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Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette
Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette
Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette
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Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette

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About this ebook

Sono passati cinque anni dal Giorno del Giudizio. Sette regni angelici e quattro regni dei cavalieri dell'apocalisse già sono stati costituiti e si contrastano. Tra il bene e il male si è creato un equilibrio instabile che rischia di essere alterato da una nuova immensa minaccia: Carestia, uno dei quattro portatori dell'Armageddon, che vogliono impadronirsi del pianeta, ha evocato Abbadon il Distruttore, un essere temuto dagli stessi alati. Per evitare all'umanità di sprofondare sotto la sua potenza devastatrice, Erenvir si incamminerà in un viaggio che svelerà molto della neonata e oscura identità della terra chiamata Apogea.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 10, 2017
ISBN9788892687370
Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette

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    Book preview

    Gli Angeli e l'Apocalisse - Erenvir e i Sette - Effe Cinicola

    Indice

    Frontespizio

    Prologo - Il Nunzio Angelico

    Capitolo I - Il nuovo mondo

    1 - Anno cinque post-Apocalisse

    2 - Brutte notizie e belle conferme

    3 - Saluti

    4 - Verso il mondo esterno

    5 – Incertezze

    6 - La Tribù dei Camlin

    7 - La Veggente

    8 - Come Erenvir

    9 - Di nuovo in viaggio

    10 - Una piccola deviazione

    11 - La tribù dei Lupi d'Argento

    Capitolo II - La comprensione

    1 - Nel regno delle Virtù

    2 - Strategie

    3 - La Genìa di Abbadon

    4 - L’Immolazione

    5 - Il risveglio

    6 - La Tribù Iridescente

    7 - Re Zilla

    9 - Le Terre della Desolazione

    10 - Udienza da Re Atlas

    11 - La scelta dei Re

    Capitolo III - Il giudizio

    1 - La separazione

    2 - La prigioniera

    3 - L’Inquisizione

    4 - Il colpo di Stato

    5 - Verso la Torre dei Virtuosi

    6 - Il Ricongiungimento

    7 - L’umanità

    8 - Il Giudizio delle Virtù

    9 - La battaglia finale

    10 - Epilogo

    Effe Cinicola

    Gli Angeli e l’Apocalisse

    Erenvir

    e

    i Sette

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Gli Angeli e l’Apocalisse – Erenvir e i Sette

    Autore | Effe Cinicola

    ISBN | 978-88-92685-24-6

    Copertina di Effe Cinicola e Livia De Simone

    Illustrazioni di Mirco Paganessi

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Prologo

    Il Nunzio Angelico

    La creatura che mi si materializzò davanti era magnifica, come se la bellezza della natura si fosse concentrata in una sola forma, come se tutto ciò che c’era di buono nel creato fosse stato speso per la sua nascita, lasciando il resto mediocre.

    Ne ero attratto come un assetato che desidera bere, ma temevo di annegare in tanto splendore.

    Inoltre avevo imparato a essere cauto dato che nell’Era dell’Apocalisse non si poteva giudicare solo dall’apparenza: gli abitanti del Paradiso e dell’Inferno, liberati dalla rottura dei Sette Sigilli, avevano partorito un nuovo e contraddittorio mondo, in cui niente era più certo, nemmeno la morte.

    Erano passati cinque anni dal Giorno del Giudizio.

    Il ridente volto della Terra era stato mutato dalle lacrime infuocate del Cielo e disumanamente sfregiato dai Portatori dei Castighi Apocalittici. Solo un quarto delle terre emerse non venne cancellato al suono delle sette Trombe dell’Ira Divina.

    Tutto il resto non esisteva più.

    Lo scorso secolo, con il suo tecnologico consumismo, era stato spazzato via e sostituito da una specie di invivibile epoca medievale, in cui le profezie apocalittiche, gli Angeli, le creature mostruose delle antiche leggende e gli inconcepibili poteri sovrannaturali di cui erano dotati avevano accecato il nostro piccolo universo materiale con portentose e laceranti rivelazioni.

    Io e tanta altra povera gente eravamo scampati all’Armageddon, ma avevamo perso tutto ciò che avevamo e che eravamo.

    Dopo un lungo e pericoloso viaggio, in fuga da una fine sicura, ci stabilimmo nella Valle del Sole, la terra fertile che ci accolse nel suo ventre rigoglioso, una delle poche aree risparmiate per miracolo dalla devastazione.

    Sulla collina centrale della verdeggiante vallata, costruimmo le nostre nuove case con il marmo bianco di cui era costituita l’altura e con pietre calcaree che ci procuravamo da una cava poco distante.

    Chiamammo Solaria la città che stava nascendo, un piccolo faro, ancora poco luminoso, che comunque rischiarava la nostra visione dell’incerto futuro.

    Protetta e nascosta da alte montagne, la nostra comunità crebbe, grazie soprattutto alle spedizioni compiute alla ricerca di altri sopravvissuti, sparsi e dispersi su Apogea, il nuovo nome della Terra dell’Apocalisse, e a qualche gradita nascita. Ogni persona che si aggiungeva era un sospiro di speranza che dava ossigeno ai polmoni necrotizzati dai fumi della distruzione. Ogni nuova abitazione era una festa perché ci sentivamo tutti fratelli di un medesimo destino. Ogni nuova vita rafforzava la voglia di libertà e la determinazione a lottare per riappropriarcene.

    Probabilmente il desiderio di unione degli Adamòn, nome angelico con cui si indicava la razza umana, non era mai stato così forte. Forse solo nella sofferenza l’uomo poteva illuminarsi. E forse era proprio quello che la Volontà Celeste avrebbe sempre voluto per noi.

    Comunque fosse, fino a quel momento, eravamo riusciti a passare quasi inosservati mentre si svolgevano le Grandi Battaglie.

    I quattro Cavalieri dell’Apocalisse, seguiti da orde di esseri raccapriccianti e spietati, erano rimasti su Apogea per stabilirvi il proprio dominio, mentre sette Schiere Angeliche si opponevano alla loro funerea marcia di conquista. Si era creata una situazione di stallo tra la Fazione Antica, formata da chi si batteva per la libertà della Terra, e la Fazione Ribelle, l’insieme di quelli che invece la volevano sottomettere. In mezzo alla disputa c’erano gli uomini che indirettamente subivano le conseguenze della lotta, ma che ancora non ne erano coinvolti di persona perché non reputati degni di affrontare gli alati.

    Ma le cose sarebbero presto cambiate.

    Era un giorno di metà primavera. Mi ero alzato molto presto, con un senso di pesantezza sullo stomaco quasi premonissi che stesse per accadere qualcosa di strano.

    Ero nella mia camera e stavo per lavarmi la faccia nella bacinella accanto al letto, quando l’acqua contenutavi si increspò in piccole onde eccentriche come se vi fosse caduta una goccia. Non me ne curai e immersi le mani, bagnandomi subito dopo il viso.

    Quando il mio sguardo tornò alla bacinella mi accorsi che altre onde si stavano formando, sempre con più celerità, come se stesse piovendo qualcosa di invisibile.

    Feci qualche passo indietro, allarmato, studiando il soffitto: niente. Mi guardai intorno: niente.

    Intanto, lo strano fenomeno acquatico aumentava d’intensità, quasi si stesse scatenando una microscopica ma violenta tempesta in un piccolissimo spazio.

    Cercai il Bastone del Dominio, l’arma miracolosa regalatami dal Popolo Angelico delle Dominazioni: era appoggiato al muro. Lo presi di scatto, pronto a battermi se fosse stato necessario. Ma non lo attivai subito: attendevo di capire che cosa stesse succedendo. Né lui si attivò da solo, come era già accaduto parecchie volte di fronte alle manifestazioni del Male.

    Nel frattempo, l’acqua aumentò e straripò dal contenitore, bagnando il pavimento.

    Dalla pozzanghera crebbe e si formò una sagoma umanoide eretta, che prese presto le sembianze di una donna, nuda, fluida, pura e limpida, dal fascino ultraterreno. I capelli liquidi toccavano il suolo e si muovevano come una cascata, scorrendole addosso e velando parte del suo corpo.

    Potevo vedere attraverso di lei ma non riuscivo a mettere a fuoco altro che non fosse l’ondeggiante e trasparente creatura d’acqua.

    La luce del mattino si rifletteva sulla sua superficie come il sole su un mare pacifico. Aveva il viso rassicurante di un’oasi del deserto, ma gli occhi trasparenti sembravano offuscati da qualche preoccupazione.

    Lode a te, Erenvir, figlio degli Adamòn, Portatore della Nuova Era, Eletto dagli Angeli delle Dominazioni, possessore del Bastone del Dominio parlò. Anche la sua voce sembrava fluida e, dolce come la marea che si infrange a riva, si presentò:

    Il mio nome è Naia Defn, figlia delle Ninfe degli Elementi, Portatrice di Messaggi Angelici.

    Non sapevo ancora dell’esistenza delle Ninfe, ma non mi stupii più di tanto, potevano essere una delle tante specie di creature venute dal Paradiso e intrappolate sulla Terra. Al momento non dubitai della sua identità: avevo delle piacevoli sensazioni vicino a lei. Inoltre il Bastone Nodoso continuava a non dare segni di allarme.

    In realtà, temevo che non mentisse: dato che gli alati spesso erano troppo occupati per interagire con gli umani in modo diretto, il contatto con una loro probabile messaggera mi suscitò apprensione, come se fossi consapevole che avrei ricevuto cattive notizie. Tentai di scacciare il mio pessimismo e mi apprestai a ricambiare il saluto, così come era diventato d’uso:

    Lode a te, Naia Defn, figlia delle Ninfe degli Elementi. Quale è il motivo che ti conduce da me?.

    Sono una delle sette ambasciatrici inviate per portare un messaggio ad altrettanti destinatari. Tu sei uno dei meritevoli prescelti per un incarico di vitale importanza per l’intera Apogea annunciò e fu come se stessi ricevendo una mazzata in testa.

    Lo sapevo… Che fortuna: sono proprio uno dei favoriti dal fato! Già, poiché era tutto così semplice mi ci voleva proprio qualche problema… Perché è certo che di altri problemi si tratta. Ampliai il mio sarcasmo per soffocare la rabbia di non poter stare tranquillo: avevo già intuito che mi sarei dovuto caricare sulle spalle un compito pesante come il mondo, da cui avrei potuto anche essere schiacciato.

    Sono stata mandata dagli Oracoli Ancestrali continuò lei.

    Oracoli Ancestrali era uno dei nomi degli Angeli Cherubini che indicava le grandi doti di Veggenza di cui erano dotati. La fluida creatura doveva dirmi qualcosa da parte degli alati che leggevano il futuro e non mi piacque affatto.

    Sei pronto ad ascoltare?

    Sì, sono pronto.

    Sei anche pronto a vedere?

    Sì… sono pronto risposi quasi senza riflettere, incuriosito dalla domanda appena posta. Perché non conto fino a dieci prima di parlare? Mi chiesi subito dopo. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.

    La donna d’acqua si modellò in una bolla e si compattò e immobilizzò in quella forma come se fosse di vetro. Al centro della sfera ialina, che levitava sul pavimento, apparve un puntino al cui interno sembrava muoversi qualcosa.

    Serrai gli occhi e avvicinai la testa per osservare meglio e vidi la cosa più raccapricciante che avessi mai potuto immaginare.

    Il puntino si allargò in un istante e la palla che prima era limpida divenne completamente nera. In quello spazio buio e adimensionale, si muoveva un gigantesco blob informe, molle e viscido come se fosse fatto di grasso andato a male. Non avevo metri di paragone, ma ero convinto che possedesse dimensioni titaniche. La montagna di putrefazione era cosparsa di bubboni pulsanti, come enormi brufoli che potevano esplodere da un momento all’altro. E qualcuno di quei bubboni scoppiò: ne uscirono viscide larve verdi che sembravano più grandi di un essere umano e che terminavano con volti femminili isterici e urlanti. Mi sembrò che una di quelle oscenità mi stesse fissando e che la sua bocca sillabasse il mio nome:

    Erenvir… Erenvir… Erenvir. Poi quella cosa allungò un braccio verso di me.

    Mi allontanai d’istinto.

    Sapevo che era solo un’immagine e che non mi avrebbe potuto ledere, ma provai comunque una paura immane e un profondo disgusto. Un conato si fece strada violentemente fino alla bocca, ma ingoiai i succhi acidi del mio stomaco digiuno e continuai a osservare la scena.

    Le larve verdi scivolavano lungo i fianchi del mostruoso ammasso di lardo marcio, mentre altri bitorzoli scoppiavano e facevano nascere altri esseri, alcuni vermiformi altri molto più simili a insetti. In breve si creò intorno al grosso mostro uno spaventoso e vomitevole esercito.

    Un agghiacciante brivido mi scosse e mi costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprii, la sfera non c’era più, essendo ritornata alla tranquillizzante forma acquosa femminile.

    Ciò che hai visto è ciò che è: Abbadon il Distruttore, Re delle Arpie, Signore delle Cavallette è stato evocato su Apogea dal Cavaliere della Carestia. L’equilibrio creato sarà alterato.

    Ora la voce della Ninfa suonava spaventosa come il frastuono di una valanga che mi stava per sotterrare.

    Chi è, anzi, cos’è Abbadon? Che posso fare contro quell’essere? Che posso fare contro tutte le sue creature? Perché devo sempre essere io il prescelto? Le avrei urlato volentieri, sfogando la mia frustrazione, ma mi trattenni e mi limitai soltanto a dire:

    Qual è il mio compito?.

    Dovrai recarti da Sandra, colei che vede oltre il tempo. Dimora oltre i monti Sion, dove gli alberi si ingigantiscono, al limitare dei Giardini dell’Apo-Eden. Ella saprà indicarti parte della via che, se vorrai, potrai percorrere e che deciderà le future sorti di Apogea. La tua missione prioritaria è riassumibile nel tuo nome e nella tua Illuminazione. Il tuo scopo ultimo è neutralizzare Abbadon prima dell’eclissi di luna. Valuta con prudenza sembrò concludere. Non appena disse le sue ultime parole, vidi che stava di nuovo cambiando forma.

    Aspetta… la fermai. Non hai altro da dirmi? domandai rimbambito come nel dormiveglia, ancora non rendendomi conto dell’estrema gravità del messaggio e non capendone gran parte.

    Lei si bloccò e tornò alla bellissima esternazione femminile.

    Ti consiglio di partire domani mattina, due ore dopo l’alba. Dicendo questo, il suo viso liquido assunse un’espressione mista tra compassione e preoccupazione. Valuta con prudenza ripeté e scomparve fulmineamente in uno splash. Rimase di lei solo la pozzanghera d’acqua straripata dalla bacinella.

    Fissai per un bel po’ ciò che rimaneva della Ninfa degli Elementi. Avevo i piedi bagnati e la consapevolezza di essere sveglio.

    Non è stato un sogno, ne sono sicuro.

    Ero stralunato e al momento non riuscivo a ricordare nemmeno una parola di ciò che mi aveva detto.

    Trova… chi? Che dimora… dove? Perché?

    Feci mente locale e poco per volta riacquisii qualche informazione.

    Devo sconfiggere Abbadon? E qual è la mia missione prioritaria?

    Pensai che, se i Cherubini mi avevano inviato quel messaggio, la situazione doveva essere molto grave. Non conoscevo le sembianze del Cavaliere della Carestia, ma quelle del mostro che aveva evocato erano terrificanti. E all’epoca non sapevo che Abbadon era solo una parte di un problema più grande!

    Dovevo riferire tutto a Belael, l’Angelo delle Dominazioni designato come custode di Erenvir.

    I

    Il nuovo mondo

    C’era una volta un ragazzo che non c’è più. C’era una volta un mondo.

    Ora c’è una nuova realtà da affrontare.

    Vivo nelle Terre dell’Apocalisse, su Apogea, un pianeta addolorato dal Giorno del Giudizio e straziato da castighi continui.

    Vivo nell’era dell’Illuminazione, in cui l’uomo può prendere contatto con le energie dell’universo e in cui tutti parlano la stessa lingua.

    Vivo tra gli Angeli che vogliono proteggere gli esseri umani, e contro gli Angeli che ne vogliono il male.

    Vivo tra la vita e la morte, tra qualche gioia e tante sofferenze, tra poche certezze e tanti dubbi, tra speranza e voglia di arrendermi… ma vivo e voglio vivere!

    1 - Anno cinque

    post-Apocalisse

    La Valle del Sole si era piacevolmente svegliata in una giornata meravigliosa, sotto un cielo azzurro e privo di nuvole. La primavera aveva portato con sé profumi delicati e colori pastello, che rendevano l’ampio pianoro una distesa piacevole ai sensi.

    Rimasi a guardare il panorama per un po’ dalla finestrella della mia camera mentre, con l’apparente pace che sembrava simboleggiare il luogo, cercavo di calmare l’ansia per la visita appena ricevuta. Avevo lo stomaco in subbuglio e non sarei riuscito nemmeno a bere un bicchiere di latte per colazione tanto era il disgusto che ancora provavo soprattutto per lo spaventoso ricordo dell’essere di nome Abbadon. Mi vestii in fretta, prendendo a caso, tra i pochi abiti di cui disponevo, quelli che sembravano meno logori.

    Prima di uscire di casa, andai a controllare se mio fratello Luc stesse bene: sonnecchiava beato nel suo letto, cullato dalla spensieratezza dei suoi undici anni, in una posizione così storta che mi fece venire il torcicollo solo a guardarlo. Lo osservai rigirarsi nel letto ancora per un po’, distratto e divertito dalle pose scomodissime che assumeva.

    Gli si erano schiariti i capelli, divenendo castani come i miei. Se non fosse stato per gli occhi, i suoi erano neri mentre i miei color nocciola, poteva sembrare un mio piccolo clone.

    Non era l’ora di svegliarlo, per cui mi limitai a rimboccargli le coperte.

    Assicurai il Bastone Nodoso in una custodia di pelle bianca e me lo appesi dietro le spalle. Non riuscivo neanche a dormire senza l’arma miracolosa che molte volte mi aveva salvato la vita. Sembrava un semplice pezzo di legno grigio e bitorzoluto, lungo circa un metro e mezzo ma, in realtà, era un portentoso artefatto di origine celeste, che mi donava la possibilità di usufruire di alcuni dei poteri delle Dominazioni.

    Stavo per aprire la porta, per recarmi dal mio Angelo Custode, quando qualcuno bussò.

    Dietro il cigolio dell’anta di legno apparve la mia amica Beatrice, che in quanto a splendore non aveva niente da invidiare alle creature paradisiache. Era umana come me e come tale aveva dei piccoli difetti che la rendevano ancora più interessante. Non avrei cambiato alcuna cosa in lei, reputavo la sua migliorabile imperfezione più straordinaria e sorprendente dell’immutevole perfezione angelica.

    Aveva l’aria di chi non aveva dormito molto, anche se i rossi capelli arruffati e gli occhi stanchi non sminuivano affatto la sua naturale bellezza. Come sempre profumava di buono, come se sudasse distillato di rose, odore di cui ero praticamente dipendente.

    Buongiorno Johnny mi salutò con la sua delicata cortesia. Ormai solo lei e Luc mi chiamavano così. Per tutti gli altri ero Erenvir, che significava Portatore della Nuova Era.

    Nella passata e tranquilla esistenza, il mio nome era Jonathan White, ma ormai non aveva quasi più significato quell’insieme di sillabe, parte di un tempo sotterrato sotto cumuli di cenere e ricordi. Nel post Apocalisse dovevo essere Erenvir, Eletto dagli Angeli delle Dominazioni e guidato dalla loro volontà, possessore del prodigioso Bastone del Dominio, destinato a condurre l’uomo che voleva lottare verso una sorte migliore e bla, bla, bla! Non comprendevo ancora perché fossi stato scelto proprio io per portare il pesante appellativo con i suoi pesantissimi doveri. Ero solo un ragazzo quando ciò avvenne e per giunta nemmeno troppo brillante nelle perdute regole della caduta società.

    Nell’Anno Cinque, avevo venti anni, non avevo più l’acne giovanile, ero cresciuto in altezza e la mia muscolatura si era sviluppata. Non ero più un ragazzo, ma rimanevo un sognatore: nonostante la disperazione per la deprimente realtà in cui io e gli altri sopravvissuti all’Armageddon eravamo stati catapultati, mi aggrappavo al sogno che un giorno avremmo potuto respirare un’aria di serenità e pace, lontano dai mali che ci stavano inquinando. La mia ingenua utopia di un mondo libero dalla malvagità andava aldilà di chi fossi o di chi dovessi rappresentare. Come spesso accade in gioventù, avevo fede nel futuro e voglia di lottare in modo attivo per cambiare le cose che non andavano bene. Mi sentivo invincibile e pronto ad affrontare qualsiasi sfida.

    Ciò che stava per accadere, però, avrebbe messo a dura prova la mia fiducia e la mia voglia di lottare.

    Beatrice era come me, anzi, meglio di me: anche lei era stata illuminata con alcune abilità angeliche: quelle della Schiera dei Serafini. Nel suo caso, comprendevo le motivazioni che avevano portato gli Angeli a donarle la propria sapienza: carità e determinazione erano i suoi maggiori pregi, degni di esseri premiati. Secondo me, era stata protagonista di quei primi anni della storia di Apogea molto di più di quanto non lo fosse stato il mio alterego Erenvir.

    Insieme avevamo condiviso già tantissime esperienze. La conoscevo bene e lei conosceva me.

    Buongiorno. C’è qualcosa che non va? le chiesi, notando subito la sua espressione turbata e dimenticandomi del resto. Trovavo sempre più difficile concentrarmi su altro che non fosse la meravigliosa ragazza dalla chioma di fuoco, anche se tutto ciò che incontravo sulla mia strada era così sorprendentemente strabiliante o atterrente.

    Era diventata ancora più bella, per quanto fosse possibile. Le sue forme si erano definite, regalandole una femminilità che dirompeva dai vestiti laceri che indossava: una lunga tunica di cotone celestino, stretta sulla vita sottile da una cintura di raso rosso, e un mantello color glicine con cappuccio. Si era tagliata i capelli, che ora si ammassavano corti intorno alla testa, riflettendo il loro luccichio ramato sulla pelle chiara e sulle morbide labbra. Il suo delicato viso era ombrato da qualche pensiero negativo.

    Ho ricevuto una visita particolare rispose seria, abbassando lo sguardo.

    Per un istante il respiro mi si strozzò in gola.

    No… Anche lei… non può essere! Non ero del tutto preparato alla totale e definitiva consapevolezza che ciò che avevo visto potesse essere reale e, soprattutto, non avrei voluto che pure lei fosse stata una dei sette fortunati prescelti per chissà quale assurda impresa.

    Mi è apparsa una Ninfa Portatrice di Messaggi Angelici. Ciò che mi ha detto e che mi ha fatto vedere mi agitano un bel po’ continuò quasi senza pietà verso i miei timori, riportando i suoi grandi occhi verde smeraldo su di me, come a voler studiare la mia reazione.

    A quelle parole, l’immagine di Abbadon mi rimbalzò in testa con prepotenza. Iniziai a tossire, quasi che il mio nervosismo fosse il catarro da espettorare. Cercai di riprendermi, stabilizzando la respirazione.

    Lei, accorgendosi del mio stato, inclinò la testa, assunse un’espressione di dolce preoccupazione e mi domandò:

    "Vedo che anche tu non sei sereno. Mi

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