gazzella di Sporano: ti dice niente il nome?

    Avolio scosse il capo e il carabiniere lo strattonò. Il tenente ha partecipato alle Olimpiadi di Berlino, e poco ci è mancato che vincesse una medaglia negli ottocento metri!

    Non esagerare: per la medaglia avrei dovuto raggiungere la finale.

    Ma siete rimasto veloce come una gazzella!

    Avolio non riuscì a nascondere lo stupore. La prossima volta mi cercherò un carabiniere meno atletico.

    Scalzone non aveva esagerato; Ardito Manzi aveva iniziato a vincere le prime gare di corsa campestre mentre frequentava ancora le scuole medie, poi un allenatore lo aveva indirizzato verso i 1500 metri e infine gli 800, che erano diventati la sua specialità di eccellenza. Dopo la vittoria ai campionati nazionali juniores del 1934, un giornale locale lo aveva soprannominato La gazzella di Sporano. Il seguito era stato un susseguirsi di vittorie, fino alla convocazione nella squadra olimpica di atletica leggera che avrebbe partecipato ai giochi del 1936.

    Per qualche istante, la sua memoria ritornò ai giorni di Berlino, le batterie, i quarti e infine la semifinale nella quale era arrivato quinto per un soffio, perdendo la possibilità di correre una finale olimpica. Il ricordo più vivo era però quello della sera in cui, camminando lungo i viali del villaggio olimpico, aveva incrociato Jesse Owens. Superata l’emozione, aveva tirato fuori le poche parole di inglese che conosceva, e si era presentato; l’americano gli aveva stretto la mano e lo aveva stupito commentando positivamente la sua sfortunata semifinale, quindi gli aveva presentato i due atleti che lo accompagnavano: Ludwig Lutz Long, il suo avversario più temibile nel salto in lungo, e un altro lunghista, Harald Stolzer, italiano per parte di madre, che si era infortunato un ginocchio e non aveva potuto prendere parte alle gare.

    Tempi passati, ormai. Manzi si incamminò verso il paese e strada facendo si ricompose; l’ultimo pensiero prima di entrare in paese fu per suo padre: sarebbe stato orgoglioso di lui.

    2

    Le luci erano accese e la bandiera tricolore sventolava dal balcone della sua stanza, al primo piano.

    Ardito Manzi da sei mesi era al comando della tenenza di Roccaspina. Aveva seguito le orme del babbo, morto troppo presto.

    Per quanto si sforzasse, di quel giorno tutto ciò che riusciva a ricordare era la scena in cui si avvicinava alla bara aperta, posata su due cavalletti nell’androne della caserma, troppo alta perché lui potesse vederci dentro: il brigadiere D’Elia lo prendeva in braccio e lo teneva sospeso. A quel punto i ricordi finivano e il filo della memoria riprendeva dalla sera dopo il funerale, quando lui e sua madre si erano ritrovati soli in casa.

    Come faremo adesso, senza il babbo?

    Lei lo aveva guardato con la stessa espressione con cui si guarda un muro bianco. Allora Ardito le aveva preso le mani, portandosele alle guance. Non preoccuparti, baderò a te e quando sarò grande diventerò un carabiniere bravo come papà, e tu sarai felice.

    A ripensarci, Ardito si commuoveva ancora.

    Davanti al portone, evitò di poco lo scontro con Scalzone, che usciva di corsa. Lo bloccò.

    Notizie di Presutto?

    Era pieno di sangue ma per fortuna è una ferita superficiale, tanto sangue e nessun danno. Il farmacista lo ha medicato. Ora ha il braccio al collo ed è un po’ intontito ma non ha voluto andare a casa prima di vedere voi.

    Dov’è adesso?

    Scalzone lo precedette lungo le scale. Quando Manzi entrò nella sala riunioni, era in corso una vera e propria festa: tutti in maniche di camicia che brindavano allegramente con del vino rosso spuntato chissà da dove. L’unico seduto era Presutto: a torso nudo, una vistosissima fasciatura al torace e alla spalla, reggeva il bicchiere con la mano libera.

    Come lo vide entrare, si alzò in piedi. Viva il nostro tenente! Viva Ardito Manzi! Viva la gazzella di Sporano! esclamò.

    Ci furono altri brindisi alla salute del tenente, a quella dei suoi commilitoni, ai Regi Carabinieri, al Re e a Mussolini, poi fu la volta del podestà e del parroco; Manzi abbandonò la compagnia al secondo giro e ridiscese le scale fino alla cella di sicurezza. Avolio era a torso nudo, con numerose ecchimosi sparse lungo le braccia e sul viso; un occhio era semichiuso per il gonfiore, e un rivolo di sangue rappreso gli segnava un angolo della bocca. Manzi non se ne meravigliò: le botte facevano parte del gioco come la pallottola che aveva ferito Presutto, anche se avrebbe preferito che i carabinieri non si lasciassero andare alla violenza gratuita.

    Vuoi del vino? gli chiese porgendogli il suo bicchiere attraverso le sbarre. Avolio lo prese a due mani e bevve un lungo sorso.

    Se non altro era fresco disse. Spero non fosse avvelenato.

    Manzi non rispose; richiuse la feritoia e salì in fretta le scale.

    3

    Il giorno successivo, nella tenenza si presentò Romolo Miconi, il podestà di Roccaspina. Vuole un caffè? gli chiese Ardito, senza entusiasmo, pensando a quale inutile lamentela dovesse attendersi. Il mio è di cicoria, l'avverto.

    Grazie ma sono di fretta; devo innanzitutto ringraziarla a nome di tutta Roccaspina per l’arresto di quel delinquente, ieri notte. Sappia che i suoi concittadini sono fieri di lei e dei suoi uomini, che con sprezzo del pericolo…

    Abbiamo fatto il nostro dovere. C'è altro?

    Sì. Oggi il Duce terrà un discorso importantissimo a Roma: la guerra alla Francia e all’Inghilterra è stata dichiarata!

    Manzi alzò lo sguardo verso le foto del re e di Mussolini.

    Ho organizzato tutto per questo pomeriggio in piazza Mazzini spiegò il podestà, ma ho bisogno che tutti siano informati in tempo: nessuno deve mancare.

    Manzi ci pensò su un attimo: due ausiliari sarebbero stati sufficienti per spargere la voce. Se è questo che desidera, manderò i miei uomini in giro.

    Visibilmente soddisfatto, Miconi si congedò con un rumoroso saluto romano e a lui parve che l’aria si fosse fatta più respirabile.

    Il sole cominciava a calare, e una fresca brezza si era sollevata a portar via l’afa dalla piazza affollata. Miconi aveva riempito ogni spazio utile con sedie requisite dal cinema e dalla scuola, sistemandole in modo che fossero rivolte al palco di legno sul quale troneggiavano una grossa radio e due altoparlanti. Quando il tenente Manzi arrivò, erano quasi le sei e tutto era pronto per il discorso: Miconi e due dei suoi uomini in alta uniforme fascista, sedevano dietro il palco. I posti a sedere erano stati tutti occupati e altri erano in piedi dietro le sedie. Il podestà gli rivolse un cenno di saluto, indicandogli un posto in prima fila che gli era stato riservato; giunto all’altezza della terza, il suo sguardo ne incrociò un altro, e il cuore accelerò i battiti.

    Rallentò il passo per indugiare sul viso di Aurelia Miconi: il sole le aveva colorato le guance e quando lei gli sorrise per un brevissimo istante, avvertì un crampo allo stomaco. Manzi si portò la mano al cappello abbozzando un saluto, al quale Aurelia rispose con un altro sorriso prima di riprendere la conversazione con la donna che le sedeva accanto.

    Cittadini di Roccaspina! la voce del podestà uscì gracchiando dagli altoparlanti prestate massima attenzione alle parole che il Duce sta per pronunciare!

    Mosse l’interruttore posto sul tavolo e l’aria si riempì di rumori assordanti, spaventando i bambini e quelli che ancora non si erano concentrati sull’avvenimento. Poi il rumore calò per far posto a un sottofondo di applausi e urla lontane finché anche queste cessarono per passare al silenzio più assoluto e infine alla voce di Mussolini.

    …combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno di Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia.

    La voce di Mussolini fu coperta dalle urla della folla.

    "...è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato, l’esistenza medesima del popolo italiano…"

    La folla di piazza Mazzini applaudì all’unisono, alternando il battimano alle urla inneggianti al Duce. Miconi si alzò in piedi per zittire nuovamente la piazza, e gli ci volle un bel po’ di fiato per farlo. Alla fine, la voce di Mussolini tornò a farsi udire.

    …Italiani! In una memorabile adunata come quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui fino in fondo. Questo abbiamo fatto con la Germania, col suo popolo e con le sue meravigliose forze armate…

    Dagli altoparlanti uscirono gli applausi della folla di Roma.

    …In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla maestà del nostro re imperatore che, come sempre, ha interpretato l’anima della patria. E salutiamo a gran voce il Fuhrer, il capo della grande Germania alleata…

    Ci furono ancora urla, e anche i cittadini di Roccaspina, imbeccati da Miconi, fecero la loro parte.

    …la parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo intero! Popolo italiano! Corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!

    Ci fu un ultimo, lungo boato nel quale l’immensa folla di Roma e quella ben più ridotta di Roccaspina si unirono, quindi la piazza cominciò a svuotarsi. Manzi Lasciò che la folla sciamasse verso il corso e stava per avviarsi, quando una voce lo costrinse a fermarsi.

    Tenente!

    La voce era quella di Antonio Esposito, il funzionario politico che fungeva da vice del podestà Miconi. Per quale motivo un tipo del genere avesse lasciato la città per nascondersi in un paesino di provincia era per lui un mistero.

    Dottor Esposito disse Manzi, usando il titolo con cui lui stesso pretendeva che la gente gli si rivolgesse. Sapeva che in realtà era un semplice ragioniere.

    Dunque siamo in guerra commentò, È contento? Un militare come lei dovrebbe esserlo.

    Sono un semplice carabiniere di campagna si schermì Manzi. Esposito lo fissò per qualche istante.

    Così come io sono un semplice funzionario di campagna. Mi stia bene, tenente.

    Manzi salutò a sua volta e finalmente lasciò la piazza; strada facendo, incontrò Armando la Marca, il farmacista.

    Come va? gli chiese.

    E come dovrebbe andare? Non si può sempre far finta di non capire. Il nostro Duce ha dichiarato la guerra, ma non ci ha detto con quali armi intende combatterla rispose a bassa voce.

    Non si preoccupi: il nostro esercito ci renderà orgogliosi.

    La Marca si lasciò scappare un gesto nervoso. Ora è lei che fa finta di non capire! Vuol dirmi che non conosce la reale situazione delle nostre forze armate? Ogni divisione italiana è la metà di una tedesca, ed è comunque meno numerosa di quelle inglesi; sorvoliamo poi sull’equipaggiamento e sulle unità motorizzate…

    Parla come un militare di carriera.

    Queste cose le so grazie a mio cognato, che è colonnello e lavora a Roma. Mi ha anche confidato che la nostra artiglieria è formata dai cannoni che abbiamo vinto agli Austriaci più di vent’anni fa. Capisce ora come siamo combinati?

    Manzi considerava il farmacista, seppure dal versante opposto a quello del podestà, un fanatico accecato dall'ideologia, secondo cui nulla di quanto era stato fatto dal fascismo andava bene, ogni passo era un passo verso la rovina. C'era da chiedersi cosa fosse peggio, se Mussolini e i suoi seguaci o coloro che vi si opponevano per principio.

    Mi scusi, dottore, ma ora devo lasciarla: stia attento a quello che dice, e soprattutto a chi lo dice, e passi questo consiglio ai suoi amici.

    La Marca si tolse il cappello in segno di saluto e si avviò verso la farmacia; prima di tirare le tendine della porta a vetri, gli rivolse un ultimo, intenso sguardo.

    Speriamo che davvero finisca presto, pensò avviandosi verso la caserma, che Miconi, una volta tanto, abbia ragione.

    4

    Il giorno seguente, Manzi sbrigò velocemente alcune pratiche e annunciò che si sarebbe preso qualche ora. In canottiera e pantaloncini, lasciò la tenenza e in pochi minuti si ritrovò fuori da Roccaspina, nei campi tra i quali Avolio era stato catturato; dopo un chilometro, lasciò la strada per imboccare un sentiero in terra battuta e pietre, alla fine del quale si intravedeva l’enorme chioma della quercia bastarda. Nessuno, in paese, sapeva perché l’albero secolare avesse quel nome: proprio lì c’era un pozzo d'acqua freschissima. E, naturalmente, c’era Aurelia.

    Sentì il terreno salire dolcemente sotto i piedi mentre correva verso la sommità della piccola collina; quando vide il cavallo, chiese ai muscoli un ultimo sforzo e aumentò il passo. A poche decine di metri scorse la tettoia di tegole e legno che copriva il pozzo. Aurelia indossava un completo da cavallerizza; stava abbeverando la cavalla con un secchio e quando lui la raggiunse, finse di volerlo allontanare.

    La puzza del tuo sudore copre perfino l’odore di Atalante.

    Lascia che mi sciacqui e ti faccio vedere le disse.

    Prese il secchio e se lo rovesciò addosso, poi l’attirò a sé. Si baciarono a lungo, con trasporto e desiderio; quando lei si staccò per respirare, Manzi sorrise.

    Una volta o l’altra, qualcuno ti seguirà, e allora sì che dovrò correre sul serio.

    E chi oserebbe seguire la figlia del podestà?

    Suo padre, per esempio.

    Aurelia gli poggiò le mani sul petto, bagnato e ancora ansante per la corsa. Non scherzare, Tuccio; Dio solo sa quali scuse devo inventarmi ogni volta per poterti incontrare. Oggi ho fatto bere dell’aceto ad Atalante, poveretta, e quando il segretario di mio padre ha insistito per portarlo dal veterinario al posto mio, a momenti mi veniva un colpo!

    Si alzò sulle punte per baciarlo in fronte; al contatto col suo corpo, ne avvertì l’eccitazione e lo baciò ancora, questa volta con più voluttà. Manzi sentì la sua lingua scorrergli lungo il collo, poi sul petto e giù fino all’addome.

    Aurelia…

    Lei continuò a baciarlo, fermandosi alla cintola e alzando gli occhi verso di lui che la strinse a sé sollevandola. Caddero insieme nell’erba. Le mani di Ardito si infilarono sotto la maglia, e quando ebbero trovato i seni, Aurelia inarcò la schiena e gli si strinse addosso. A quel segnale, Manzi perse ogni freno.

    Dopo, ricaddero esausti, svuotati di tutto tranne che della voglia di ricominciare. Ardito strisciò all’indietro fino a trovarsi nell’ombra del pozzo. Aurelia gli sedette accanto e gli prese la testa tra le mani, posandosela in grembo.

    A cosa pensi? gli chiese.

    A nulla.

    Bugiardo; sento il cervello che lavora, sotto questi bei capelli neri.

    La sua mano risalì lungo l’addome e si soffermò sul seno; lei lo allontanò senza molta convinzione. Pensavo alla guerra disse lui infine.

    Papà dice che vinceremo in pochi mesi e tutto tornerà come prima.

    È quello che dicono tutti.

    Rimasero stretti per lunghi, interminabili attimi, prima di rialzarsi. Aurelia infilò gli stivali da cavallerizza e Ardito si sistemò maglietta e pantaloncini, che nel frattempo si erano asciugati al sole.

    Ti amo, tenente. gli disse lei dopo essere montata in groppa ad Atalante.

    Anch’io rispose Manzi, guardandola sparire oltre la collinetta.

    5

    Agosto 1940

    New Haven, Connecticut

    Il sergente Perry porse a Vincent Cacace una busta di carta. Controlla che ci sia tutto disse, indicando il punto del modulo su cui avrebbe dovuto firmare per ricevuta degli effetti personali. Vincent si allacciò l’orologio d’oro, infilò il portafogli in tasca e contò le sigarette nel pacchetto ammaccato. Ne mancano due disse al poliziotto di turno. E manca il temperino.

    Le sigarette ti saranno cadute, e quello che ti abbiamo sequestrato non era un temperino ma un coltello a serramanico ribatté Perry. Un'arma pericolosa; e proibita.

    Vincent gettò le sigarette sul bancone. Tieni, fumale tutte e fatti venire una polmonite. Detto questo, girò sui tacchi raggiungendo l’uscita.

    Il caldo era intenso, ma l’afa di New Haven era preferibile al tanfo di sudore della cella di sicurezza. Lo zigomo gli doleva e le nocche erano piene di tagli, e quando si avviò lungo il marciapiede sentì una fitta nel punto in cui l’agente di pattuglia lo aveva colpito con il manganello. Se non mi fosse arrivato alle spalle, pensò con rammarico, ne avrei avute anche per lui.

    Aveva bisogno di tornare al campus e farsi una doccia, cambiarsi d’abito e medicarsi le ferite. Poi sarebbe andato da Mario’s Hardware per ricomprare il coltello che gli sbirri gli avevano sequestrato: trenta dollari andati in fumo e chissà se avrebbe trovato lo stesso modello col manico di madreperla e le viti di ottone dorato. Doveva pur avere con sé qualcosa per proteggersi: il mondo era pieno di idioti e ubriachi pronti a rovinare le serate. E del resto, se quell’idiota non avesse importunato la ragazza che cenava con lui, non sarebbe accaduto nulla. Invece, lo aveva sfidato a uscire in strada e a quel punto aveva perso il controllo: se non glielo avessero tirato via dalle mani avrebbe potuto ucciderlo. I poliziotti avevano faticato per calmarlo e la notte in cella lo aveva ridotto a più miti consigli ma quella non era la prima volta e Vincent sapeva che non sarebbe stata l’ultima. Lo sapevano bene al campus e per questo tutti evitavano di litigare con lui. Lo sapevano bene anche nel quartiere in cui era cresciuto.

    Vinnie.

    Vincent si voltò di scatto e quando vide chi l’aveva chiamato fu tentato di scappare nella direzione opposta. La montagna di grasso e muscoli che il completo di cotone non riusciva a nascondere respirava rumorosamente, ma i suoi occhi erano quelli di un killer: piccoli, neri, inespressivi.

    Sal! esclamò rimpiangendo di non avere il temperino, anche se un coltello avrebbe fatto il solletico a un tipo del genere. Sal Mariotti dava l'impressione di essere invulnerabile.

    Ho un messaggio per te da parte di don Antonio: ti aspetta da Pepe’s stasera alle otto e mezzo in punto disse sbuffando, poi aggiunse: È da un po’ che vorrei darti una lezione per farti passare il prurito che hai alle mani, ma Don Vitiello mi ha proibito anche solo di sfiorarti perciò mi limiterò a ripeterti l’invito: da Pepe’s stasera, otto e mezzo. Ciò detto gli passò a fianco senza nemmeno degnarlo di uno sguardo e scomparve dietro l’angolo.

    Vincent lasciò l’autobus all’angolo tra Elm Street e Grand Avenue e si avviò lungo Chapel Street. Di solito, trascorreva serate come quella organizzando partite di poker nel campus o raccogliendo piccole scommesse sugli incontri di boxe. Fosse dipeso da lui, non si sarebbe mai iscritto al college, ma suo padre lo aveva obbligato a farlo e a quel punto aveva scelto ingegneria perché coi numeri ci sapeva fare. La vita del campus lo aveva reso meno turbolento, ma l’inquietudine continuava a tormentarlo e la scazzottata della sera prima era stata solo il pretesto per sfogare la rabbia che covava dentro. Non fosse stato il tipo ubriaco nel ristorante, sarebbe stato qualcun altro. D'altronde, nessuno poteva pensare di offendere la sua ragazza e passarla liscia. Soprattutto quella ragazza.

    Intorno a lui, le famiglie di Little Italy uscivano per gustare un gelato o mangiare la pizza, i giovani si incontravano agli angoli delle strade, i più anziani sedevano all’aperto nei caffè giocando a carte in un frastuono di urla e imprecazioni. Ovunque, un trionfo di luci e insegne multicolori che illuminavano la vita traboccante del quartiere italiano, culminante nel caos di Woorster Street. Qui la folla era tale che nemmeno il largo marciapiede riusciva a contenerla; molte persone si ritrovavano sull’asfalto, a pochi centimetri dalle auto che erano costrette a procedere lentamente. La folla era in realtà una fila e tutti erano in paziente attesa di un tavolo libero da Pepe’s, la cui insegna luminosa era visibile da molto lontano. Pepe's era un locale alla moda, molto frequentato dai maggiorenti della comunità italoamericana; sulla pubblicità della guida telefonica si leggeva che la gente veniva anche dalla California per gustare la prima pizza prodotta negli Stati Uniti.

    Giunto all'altezza del locale, attraversò la strada e, incurante delle occhiatacce e delle proteste di chi era già in fila, fece un cenno al cameriere di guardia all’ingresso.

    Mettiti in riga e aspetta il turno tuo lo apostrofò questi con un pesante accento italiano, indicandogli il punto lontano in cui la fila terminava. Vincent avanzò ancora.

    Sono atteso da don Antonio Vitiello.

    Il solo pronunciare quel cognome calmò la folla e ammansì il buttafuori che abbassò il cordone e gli fece cenno di entrare. Il ristorante era arredato in modo semplice, quasi rustico, con le pareti in legno ricoperte da foto di Napoli e dei suoi dintorni. L’ultima fila di tavoli era delimitata da una catena e un cameriere occupava l'unico punto di passaggio. Vincent pronunciò ancora la parola magica e fu fatto passare, quindi cercò con lo sguardo fin quando una mano si alzò, facendogli cenno di raggiungere il tavolo.

    Antonio Vitiello non si alzò per salutarlo; aveva passato la sessantina ma appariva in gran forma, molto elegante nel completo cucito su misura; il viso era percorso da rughe profonde tra le quali si intravedevano la durezza e la determinazione, doti essenziali per il capo indiscusso di Little Italy. Ogni affare nella zona di Fair Haven, legale o sporco che fosse, non poteva dirsi concluso senza il suo consenso; contrabbando, prostituzione, racket, oltre al commercio di vestiti, stoffe e generi alimentari, pizza compresa, era governato dall'uomo che gli stava sorridendo.

    Siediti, Vinnie, e ordina pure. La sua voce era calma e profonda, quasi un sussurro Mi scuserai se ho iniziato senza aspettarti, ma alla mia età bisogna essere regolari. Ti consiglio la pizza perché la mozzarella stavolta è ottima, ma le linguine allo scoglio e la bistecca di manzo non sono da meno.

    Vincent decise per la pizza margherita e una birra.

    Hai sentito Rob? gli chiese poi. Robert Vitiello, compagno di stanza di Vinnie durante i quattro anni al Trumbell college, era nipote di don Antonio. Si era laureato in legge due mesi prima di lui ed era partito per Cuba a godersi il meritato riposo.

    Mi ha chiamato tre giorni fa, era a Miami. Dice che il caldo è insopportabile.

    Antonio annuì sorridendo. Sono certo che avrà trovato il modo di sopportarlo. Ma non è di questo che dobbiamo parlare: come sai, ero amico tuo padre e ho fatto molti affari con lui. Un vero italiano, un esempio per tutti. Anche per te, figliolo.

    La sua espressione si era indurita. Non aggiunse nulla ma non era necessario.

    Vincent si portò istintivamente una mano alla ferita che gli segnava lo zigomo. Non sarebbe riuscito a mantenere ancora il segreto della sua relazione con la nipote. Il fatto che fosse andato in prigione per difenderne l’onore era qualcosa di cui il boss avrebbe dovuto tener conto, ma cominciava a non esserne più tanto sicuro.

    Aveva conosciuto Connie a una festa e dopo una serie di appuntamenti avevano iniziato a frequentarsi; il fatto che lei e suo fratello fossero orfani e sotto la tutela di uno zio così potente e discusso lo aveva convinto ad agire con prudenza. Rob aveva accettato volentieri di coprire i due innamorati per consentire loro di trascorrere un po' di tempo in tranquillità. Sforzandosi di non arrossire, sostenne lo sguardo di don Antonio. So cosa stai pensando.

    Vitiello gli puntò il tovagliolo. "No che non lo sai, ragazzo, ma se avessi avuto qualcosa da rimproverarti lo avrebbe già fatto Sal disse. Ora mangia, parleremo dopo."

    Visibilmente sollevato, Vincent attaccò la pizza. L'aroma di mozzarella, pomodoro fresco e basilico gli ricordarono le sere in cui suo padre le cuoceva personalmente nel forno di casa. Primo Cacace era morto di cancro sei mesi prima. Alla cerimonia funebre avevano partecipato poche persone: Vincent, un lontano cugino che viveva a Providence, i due soci della fabbrica di camicie per uniformi, Connie e Robert Vitiello. I tre amici, dopo, erano tornati al campus. Lungo il percorso, avevano comprato una cassa di birre. La notte era trascorsa tra il rumore dei tappi che saltavano, i brindisi alla memoria del padre di Vinnie e il triste racconto dell’arrivo dei Cacace in America, come lui stesso l’aveva appreso dal genitore. Suo padre era fuggito con lui ancora in fasce da Roccaspina, un paese di campagna tra Roma e Napoli, a causa di una lite con un camorrista che gli aveva giurato vendetta. La madre, costretta a letto da una polmonite, era rimasta in Italia. Cacace era arrivato a New Haven grazie all’interessamento di un compaesano già emigrato, presso il cui negozio di tessuti aveva cominciato a lavorare come commesso. Ben presto, la sua competenza gli aveva consentito di fare carriera fino a diventare direttore; l’ultimo passo era stati aprire una fabbrica di camicie. Dopo i primi periodi di difficoltà, era arrivata un’ordinazione dall’Esercito per un’enorme quantità di camicie militari: Primo aveva noleggiato altre macchine da cucire e assunto lavoranti, riuscendo ad effettuare la consegna nei tempi stabiliti. E così erano arrivate le ordinazioni dalla Marina e dall’Aviazione. Primo aveva completamente rinnovato le sue macchine, e trasformato con l’aiuto di due soci, la fabbrichetta in una grande azienda. In tutti quegli anni, si era sempre rifiutato di fornire a Vincent particolari su ciò che era accaduto in Italia e sulla madre. L’agiatezza economica gli aveva permesso di mandare suo figlio al Trumbell College e Vincent lo aveva ripagato con una carriera universitaria. brillante. Ancora una volta, però, la vita gli aveva concesso poco tempo per gioire; lo strano neo sulla guancia destra si era allargato, cominciando a ulcerarsi come una ferita infetta, rosicchiandogli il volto e uccidendolo in poco più di un mese. In punto di morte, Vincent aveva cercato di sapere quante più cose possibili sulla madre, ma Primo era morto senza dirgli nulla.

    Il figlio però aveva giurato che avrebbe fatto di tutto per trovarla; quel giuramento era rimasto segreto fino alla notte dopo il funerale, quando aveva deciso di condividerlo col suo migliore amico e con la ragazza di cui era innamorato.

    Vitiello fece un cenno al cameriere, che gli portò un bicchierino di grappa; Vincent rifiutò con un cenno.

    Ti piace il mare? gli chiese il boss.

    Certo.

    Allora andiamo al parco disse alzandosi.

    Un’auto si materializzò davanti al ristorante.

    Con quella, attraversarono il ponte sul West River, e in pochi minuti furono ai margini del Quinnipiac Park. Si sedettero su una panchina libera, in silenzio, ad ammirare il panorama. Le luci del porto facevano risaltare la sagoma del ponte lungo il quale i fari delle auto si spostavano in entrambe le direzioni; due navi militari erano alla fonda al largo della baia, circondate da una miriade di imbarcazioni più piccole che facevano la spola da e verso i moli.

    È un bel posto, questo; ideale per riflettere. Ci venivo spesso, da ragazzo disse Vitiello inspirando l’aria salmastra. "Dovresti venirci anche tu. Quando si è giovani bisogna sfogare il fuoco che si ha dentro, ma non è sempre una buona cosa. Seguire le passioni aiuta a vivere, ma se non si riesce a dominarle si rischia di mettersi nei guai. Tu non puoi ricordarlo, ma, quando eri un guagliunciello, mi capitava spesso di vederti correre a casa tutto sporco e pieno dei segni di qualche scazzottata. Quando accettasti di iscriverti al college, ne fui felice: avresti condiviso la vita del campus con mio nipote e ti saresti dato una calmata. Ora sembra che quel diavolo che è in te abbia alzato nuovamente la cresta e la cosa mi preoccupa. Per molti motivi."

    Vincent pensò che il vecchio si aspettasse delle scuse. So di non essermi comportato come un gentiluomo balbettò, ma quel tipo aveva offeso Connie. Ti chiedo scusa.

    E per cosa? Per aver pestato a sangue un pezzo di merda?

    No, pensò Vincent, rendendosi conto di quanto fosse abile l'uomo che gli sedeva accanto; a quel punto sarebbe stato costretto a scusarsi per aver frequentato sua nipote senza nessun formale permesso. Quando lo fece, badando che le sue parole fossero le più chiare possibili, Vitiello scoppiò in una sonora risata. Credi davvero che io non sapessi? gli disse posandogli una mano sulla spalla: una presa ferma e decisa. Vi ho sempre tenuto d’occhio. Però mi siete sfuggiti un paio di volte… spero proprio che vi siate comportati come si deve anche in quelle occasioni.

    Vincent deglutì: lui e Connie si conoscevano da tre anni e avevano avuto due rapporti completi. La prima volta di notte, nella sua camerata: erano entrambi troppo eccitati e imbarazzati e l'amplesso si era trasformato in una comica parodia del sesso. La seconda volta avevano preso una decisione consapevole e ragionata, passando la notte in un motel presso il campus di Yale, grazie alla complicità di un'amica di Connie. Era stato molto diverso, e molto intenso. Entrambi avrebbero desiderato molti incontri del genere ma le occasioni erano così rare e la paura di venire scoperti così grande che alla fine avevano rinunciato, rassegnandosi ai nervosi incontri in auto o alle romantiche serate al parco.

    Certo che sì, non mancherei mai di rispetto a una ragazza per bene come lei mentì. E spero tanto che permetterai che io e Connie ci frequentiamo ancora. Ho intenzione di sposarla, di metter su famiglia con lei non appena avrò trovato la mia strada.

    Vitiello approvò. Sei un bravo ragazzo, Vinnie. Io ero così, alla tua età, ma non ho mai avuto la possibilità, né la voglia di andare al college. Forse, se avessi avuto anch'io un padre come il tuo... hai fatto un passo avanti, hai nuove e più importanti strade da percorrere e lui sarebbe molto orgoglioso di te. Se solo imparassi a tenere a freno le mani.

    Cercherò di rigare dritto.

    Lo spero. Hai il permesso di incontrare Connie, puoi perfino andare a casa sua. Avvertirò Nick che ti lasci entrare ma dovrete essere sempre in vista e non allontanarvi mai senza permesso. E soprattutto, mai fare tardi la sera. Intesi?

    Vincent annuì energicamente, sollevato per la piega che la serata aveva preso, quindi si alzò pronto a salutare il vecchio ma questi gli fece cenno di sedersi nuovamente. C’è ancora qualcosa che devo dirti. Riguarda tuo padre.

    Il senso di sollievo lasciò rapidamente il posto all’inquietudine: cosa aveva mai da dirgli che lui non sapesse già?

    Ti ascolto gli disse.

    6

    Vitiello porse a Vincent una busta contenente la foto di una donna in posa su uno sfondo di alberi e siepi. Era molto bella, l’ovale del viso incorniciato da un’enorme massa di capelli scuri che le scendevano giù per una spalla. La bocca era piccola e una fossetta profonda risaltava sul mento. Gli ci vollero alcuni istanti per collegare quel viso alla foto che suo padre teneva sul comò e tutto gli fu chiaro.

    Non chiedermi come ho fatto. Fu la risposta di Vitiello alla sua tacita domanda. A Vincent vennero in mente la notte del funerale e l’ennesima richiesta fatta al suo genitore morente, raccontata a Connie e Robert. Uno dei due doveva averlo riferito allo zio.

    So che hai parlato a Primo sul letto di morte proseguì il vecchio, ma sapevo del tuo desiderio di sapere ancor prima che tu ti confidassi coi miei nipoti. Lui stesso me ne aveva parlato molte volte. Sai, lui è stato uno dei pochi uomini che mi onoro di aver avuto come amici, così ho sentito il dovere di fare qualcosa.

    Vincent guardò ancora la foto, sfiorandola con le dita come se quel gesto potesse rendere quel viso di carne e ossa.

    Vitiello sospirò. Sono quello che sono, ma ho i miei affetti e tu li hai incrociati in molti modi: sei il miglior amico di Rob, sei innamorato di Connie. E sei un bravo ragazzo, tutto sommato.

    È viva?

    Sì.

    Ho sempre avuto difficoltà a credere che la mamma avesse la polmonite e non potesse fuggire: fossi stato in lei, sarei scappato comunque, anche solo per morire sulla nave. Naturalmente, non so davvero cosa accadde allora, ed è possibile che quel guappo le abbia impedito di muoversi.

    Vitiello fissò un punto lontano nella baia. Tuo padre era molto stimato a Roccaspina. Un sarto in gamba e una persona per bene; non avresti trovato nessuno capace di parlar male di lui nemmeno a pagarlo. A meno di non chiedere alla moglie poggiò un dito sulla foto. Tua madre lo aveva sposato perché non voleva più sottostare al padre, un vecchio che, si diceva in giro, cercava di approfittare delle sue stesse figlie. Margherita, tua madre, si offrì a Primo, che le diede riparo nel matrimonio.

    Un matrimonio di interesse?

    Una buona azione. Puoi vedere da te quanto fosse bella, non si dovette sforzare molto per innamorarsene. Poco dopo le nozze, lei restò incinta. Un giorno incontrò questo tipo, che di tanto in tanto lasciava la città per ramazzare soldi nei paesi di campagna. Tua madre lo vide seduto al bar e quando si accorse di lei accadde tutto molto in fretta. L'aspettò fuori dal negozio, attese che ne uscisse e la seguì fino a casa, dove giacque con lei.

    Vincent si alzò di scatto, i pugni serrati. Ma lei era incinta di me, come poteva…

    Tu nascesti quella sera stessa spiegò Vitiello. Lo sforzo dell’amplesso le provocò un parto prematuro. Fosti fortunato perché il medico condotto era bravissimo.

    Vincent ebbe un conato di vomito e si allontanò, nascondendosi dietro un albero. Quando tornò a sedersi, Vitiello gli offrì il suo fazzoletto immacolato e riprese da dove si era interrotto.

    Questo accadeva sotto gli occhi di tutti.

    Non è vero, non è possibile!

    Lui continuò, ignorandolo. Ti affidò a una balia che doveva anche allattarti: la versione ufficiale fu che aveva il latte acido ma tutti in paese sapevano degli incontri tra i due amanti. Lui aveva preso una cascina in periferia dove i due stavano insieme mentre tu eri con la balia e tuo padre continuava a cucire. Le cose precipitarono il giorno in cui decise di entrare nella sartoria, ordinando dieci camicie su misura, scegliendo la stoffa più cara e insistendo perché fossero pronte al più presto. Tornò una settimana dopo e prese le camicie, stracciando il conto perché la roba, lui, non la pagava mai. Primo non si tirò indietro e lo costrinse a uscire dalla sartoria senza le camicie. Fosse dipeso da lui, avrebbe ammazzato tuo padre quella sera stessa ma Margherita glielo impedì: lo voleva morto ma aveva deciso di liberarsi anche di te. Sarebbe dovuto sembrare un incidente, o l’opera di un brigante. È possibile che avessero intenzione di agire di lì a un mese, quando Primo sarebbe andato alla fiera provinciale. Lei non sarebbe andata, non lo faceva mai, mentre tuo padre avrebbe portato con sé la sartina che ti faceva da balia.

    Vincent riuscì a dominare i crampi allo stomaco. Dici che mio padre era all’oscuro di tutto, e posso anche crederci, conoscendolo. Ma allora, come fece a salvarsi?

    Vitiello gli chiese. Conosci Sporano?

    Aspetta, non è vicino a Roccaspina? Mio padre ci comprava il vino, inoltre aveva un caro amico, un maresciallo dei carabinieri.

    "Esatto. Questo maresciallo, che non era un cretino pur essendo uno sbirro, nei suoi giri alla ricerca di briganti e contrabbandieri

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1