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Il guaritore di Aër
Il guaritore di Aër
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Il guaritore di Aër

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La vita di Rhodan scorre nel Regno di Aër fra la sua città natale e il mondo esterno, che per molti versi ancora gli è ignoto. I giorni si ripetono monotoni, mentre il giovane percorre la strada segnata dal volere della famiglia e lascia in disparte la sua vera vocazione.
Poi, all’improvviso, la sua vita cambia a causa di una serie di misteriose morti che né lui né i sapienti del regno sanno spiegarsi: Rhodan si ritrova così catapultato fra creature di cui nemmeno sospettava l’esistenza, che gli apriranno un cammino nuovo e irto di prove e ostacoli, ma che lo condurranno a realizzarsi per le qualità che effettivamente possiede.
Dovrà riallacciare vecchie amicizie e stringerne di nuove, comprendere che in certe condizioni anche la legge può essere infranta a favore della verità, prendere decisioni suo malgrado, convivere con dubbi e segreti.
L’ombra di un tradimento inaspettato, però, minaccerà la pace e l’equilibrio del suo mondo.
Con audacia e con l’aiuto divino, Rhodan tenterà di salvare il regno e l’intero continente da una sorte grama e terribile. 
La sfida ha inizio…

Ho visto le lesioni che quei mostri sono in grado di infliggere, e posso garantirvi che sarebbe un’impresa non da poco riuscire a sconfiggerli. Con un semplice colpo sono in grado di distruggere le nostre armature, come fossero di carta. Le ferite dei due sopravvissuti erano gravissime, è un vero miracolo che siano riusciti a sfuggire alla morte.
LanguageItaliano
Release dateDec 22, 2017
ISBN9788867933495
Il guaritore di Aër

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    Il guaritore di Aër - Ralf Iredi

    coincidenza.

    1

    La coperta scivolò giù dal mio letto, scoprendomi le gambe... coperta? In realtà si trattava di un semplice telo adagiato su un materasso di paglia, così come era consuetudine nelle famiglie povere del-la nostra zona. Mio padre era un semplice pescatore come mille altri nella nostra città. Mio fratello, però, era riuscito a ritagliarsi il suo posto, entrando nella milizia cittadina e finendo per diventare, nel corso degli anni, uno stimato eques. I miei avevano in mente la stessa carriera anche per me, così mi avevano mandato alla scuola della milizia locale, da me frequentata con scarso interesse.

    Lentamente mi alzai e, nello stesso momento, sentii dei passi avvicinarsi alla mia stanza.

    – Deve essere mia madre – mi dissi.

    Rhodan! Alzati!

    Erano le parole che mi svegliavano ogni giorno. Era un caso che quella mattina avessi aperto gli occhi prima del solito. Avevo una sgradevole sensazione nello stomaco pensando alla giornata che si prospettava, come se qualcosa non quadrasse.

    Sì, arrivo subito le gridai di rimando, per poi concedermi un sonoro sbadiglio.

    Dopo essere uscito dalla mia camera, un ambiente piuttosto piccolo arredato solo con un letto, un armadio senza ante e un tavolino con annesso sgabello, il mio sguardo s’imbatté in mio padre, che se ne stava già seduto a tavola e consumava, come ogni mattina, le sue fette di pane, senza spalmarci sopra niente: per lui, il burro e il formaggio rovinavano il sapore delizioso del suo adorato pane, e a volte ne nascevano dei battibecchi fra i miei genitori.

    Rhodan! Sei in ritardo mi disse. Anche tua madre oggi ha dormito più del dovuto, quindi dovrai sbrigarti se non vuoi far tardi. Un vero eques arriva sempre puntuale, e tu vuoi diventare un vero eques, giusto?

    I suoi occhi pieni di aspettative si fissarono su di me, mentre masticava rumorosamente con la bocca aperta. Non gli importava gran-ché delle buone maniere a tavola. In momenti del genere non mi re-stava altro che annuire; in fin dei conti non volevo deluderlo, sapevo che avevamo urgente bisogno di denaro, dato che mio fratello doveva occuparsi della propria famiglia.

    Mi sedetti senza aggiungere altro e feci colazione con un panino insaporito da un po’ di miele. Calò il silenzio, nessuno di noi voleva parlare oltre. Uscii di casa con un semplice a dopo, ma non ricevetti un’effettiva risposta.

    Nel pomeriggio mi recai dal mio maestro, il sanator della nostra città, che m’istruiva in un secondo percorso di formazione, molto più interessante rispetto a quello della milizia cittadina. Apprendevo da lui le varie tecniche per curare il prossimo, tramite le piante officina-li e altri strumenti. Mio padre non vedeva di buon occhio questi insegnamenti, ma non aveva il coraggio di proibirmeli visto che ero sotto la protezione di un sanator e nessuno avrebbe mai osato contraddir-ne uno: in caso di malesseri o malori, non c’era individuo che non dipendesse dalle sue abilità.

    Ah, Rhodan, finalmente sei arrivato mi salutò, non appena ebbi oltrepassato la soglia. Ora ho davvero bisogno del tuo aiuto.

    Sedeva, così come era solito, su una piccola sedia di fronte al caminetto, dove si stava riposando dalle fatiche delle visite mattutine. Essendo un uomo relativamente in età, dai capelli ingrigiti e dalla lunga barba che gli conferiva un’aria severa, non aveva più le energie per lavorare la giornata intera.

    Era nella sua casa che si svolgevano le lezioni, ma io ero il suo unico allievo: mi ripeteva sempre che troppi apprendisti sarebbero stati soltanto un fastidio. Non ricordavo esattamente come fossi giunto a questo apprendistato, però erano già passati tre anni da quando avevo cominciato, ed era senza dubbio la cosa più bella che mi fosse potuta capitare.

    Il mio maestro si alzò dalla sedia, mi venne incontro e iniziò a scrutarmi con i suoi luminosi occhi azzurri.

    Rhodan, sai bene che fra poco la tua formazione si concluderà. Hai già pensato a cosa fare poi?

    Scossi il capo: non avevo un’idea ben precisa. Non ci avevo speso nemmeno un pensierino, perché mi ero in qualche modo convinto che avrei potuto continuare ad aiutare il mio maestro anche dopo; quella domanda, ora, risvegliava in me il dubbio che il maestro non volesse. Sarebbe stato disposto a lavorare insieme a un altro sanator che lui stesso aveva educato? Temeva forse che potessi contendergli il posto? In fondo, era lui il miglior sanator della città. Inoltre c’era sempre la questione della milizia cittadina: mio padre non mi avrebbe mai concesso di diventare sanator... Certo, con le mie conoscenze avrei avuto buone possibilità, in battaglia, di soccorrere me stesso e i miei commilitoni senza dover aspettare l’arrivo di un guaritore; ma che ne facessi la mia professione, no, non se ne parlava neppure.

    Mio caro Rhodan, sei un giovane di talento. Tuttavia so che i tuoi genitori preferirebbero vederti nella milizia... è un vero peccato.

    Non vuole più essere il mio insegnante? sbottai, indignato. Ho quasi diciannove anni: i miei genitori non possono obbligarmi a fare ciò che non voglio.

    Oh, altroché se possono! E lo sai anche tu.

    In quel momento mi parve assurdamente che potesse leggermi nella mente. Ogni giorno speravo segretamente che un eques si presentasse a casa nostra per comunicare ai miei genitori qualcosa come: Mi spiace dovervi dire che vostro figlio non ce la farà mai nella milizia. Dovete rassegnarvi, ma ero conscio del fatto che sarebbe rimasto un mio sogno. Cavalieri a parte, soltanto il borgomastro, il re – ma non mi facevo speranze, perché con tutta probabilità queste due figure non sapevano neanche che esistevo – o un fascinator del monastero potevano liberarmi; e riguardo ai maghi avevo i miei seri dubbi. Cosa mai avrebbero potuto ricavare dal mio allontana-mento dalla milizia? Erano i nostri capi ecclesiastici e io appartenevo a una famiglia laica. Soltanto poche persone nella mia classe sociale avevano la vocazione del fascinator, e io non sarei mai stato una di quelle.

    Riflettici bene proseguì poi. Sei tu l’unico in grado di poter scoprire cosa il destino ha in serbo per te.

    Non capii esattamente cosa intendesse dire con quelle parole. Il mio maestro mi apostrofava spesso in maniera criptica.

    Più tardi, come ogni santa sera, dovetti andare alla scuola della milizia per allenarmi in combattimento: una cosa che odiavo con tutto me stesso; di mattina la teoria, di sera la pratica. Non mi ero mai sentito a mio agio in quell’ambiente, negli ultimi giorni in particola-re, perché ero ufficialmente il più vecchio. Gli altri miei coetanei ave-vano già concluso il loro percorso di studi in primavera e ora erano impegnati a difendere la nostra cittadina o a continuare la loro formazione nella capitale. I compagni di scuola di un tempo avevano imparato un mestiere, eccetto uno, il quale, a quanto ricordavo, era stato preso come novizio al monastero. I suoi erano in effetti di classe agiata – era necessario del denaro per accedere al noviziato – e abitavano in un altro quartiere dove vivevano le poche famiglie del po-polo che disponevano di mezzi sopra la media. Non sapevo se il ragazzo in questione avesse passato l’esame per fascinator.

    L’allenamento consisteva generalmente nel combattere con armi leggere e io non avevo il ben che minimo talento, pecca che il mio addestratore notava ogni volta come se fosse stata la prima. Sfortunatamente per lui, non poteva mandarmi via, perché i miei genitori pagavano affinché frequentassi quel corso; e così, mi esercitavo con fatica. La spada pesava nella mia mano, ma non era quello il vero problema: ero talmente sbadato che spesso mi facevo male da solo! Molti mi deridevano dandomi del fallito e anche il mio allenatore sospirava senza sosta mentre per l’ennesima volta mi spiegava gli esercizi.

    Quando finalmente la serata volse al termine, ebbi il permesso di rincasare, per mia grande gioia. Ogni volta mi procuravo nuovi lividi viola e le risate dei miei colleghi s’insinuavano incandescenti sem-pre più profondamente nella mia psiche.

    – Ma quando un giorno sarai un sanator provetto – ribadivo a me stesso, – e avranno bisogno del tuo aiuto, si dispereranno vedendo che tu, per ripicca, non li aiuterai. –

    Sapevo perfettamente, però, che tutto ciò non si sarebbe mai avverato: un guaritore era obbligato a soccorrere qualunque ferito, amico o nemico.

    Era già molto tardi. Mi misi a correre – i miei s’infuriavano sempre quando ritardavo – e perciò non prestai troppa attenzione ai passanti; fu così che urtai una persona. Lo scontro fu così violento che caddi a terra con un sonoro tonfo.

    Ahia! mi lamentai.

    Tutto bene? mi domandò una voce femminile. Riaprendo gli oc-chi, vidi in un primo momento solamente un paio di pantaloni di pelle color marrone. Devi stare attento a dove corri.

    Mentre continuavo a restarmene zitto, il mio sguardo risalì pian piano il corpo dell’estranea e mi portò a notare un’armatura bruno-dorata che copriva il busto e le spalle di lei. Le sue braccia, invece, erano completamente nude.

    Dai, ti do una mano ad alzarti!

    Nel momento in cui mi tese la mano, non potei credere ai miei oc-chi: le sue dita erano stranissime, a punta e prive di unghie! Era per caso stata vittima di un terribile incidente nel quale le sue dita erano state mozzate? Sì, doveva essere così. Al pensiero, provai una gran pena per lei.

    Allora? Vuoi che ti aiuti o no? il suo tono diventava sempre più impaziente.

    Insicuro fino all’ultimo, afferrai infine la sua mano, con cui mi tirò su con forza inaudita. Non avevo mai visto una ragazza così forte. Nell’istante in cui fui di nuovo sulle mie gambe e inquadrai il suo viso, realizzai con un sussulto che le dita non erano l’unico elemento strano di lei: il suo naso era appuntito allo stesso modo, mentre le sue sopracciglia, nella parte più esterna, davano verso l’alto. I suoi capelli, lunghi e castani, erano raccolti in uno stretto fazzoletto rosso che lasciava libere le orecchie aguzze ed era allacciato sulla nuca. Non potei che pormi due domande: chi era, e soprattutto, cos’era?

    Mi sorrise. Non sei molto loquace, eh?

    Il suo sorriso e la sua voce risvegliarono una sensazione bizzarra nel mio corpo; da una parte ero sconcertato dal suo aspetto fisico, ma, dall’altra, la ragazza ridestava in me un certo interesse.

    A proposito, io sono Dana. Tu come ti chiami?

    Non riuscivo a profferire parola. Non sapevo come reagire. Mille emozioni mi attraversavano e io non sapevo come elaborarle.

    Non vi presentate con il nome anche voi umani? mi chiese, sorpresa.

    Aveva detto veramente voi umani, testualmente, e in un lampo ricordai che mia madre e mio padre mi avevano accennato qualcosa riguardo a certe creature che vivevano al di fuori del nostro centro abitato. Questa era la ragione per cui non dovevo lasciare mai la città. Non erano mai scesi nel dettaglio, malgrado le mie numerose domande in merito. In generale gli adulti evitavano di parlare di quegli esseri, anche se non ne comprendevo il motivo, soprattutto adesso, davanti a quella ragazza che mi pareva così simpatica. Magari stava solo recitando?

    Na-naturalmente balbettai in risposta. Mi chiamo Rhodan.

    Rhodan? È un nome proprio carino! esclamò, dandomi una pacca sulla spalla e doppiandomi lentamente. Ci rivedremo sicuramente un giorno o l’altro, Rhodan aggiunse, rimarcando il mio nome.

    La seguii con lo sguardo mentre si allontanava: portava un lungo mantello bianco che scendeva a partire dalle spalle, dov’era agganciato. Ma fu un’altra cosa a scioccarmi di più, strana e impressionante allo stesso tempo, di cui prima non mi ero accorto minimamente… era armata fino ai denti! Dall’anca sinistra le penzolavano una lunga spada e un piccolo pugnale, mentre alla destra era fissata una pesante scure: era davvero in grado di maneggiarli?

    Quando a cena volli raccontare ai miei genitori dell’incontro, nemmeno a metà della descrizione venni interrotto bruscamente da mio padre: Questa ragazza te la sarai soltanto immaginata. Non capii: non era stata certamente la mia immaginazione! O forse sì? Percepii tuttavia il nervosismo dei miei genitori sull’argomento e lo trovai estremamente singolare.

    Mio padre era ormai concentrato unicamente sulla sua minestra e m’ignorava completamente.

    Non ho fame buttai lì, prima di andare in camera mia e lasciare la porta semiaperta per poter origliare eventuali discorsi dei miei; ma nessuno dei due parve voler proseguire la discussione, quindi accostai del tutto la porta ed andai a dormire.

    2

    Erano ormai passati alcuni giorni da quando ero incappato in quella ragazza, ma non riuscivo proprio a togliermela dalla testa. Chi era? Ogni notte la sognavo e durante il giorno continuavo a domandarmi chi fosse. Speravo ardentemente di poterla rivedere; avevo così tante domande da farle, malgrado probabilmente non mi sarebbero uscite di bocca se me la fossi trovata davanti!

    Un altro pensiero che mi ronzava costantemente in testa era il comportamento dei miei genitori. Erano strani, stentavo quasi a riconoscerli. Presentivo che mi nascondevano qualcosa e non si tradivano in alcun modo. Non ne facevano parola in mia presenza e i miei tentativi di origliare alle porte erano completamente inutili. Non volevano rivelarmi il loro segreto.

    Ma ora non era a questo che stavo pensando mentre assistevo il mio maestro nella consueta lezione. Non gli avevo raccontato dello scontro con la ragazza perché non sapevo in che modo avrebbe reagito. Sapevo che presto avrei dovuto scegliere la mia strada e dunque riflettevo continuamente su come convincere mio padre del fatto che la milizia cittadina non era per me.

    Stavamo distillando alcuni filtri curativi per il borgomastro – quest’ultimo, difatti, si era gravemente ammalato – quando, improvvisamente, qualcuno bussò con veemenza alla porta. Guardai il mio maestro, che ricambiò solo con un’alzata di spalle.

    Aspetta qualcuno? gli domandai.

    Il bussare si fece sempre più forte, ma non risuonò nessuna voce.

    Il mio maestro mi guardò, scuotendo la testa. Apri mi ordinò poi, tradendo una certa nota di curiosità. Sembrava tanto sorpreso quanto lo ero io.

    Mi avvicinai quindi alla porta. Chi è? chiesi a mezza voce.

    Non rispose nessuno; si udì, invece, un forte colpo contro la porta, che certamente non era più quello di qualcuno che bussava. Dalla paura indietreggiai di qualche passo, ma un cenno del mio maestro mi fece intendere che non dovevo più attardarmi ad aprire. Intimorito all’idea di chi mi aspettava, aprii. Mi venne in mente la ragazza, forse voleva farmi qualcosa di male. Non appena ebbi socchiuso la porta, mi cadde un uomo addosso, per poi scivolare a terra al mio fianco; nell’impatto cascai io stesso e solo allora mi accorsi che si trattava di un eques.

    Tutto il suo corpo era protetto dal monocromatico metallo grigio dell’armatura; mi meravigliavo davvero di come i cavalieri potessero comunque muoversi così agevolmente. Sul petto svettava la bandiera del nostro regno, una croce obliqua color nocciola su sfondo bianco. Siccome il suo viso era scoperto, vidi chiaramente il sangue che lentamente fuoriusciva dagli angoli della bocca e dalle narici. I miei pensieri si concentrarono su di lui e su cosa gli fosse mai successo.

    Sistemato il cavaliere ferito su una sedia, mi preoccupai di levar-gli i vari pezzi dell’armatura, che, peraltro, era più leggera di quanto avessi mai supposto. Procedetti con cautela, in modo da non ferirlo ulteriormente. Sotto all’armatura non indossava altro che della biancheria bianca.

    Grazie, ragazzo... pronunciò debolmente con voce stanca.

    Il mio maestro andò immediatamente a prendere alcune erbe curative da applicare alle lesioni del torso, ma quasi subito notammo una cosa inconsueta che lasciò entrambi, perfino il vecchio sanator, senza parole: dopo aver tirato su la stoffa dei suoi abiti, infatti, ve-demmo che non c’erano affatto ferite. Il mio maestro retrocedette di alcuni passi.

    Per Aër! non poté trattenersi dal nominare uno dei nostri sacri dèi, il dio dell’aria, in onore del quale era stato battezzato il nostro regno. Com’è possibile?

    Palpò il petto dell’eques e l’ombra che riempì i suoi occhi in quel momento non mi piacque affatto: non avevo mai letto una tale incertezza nel mio maestro. Sembrava davvero che non sapesse di cosa si trattava. Il cavaliere taceva: il dolore era probabilmente troppo lacerante.

    Domandai al mio maestro che cosa avesse quell’uomo, però non mi diede risposta; m’invitò invece a guardare di persona, quindi replicai i suoi medesimi gesti, posando le mie mani sul suo petto. Ciò che sentii era semplicemente impossibile. Mi rizzai e guardai sgomento il mio mentore.

    Alcuni organi interni sono stati lesi gravemente, ma non capisco come possa essere successo, dato che nessuno l’ha ferito. Nemmeno i fascinator ne sono capaci, perlomeno è ciò che mi hanno sempre detto!

    Esatto, è proprio così! Non capisco...

    Mostri! L’eques tentava di comunicarci qualcosa, ma le sue forze scemavano sempre più. Sono stati dei mostri… a Sud, al di là del deserto.

    Il mio maestro e io ci scambiammo uno sguardo disorientato: a Sud degli altri due regni del nostro continente – il regno di Ignis e il regno di Salsa, che a loro volta portavano il nome di altri nostri dèi – si trovava un enorme deserto. Pochissimi avevano osato attraversar-lo. Riuscirci, e automaticamente conquistare il territorio oltre il de-serto, era la massima brama dei tre sovrani del continente. Quell’eques si era avventurato in quella distesa senza fine?

    Quali mostri? Dicci di più!

    Il mio maestro era palesemente inquieto, perché nessuno sapeva se ci fosse davvero la vita laggiù.

    Mostri giganteschi. Grossi e terribili...

    D’improvviso il cavaliere ammutolì e la sua testa si piegò su un la-to. In un primo momento non realizzai l’accaduto, solo poi mi fu chiaro che aveva lasciato questo mondo. Era la prima volta in assoluto che vedevo una persona morire.

    Il suo decesso sembrò invece non colpire troppo il mio maestro, che continuava a mormorare le stesse, monotone parole: Quali mo-stri sono in grado di atrocità del genere? e Devo scoprirlo. Poiché voleva meditarci in tranquillità, si accomiatò da me. Ti lascio il resto della giornata libero, Rhodan. Devo riflettere in santa pace su quanto è successo.

    Lasciai la casa del gran sanator ancora turbato. Ero scosso, commosso e spaventato allo stesso tempo. Solo una volta imboccata la strada che conduceva al porto cominciai a digerire ciò che avevo vi-sto, anche se, pur rimuginandoci più e più volte, continuavo a non capire come fossero state causate quelle lesioni. Dal vecchio sanator avevo appreso che gli organi interni potevano venire intaccati sola-mente agendo dall’esterno e che esistevano speciali pozioni da distillare che potevano aiutarne la rigenerazione. Ciononostante, le condizioni dell’eques contraddicevano le teorie che avevo imparato durante il mio apprendistato. Poi, nei miei pensieri riapparve la ragazza di qualche giorno prima: era forse coinvolta?

    Al porto mi sedetti su un pontile, lasciando ciondolare le gambe, e mi misi a riflettere. Tentavo di affossare l’accaduto nella memoria, ma non mi riusciva. Il pensiero che quella ragazza potesse avere a che fare con la morte dell’eques mi parve inverosimile.

    Di colpo, dopo essere rimasto per un po’ a sedere, sentii una voce femminile alle mie spalle.

    Rhodan? Ehi, cosa ci fai qui?

    Scattai istantaneamente in piedi, sperando che si trattasse della giovane non-umana, ma, scorgendo i capelli cortissimi e mori della ragazza, mi resi conto subito che non era lei. Era solo mia cugina più piccola; la mia delusione si manifestò in un forte sospiro.

    Ah, Saskia, sei solo tu...

    È così che si saluta la propria cugina?! si lamentò lei.

    Le risposi negativamente con un movimento del capo e lei mi sor-rise.

    Ovviamente no, Saskia. Ma come mai sei qua?

    Nostra nonna viveva con lei in un paesino fuori città, perché era là che si era trasferita con i suoi genitori, prima che questi sparissero in circostanze misteriose e venissero dichiarati morti. I due erano agricoltori e, come gli altri loro pari, rifornivano la città di cibo. Per il momento era ancora mia nonna a dirigere la cascina, ma mia cugina l’avrebbe presto

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