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Ferite non rimarginate
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Ferite non rimarginate

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“Se tuo fratello grida, tua madre vola fuori dalla finestra!”
Tutto ha inizio da questa frase che, per quanto potesse sembrare cinica ed insensibile da parte di chi l’ha pronunciata, nasconde lo specchio di quella realtà familiare che ha portato una giovanissima ragazza ad abbandonare Agadir, la sua città natale, per fuggire dalle angherie di una madre padrona da cui ha ricevuto solo enormi sofferenze ed umiliazioni.
Il romanzo segue la fuga di Aisha verso Palermo e la sua determinazione volta a crearsi una nuova vita in Italia, seppur dovendo affrontare mille difficoltà causate dallo “sciabordare delle onde”, come lei stessa chiama il continuo riproporsi di ricordi e situazioni che l’hanno ferita profondamente nell’anima e da cui cerca di risorgere, senza non poche fatiche.
Un discreto livello di suspense caratterizza l’intera opera che è arricchita ulteriormente da alcuni colpi di scena, impreziosendone la trama.
LanguageItaliano
PublisherBOB CORRADI
Release dateJul 15, 2017
ISBN9788826482743
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    Ferite non rimarginate - Bob Corradi

    Bob Corradi

    FERITE NON RIMARGINATE

    Sommario

    Sommario      7

    PREMESSA      9

    PROLOGO      11

    IL VIAGGIO DELLA SPERANZA      13

    LA CONQUISTA DELL’AUTOSUFFICIENZA      55

    ROBERTO E ZACCARIA      99

    LO SCIABORDARE DELLE ONDE      139

    LA RIVELAZIONE      179

    EPILOGO      209

    DEDICA FINALE      215

    RINGRAZIAMENTI      217

    PREMESSA

    Il romanzo Ferite non rimarginate narra la storia di una giovanissima donna araba emigrata in Italia in cerca di libertà.

    I dialoghi tenuti tra lei e i suoi compaesani sono stati tradotti dalla loro lingua madre per renderne più comprensibile la lettura.

    Si ricorda che ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

    PROLOGO

    Se tuo fratello grida, tua madre vola fuori dalla finestra! Questa frase gli riecheggiava nella mente da un passato non ancora abbastanza lontano.

    Ti ricordi quell'episodio? Le chiese.

    E’ impossibile dimenticare il tuo sguardo, tra lo stupito e l'adirato. Rispose con aria pensierosa ed un accenno di sorriso smorzato fra le labbra.

    La colpa era di tua madre: quando la vidi armeggiare con quel lungo bastone in mano, mentre si nascondeva per attendere e picchiare Aziz, sono andato su tutte le furie. Tanto più che tuo fratello non aveva colpe se non quella di aver dimenticato le chiavi a casa. Ma non si era chiuso fuori, visto che noi eravamo lì.

    Solo che lei non voleva scendere per aprire, né voleva mandare uno dei suoi ospiti a farlo. Commentò laconicamente Aisha.

    Allora la stupiva la sua tranquillità. Non riusciva a capire come potesse rimanere sempre così calmo. Non lo poteva fare: non aveva mai visto cose del genere, né aveva mai sentito qualche suo ricordo dell'infanzia.

    Lui, al contrario, era stato talmente colpito da quell’episodio che ricordava ogni minimo particolare di quell’esperienza vissuta durante il suo primo viaggio in Marocco: gli sembrava di rivivere quell’irrequietezza provata mentre camminava nervosamente, nella camera accanto a quella dove si era nascosta la donna pronta a colpire; aveva la sensazione che se si fosse affacciato dalla finestra, che si apriva sopra al portone principale, avrebbe potuto scorgere il ragazzo, in tempo per evitargli la dura punizione. Ricordava i colori del cielo di Agadir durante quel tramonto che aveva tinto di rosso tutto ciò su cui posava lo sguardo, a partire dalla strada polverosa la cui terra battuta veniva sollevata delicatamente da una brezza gentile proveniente dall’oceano. Gli parve di sentire persino l’odore acre della molitura dell’argan che in quel periodo caratterizzava le città del sud. Aisha continuava a fissarlo con quei grandi e belli occhi color nocciola, appena velati da una leggera tristezza. Era bellissima, avvolta in quel completo rosso finemente ricamato, che le piaceva tanto e che metteva in mostra il suo corpo sinuoso e armonico. La carnagione, naturalmente olivastra era ancora più dorata dall'abbronzatura donata dal tiepido sole di metà settembre.

    La fronte le si corrugò leggermente.

    Cosa ti preoccupa? Le chiese lui.

    Nulla. Rispose Aisha abbozzando un lieve sorriso per non farlo preoccupare.

    Quanto avrebbe voluto conoscere i suoi pensieri! Poi lei si alzò di scatto dal divano di pelle color avana e si allontanò dal soggiorno. La sentì entrare in bagno e chiudere a chiave; sicuramente piangeva.

    IL VIAGGIO DELLA SPERANZA

    Il passaporto dalla copertina verde con la stampa del simbolo del Regno del Marocco era stato ritirato da quasi una settimana ed anche i bagagli erano pronti. Aisha aveva preparato tutto con meticolosa attenzione ed era entusiasta per quell'imminente partenza. Aveva con sé una sola valigia in tessuto blu navy, ormai molto consumata, carica più di speranze che di indumenti, oltre ad uno zaino in cui aveva deciso di infilare le ultime cose necessarie: un libro del suo autore preferito che raccontava una delle tante storie romantiche che le avevano permesso di evadere dalla sua gravosa quotidianità, un nuovo diario dove avrebbe annotato sensazioni, ricordi ed ogni attimo che la sua nuova vita le avrebbe permesso di provare e infine una penna ed un vocabolario di italiano, acquistato per l’occasione.

    Già suo fratello Aziz alcuni anni prima, aveva lasciato la famiglia alla volta degli USA, ma per Aisha vivere in prima persona quelle sensazioni era un’emozione totalmente nuova.

    Ricordava con rammarico il comportamento che la madre, Leila, ebbe con il fratello, ben diverso da quello che aveva riservato a lei: con Aziz era triste e preoccupata, talmente protettiva da risultare quasi ossessiva; con lei, al contrario, i toni erano aggressivi e colpevolizzanti.

    Una volta uscita da questa casa, la nostra porta sarà chiusa per sempre! Non faceva che ripeterle sua madre.

    Così la signorina ha deciso di andarsene a fare la bella vita all’estero. E’ così che ci ripaghi di tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te? Brava, tesoro!

    Quella parola, "tesoro", era stata formulata con un ghigno di disprezzo, aspra e dolorosa più di qualsiasi altro schiaffo ricevuto.

    I sensi di colpa che sua madre le generava erano stati costanti, ma ora Aisha ne era semplicemente nauseata. Per fortuna il tempo trascorre inesorabile e finalmente era giunto il momento di voltare pagina e librarsi verso una nuova vita.

    L’America che aveva già accolto Aziz era troppo lontana e troppo cara per lei, così la scelta era caduta sull’Italia, Paese rassicurante e dal sole gentile. La sua destinazione sarebbe stata Palermo, dove risiedeva da tempo una sua amica, originaria del suo stesso quartiere.

    La data stabilita per la partenza era venerdì 8 Giugno di quel 1990 che il popolo marocchino avrebbe ricordato per sempre a causa della sanguinosa repressione seguite alle proteste antigovernative, che provocò numerosi morti e migliaia di arresti nella sola città di Fes, ma che per lei, al contrario, avrebbe rappresentato l'inizio di una nuova era.

    Nell'aria secca e torrida, sotto il sole già rovente delle prime ore del mattino, Aisha e suo padre aspettavano, seduti sulla panchina dello stallo contrassegnato col numero cinque, la partenza dell'autobus con destinazione Italia – Palermo, quella terra lontana ma non troppo che aveva imparato a conoscere grazie alla televisione satellitare.

    Sarebbe stato un viaggio lungo e faticoso, con molti chilometri da percorrere, una traversata in traghetto ed il valico delle due catene montuose più imponenti dell'Europa occidentale: i Pirenei e le Alpi.

    La ragazza guardava continuamente intorno a sé in preda all’euforia per la partenza, ma anche dalla paura, comprensibile in una situazione come quella: stava per iniziare una nuova vita! Nonostante i suoi sforzi però sul piazzale non trovò alcun viso noto che potesse strapparle un sorriso e infonderle conforto. C’erano solo sconosciuti e bus che, sebbene tutti gli autisti fossero raggruppati nel salone accanto alle biglietterie, rimanevano pigramente accesi ad ammorbare l’aria di quel tipico odore pungente che solo il gasolio può avere.

    Aveva già visto la stazione degli autobus ma ora che era sul piazzale antistante, in attesa di partire, si soffermò ad ammirarne la struttura moderna con la vetrata semicircolare che la caratterizzava, oltre all’insegna, sia in francese che in arabo, che indicava:

    "Gare Routiére de Voyageurs – Agadir

    المسافرون محطة الطريق – أكادير"

    Nonostante Aisha fosse consapevole che sarebbe stato un viaggio verso l’ignoto, quando il padre le porse quel foglio bianco, quel semplice pezzo di carta che rappresentava il suo pass per la libertà, un profondo senso di tranquillità le pervase l’animo.

    Tutto fatto. Le confermò. Mi raccomando, però, di fare sempre ciò che ti dice il conducente. Aggiunse infine.

    Il sorriso tornò a splenderle sul volto: quelle continue umiliazioni e l’incomprensibile e inaccettabile omertà dei parenti più stretti non le avrebbero mai più fatto del male.

    Finalmente un uomo basso e tarchiato, dalla carnagione scura e arsa dal sole africano, con barba e baffi lunghi e incolti e dall’aspetto molto trasandato, salì sulla vettura e si sedette al posto di guida.

    Nessuno lo notò finché il suo vocione roco non avvisò gli astanti dell’imminente partenza.

    Ostentava un sorriso amichevole ma palesemente falso, mentre teneva stancamente una sigaretta senza filtro tra le dita della mano sinistra che ciondolava pigramente dal finestrino incredibilmente sporco e parzialmente abbassato.

    Si parte. Avvisò con tono impaziente, aggiungendo volgari commenti a bassa voce per evitare di essere udito.

    Lei sospirò profondamente e dovette attendere che l’imbarazzante tremolio alle gambe terminasse, camuffando tale circostanza con uno sguardo panoramico su ciò che stava lasciando: si soffermò ad ammirare le strutture delle abitazioni prospicienti al piazzale dove si trovavano, decorate con archi arabi, pareti esterne maiolicate con effetto mosaico e terrazzi al posto dei tetti europei con falde, che aveva visto sui canali satellitari della Rai.

    L’afa cominciava a diventare insopportabile sotto il sole cocente così, sentendosi la fronte imperlata di gocce di sudore, si fece coraggio: lasciò la valigia nel portabagagli e salì, aiutata da suo padre.

    La giovane rimase interdetta e intimorita quando l'autista le ringhiò qualcosa di incomprensibile ma il suo accompagnatore la soccorse mostrando il foglio ritirato in biglietteria e indicando alla figlia il primo posto libero. L'autista chiese qualcosa che Aisha, nuovamente, non riuscì a comprendere, ma Assan fece un cenno affermativo e gli allungò un rotolo che lei riconobbe come una banconota da venti Dirham; lei, stupita, abbozzò una timida richiesta di chiarimento ma lui scosse il capo, commentando a bassa voce:

    Cosa ti ha detto papà? Tutto sistemato. Poi, con sguardo carico di orgoglio, chiarì:

    E’ dialetto berbero. 

    La salutò, si raccomandò di nuovo di fare tutto ciò che le avrebbe detto l'autista e si affrettò a scendere. Un gesto veloce con la mano callosa ed era già sparito dal campo visivo.

    Seduta timidamente sul primo posto alle spalle del conducente, si rese conto di aver assistito a qualche stranezza ma a causa della sua timidezza, non fece ulteriori domande, anzi, durante tutto il viaggio, furono ben poche le volte in cui gli altri compagni di viaggio udirono la sua voce.

    Anche l'accensione del pullman fu degna di essere ricordata: dopo un paio di tentativi di riportare in vita quel dinosauro assopito che sobbalzava e borbottava con vocione catarroso, al secondo scoppio proveniente dal retro, l'autobus finalmente si accese ma l'autista dovette affrettarsi a chiudere le porte per non far invadere l'abitacolo dalla nuvola nera e acre che usciva dal tubo di scappamento. Qualcuno sorrise, altri diedero inizio ad un chiacchiericcio polemico che li accompagnò fino alla città successiva, a quasi mezz’ora di distanza. Tuttavia, nonostante i passeggeri fossero contrariati dalle pessime condizioni del mezzo sul quale avrebbero viaggiato, il veicolo percorse agevolmente la strada che separava Agadir da Tanger, sullo stretto di Gibilterra, dove si sarebbero imbarcati per raggiungere la Spagna.

    Nell’ultima sosta all’area di servizio, il conducente chiamò Aisha in disparte per avvisarla che d’ora in poi, come da accordi presi col padre, si sarebbe dovuta nascondere.

    La ragazza scossa e sorpresa da una tale inaspettata indicazione disse, concitatamente e con aria estremamente preoccupata:

    Nascondermi? Perché? E da cosa?

    Ed in risposta si sentì sbraitare: Non ha il visto per l’ingresso in Spagna.

    L’uomo aveva abbandonato il suo dialetto berbero a favore di un arabo molto stentato e sgradevole, ma spiacevolmente concreto.

    Cosa vuol dire? Ecco il mio passaporto. Con questo posso andare dove voglio.

    Aisha cercò di farsi coraggio mostrando il documento per l’espatrio, ritirato recentemente.

    Povera sciocca! Possibile che non capisci? Il passaporto, senza visto per sbarcare in Europa, non serve a nulla. Sentì il sangue gelarsi nelle vene.

    La voce fattasi grave del conducente la scosse:

    Non ha pagato la quota per il traghetto, né la tassa. Non ha il visto né il permesso di soggiorno. Il suo passaporto non serve a nulla. Non può imbarcarsi così.

    Poi rimase un attimo in silenzio, fissò lo sguardo su quel bel viso tondo che mostrava tutta l’innocenza della giovane età, quindi sembrò farsi comprensivo ed amichevolmente e le disse:

    Non si preoccupi, ci penserò io. Venga, si nasconda qua dentro.

    Riaprì il portabagagli e indicò una pila di valige.

    Ma sta scherzando? Gridò Aisha con le braccia diritte lungo i fianchi ed i pugni serrati quasi a far male e in preda ad un’angoscia crescente che quasi le chiudeva la gola.

    Sssshh. Signorina, cosa vuole fare? O fa come dico io o rimarrà qui!

    Quindi, allontanandosi senza attendere la risposta, borbottò qualcosa sulle ragazze viziate. Aisha non aveva ancora preso una decisione, né sapeva cosa fare quando lo vide tornare accompagnato da una donna con un neonato in braccio.

    Ecco la sua compagnia. Viaggerete insieme. Disse l'uomo, aiutando la giovane mamma a salire nel vano bagagli del bus. Poi, rivolto alla titubante Aisha, le chiese:

    La signorina ha preso una decisione?

    Lei salì senza dire una sola parola e si sedette accucciata dove le venne indicato. L’uomo sistemò le valige in maniera tale che le due donne e il bambino non fossero visibili, ad un eventuale controllo non troppo zelante, chiuse il grosso sportello che cigolò in modo preoccupante, e di lì a poco il veicolo si rimise in movimento. Tutto intorno a lei venne ammantato da un velo nero intenso e per qualche secondo non riuscì a scorgere neanche le sagome dei bagagli a pochi centimetri da lei, finché da alcuni fori della carrozzeria, (appositamente realizzati per non far soffocare), cominciò a filtrare quel po’ di luce che le permise di guardarsi intorno. Non era in grado di capire se fossero comunicanti con l’interno dell’abitacolo o se uscissero all’esterno ma, riuscendo a fornire un adeguato ricambio d’aria, le strapparono un pallido sorriso.

    Non è una novità, pensò guardando le piccole fessure, quattro tonde e due rettangolari, posizionate verticalmente.

    Sono organizzati per simili trasporti.

    Si meravigliò di non sentirsi scomoda ma dovette rassegnarsi ad accettare il nauseante odore di muffa mista ad acido che aleggiava tutt’attorno: sicuramente qualcuno, in precedenza, aveva sofferto il mal d’auto in quello spazio angusto e fetido che le faceva pensare tristemente di trovarsi in un loculo.

    Quando rimasero sole, Aisha indicò il fagottino di pochi mesi che l'altra donna aveva in braccio, chiedendole come avesse potuto accettare quel trattamento e quella, con profondo disprezzo, le rispose che era un bel risparmio e che non erano certo le prime persone a lasciare il loro Paese in quel modo.

    C'è anche questo plaid per farci stare meno scomode. Ora basta, ragazzina, lasciami in pace! Fu la sua conclusione estremamente sgarbata.

    Giunsero finalmente al porto e il pullman si fermò. Aisha temeva che qualcuno sarebbe arrivato a controllare il contenuto del vano bagagli ma, per fortuna, non si avvicinò nessuno.

    Successivamente l’autobus si inclinò bruscamente fra i rumori e le vibrazioni della rampa antiscivolo: capì che si stavano imbarcando.

    Il motore si spense.

    Vedendo che nessuno apriva il portellone, Aisha chiese sottovoce se dovessero rimanere lì per tutta la traversata.

    Hai forse fretta di andare a cena col comandante, ragazzina? Certo che dobbiamo rimanere qui! L’apostrofò, rabbiosa, la sua compagna di viaggio.

    Durante le due ore di navigazione pensò spesso a cosa potesse essere successo e l’unica spiegazione plausibile era che suo padre avesse preferito tenersi i

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