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Vietato alle minori di 45: Manuale di sopravvivenza alla menopausa
Vietato alle minori di 45: Manuale di sopravvivenza alla menopausa
Vietato alle minori di 45: Manuale di sopravvivenza alla menopausa
Ebook260 pages3 hours

Vietato alle minori di 45: Manuale di sopravvivenza alla menopausa

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About this ebook

Il titolo è “VIETATO ALLE MINORI DI 45”… sei sicura/o di poterlo leggere?
Un gruppo di donne in un seminterrato, si riuniscono ormai da mesi, alcune clandestinamente, con l’obiettivo comune di sopravvivere al grande cambiamento.
A turno, ciascuna racconta un capitolo della propria storia.
A ogni capitolo, un argomento legato alla trasformazione e le relative possibilità d’intervento.
Anna racconta le stagioni della vita, del significato di ricercare il bello nelle cose che cambiano.
Stefania, è giunto il tempo in cui, la sfumatura di grigio, è quella del tuo pelo pubico. Piccante e trasgressiva, narra con sincerità della sessualità di ieri, di oggi e di domani.
Rosa, sangue rosso, il valore simbolico delle mestruazioni, di quando ci sono e di quando non ci sono più.
Signori e signore, strategie (anche un po’ hard), su come continuare ad essere coppia, dopo che i figli e gli ormoni ti hanno lasciato. Per non far che sia, la solita minestra.
Giulia e le scalmane…aiuto ho le svampe! Consigli per l’uso delle terapie a sostegno.
Maddalena, la donna che viene dal passato. Ci ricorda, cosa vuol dire andare oltre il branco ed essere una squadra coesa di femmine; dove ciascuna riconoscendo il proprio ruolo e la propria capacità, contribuisce alla crescita di tutte. Narra del potere creativo delle donne, che va oltre a quello procreativo.
Manuela, quando interrogando lo specchio, la risposta riflessa non ti convince.
Barbara, racconta dei muscoli del piacere e di come allenarli.
Se nell’adolescenza lo scopo del passaggio era quello di far nascere dalla bambina la donna, con la menopausa qual è?
Da donna a… vecchia? No! Da donna a donna saggia? Forse.
Sicuramente, uno dei fini, è di mettersi a fuoco e passare dalla cura di tutto ciò che è fuori di noi, alla cura del dentro di noi.
L’onda ci può travolgere, oppure, la possiamo cavalcare.
Spunti per stabilire da dove arriviamo e dove vogliamo andare.
Un manuale con tattiche di sopravvivenza e un’arma… il potente ventaglio, non più per celare, ma per evidenziare il passaggio fiere, sensuali, decise.
Le note dell’autrice ostetrica, sono parte integrante del testo. Un aiuto pratico, fatto per capire meglio.
A metà tra una raccolta di racconti e un manuale, un saggio e un libro di midwife narrativo.
Emozioni, risate, un sacco di utili informazioni sulle modificazioni del corpo, i sintomi, le relazioni, il sesso.
Se poi scalmana deve essere, allora SCALMANIAMOCI!
LanguageItaliano
Release dateJun 27, 2017
ISBN9788826459417
Vietato alle minori di 45: Manuale di sopravvivenza alla menopausa

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    Book preview

    Vietato alle minori di 45 - Barbara Montani

    Barbara.

    PROLOGO

    Dove sono capitata?

    Ho fatto un atto di fede e ho seguito la mia amica Grazia, sapevo che non c’era tutta ma non credevo che fosse così fuori di testa.

    Sono in tuta e calzerotti, all’ingresso mi hanno consegnato una cartelletta con dei fogli bianchi, matite colorate e un ventaglio… Booh!

    Mi sembra di essere in una riunione di alcolisti anonimi ma ci sono solo femmine datate come me, un gruppo di self-help sulla menopausa?

    -Ciao, sono Tizia e sono in menopausa da un anno…-

    Una giornata di discussione e informazione condotta da un’ostetrica? Probabile.

    Un sabba di donne che in preda a scompensi ormonali, al posto della scopa usano un ventaglio? Grande!

    Un gruppo di sfigate che non ascoltate più da figli adolescenti, mariti dormienti, genitori sclerotici, hanno deciso di raccontarsi tra di loro? Forse sì!

    Intanto mi siedo, mi è venuta una scalmana, aspetta, aspetta…

    Aspetta che uso il ventaglio!

    SWAMMMMM!! SPLAT …SPLAT…SPLAT… Ahhhhh!

    Un po’ di aria, che refrigerio, ora va meglio.

    Hanno tutte un cartellino con il loro nome:

    ANNA, STEFANIA, ROSA, GIULIA.

    Tante donne, tante storie.

    Toh! Nella cartelletta c’è anche il mio, chissà, magari…

    Dobbiamo abituarci all’idea che ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica.

    (Ernest Hemingway)

    ANNA E L’ALBERO DELLA VITA.

    Ti racconto la storia di Anna…

    Suo marito era solito dire - Ci sono le stagioni, amore. Dunque… prima viene la primavera ricca di colori, profumi, dove tutto nasce, cresce. Il turbinio del vento sbarazzino tutto intorno alla bellezza, alla giovinezza, alla freschezza… Ezz a…ezza…ezza. Una stagione ricca di promesse la vita urla, con tutta la sua forza, la sua vitalità. -

    E mentre le raccontava questo, probabilmente senza neanche accorgersi di quello che faceva, mimava con le braccia un albero che cresceva e germogliava.

    - Poi- Continuava sempre lui nel racconto - C’è l’estate, le messi sono mature, si miete il grano, si raccolgono i frutti succosi e turgidi nel caldo sole di questa stagione. -

    A questo punto del racconto, il marito/albero di Anna, con le sue braccia/rami, cercava di farsi più turgido e il viso/frutto gli diventava paonazzo dallo sforzo di far maturare qualcosa che poteva essere… un pomodoro per la salsa!

    - Quando arriva l’autunno, le foglie cadono, tutto si raggrinzisce, secca, non nasce più niente…la natura si prepara per il gelo e il sonno dell’inverno. -

    Le dita/foglie tremolavano, le braccia/rami si rattrappivano, il marito/albero … cavolo! Si rinsecchiva!

    Poi, con uno sguardo compassionevole e dopo una ragionata pausa, aggiungeva… - E noi, caro amore mio, siamo proprio qui, in questa autunnosa stagione della nostra vita. -

    Lei annuiva tutta compita, consapevole della santità di quelle parole.

    Del resto, quel discorso sembrava non fare una grinza. Grata del fatto che le avesse risparmiato l’imitazione dell’inverno, non l’avrebbe proprio sopportata!

    Forse, neppure l’amato era pronto per quella performance.

    Se si fosse esibito nell’albero d’inverno, si sarebbe messa di certo a urlare, con la conseguenza, di dover poi dare delle spiegazioni.

    No, qualsiasi cosa avesse detto, lui non poteva capirla. Sarebbe stato perdere tempo in spiegazioni inutili, era energia sprecata.

    Suo marito non poteva capire, ma anche a lei sfuggiva, il perché quel racconto la metteva sempre sottosopra; non era la prima volta che lo sentiva, ormai, doveva esserci abituata.

    Dentro di lei quelle parole sobbalzavano stridendo, nella sua testa, nel suo cuore, nella sua pancia.

    Cozzavano, combattevano, non riusciva proprio a digerirle.

    Stridevano…screech…gesso sulla lavagna.

    Screeech…forchetta che gratta la pentola.

    Screeech… hai mai provato a mettere in bocca la carta stagnola e masticarla? Roba da far venire la pelle d’oca sui denti!

    Ecco, era così! Quando Anna sentiva questo discorso, le veniva la pelle d’oca dappertutto, anche sui denti!

    Non per le stagioni, quelle ci stavano, sentiva che facevano parte della natura, delle cose, erano giuste.

    I cicli erano vita e come in natura, credeva equo che, anche l’esistenza umana, fosse ciclica perché in sintonia con la terra su cui viveva.

    Probabilmente era l’ineluttabilità del fatto che non accettava, l’impossibilità di non poter fare diversamente, il… NON SI FUGGE.

    Lì, inchiodata alla croce delle stagioni che passano, senza poter far nulla…impotente.

    Che cosa vuoi…così è la vita!

    Merda! Pensava, così è la vita? No! Non poteva essere solo così!

    Tanto valeva, allora, essere davvero nata albero! Anzi, no. Sasso!

    A questo punto, forse, era meglio essere un sasso! Si! Giusto, un sasso! Il massimo che ti può succedere, se fai una vita da sasso, è che qualcuno ti dia un calcio e tu ti sposti un po’ più in là!

    Una vita a rotolare se trovi uno scemo che ti dà un calcio, altrimenti niente, niente di niente, senza problemi, senza foglie, senza radici, senza stagioni.

    Anna, era nata donna e per giunta era una tipa accesa, sensibile, niente a che vedere con i sassi; quindi in quel momento specifico della sua vita da donna, era consapevole che quello che arrivava era l’inizio della sua stagione autunnale.

    L’autunno… la stagione prima dell’inverno.

    L’inverno, il sonno, le foglie secche…la morte.

    Aiuto! Lei non voleva rinsecchire e morire.

    Non si sentiva rinsecchita, senza foglie, non voleva arrendersi al sonno dell’inverno! Non può succedere a me! NON IO!

    Sì ok, la pelle era più sottile, arida, se ne era accorta da un po’.

    Infatti, aveva incominciato, con un certo imbarazzo, a mettersi delle creme anti-age.

    A volte era secca anche , ci impiegava di più a bagnarsi e aveva un po’ perso l’interesse nel fare l’amore.

    Anche le mestruazioni cominciavano a non essere più regolari, aveva perdite scure che duravano una settimana prima di avere il flusso vero e proprio, probabilmente sarebbe andata nel giro di poco tempo in menopausa.

    MENOPAUSA? Solo a nominarla sentiva crescere dentro un sentimento di negazione…NOOOOO! Non era in menopausa, questo mese non le erano ancora venute, ma si trattava solo un po’ di ritardo! Domani arrivano! 1)

    1) Dalla pubblicazione delle Linee Guida Regione Toscana sulla menopausa del 2015-

    Menopausa fisiologica, in Italia, l’età media alla menopausa naturale è 50,8 anni. Circa l’1% delle donne ha una menopausa spontanea prima dei 40 anni e il 10% tra i 40 e i 45 anni. Inoltre, circa il 15% va incontro a menopausa chirurgica a un’età media di 42 anni (Progetto Menopausa Italia 2005).

    Se fai bene i calcoli siamo a quota 26% delle donne che vanno in menopausa prima dei 45 anni, 1 su 4 circa. Fra le donne di età inferiore ai 40 anni, il 3,4-4,5% ha una menopausa su base iatrogena, conseguente a interventi chirurgici, terapia farmacologica o radiante. Vari fattori influenzano l’età alla menopausa: genetici, secondo molti studi anche riproduttivi, etnici e di stile di vita (il fumo di sigaretta tende ad anticiparla di 1,5-2 anni). Studi prospettici e multietnici evidenziano che la menopausa spontanea insorge più precocemente nelle donne ispaniche, più tardivamente nelle giapponesi, mentre nelle donne afro-americane si colloca intorno ai 49,3 anni e nella popolazione peruviana e Maya, nonostante l’elevata parità (numero di figli), fra i 45 e i 47 anni (Bromberger 1997, Henderson 2008).

    Menopausa e vecchiaia nella sua mente andavano a braccetto e lei aveva paura di pensare alla sua menopausa, perché voleva dire che doveva riflettere sulla sua non più giovinezza.

    Un sentimento di riserbo, di ritrosia e di prudenza s’impadroniva di lei al pensiero della sua menopausa.

    Le erano venute le rughe, si era appesantita, era meno soda ed elastica, un po’ più incriccata, i suoi occhi brillavano meno, anche il suo umore era cambiato, in generale si trovava meno entusiasta di prima.

    Sì, ammetteva, un po’ di foglie erano ingiallite, alcune si erano staccate, iniziava l’autunno, un lento e inesorabile autunno che l’avrebbe portata lentamente e inesorabilmente all’inverno!

    L’inverno, il gelo, il sonno, la morte… Oddio!

    Che pensieri deprimenti le venivano! Nooooo, questa cosa non andava bene!

    - Anna! Anna! Svegliati! Svegliati! -Si diceva- Non cadere nella trappola di queste riflessioni sconfortanti, che da lì a essere impasticcata il passo è breve!

    Non bisogna dormire aspettando la morte, il sonno eterno! Non bisogna vivere l’autunno, come se fosse già l’inverno! Assopita. -

    Non si è mai sentita la storia della Bella Addormentata, avvizzita, d’autunno dormiente per trent’anni, in attesa di un bacio che, invece di svegliarla, la farà morire.

    Non era ancora il tempo di tirare i remi in barca.

    Cavolo, se tutto procedeva come da copione, avrebbe avuto un’aspettativa di vita di almeno altri trent’anni e non era sicuramente intenzionata a passarli dormendo.

    C’era ancora tanto da scoprire navigando, magari a vista, cercando acque calme, a velocità un po’ più ridotta, diciamo a velocità da crociera.

    Se autunno doveva essere, lo sarebbe stato, lei però, sarebbe stata sveglia e vigile. La morte, l’unica certezza della vita, l’avrebbe trovata viva (questa frase l’aveva letta da qualche parte e l’era piaciuta, solo che, non pensava l’avrebbe usata per sé stessa).

    -Quando succederà, perché succederà anche a me, sarò sicuramente appassita, ma viva e sveglia! - Mise questo post nello spazio della sua anima, quello intimo e sacro, dove aveva la check list della sua vita. Era un elenco abbastanza lungo ormai, fatto di cose che aveva già spuntato, (una famiglia, dei figli). Di cose ancora da spuntare (un’esperienza come volontaria in zone disagiate). Fatto anche di un lungo elenco di esperienze che non aveva messo in preventivo, alcune neanche lontanamente pensato, ma che la vita le aveva regalato, come quella del brevetto da sub.

    Concluse che probabilmente, si può scegliere, spesso in maniera inconsapevole, di essere morti prima che succeda davvero; così che, quando arriva sorella morte, non ti fa molto male, ti sei già preparata per tempo, sei già a metà strada, SEI GIÀ MEZZA MORTA.

    Quante persone conosceva che attuavano questa strategia?

    Ci si alza alla mattina con l’unico scopo di andare a letto alla sera.

    Senza sentire la vita intorno a te, dentro di te. Senza progetti, senza emozioni, senza sogni. Una sorta di tirare a campare, respirando, mangiando, cagando, dormendo, anche quando non sei nel letto.

    Probabilmente fare una vita addormentata, in perenne anestesia, poteva essere la soluzione o un buon esercizio preparatorio, verso l’inverno della vita.

    Anche perché, se non c’era senso nell’essere già morti prima di morire, ci poteva essere nell’addormentarsi. Solo per il fatto che se dormivi, quando la fine arrivava, sentivi di meno.

    Non sapeva di preciso che cosa si doveva sentire di meno e in quel momento non lo reputava tema della sua speculazione.

    Un po’ come quando aveva portato il gatto ormai vecchio che stava malissimo, ma non riusciva ad andarsene, dal veterinario. Lui, con un gesto di somma pietà aveva prima addormentato la povera bestia e poi aveva proceduto con l’eutanasia, dicendo che così avrebbe sofferto di meno, sentito di meno.

    L’anestesia come atto di somma pietà, come una necessità per rendere più sopportabile il passaggio da una vita di dolore e di tedio, alla morte.

    Il coma profondo volontario era una fuga dalla vita, era fare finta di essere sasso.

    Stare in coma volontario per trent’anni, con l’unico scopo di sentire meno quando arriva la morte, che in pratica è un attimo, le sembrava una cavolata.

    La vita è sacra, non bisogna sprecarla e i trent’anni che a lei rimanevano, erano degni di essere vissuti.

    Per alcuni, era la loro intera vita.

    Com’era successo a Carlo, il figlio di una sua vicina di casa. Lui a ventisette anni era morto spiaccicato contro un albero, in un incidente in moto.

    I quasi trent’anni per lui hanno rappresentato tutta la sua esistenza. Erano la differenza tra l’esserci stato e il non esserci stato.

    La questione quindi, non è quanti anni vivi, ma come li vivi.

    Quando ripensava alla primavera della sua vita, si sorprendeva a sorridere della ragazza appassionata e un po’ scapestrata che era stata.

    Ricordava ancora come la sua adolescenza era stata vissuta, con ritmo, brio, energia, avventura, voglia di scoprire, di sperimentare, una sorta di tette al vento ecco, sono qui!.

    Ricordava però anche i tanti momenti di confusione.

    Come quando sua madre, all’arrivo delle prime mestruazioni, le aveva detto che era diventata una donna. Poi, di fatto, la trattava ancora come una bambina.

    O come quando suo padre, mentre lei preparava la valigia per andare a studiare nella grande metropoli, le disse di fare attenzione, perché da quel momento in poi lei e solo lei, decideva del suo destino attraverso le sue azioni…della serie ora sono cavoli tuoi! Questa cosa le dava i brividi di eccitazione e libertà ma, nel frattempo, anche di paura nel dover fare da sola.

    Peccato, che questo bel discorso sul riconoscimento della propria libertà e autodeterminazione, andava a cozzare con un altro, caro a suo padre, che nei momenti di contrasto fra loro veniva sempre fuori.

    Al solo pensarci le sembrava di rivivere ancora l’angoscia di quei tempi di forte tensione, quando lui, infuriato con sua scalpitante e ricalcitrante figlia, urlava

    - Fino a quando non sarai economicamente indipendente e i conti te li pago io, non fai quello che vuoi tu, ma quello che dico io! Chiaro? -

    La sua adolescenza era stata una continua tensione tra il sentirsi dire che ormai era grande/adulta/indipendente ma, in effetti, essere sempre trattata come piccola/ infantile/dipendente, essere sempre figlia insomma.

    Vista sotto questo punto di vista, la primavera, non sembrava poi quella gran bellezza di stagione che tutti definivano così straordinaria e inimitabile.

    Pensava che il vento sbarazzino, tipico della stagione, a volte, fosse freddo e turbinoso, arruffava sì i capelli, ma soprattutto confondeva le emozioni, ti rendeva instabile e in sua balia, incasinava un po’.

    In più, come dice il proverbio, marzo pazzerello metà brutto metà bello; ecco era proprio stata così la sua primavera, bella, ma… che palle le giornate di pioggia.

    L’estate la ricordava calda e ricca di risultati.

    Lavorava, si era resa economicamente indipendente, quindi finalmente, dato che le sue spese le pagava lei, si era resa … libera!

    Fantastica sensazione non dover rendere conto, se non a sé stessa, di cosa faceva, dove andava e con chi, ricordava con trepidazione quando passò dalla banca, per fare il mutuo della sua prima macchina.

    Il lavoro che svolgeva era proprio quello che l’aveva appassionata da bambina e per il quale, aveva dedicato tanto studio.

    Sì l’estate era proprio un periodo grandioso, fantastico!

    Raccoglieva i frutti di quello che aveva seminato.

    Condivideva la casa con le amiche, aveva una vita sociale impegnata, si prendeva cura di sé e volava di fiore in fiore cercando quello giusto.

    Fino a quando, quello giusto è arrivato e con lui il matrimonio, la casa.

    Il loro nido d’amore si è subito popolato di figli… gli attesi frutti della stagione!

    Finalmente donna! Le sembrava di essere in un particolare stato di grazia, la gravidanza…in quel periodo si sentiva una Dea, la Dea della fecondità, la Dea Madre, era la Madre Terra incarnata.

    Un’esperienza unica quella della gravidanza, del parto e dell’allattamento, talmente tanto bella che di figli ne aveva fatti tre.

    Tutti riconoscevano le sue doti di genitrice capace, speciale, attenta.

    I suoi figli non solo erano belli, le erano infatti riusciti particolarmente bene, ma erano anche indicati ad esempio da altre mamme… che si rivolgevano a lei per consigli pratici o educativi.

    Un successo insomma!

    Moglie attenta di un marito attento, aveva una piacevole e appassionata vita di coppia, il suo matrimonio durava ormai da venticinque anni, c’erano stati momenti di crisi, ma avevano imparato che, se volevano, avrebbero trovato la soluzione ai problemi che man mano si presentavano.

    Per farti crepare un po’ d’invidia, ti racconto anche che se la cavava bene perfino in cucina.

    Sopra tutta questa stagione di passione e abbondanza brillava per lei il sole caldo dell’amore, con i colori accesi delle giornate limpide, la sugosità del corpo maturo, la fecondità della vita.

    Sì, va bene la sugosità, la fecondità e l’abbondanza, ma a che prezzo?

    Ben presto si accorse che c’era anche qui il rovescio della medaglia.

    Che dire della responsabilità, le preoccupazioni, l’ansietà dei figli da crescere?

    Di tutto il tempo dedicato alla loro educazione, scuola, palestra, catechismo, compiti e ricerche a casa, il dentista, le feste di compleanno, il disordine, i mal di pancia, il morbillo, le vaccinazioni, la varicella, che tra parentesi aveva preso anche lei?

    Che dire, del dover dar retta, esserci sempre, anche quando le scoppiava la testa e non ne poteva più?

    Del non poter decidere che film guardare alla tele e ciucciarsi cartoni animati prima (sempre lo stesso), Amici di Maria o Il grande fratello poi, in una lotta del tutto impari dato che lei era sola (il marito era al lavoro) e loro erano in tre contro una?

    Che dire, delle vacanze in posti dove lei non sarebbe mai andata, ma con i figli piccoli ci si doveva adeguare, pena, lo stress più totale…altro che vacanza!

    Delle lunghe ed estenuanti discussioni quando, i figli divenuti adolescenti, le strappavano dalla bocca e dal cuore le stesse…oh cazzo!

    Proprio le stesse parole di suo padre sull’indipendenza e i soldi!

    Che dire…non c’era proprio un bel niente da dire!

    E la casa? Bella, anzi bellissima, grande, anzi grandissima, da invidiare… che cosa poi c’era da invidiare? Se la doveva pulire tutta questa grande casa e ultimamente era troppa la fatica…

    C’erano periodi in cui tutto questo non le sembrava desiderabile, momenti in cui appariva tutto troppo: troppi mq. da nettare, troppi figli d’accudire, troppe cose da riassettare… troppo tempo dedicato alle cure degli altri.

    Momenti in cui si sentiva costretta ad agire come angelo del focolare, suo malgrado.

    Fare e rifare sempre le stesse cose, sapendo che tanto i letti rifatti al mattino sarebbero stati disfatti la sera, i piatti e le pentole nuovamente sporchi, i pavimenti imbrattati, i vestiti appena stirati in breve sarebbero stati macchiati e unti nel cestone.

    Anche preparare il cibo, incominciava a esserle ostico, aveva perso la passione della buona tavola e del cucinare con fantasia, aveva preso a limitarsi nel preparare la pietanza quotidiana.

    La Dea Vesta le era testimone di quante volte l’aveva implorata, pregata di aiutarla ad accettare questo ruolo, che sapeva importantissimo per le persone che amava, ma la cura della casa le rimaneva sempre faticosa. 2)

    2)Lettura consigliata- Le Dee dentro la donna Jean Shinoda Bolen Ed. Astrolabio

    Tratto dal libro, pag. 112.

    Estia, come dea del focolare, è l’archetipo attivo delle donne che considerano le occupazioni domestiche un’attività significativa e non semplicemente le faccende di casa". Con Estia, la cura del focolare, diventa un mezzo attraverso il quale la donna, insieme alla casa, mette ordine nel proprio sé. La donna che è in contatto con questo aspetto

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