Curami
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Un’agenda fitta di appuntamenti: i pazienti dello studio Zeni si presentano con puntualità, cercano conforto, tirano fuori le loro paure e la loro rabbia. Fausto li ascolta, li guida a volte si perde con loro. Anna, Luisa, una sciarpa colorata: i conti con il passato non trovano sempre la strada giusta per mettere tutte le pedine in fila. Otto giorni di passione, tormento e colpi di scena.
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Curami - a cura di Rossella Cravero
autori
Prefazione
Le parole hanno un potere che va oltre il loro intrinseco significato. Quando una pioggia di vocaboli prende corpo su un foglio bianco, la magia si sprigiona e l ’aria si riempie di storie. È successo anche quest ’anno: i ragazzi del Laboratorio di scrittura hanno soffiato sul vento della creativit à e hanno lasciato libera la immaginazione per creare personaggi, momenti, intrecci e trame.
Il Disucom, Dipartimento di Scienze umanistiche e del Turismo dell’Università della Tuscia, sotto la guida di Elina Filippone prima e di Giovanni Fiorentino poi, ha consentito che anche quest’anno l’esperienza del Laboratorio di Scrittura avesse vita, offrendo agli studenti l’opportunità di cimentarsi con la passione per lo scrivere, la voglia di raccontarsi e di mettersi in gioco, confrontandosi con la struttura narrativa.
Perché creare un racconto, così come hanno fatto gli studenti dal Laboratorio di scrittura, vuol dire imparare a gestire la temporalità e la coralità. Vuol dire mettersi in ascolto degli altri, così come imparare a cogliere le sfumature verbali che giocano nelle frasi di ognuno.
Anche quest’anno gli studenti dell’Università della Tuscia hanno percorso un cammino nella scrittura, imparando a gestire lo sviluppo narrativo dei personaggi. Ne è nato Curami. Ha preso corpo Fausto, il protagonista, e con lui si sono alternate Anna e Luisa, così some i pazienti dello studio Galli. Sullo sfondo della città dei Papi, il lettore si confronterà con la tormentata storia di un analista, nell’arco temporale di una settimana.
Quest’anno gli studenti hanno deciso di scavare nell’anima di questi personaggi. Hanno voluto utilizzare la narrazione in prima persona, scegliendo il presente come temporalità. È stata una sfida: consapevoli di intraprendere il cammino più difficile, già dalle prime lezioni, hanno scelto con coraggio di portare avanti un’impostazione che mettesse il lettore a diretto confronto con il pathos del protagonista.
E così Giulia con le sue battute è riuscita ad alleggerire i momenti più drammatici, Giacomo ha accompagnato la trama nel vivo della sofferenza, mentre Chiara è stata capace di colorare e dare respiro alle immagini, quando i contorni si facevano troppo scuri. Grazie a Francesca il ritmo dei giorni ha trovato una sua fluidità, mentre Diego ha tenuto fino alla fine dritta la barra della coerenza, fino al colpo di scena finale. Luca ha strappato sorrisi tra pop corn e patatine di fronte a un film. Giulia ha regalato momenti romantici, Nicoletta ha trovato le parole per descrivere quei palazzi del centro grigi e austeri, Christopher ha fatto ricominciare
il gruppo, quando la scena sembra non trovare uno sbocco. Giorgia ha donato un tocco di praticità quando la narrazione prendeva pieghe fantasiose, Giordana ha sfoderato la chiave giusta, nel momento opportuno, Denise ha messo in scena brividi insospettabili, da Marika un lucido ascolto, Alessandro ci ha messo tenacia e Alice parole soffiate.
Il mio grazie speciale, va inoltre alla professoressa Giovanna Santini, sempre attenta e disponibile alle proposte di lavoro e al professor Giacomo Nencioni che ha consentito ai ragazzi di cimentarsi in un booktrailer per veicolare il nostro lavoro. Oltre all’università della Tuscia che mi ha dato per la terza volta la possibilità di vivere questa bellissima esperienza, la mia gratitudine è rivolta a tutti questi ragazzi che sono stati l’anima del Laboratorio. Mai come quest’anno ho lasciato spazio alla loro creatività, all’impegno e alla passione di ciascuno. L’esperienza diretta della scrittura è stata la maestra sul campo di tutto quello che serve per confezionare un racconto.
Una struttura fatta di rigore, controlli, riflessioni, che può essere applicata all’approccio di qualsiasi testo si vada ad affrontare, per studio, o per piacere, ma sempre con la consapevolezza che quelle parole devono arrivare a toccare le corde più intime, per far scorre con gli occhi, la magia di un momento di scrittura.
L’inchiostro che sta consentendo al mio pensiero di arrivare sino a voi è il frutto di un’altra duratura collaborazione con una casa editrice che ha saputo apprezzare la passione di questi ragazzi e ha dato loro una grande opportunità rendendo libro il loro percorso. Un grazie di cuore alla casa editrice Settecittà che anche quest’anno, come nelle passate edizioni del Laboratorio, si è dedicata alla stampa della nostra fatica.
Chi scrive parla di cose che tutti conoscono ma che non sanno ancora di conoscere. Così, scrittori e lettori, usando la fantasia, avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune
Orhan Pamuk La valigia di mio padre
Lunedì
Buongiorno
Come nelle aule universitarie. Come negli uffici comunali.
Ci si scambia un augurio per resistere al mondo e alla solitudine.
Io lo auguro a me stesso.
Al di là della finestra chiusa, il mondo si ripete in strade e volti tutti uguali. Un mondo così aperto che è un mondo così chiuso, così pieno, ma così vuoto. Non voglio uscire di casa, non voglio affrontare tutto questo.
Devo ricordarmi di resistere. Devo ricordarmi che il domani esiste. Che è lì, lontano dal caos, dai passeggeri sudati aggrappati al gancio del pullman, aperto tra le ante di una finestra spalancata, nuovo. Devo tenerlo a mente per sopravvivere, un po’ come mangiare, respirare, dormire.
Devo costringermi a ricordarlo anche quando non ne ho voglia, quando vorrei solo lasciarmi sprofondare comodo nel pessimismo, e invece mi tocca arrampicarmi tra le sponde aguzze della speranza.
Anche quando la carta igienica finisce e vorrei solo bestemmiare perché, che ho fatto di male per meritarmelo.
E allora buongiorno.
Buongiorno alla vecchietta del piano di sotto che sbatte la scopa con metodica marziale per intimare il silenzio appena sposto un mobile. Buongiorno pure all’inquilino di sopra che non s’è mai visto ma le cicche le lancia tutte sul mio balcone. Buongiorno alla portinaia che non mi saluta da sei mesi perché una volta ho lasciato le impronte di fango all’ingresso.
Non mi rendo nemmeno conto di essere già a destinazione. Il cielo acciaio stende sul mondo un leggero manto di pioggia. Parcheggio. Mi infilo nel bar, non spingo nemmeno la porta per tenerla aperta, striscio tra i corpi di chi entra e chi esce. Profumi che si mescolano. Una ciocca di capelli mi sfiora il volto. Mi giro di scatto. Ordino la mia colazione appoggiato al bancone.
Non pensare. Smettila.
I concetti si rincorrono in picchiata verso la tristezza. Gli occhi me li sento addosso, due in particolare. Alzo lo sguardo alla ricerca del cecchino. Che è alta si capisce anche se sta piegata sul cappuccino fumante. La posizione le ruba qualche centimetro, ma la scelta improbabile dei colori le fa guadagnare visibilità.
Un ciao
balbettato le si strozza tra i denti. Affatica un sorriso tirandolo da orecchio a orecchio. Si fa scudo con la sciarpa arcobaleno che la avvolge, accelera il passo e fila dritto. Per qualche secondo percepisco la mole d’aria agitata dal suo spostamento. I miei occhi la seguono mentre si avvicina all’uscita, infastidita dall’insolita calca di clienti.
L’orologio è posizionato sul muro davanti a me. È tardi. Raccolgo quel che resta del mio buongiorno ed esco dal bar.
I pub sembrano ruderi abbandonati da secoli, sepolti dalle macerie di un sabato di due giorni fa, lontano una vita. I sampietrini si fanno sentire sotto la suola morbida. Le macchine rimbalzano sui tombini, con tonfi sordi e riconoscibili.
La folla di giovani studenti