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Bicentenario desanctisiano: la letteratura e la nazione [Apice 1/2017]
Bicentenario desanctisiano: la letteratura e la nazione [Apice 1/2017]
Bicentenario desanctisiano: la letteratura e la nazione [Apice 1/2017]
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Bicentenario desanctisiano: la letteratura e la nazione [Apice 1/2017]

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About this ebook

Nella lunga intervista che ho avuto la fortuna di fare all’amico e maestro Aldo Masullo nell’aprile scorso, nella sua casa di Napoli, in occasione del suo novantaquattresimo compleanno, in una pausa del nostro lavoro, Aldo mi ha sollecitato a rileggere Francesco De Sanctis e in particolare le lezioni sulla letteratura da lui fatte dal 1872 al 1874, dove il fondatore della storia letteraria moderna formalizza la distinzione delle correnti italiane contemporanee in due scuole opposte: la scuola liberale e la scuola democratica, ovvero, Manzoni e Mazzini. Entrambe le scuole sono fondate sul principio di libertà. Opposte nell’individuare il punto di origine della libertà. La scuola liberale pone l’individuo come cellula primaria titolare della libertà, e vede la costruzione sociale come funzionale, strumentale a garantirne la fruizione a beneficio degli individui. La scuola democratica vede la comunità come elemento originario da cui l’individuo non può mai distaccarsi, in quanto diventerebbe un nulla, un qualcosa di evanescente; solo all’interno della comunità l’individuo trova il modo di godere della propria libertà. [Estratto dall'editoriale di Paolo Peluffo]

Include contributi e interviste di: Andrea Battistini; Gerardo Bianco; Raul Mordenti; Corrado Augias; Pierfranco Bruni; Cosimo Ceccuti; Paolo Saggese; Pasquale Sabbatino; Giorgio Ficara; Francesco D'Episcopo; Romualdo Marandino; Francesco Barra; Marco Veglia; Giulio Ferroni
LanguageItaliano
Release dateJul 10, 2017
ISBN9788826480817
Bicentenario desanctisiano: la letteratura e la nazione [Apice 1/2017]

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    Bicentenario desanctisiano - aa.vv

    Indice

    Editoriale

    Andrea Battistini (critico letterario)

    Francesco De Sanctis. Classicità e impegno politico

    La vivente eredità: Dante da De Sanctis a Gramsci, attraverso Umberto Cosmo

    Corrado Augias (giornalista e scrittore)

    Francesco De Sanctis, letteratura ed estetica

    Cosimo Ceccuti* (storico)

    Dai quadri parigini di Zola alla pittura dal vero di Napoli: De Sanctis e il romanzo nell’Europa del secondo Ottocento

    De Sanctis e la comprensione progressiva di Euripide

    Francesco De Sanctis ministro-candidato. Le elezioni suppletive del dicembre 1879 nel collegio di Lacedonia

    Giulio Ferroni* (critico e filologo)

    Consiglio Centrale - Società Dante Alighieri

    Presidente:

    Andrea Riccardi

    Vice Presidenti:

    Gianni Letta

    Paolo Peluffo

    Luca Serianni

    Soprintendente ai Conti:

    Salvatore Italia

    Revisori dei Conti:

    Luigi Giampaolino

    Stefano Pozzoli

    Segretario Generale:

    Alessandro Masi

    Consiglieri Centrali:

    Monica Barni

    Michele Canonica

    Lucio Caracciolo 

    Giulio Clamer 

    Ferruccio De Bortoli

    Giuseppe De Rita 

    Silvia Finzi

    Amadeo Lombardi

    Giampiero Massolo

    Questo numero di Apice è stato realizzato anche grazie alla collaborazione de I Parchi Letterari italiani e del Parco Letterario Francesco De Sanctis, Irpinia.

    Alla Rassegna si collabora solo per invito della Presidenza Centrale della Società. I manoscritti non richiesti non vengono restituiti. La Rassegna è inviata a quei soci della Dante Alighieri che aggiungono un contributo alla quota d’iscrizione.

    Si ringrazia marimo per il progetto grafico

    Finito di stampare nel mese di giugno 2017 presso la Tipografia Veneziana s.n.c. - Roma

    su carta Cyclus naturale al 100% riciclata e certificata Ecolabel

    Per i testi presenti nel volume e di cui non siano state reperite le fonti, l’editore, per quanto di sua competenza resta a disposizione degli eventuali aventi diritto.

    Le monografie

    di Pagine della Dante

    APICE

    Supplemento di Pagine della Dante

    Rassegna trimestrale

    della Società Dante Alighieri (4a serie)

    Direzione e Amministrazione: Piazza Firenze, 27 - 00186 ROMA

    Spedizione in abbonamento postale - 70%

    Filiale di Roma

    Autorizzazione del Tribunale di Roma

    n. 18113 del 9.V.1980

    Coordinamento editoriale a cura di Paolo Peluffo

    Editoriale

    Di Paolo Peluffo

    Nella lunga intervista che ho avuto la fortuna di fare all’amico e maestro Aldo Masullo nell’aprile scorso, nella sua casa di Napoli, in occasione del suo novantaquattresimo compleanno, in una pausa del nostro lavoro, Aldo mi ha sollecitato a rileggere Francesco De Sanctis e in particolare le lezioni sulla letteratura da lui fatte dal 1872 al 1874, dove il fondatore della storia letteraria moderna formalizza la distinzione delle correnti italiane contemporanee in due scuole opposte: la scuola liberale e la scuola democratica, ovvero, Manzoni e Mazzini. Entrambe le scuole sono fondate sul principio di libertà. Opposte nell’individuare il punto di origine della libertà. La scuola liberale pone l’individuo come cellula primaria titolare della libertà, e vede la costruzione sociale come funzionale, strumentale a garantirne la fruizione a beneficio degli individui. La scuola democratica vede la comunità come elemento originario da cui l’individuo non può mai distaccarsi, in quanto diventerebbe un nulla, un qualcosa di evanescente; solo all’interno della comunità l’individuo trova il modo di godere della propria libertà.

    Masullo mi faceva notare come questa spaccatura tra due impostazioni opposte fosse un po’ il destino di tutta la storia contemporanea, fino a noi. Da parte mia osservai che mi sembrava come il pensiero filosofico di Masullo, incentrato sul concetto fichtiano di intersoggettività – l’io è fin dal principio anche un tu, un non-io –, spingesse a preferire la seconda scuola, quella democratica. Ma qui Aldo mi fermò. Non è così esattamente. Il punto è che le due scuole, pur opposte, vivono in una dialettica forte. Nel senso che se la democrazia giunge a dare tutto il soggetto alla comunità, a scapito dell’individui, si giunge alla dittatura e all’oppressione, e se il liberalismo eccede nell’attribuire tutti i diritti primari al solo individuo, eliminando la comunità nella quale è inserito, si legittima una situazione di generale prevaricazione. In entrambi i casi si giunge al dispotismo e all’ingiustizia. Entrambe le scuole pur essendo opposte hanno necessità l’una dell’altra.

    Ho raccontato questo recente episodio per segnalare l’importanza di rileggere questo monumento della costruzione della nazione italiana, ma di rileggerlo a partire dalle lezioni di letteratura, più che dalla sua mitica (e oggi proco frequentata) Storia della letteratura italiana. E di usarlo come strumento di anamnesi e di autocoscienza riguardando con sgomento all’oggi squilibrato da una stridente, imprevedibile, disarmonia tra le due scuole di De Sanctis: la scuola liberale estremizzata, ormai dominatrice nel mondo, ha schiacciato nell’angolo ciò che resta della scuola democratica, dopo aver polverizzato la sua disarmonica estremizzazione socialista. La strada, la via della salvezza, non è tanto imbracciare la strada della scuola democratica, quanto saper ricreare la dialettica tra le due. E questo è anche il compito di tutti noi, degli intellettuali, degli scrittori e degli storici della letteratura, di chi ha semplicemente a cuore la vita della comunità nazionale di cui, è sempre più evidente, non possiamo fare a meno.

    Intervista a

    Andrea Battistini (critico letterario)

    A cura di Valentina Spata

    200 anni fa nasceva Francesco De Sanctis, come rileggere oggi la sua prosa antiletteraria?

    La fama della sua Storia della letteratura italiana ha messo un poco in ombra la restante produzione critica di De Sanctis e ciò ha finito per identificare il suo stile con quello che si ricava da quest’opera, che è senz’altro la più rappresentativa, ma non esclusiva. Se invece, come si dovrebbe, si esamina l’insieme dei suoi scritti, non si può non notare una grande varietà di registri, volta a volta adeguati alle sedi e ai contesti. Per esempio, nei testi dei corsi danteschi la sua prosa è vivace e polemica, negli scritti giornalistici è più di tipo saggistico, nelle pagine cui affida i suoi ricordi è più intimista, secondo un’allure memorialistica, mentre dove prevale un impianto filosofico è più analitica e articolata. Nella Storia della letteratura assume poi connotati drammatici e incalzanti. In termini generali De Sanctis è alieno da una cura eccessiva della forma, in linea con le sue idee di fondo che la vedono stretta in un nesso inscindibile con il contenuto e con una concezione della lingua che non può prescindere dall’uso che ne fanno i parlanti aggregati in una società. Per questo il suo stile è estraneo sia alle proposte arcaizzanti e bellettristiche dei puristi, sia all’uso della cosiddetta scuola democratica e mazziniana, di cui per un verso De Sanctis condivide in gran parte l’ideologia, ma di cui per un altro verso non accetta il tono enfatico, solenne e retorico. A distoglierlo da questi esempi è stata soprattutto la nativa vocazione didattica, che lo ha portato fin da quando aveva diciotto anni a fare l’insegnante nella scuola diretta dallo zio e poi in quella di Basilio Puoti nel Vico Bisi e che lo ha abituato a perseguire un tono funzionale alla rappresentazione dei propri concetti senza porsi velleità letterarie e obiettivi estetici. Ciò non significa che la sua prosa non abbia qualità letterarie, riscontrabili nell’efficacia espositiva, nella chiarezza delle idee, nella lucidità delle argomentazioni. Questi esiti felici si ottengono in particolare con un gusto spiccato per le antitesi, che forse sono la conseguenza stilistica del suo pensiero dialettico e della sua formazione anche filosofica. Non a caso uno dei modelli ideali di prosa è costituito per De Sanctis da Machiavelli, caratterizzato da uno stile disgiuntivo che procede con una paratassi di tipo dicotomico. Un effetto di questo procedimento è dato dalle formule epigrammatiche e fulminanti che fissano in modo sintetico e lapidario l’intero sviluppo di un ragionamento. Per esempio nella sua Storia della letteratura, per esprimere l’effetto dirompente di Machiavelli, lo si definisce il Lutero italiano; per indicare il ruolo normativo e in qualche modo repressivo esercitato in fatto di lingua dall’Accademia della Crusca lo si uguaglia a quello svolto dal Concilio di Trento; la capacità di Goldoni di studiare dal vero la natura umana fa di lui il Galileo della nuova letteratura, così come Alfieri, che avrebbe ispirato le generazioni del Risorgimento con le sue tragedie ancora improntate alle regole aristoteliche delle tre unità, appare l’uomo nuovo in veste classica. E ancora oggi sono memorabili certi giudizi di carattere sentenzioso, come quello per cui nel Seicento la parola non era più un’idea, ma un suono, o quello secondo cui, alla fine del capitolo intitolato a Marino, la letteratura moriva, e nasceva la musica.

    In che modo, all’alba del suo insegnamento, iniziò a prendere le distanze dalla lezione del purista Basilio Puoti?

    De Sanctis, da storicista quale è stato, non ha rinnegato alcuna esperienza, anche se poi, come nel caso del purismo, l’ha superata e criticata. Nel bilancio che ne ha fatto nella maturità egli attribuisce al magistero di Puoti il merito di avergli inculcato attraverso il culto della purezza linguistica il sentimento patriottico di appartenenza a una nazione e il senso di un’unità che nella lingua riscattava il particolarismo politico e al tempo stesso spezzava il vezzo soprattutto settecentesco di importare forestierismi alla moda. Da quell’insegnamento ha anche appreso ad amare la poesia e a leggerla direttamente, in modo che l’ideale astratto delle forme si precisasse e si sostanziasse calandosi nelle determinazioni concrete della storia. Ne sono discesi un amore profondo per la poesia e una sensibilità empirica e tecnica derivatagli dall’abitudine di notare più per esempli che per teoriche i pregi e i difetti degli scrittori, in un confronto diretto con i testi. Ha anche cominciato a comprendere che la grammatica è da considerarsi come la manifestazione di tutto l’uomo e delle sue condizioni sociali, e che esprime non solo la componente intellettiva, ma anche la fantasia, la volontà e, insomma, tutto il pensiero umano, in reazione alla astrattezze del razionalismo settecentesco. Ma se le istanze puristiche, quasi del tutto collimanti con un ideale classicistico, hanno condotto De Sanctis a professare la semplicità della lingua colta, si sono però anche chiuse a una venerazione della parola fine a se stessa che si è sequestrata dalla storia soprattutto a causa di una precettistica normativa avulsa dal presente e da un uso vivo in quanto fondata sugli scrittori di un lontano passato e di una lingua ormai imbalsamata, se non morta. Le stesse analisi dei testi letterari, ancorché positivamente severe nella loro scientificità, risultano in definitiva grette e asfittiche perché ricondotte a parametri angusti. De Sanctis insomma prende le distanze dal purismo da quando, anche grazie all’iniezione di letture filosofiche, si rende conto che non si deve dare troppa importanza alla parola come parola, come afferma nell’Ultimo dei puristi, mentre invece, volgendo l’attenzione più al contenuto che alla forma, veniva capovolta la base della grammatica e della lingua […]. Lo spirito, concentrato nella parola o nella frase, si avvezzava a guardare di sotto, a cercare il pensiero, a preferire non la frase più pura, ma la frase più propria e più esatta, ovvero lo specchio del pensiero. La superiorità delle idee sulle forme mette in primo piano il ben pensare, che a sua volta porta al bene scrivere. Nel passaggio dalla retorica alla storia, avvenuto sotto la guida della lettura dei fratelli Schlegel, il concetto di proprietà linguistica veniva a prendere il posto del concetto di purezza.

    Nella sua formazione la scoperta degli illuministi francesi e italiani che tipo di cambiamento ha determinato nel suo pensiero?

    De Sanctis nasce nel 1817, in piena restaurazione, ma sarebbe sbagliato credere che l’eredità del vigoroso pensiero illuministico meridionale fosse venuta meno. Anche se in un clima culturale mutato, i suoi vivaci influssi continuavano a farsi sentire. Lo stesso De Sanctis ricorda nella sua Giovinezza che al tempo della frequentazione della scuola dell’abate Lorenzo Fazzini si era gettato, come in una fantasmagoria, in un vortice di letture ingorde e disordinate che gli avevano fatto conoscere le opere di Locke, Condillac, Tracy, Hélvetius, La Mettrie. Naturalmente queste esperienze saranno avvenute con la mediazione degli illuministi meridionali e anche se in quel passo si limita a citare la Diceosina di Genovesi, non sarà mancata la conoscenza di altre sue opere e di quelle di Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri o Francesco Mario Pagano. Purtroppo il successivo superamento e le critiche rivolte da De Sanctis all’Illuminismo hanno lasciato fuori quel primo apprendistato dalle ricostruzioni del suo pensiero che invece deve in qualche modo essersene nutrito. Per esempio nella Diceosina viene trattata la famosa quistione delle forme di governo, tra le quali Fazzini aveva indicato la forma mista come la migliore. Ma poiché questa era, sotto il regime dei Borbone, inconciliabile con l’assolutismo che regnava nel Mezzogiorno, l’abate l’aveva modestamente e prudentemente attribuita a un’opinione di Montesquieu. Di là da questo aneddoto, le letture degli illuministi devono essere servite ad aprire a De Sanctis, per dirla con le sue stesse parole, un nuovo orizzonte filosofico e soprattutto a volgere i suoi interessi verso il pensiero politico, tanto più che già gli illuministi meridionali, eredi del pensiero vichiano, avevano cercato di applicare il principio gnoseologico del verum

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