Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Victor Red
Victor Red
Victor Red
Ebook187 pages2 hours

Victor Red

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Victor Red è un chirurgo stimato e importante, il migliore sulla piazza. Possiede un’enorme casa e ha una moglie fedele. Sembrerebbe condurre una vita soddisfacente, aver ottenuto tutto ciò che si può richiedere alla vita.
Sarebbe così, se non fosse che Victor è afflitto da quella che lui chiama una piccola e innocente devianza: è attratto in maniera morbosa e irresistibile dal sangue, dal percepire le carni che si aprono, dal corpo umano che cede e perde la sua forma originaria. Grazie al suo lavoro di chirurgo, Victor Red appaga questa sua patologica necessità e si sazia grazie anche al passatempo che lo vede impegnato nello scantinato di casa, ossia impagliare animali morti.
Ma il vizio è ricerca esagerata e continua del medesimo comportamento e quello di Victor rischia di prendere il sopravvento…

Victor Red è un romanzo forte, splatter ma anche introspettivo e psicologico, che ti porterà negli abissi della mente umana, in un tremendo e affascinante viaggio di andata e… forse ritorno.
LanguageItaliano
Release dateDec 22, 2017
ISBN9788867933396
Victor Red

Related to Victor Red

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Victor Red

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Victor Red - Fabio Tacchi

    coincidenza.

    Capitolo 1

    Non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione come questa. O meglio... magari ci fantasticavo ogni tanto, nei momenti di noia, ma non avrei mai creduto che un giorno lo avrei fatto davvero. Non per codardia, e nemmeno per una questione morale, ma perché in fondo non ne ho mai avuto bisogno. Le cose però tendono a cambiare. A volte si è costretti dalle situazioni a fare delle scelte, per quanto estreme siano. Per questo ora sono qui. Sento le goccioline della nebbia che mi sfiorano la pelle del viso, le sento punzecchiare come aghi di ghiaccio, sento i polpacci farmi un male del diavolo e il sudore gelido scorrere lungo la schiena. Sono le quattro e dieci, la temperatura è di sei gradi e il sole, per quanto ne so è già sorto, ma la nebbia impedisce ai suoi raggi di illuminare il parco. Proprio una mattinata del cavolo per andare a fare jogging. Perfetta per uccidere qualcuno.

    Parte 1

    Capitolo 2

    Il mio nome è Victor Red, e scommetto che andando avanti nella lettura, vi renderete certo conto della scontata associazione con il Victor Frankenstein, il dottore, non il mostro. Non posso darvi torto, a volte il destino di una persona sta proprio nel nome, nomen omen come dicevano gli antichi Romani. Mi vengono in mente una serie di personaggi la cui vita è strettamente legata al destino che il nome gli ha dato, Abramo Lincoln per esempio, considerato un vero e proprio patriarca americano associato per casualità, all’Abramo del Vecchio testamento, oppure Marilyn Manson, cantautore noto per i suoi aspetti controversi il cui cognome richiama un famoso serial killer. Che poi mi pare di aver capito che Manson non è nemmeno il suo vero cognome, se lo è scelto da solo, ma spero che abbiate capito cosa sto cercando di dirvi. In ogni caso, questa che sto per raccontarvi è la storia di un uomo come tanti, un uomo a tratti noioso e prevedibile, un uomo con dei sogni e con delle passioni, un uomo, me, cui il destino, lo stesso destino di prima, ha dato delle belle gatte da spellare... pelare, scusate ho avuto un piccolo lapsus.

    La prima volta che mi resi conto di avere una piccola e innocente devianza, fu parecchi anni fa. Ero al primo anno di college, fuori di casa da poco più di un mese, stavo ritornando per il weekend, più che altro per lavare un po’ di biancheria e stirare qualche camicia. La strada credo fosse la statale settanta che porta da Chicago, dove frequentavo l’università, a Cincinnati, dove stava mia madre. Ricordo che era un ottobre caldissimo, uno dei più caldi di cui ho memoria; sarebbe stata una giornata straordinariamente calda, anche se fosse stato agosto e la mia vecchia Honda nera senza aria condizionata e la cappotta inceppata, presa per troppi soldi di terza mano da uno di quei rivenditori di auto usate fuori città, stava diventando un forno crematorio. Da quasi due ore eravamo tutti fermi con il motore acceso e la gente era scesa dalle auto per cercare di capire cosa fosse successo. Le automobili incolonnate formavano una fila di cui ormai non si vedeva neanche la fine, né di fronte, né dietro. Un enorme serpente di lamiera arroventata. Io ero rimasto in macchina ad ascoltare il mio album dei Pearl Jam su cassetta, interrotto soltanto dal suono del clacson di qualche imbecille. Forse qualcuno aveva forato un pneumatico ed era finito nella corsia opposta, magari un camion o un pullman pieno di bambini, per me non faceva alcuna differenza, la mia unica premura era di uscire da quella dannata fila e magari scolarmi una birra gelata prima di entrare a casa di mia madre. Che volete, avevo solo vent’anni. Quando vedemmo passare le auto della polizia, i pompieri e le ambulanze nella corsia di emergenza, tutti rientrammo in auto e mettemmo di nuovo in moto. Nel giro di un quarto d’ora il traffico ricominciò a circolare, lentamente, ma almeno circolava, e almeno si poteva sentire un po’ d’aria passare dal finestrino. In lontananza di fronte a me vedevo le luci dei lampeggianti avvicinarsi, il fumo uscire da quello che sembrava un cumulo di lamiere annerite, e il mare di auto incanalarsi in un’unica fila per poi ritornare a disperdersi subito dopo la curva. Sembrava un miraggio. L’unico problema erano quei coglioni che rallentavano fino a quasi fermarsi per riuscire a vedere ogni minimo particolare di quell’incidente. Dai finestrini si affacciavano togliendosi gli occhiali da sole e sporgendosi quasi fino al busto per riuscire ad avvicinarsi il più possibile a quell’informe cumulo di ferro e plastica fusa. – La gente fa veramente schifo – pensai in quel momento. Addirittura c’era qualcuno che scattava foto con quelle macchinette usa e getta che si vendono alle stazioni di servizio. Sembravano tutti degli invadenti turisti asiatici e continuavano a scattare sotto il naso dei pompieri e degli agenti della stradale, senza alcun ritegno. Non ce la facevo più, avrei voluto accostarmi a loro per poterli picchiare direttamente dal finestrino, non riuscivo a capire il perché di quella morbosa curiosità. Che cosa spingeva la gente a guardare con tanto interesse uno stupido incidente. Poi, quando la mia auto ci stava passando di fronte, incolonnata alle altre, lo vidi. Era bellissimo. Dentro quello che restava della Buick rossa finita chissà come nel muso di quel camion con rimorchio, si riusciva a vedere benissimo il viso dilaniato di una donna bionda. Attraverso il parabrezza bucato come se ci fosse passata una palla di cannone, si vedevano i resti caldi e insanguinati di quella bellissima donna di circa trent’anni con il cranio aperto per metà, fuori dal quale usciva quello che sembrava parte del suo cervello. L’apertura che aveva in testa proseguiva sul viso percorrendo la linea che dall’occhio sinistro (non presente nella scena d’insieme), continuava fino all’angolo della bocca. I lineamenti in quelle condizioni erano disordinatamente asimmetrici e i capelli, intrisi di sangue rosso scuro, si appiccicavano alla sua pelle e alla materia cerebrale fuoriuscita. Fuori dal buco sul parabrezza c’era il resto del cranio e dei piccoli pezzetti di cervello fumanti e sfrigolanti sulla lamiera arroventata dell’auto. Mi eccitai. Più di quanto mi fossi mai eccitato nella mia vita. In venti anni, nessuna ragazza, nessun porno e nessun film splatter erano riusciti a darmi una sensazione tanto forte. Mi sentivo come un animale selvatico, un lupo affamato. Ero rimasto ipnotizzato da tutta quella bellezza e soltanto il forte odore di gomma bruciata e l’attacco di vomito preso all’autista dell’auto appena di fronte a me riuscirono a distrarmi da quell’estasi. In quel momento arrivai alla conclusione che non ero quel che si dice un ragazzo normale. Ci misi un po’ a elaborare e ad accettare la mia natura, ma alla fine me ne feci una ragione.

    Capitolo 3

    E così quel tizio della galleria d’arte mi dice che probabilmente, se non avesse iniziato a dipingere, da ragazzo avrebbe finito per uccidere qualcuno! Ci pensi? Ti sembra una cosa da dire al primo sconosciuto che capita? mi chiede Tony alla quarta buca e alla quinta birra. Sono quasi dieci minuti che sta guardando quella cavolo di pallina girandoci intorno e sistemandosi i pantaloni dietro la schiena e a me sta venendo una gran voglia di aprirgli il cranio con la mazza numero otto. Quel tizio non ha tutte le rotelle al posto giusto, te lo dico io. E poi devi vedere i suoi quadri. Dipinge delle strane figure, simili a bambole di porcellana in posizioni sessuali assurde, è roba da malati, c’è anche qualcuno che la chiama arte, figurati… Continua a parlare mentre si gratta l’inguine con il manico della mazza. Io annuisco, faccio fatica a starlo a sentire. Non capisco proprio come questo sport possa essere considerato rilassante. Lo sai quanto cazzo costano i suoi quadri osceni? Cinquemila a pezzo! Ci credi? Quella roba è venduta a peso d’oro. Scommetto che se dico al figlio di mia sorella, che ha dodici anni, di rifare qualcosa del genere, la dipinge anche meglio di quello squilibrato... dice, bevendo un altro sorso di birra prima del tiro ma mio nipote non è tanto pazzo da disegnare una merda simile, santiddio.

    Vuoi tirare quella maledetta pallina? dico a Tony mentre me ne sto seduto sul sedile passeggero di questa ridicola macchina elettrica da golf. Lui si decide a far roteare la mazza, la prima volta senza neanche sfiorare la pallina, la seconda, lanciandola a non più di cinque metri di distanza, proprio vicino allo stagno. Fanculo dice barcollando verso la macchinina. Fanculo davvero! esclamo io, aprendo un’altra birra, più per riuscire a sopportare la sua chiacchiera che per sete. E alla fine sai che cosa ho dovuto fare? Ho dovuto tirare fuori i soldi e prendergliene uno. L’ho dovuto fare per forza... continua, guidando a zigzag su quelle collinette erbose altrimenti mia moglie mi avrebbe tenuto a stecchetto per i prossimi cinque anni come minimo. Adesso ho un quadro con due bambole nella posizione del missionario, e ti giuro che era il più sobrio della collezione. La prossima volta che vieni a casa nostra te lo faccio vedere, è in salotto, sopra il mio raffinato divano di pelle nera. Ora quello psicopatico può permettersi di pagare la sua eroina per i prossimi due mesi.

    Almeno non va in giro a squartare la gente gli dico reggendomi al sedile per non essere sbalzato via a ogni curva. A questo punto... prosegue lui forse sarebbe stato meglio, a quest’ora avrei cinquemila bigliettoni in più nel portafogli che avrei potuto spendere per il tavolo da biliardo che sogno da una vita. Ti dico io come sarebbero dovute andare le cose, quel tizio avrebbe dovuto tagliarsi le vene quando era un adolescente sadico e depresso, invece di buttarsi sull’arte…

    Ehi Tony... intervengo, tirando verso di me il volante che ha in mano per non finire nel laghetto insieme alle anatre almeno puoi scambiarlo con qualcosa di più decente durante la divisione dei beni, quando divorzierete te e Darla.

    Fanculo Victor! Comunque hai ragione, quando l’ho sposata, avrei dovuto capire che sarebbe stata una donna dagli elevati consumi e dalle basse prestazioni, come le macchine europee, ma sono rimasto ipnotizzato dalla sua quarta di seno. Uno dei miei lavori migliori, un capolavoro. Come potevo permettere che ci giocasse qualcun altro. Ora non ci prova nemmeno più a tenere in mano il volante, dà gas con il piede e gesticola. Liz che cos’ha invece? Una seconda scarsa? mi dice con quel sorrisetto di traverso che tanto piace alle infermiere dell’ospedale.

    Sai Tony... gli rispondo mettendo un’altra curva al posto suo Elisabeth non avrà la quarta di seno e fa un caffè che è un vero schifo, ma la ringrazio ogni giorno per non interessarsi né all’arte moderna né ad altre cose che costano più di quanto possiamo permetterci. Tony ride, getta la bottiglia vuota nel laghetto e mette la mano sul volante, non per guidare, questo è certo, giusto per poggiarla da qualche parte. In fondo, ma veramente in fondo, è un brav’uomo, perlomeno simpatico, fuori invece è il chirurgo plastico più stronzo e fanatico di Chicago, e dio solo sa quante tette ha visto in vita sua. Forse per questo si crede una specie di divinità in terra. Una divinità che ogni tanto si fa di Morfina e Ossicodone. Medicinali che, ovviamente, si prende la libertà di prescriversi da solo. Ognuno di noi ha i suoi vizietti.

    Ehi Victor. Che ne dici di buttare all’aria questa farsa di partita e venire a cena a casa mia stasera? Così ti faccio vedere quello schifo di quadro. Darla ha fatto una specie di corso online ed è una settimana che vuole provare a cucinare il sushi, c’è bisogno di qualche cavia. Se per Elisabeth il sushi non è troppo sofisticato, ovviamente.

    Tony, l’ultima volta che ho mangiato qualcosa cucinato da tua moglie, sono stato tre giorni chiuso nel bagno. Se proprio vuoi mangiare qualcosa di buono, venite voi a casa mia, ma non oggi, facciamo domani sera. Abbiamo un tacchino grande come uno struzzo in congelatore, se avverto Liz per tempo, potrebbe farlo arrosto con le verdure e potremmo far finta che sia il giorno del ringraziamento. Senza offesa, Tony, ma mia moglie, al contrario della tua, sa cucinare. Tony continua a ridere, non si offende. A me non dà fastidio stare con loro, ovviamente odio sua moglie con tutto me stesso e vorrei vederla agonizzare, soffocare nel suo stesso sangue, ma so che per mantenere un minimo di apparenza di vita normale, bisogna coltivare questo genere di rapporti sociali, e Tony, nella sua scellerata superficialità, riesco a gestirlo abbastanza bene.

    È passato ormai qualche anno da quando facevo il tirocinio per la specializzazione in chirurgia all’ospedale di Chicago pagandomi gli studi con quel poco che guadagnavo con le ripetizioni e con gli

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1