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P.O.W. Prigioniero Di Guerra
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P.O.W. Prigioniero Di Guerra
Ebook180 pages1 hour

P.O.W. Prigioniero Di Guerra

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About this ebook

Dopo essere stato fatto prigioniero da un signore della guerra talebano, riuscirà Sam Stone a resistere abbastanza a lungo da riportare dalla famiglia il suo migliore amico e trovare l'amore tra le braccia di Abbas, il bellissimo arabo dagli occhi blu?

Sam Stone è innamorato di Benoit, migliore amico e compagno Marine, da molto tempo. Dopo che un signore della guerra talebano li cattura realizza che darebbe la sua vita per riportare Benoit dalla sua famiglia. Ma è solo grazie ad Abbas, l'arabo occidentalizzato che gli ha rubato il cuore, che Sam e Benoit riescono a raggiungere la libertà. Adesso Sam deve imparare a riconoscere il vero amore e guarire non solo per se stesso, ma anche per i due uomini di cui è profondamente innamorato.

LanguageItaliano
PublisherMax Vos
Release dateAug 11, 2017
ISBN9781370910021
P.O.W. Prigioniero Di Guerra
Author

Max Vos

Max Vos is the bestselling author of My Hero. He is loved by his readers for his ‘inappropriate’ side, bringing hot and steamy sex to his writing. Not hemmed in by a single genre Max has the ability to woo you with sweet romance, move you with the power of his words and make you question your definition of love. Having retired in 2011 after more than 30 years as a chef, Max turned his creativity to writing. You can always find wonderful Southern charm, well rounded and vibrant characters with a good meaty story line in a Max Vos book. Each book will give you something new and amazing to love.

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    P.O.W. Prigioniero Di Guerra - Max Vos

    P.O.W

    Prigioniero Di Guerra

    By

    Max Vos

    Nota di copyright

    L'acquisto non rimborsabile di questo e-book dà diritto a una sola copia legale sul tuo personal computer o dispositivo. Non è possibile rivendere o distribuirne i diritti senza prima il consenso scritto dell'autore di questo libro.

    Questo libro non può essere copiato in alcun formato, venduto, o trasferito dal computer e caricato su un programma di condivisione file, in modo gratuito o in prestito, o a pagamento in alcun modo. Questo è illegale e costituisce una violazione dei diritti di copyright.

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    ATTENZIONE: La riproduzione o distribuzione non autorizzata di questo lavoro coperto da copyright è illegale. La violazione del copyright, inclusa la violazione senza guadagno, costituisce un crimine, è perseguibile dall'F.B.I ed è punibile fino a 5 anni di prigione e una multa di $250,000.

    Editor: Elaine Coates

    Cover Designer: A.J. Corza

    Copyright © 2013 by Max Vos

    Traduzione: Deborah Tassari

    Tutti i diritti riservati

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI: Quest'opera letteraria non può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma e in alcun modo, inclusa la riproduzione elettronica o fotografica, nella sua interezza o in parte, senza un permesso scritto. Tutti i personaggi e gli eventi in questo libro sono fittizi. Ogni riferimento a persone reali, vive o morte, è puramente casuale. La Licenza di Materiale Artistico è stata usata solo a fini illustrativi; ogni persona raffigurata nella Licenza di Materiale Artistico, è un modello.

    ATTENZIONE

    Questo libro contiene materiale che potrebbe risultare offensivo: linguaggio crudo, sesso tra adulti consenzienti.

    NOTA DELL'AUTORE:

    Grazie per aver acquistato questo titolo. Spero sinceramente che questa lettura possa essere di vostro gradimento ma vorrei chiedervi di ricordare che la vendita dei miei libri rappresenta una vitale fonte di guadagno. Se le mie storie vi piacciono, per favore sentitevi liberi di spargere voce e dirlo ad altri, ma per favore astenetevi dal condividere questo libro in ciascun modo.

    Se vedete questo libro o altri da me scritti offerti su siti pirata, per favore fatemelo sapere scrivendo a: max.vos@aol.com

    Capitolo 1

    «Mayday, Mayday, Black Hammer è stato colpito. Ripeto: Mayday, Black Hammer è stato colpito. Precipitiamo.» La voce di Bucky poteva anche sembrare calma, ma chi lo conosceva bene sapeva che l’uomo era tutt’altro che tranquillo. «Mayday. Mayday. Posizione attuale: latitudine trentatré, longitudine settanta. Ripeto: Mayday. Mayday.» Bucky si sentì soffocare dal fumo che riempiva rapidamente la cabina dell’elicottero.

    Samuel J. Stone guardò gli altri cinque membri della sua squadra. «Cazzo,» borbottò, sicuro che non ne sarebbero usciti vivi. «Dopo tutto quello che abbiamo passato, non ho nessuna intenzione di morire sfracellato in questo inferno,» fece a Benoit, il suo migliore amico.

    «Vasquez, apri quel cazzo di portellone!» urlò al marine dall’altra parte della cabina.

    «Ci sto provando, Stone!» gridò Vasquez di rimando al suo tenente.

    Stone aprì lo sportello dalla sua parte, lasciando fuoriuscire dall’elicottero in fiamme una densa nuvola di fumo nero. Lui e il suo compagno, Benoit, guardarono fuori: stavano perdendo quota troppo in fretta.

    «Siamo ancora troppo in alto per saltare,» urlò Stone agli altri, era impossibile uscire da quella trappola di fuoco.

    «Se solo ci fosse un cazzo di posto dove buttarsi,» ribatté Benoit.

    Anche con i due sportelli laterali aperti e il vento freddo dell’inverno che entrava nella cabina, l’acre fumo nero saturava l’abitacolo, facendo bruciare gli occhi e comprimere i petti agli occupanti per la mancanza di aria. Stone aveva in bocca il sapore amaro dell’aria fetida di gomma bruciata e carburante.

    Facendo dei segnali con le mani per evitare di gridare, Stone fece segno a Vasquez e agli altri due di gettarsi dallo sportello che avevano appena aperto, mentre lui, Benoit e Saundersen, il loro nuovo commilitone, si sarebbero buttati da quello opposto.

    L’assordante rumore del rotore era talmente forte da trapassare le cuffie di protezione per le orecchie, rendendo quasi impossibile parlare. Gli uomini riuscivano a malapena a sentire Bucky nelle cuffie che continuava a lanciare richieste di SOS alla radio.

    Stone afferrò Saundersen, il membro più giovane della squadra, tirandolo verso lo sportello aperto, non solo per fargli respirare un po’ di aria fresca, ma anche per essere pronti a saltare, se e quando si sarebbe presentata l’occasione. Saundersen era incastrato tra Benoit e Stone, con le braccia intrecciate all’altezza dei gomiti. Gli altri tre membri del gruppo stavano facendo lo stesso sul lato opposto dell’elicottero in caduta libera. Sapevano che le probabilità di sopravvivere alla granata del lanciarazzi che aveva colpito l’elicottero erano praticamente nulle.

    Stone doveva dar credito a Bucky e Puck, il primo ufficiale: stavano tenendo in aria e sotto controllo quell’uccello di metallo, aumentando le possibilità di sopravvivenza dei marine a bordo ogni secondo che passava. Se i due piloti fossero riusciti ad atterrare senza schiantarsi, le probabilità di scendere a terra vivi sarebbero state maggiori.

    Guardando in basso, il terreno sotto di loro non prometteva nulla di buono. Stone capì che Bucky non sarebbe riuscito a portare al suolo l’apparecchio, volando tra le due catene montuose, e probabilmente era proprio quella la ragione per cui erano stati colpiti. L’unica alternativa era quella di abbandonare il velivolo prima che toccasse terra, ma anche così non c’era la sicurezza di farcela.

    Bucky continuava a urlare coordinate alla radio. L’elicottero da appoggio dietro di loro era sparito e un’operazione di salvataggio su quel terreno non sarebbe stata una cosa facile da organizzare. Prima o poi le pale avrebbero colpito un versante o l’altro della parete rocciosa che li circondava, inghiottendo l’elicottero come una bocca spalancata.

    Indicando quello che sembrava un cumulo di neve davanti a loro, Stone fece capire ai suoi due commilitoni che dovevano buttarsi proprio in quella direzione. Sperava solo che fosse davvero un ammasso di neve e non una roccia ricoperta dal leggero pulviscolo bianco. Era una decisione da una frazione di secondo, ma le loro opzioni erano del tutto esaurite. Benoit annuì. Con le braccia ancora intrecciate, i tre marine saltarono.

    Piegati e rotola era il mantra che continuava ad attraversare la mente di Stone. Caddero su un cumulo di neve che non era così profondo come avevano sperato. Stone colpì una roccia sotto la neve, sentendo una o due costole spezzarsi. Un dolore lancinante gli esplose dentro mentre rotolava sui cristalli di ghiaccio pungenti che rivestivano la superficie dove la neve non era molto profonda. La terra tremò per l’esplosione dell’elicottero che aveva colpito la parete rocciosa del ripido versante a meno di un centinaio di metri di distanza. La fiammata che gli riscaldò il viso gli disse tutto quello che doveva sapere. Bucky e Puck non ce l’avevano fatta.

    Il primo pensiero di Stone fu per Saundersen. Il ragazzo non aveva l’esperienza del resto della squadra, aveva solo diciannove anni, e quella era la sua prima missione in quell’inferno dimenticato da Dio. Benoit, alla sua terza missione, era probabilmente il più esperto, mentre Stone stava finendo la sua seconda. Se non avesse partecipato al corso di formazione Operazioni Speciali a San Diego, sarebbe stato anche lui alla fine della terza missione, proprio come il suo amico.

    Quando la sua mente cominciò a schiarirsi sentì un basso gemito e con gli occhi ancora chiusi allungò una mano per tastare il terreno e capire da dove arrivava quel suono. Non trovando nulla, si costrinse ad aprire gli occhi. A circa un metro di distanza vide un ammasso di carne umana, ma dalla posizione in cui giaceva, non riusciva a determinare chi fosse. Strisciando verso la forma immobile, Stone dovette ricacciare indietro la bile che minacciava di salirgli in gola per il dolore accecante che il fianco gli stava causando. In pochi secondi, che a lui sembrarono ore, riuscì a raggiungere il corpo, che si rivelò essere quello di Saundersen.

    Stone fece girare il ragazzo il più piano possibile. Aveva un taglio irregolare sulla guancia sinistra, il sangue colorava di rosso la neve candida su cui era caduto. Dal forte gemito di dolore, capì che c’erano delle altre ferite oltre al taglio sul viso.

    «Saundersen,» chiamò Stone con voce strozzata, il dolore al fianco sempre più intenso. «Saundersen… Country, mi senti?»

    In un lampo i ricordi di quando Saundersen si era unito al loro plotone lo assalirono.

    ‘Salve’ fu la prima parola che uscì dalla bocca di Saundersen e da quel momento in poi venne soprannominato ‘Country’.

    Benoit aveva scosso la testa mentre Vasquez, nativo di New York City, si era rotolato a terra dal ridere, mentre il confuso diciannovenne se ne stava fermo impalato con tutto l’equipaggiamento addosso.

    Cercando di mantenere un certo contegno, Stone aveva chiesto al ragazzo: «Da dove vieni…» guardò verso il basso per leggere il nome sui fogli che aveva in mano, «…Saundersen?»

    «L.A., Signore!» aveva risposto il pivello con un sorriso sul volto.

    «Non è possibile che quell’accento sia californiano.» Benoit aggrottò la fronte.

    «L.A. sta per Lower Alabama, Signore!» li aveva informati Saundersen con un risolino quasi infantile.

    A quel punto Stone non aveva potuto fare a meno sorridere, mentre il resto della squadra era scoppiato a ridere. «Benvenuto nel team, Saundersen.»

    «Country,» aveva annunciato Vasquez, «il tuo nome in codice,» fece continuando a ridere.

    Gli altri avevano annuito subito, e da allora Saundersen era diventato ‘Country’.

    «Beh, Vasquez, perché non accompagni Country e non lo aiuti a sistemarsi?» aveva detto Stone. «Poi ci incontriamo al poligono a fare un po’ di tiro al bersaglio. Vediamo che tiratore scelto ci hanno mandato.»

    Sdraiato a terra, Country si era leccato il pollice, aveva steso un po’ di saliva da davanti al mirino fino alla fine della canna del fucile.

    «Perché diavolo l’hai fatto?» aveva chiesto Benoit al ragazzino con un ghigno sul volto.

    «È un trucchetto che mi ha insegnato mio padre,» aveva risposto Country «La lucentezza della canna aiuta ad allineare meglio il mirino.»

    Aveva preso la mira, trattenuto il respiro, e sospirando aveva rilasciato il colpo.

    «Ecco, l’hai mancato,» aveva sbuffato Vasquez scuotendo la testa.

    «Magari vuoi andare a controllare per esserne sicuro, prima di parlare,» aveva sogghignato Country Strizzando l’occhio al suo commilitone.

    «Vasquez, vai a controllare,» aveva ordinato Stone.

    Scuotendo la testa, Vasquez si era avviato verso il bersaglio di carta. A pochi passi di distanza si era fermato e si era voltato indietro. Poi si era avvicinato al bersaglio, aveva recuperato il foglio, ed era ritornato di corsa dal resto della squadra.

    «Accidenti, l’ha preso in pieno,» aveva esclamato consegnando il bersaglio a Stone. «Un tiro così pulito che non ha nemmeno strappato la carta, un centro perfetto.»

    Il resto della squadra si radunò attorno per osservare il foglio che teneva in mano.

    Stone aveva guardato il giovane ancora steso a terra. «Riesci a farlo con regolarità?»

    «Sì… più o meno,» aveva sorriso Country. «Diavolo, riesco a colpire un pisello nel suo baccello il novantanove per cento delle volte.»

    «Che mi dici dei bersagli mobili?» aveva chiesto Benoit ancora non del tutto convinto.

    «Sì, sono abbastanza bravo anche con quelli,» aveva risposto Country. «Sono un asso nella caccia alle quaglie. Sono ancora il detentore del record di prede al mio paese. Non voglio tirarmela ma raramente manco il bersaglio.»

    Il resto della squadra si era guardato attorno e aveva sorriso, avevano tra le mani un vero e proprio gioiello.

    In seguito avrebbero scoperto che Country era entrato nei Marine quando non aveva ottenuto la borsa di studio per il football, pensando di riuscire così a pagarsi gli studi al college una volta congedato. Stone era certo che quelle università che non avevano accettato il giovane avessero fatto un’idiozia.

    Country era uno di quei ragazzi che attiravano l’attenzione della persone. Era allegro, divertente e un po’ goffo, ma non era uno stupido. Il giovane aveva una mente sveglia oltre a una bella massa di muscoli che allenava con religiosa costanza, e che muscoli!

    Un giorno, mentre Country stava facendo uno dei suoi allenamenti quotidiani, Stone gli aveva chiesto il perché di quella foga e lui gli aveva risposto: «È per via di un allenatore di football che avevo alle scuole medie. Ci esortava a diventare sempre più forti. Ci sto lavorando da allora.»

    Stone non poté far altro che ringraziare Dio per quell’allenatore.

    Un giorno della prima settimana di Country in Afghanistan, il giovane stava giocando a touch football con alcuni dei marine del loro plotone e dei ragazzi dell’esercito.

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