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Rose in fiore (Tradotto)
Rose in fiore (Tradotto)
Rose in fiore (Tradotto)
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Rose in fiore (Tradotto)

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About this ebook

Sono passati sei anni e Rose non è più l'adolescente de Gli otto cugini, ma una giovane donna, che deve decidere cosa fare del suo futuro. Di ritorno da un viaggio di due anni attorno al mondo, Rose deve presto fare i conti con ciò che la buona società di Boston si aspetta da lei e con il suo ruolo di ereditiera. Circondata da uno stuolo di ammiratori, riuscirà a capire chi la ama veramente? Una cosa è subito chiara: questa non è una ragazza come le altre, ha una volontà propria e vuole essere l’unica padrona del proprio destino.
LanguageItaliano
Release dateJun 5, 2017
ISBN9788826446608
Rose in fiore (Tradotto)
Author

Louisa May Alcott

Louisa May Alcott (1832-1888) is the author of the beloved Little Women, which was based on her own experiences growing up in New England with her parents and three sisters. More than a century after her death, Louisa May Alcott's stories continue to delight readers of all ages.

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    Rose in fiore (Tradotto) - Louisa May Alcott

    I

    Ritorno a casa

    IN una luminosa giornata di ottobre, tre giovanotti aspettavano sul molo l'arrivo di un piroscafo; la loro impazienza trovava sfogo nelle vivaci scaramucce con un ragazzino che andava di qua e di là come un fuoco fatuo, con molto divertimento delle altre persone lì raccolte.

    «Sono i Campbell. Aspettano la cugina, che è stata all'estero per qualche anno con lo zio, il Dottore», sussurrò una signora ad un'altra, mentre il più bello dei giovanotti le faceva un cenno col cappello, passandole dinnanzi e trascinandosi dietro il ragazzo, che aveva appena salvato da una piccola incursione tra i pali del pontile.

    «Chi è quello?» domandò la donna.

    «Il Principe Charlie, come lo chiamano, un bravo ragazzo, il più promettente dei sette; ma un po' scapestrato, dicono» rispose l'altra, scuotendo il capo.

    «Gli altri sono i fratelli?»

    «No, i cugini. Il maggiore è Archie, un giovanotto esemplare. È appena entrato in commercio con lo zio, e promette di far onore alla famiglia. L'altro, quello con gli occhiali e senza guanti, è Mac, il più strano, che ha appena finito l'università».

    «E il ragazzo?»

    «Oh, è Jamie, il più giovane dei fratelli di Archibald; è il beniamino dell'intera famiglia. Misericordia! Ci finirà dentro, se non lo prendono».

    Le chiacchiere delle signore si interruppero; poiché, proprio mentre Jamie veniva ripescato da una botte, l'ombra del piroscafo comparve all'orizzonte e ogni altra cosa fu dimenticata. Mentre faceva lentamente manovra per entrare nel porto, una voce di ragazzo gridò:

    «Eccola! Vedo lei e lo zio e Phebe! Hurrà per la cugina Rose!» e Jamie lanciò tre decisi «Evviva!», stando ritto su un palo e agitando le braccia come le pale di un mulino a vento, col fratello che lo teneva per un lembo della giacca.

    Sì, eccoli: lo zio che sventolava il cappello come un ragazzo, da un lato Phebe che sorrideva e salutava, dall'altro Rose che mandava baci con tutt'e due le mani, lieta nel riconoscere volti cari e nell'udire voci conosciute che le davano il benvenuto a casa.

    «Che sia benedetta! È più bella che mai! Sembra una Madonna, non è vero? Con quella mantella blu e i capelli biondi al vento!» disse Charlie eccitato, mentre guardavano verso il gruppetto sul ponte con occhi ansiosi.

    «Le Madonne non portano cappelli del genere. Rose non è cambiata molto, ma Phebe sì! È una vera bellezza!» rispose Archie, fissando intensamente la giovane donna dagli occhi scuri e dalle lucenti trecce corvine che brillavano al sole.

    «Caro vecchio zio! Non è fantastico riaverlo tra noi?» fu tutto ciò che disse Mac; ma egli non guardava al caro vecchio zio, mentre faceva questa ardente osservazione: egli vedeva soltanto la snella ragazza bionda al suo fianco, e tendeva le mani per incontrare quelle di lei, dimentico dell'acqua che li separava.

    Nella confusione che regnò per un momento, mentre il piroscafo ormeggiava, Rose guardò giù, ai tre volti sollevati verso di lei, e parve leggervi qualcosa che la rese felice e addolorata al tempo stesso. Fu soltanto uno sguardo, e i suoi occhi erano pieni di lacrime; ma attraverso il velo di quelle lacrime di gioia ebbe l'impressione che Archie fosse lo stesso, che Mac fosse notevolmente migliorato, ma che in Charlie qualcosa non andasse. Non ebbe tempo per riflettere, tuttavia: in un momento la discesa era cominciata e, prima che potesse afferrare la sua valigia, Jamie le si era aggrappato al collo come un giovane orso estatico. Con difficoltà fu liberata dal suo abbraccio per cadere in quello più dolce dei cugini più grandi, che approfittarono dell’eccitazione generale per accogliere entrambe le fanciulle con affettuosa imparzialità. Poi i girovaghi furono portati a terra con trionfale processione, mentre Jamie li precedeva danzando entusiasta persino sulla passarella.

    Archie rimase ad aiutare lo zio a prendere i bagagli alla dogana, gli altri scortarono le fanciulle a casa. Non appena si trovarono chiusi nella carrozza, però, un curioso imbarazzo parve scendere sui giovani: improvvisamente, si resero conto che i compagni di giochi di un tempo erano ora uomini e donne. Per fortuna, Jamie non era soggetto a questo pudore e, sedutosi fra le due signorine, si prendeva ogni sorta di libertà con loro e coi loro effetti personali.

    «Bene, ometto, che cosa pensi di noi?» domandò Rose, per rompere l’imbarazzate silenzio.

    «Siete diventate così graziose che non so decidere chi di voi mi piaccia di più. Phebe è più alta e radiosa, e io ho sempre avuto una simpatia per lei; ma, non so, tu hai un’aria così dolce e cara, che penso proprio di doverti abbracciare di nuovo» e il ragazzo lo fece impetuosamente.

    «Se è a me che vuoi più bene, allora non mi dispiace se pensi che la più bella sia Phebe, perché è davvero così. Non è vero, ragazzi?» domandò Rose, con uno sguardo malizioso ai gentiluomini seduti di fronte, i cui visi esprimevano una rispettosa ammirazione che la divertiva molto.

    «Sono talmente abbagliato dallo splendore e dalla bellezza che si è improvvisamente riversata su di me, che non ho parole per esprimere le mie emozioni» rispose Charlie, schivando galantemente l’insidiosa domanda.

    «Io non lo so ancora, perché finora non ho avuto tempo di guardarvi. Lo farò adesso, se non vi dispiace» e, con grande divertimento degli altri, Mac si sistemò gravemente gli occhiali sul naso e prese ad osservarle.

    «Ebbene?» domandò Phebe, sorridendo e arrossendo sotto lo sguardo onesto del giovane, non risentendosene, come aveva invece fatto con l’altera approvazione degli audaci occhi azzurri di Charlie, alla quale aveva risposto con un lampo di sdegno dei suoi occhi neri.

    «Penso che se fossi mia sorella, sarei molto fiero di te, perché il tuo volto mostra ciò che ammiro più della bellezza: sincerità e coraggio, Phebe» rispose Mac con un lieve inchino, e v’era un tale genuino rispetto in quel gesto, che la sorpresa e il piacere spensero il fuoco negli occhi della ragazza e calmarono il sensibile orgoglio del suo cuore.

    Rose batté le mani, come era solita fare quando qualcosa la deliziava, e con un sorriso di approvazione disse al cugino:

    «Ecco, questo sì che è un giudizio che vale la pena di avere, e te ne siamo molto obbligate. Ero sicura che tu avresti ammirato la mia Phebe, quando l’avessi conosciuta bene, ma non credevo che saresti stato così saggio da farlo subito; sei salito di molti punti nella mia stima, te lo assicuro».

    «Sono sempre stato appassionato di mineralogia, ricordi? Ne ho maneggiati un bel po’ ultimamente, perciò ho imparato a riconoscere i metalli preziosi quando li vedo» disse Mac col suo sorriso scaltro.

    «È questo il tuo ultimo passatempo, quindi? Le tue lettere ci hanno divertite un sacco: ognuna recava una nuova teoria o un nuovo esperimento, e l’ultimo era sempre il migliore. Pensavo che lo zio sarebbe morto dalle risate con la mania vegetariana: è stato esilarante immaginarti a vivere di pane e di latte, di mele al forno e di patate cotte sul fuoco» continuò Rose, cambiando di nuovo argomento.

    «Questo tizio è stato lo zimbello della sua classe. Lo chiamavano Don Chisciotte¹; e il modo in cui è andato contro mulini a vento di ogni sorta è stato uno spettacolo eccezionale» disse Charlie, ritenendo che Mac fosse stato coccolato abbastanza per i suoi gusti.

    «Eppure Don Chisciotte ha finito gli studi con tutti gli onori. Oh, come ne sono stata fiera quando zia Jane ce l’ha scritto! Com’era felice che il suo ragazzo fosse il primo del suo corso e avesse vinto la medaglia!» esclamò Rose, scuotendo Mac con entrambe le mani, e facendo desiderare a Charlie che questo tizio fosse rimasto indietro, con lo zio Alec.

    «Oh, andiamo, erano tutte sciocchezze della mamma. Ho cominciato prima degli altri e mi è piaciuto più degli altri: perciò non merito alcuna lode. Il Principe ha ragione, però: mi sono reso ridicolo; ma, nel complesso, non sono sicuro che i piaceri cui mi sono dato fossero peggiori di quelli cui si sono dati altri. Ad ogni modo, non mi sono costati molto e non sono certo peggiore a causa loro» disse Mac, placidamente.

    «So che cosa significa ‘piaceri’. Ho sentito zio Mac dire che Charlie ci si stava tuffando troppo in fretta. Ho chiesto a mamma che cosa voleva dire e lei me l’ha spiegato. E so che è stato sospeso o espulso, non ricordo quale dei due, ma era qualcosa di brutto, e zia Clara ha pianto» aggiunse Jamie, tutto d’un fiato; poiché possedeva il dono fatale di fare commenti inappropriati, cosa che faceva di lui il terrore della famiglia.

    «Vuoi andare di nuovo in cassetta?» domandò il Principe, con un’occhiata di ammonimento.

    «No».

    «Allora tieni a freno la lingua».

    «Be’, Mac non ha bisogno di prendermi a calci; io stavo solo…» cominciò il colpevole, finendo, innocentemente, per peggiorare le cose.

    «Basta!» lo interruppe Charlie, severamente, e James tacque, trovando consolazione nell’orologio nuovo di Rose per le umiliazioni subite per mano dei vecchi, come chiamava, per vendicarsi, i cugini più grandi.

    Mac e Charlie cominciarono subito a parlare quanto più velocemente consentito dalle loro lingue, fornendo un’ampia varietà di argomenti piacevoli e con un tale successo di ilarità, da far sì che i passanti guardassero alla comitiva con sorrisi partecipi.

    Non appena giunti a casa, Rose fu sommersa da una valanga di zie, e per il resto della giornata la vecchia casa ronzò come un alveare. La sera trovò l’intera tribù raccolta nei salotti, ad eccezione di zia Peace, il cui posto era ora vuoto.

    Naturalmente, dopo un po’, gli adulti si raccolsero da una parte e i giovani si riunirono intorno alle due fanciulle, come farfalle attorno a due seducenti fiori. Il dottor Alec era la figura centrale in una stanza e Rose nell’altra; perché la ragazzina, che tutti avevano amato e coccolato, era sbocciata in una donna; e due anni di assenza aveva operato un curioso cambiamento nelle posizioni dei cugini, soprattutto nei tre più grandi, che la osservavano con un misto di affetto fanciullesco e di mascolina ammirazione che era tanto nuovo quanto piacevole.

    In lei v’era, allo stesso tempo, qualcosa di dolce e di vivace che affascinava e solleticava la loro curiosità: ella non era come le altre ragazze e, di tanto in tanto, li sorprendeva con qualche discorsetto o qualche atto d’indipendenza, che li faceva guardare l’un l’altro con un sorriso malizioso, come se si fossero ricordati che Rose era la ragazza dello zio.

    Ascoltiamo, per educazione, prima ciò che hanno da dire gli adulti; poiché essi stanno già costruendo castelli in aria per ragazzi e ragazze.

    «Cara Bambina! Che bellezza vederla di nuovo al sicuro, così in salute e felice e dolce come sempre!» disse zia Plenty, giungendo le mani come a rendere grazie al Signore per una grande gioia.

    «Non mi meraviglierei se venisse fuori che hai portato un tizzone ardente in seno alla famiglia, Alec. Due, anzi: Phebe è una bella ragazza, e i ragazzi se ne sono già accorti, se non m’inganno» aggiunse zio Mac, con un cenno verso l’altra stanza.

    Tutti gli sguardi seguirono il suo e, quello che videro nel salottino sul retro, fu un quadretto molto suggestivo.

    Rose e Phebe, sedute una accanto all’altra sul divano, avevano evidentemente occupato immediatamente i posti cui erano destinate per diritto di gioventù, di sesso e di bellezza; poiché Phebe aveva smesso da tempo i panni della cameriera ed era diventata l’amica, e Rose voleva che fosse subito chiaro a tutti.

    Jamie sedeva sul tappeto, mentre Will e Geordie stavano in piedi, a loro agio, mettendo in mostra le loro uniformi: ora frequentavano un’ottima scuola, dove l’addestramento militare dava loro grande gioia. Steve sedeva con grazia in una poltrona, con Mac disteso dietro, sullo schienale; mentre Archie stava appoggiato alla mensola del camino, guardando verso Phebe, che l’ascoltava con il sorriso sulle labbra e le guance quasi dello stesso colore dei garofani che portava alla cintura.

    Ma Charlie era quello che faceva la migliore figura, nonostante sedesse su uno sgabello per pianoforte, una seduta critica per ogni uomo non dotato di grazia nella gestione delle proprie gambe. Fortunatamente, questa dote a Charlie non mancava, e aveva assunto una postura disinvolta, con un braccio sullo schienale del divano e la bella testa leggermente piegata, mentre monopolizzava Rose, con aria devota e un’espressione di chiaro piacere sul volto.

    Zia Clara sorrise compiaciuta; zia Jessie parve pensierosa; gli occhi penetranti di zia Jane andarono dall’elegante Steve al solido Mac, con uno sguardo ansioso; la signora Myra mormorò qualcosa circa la sua benedetta Caroline; e zia Plenty disse con calore:

    «Che siano benedetti! Chiunque sarebbe fiero di un tale stuolo di bei giovani».

    «Sono pronta ad assumermi il ruolo di chaperon non appena vorrai, Alec; perché immagino che la cara Rose debutterà subito in società, visto che non l’ha fatto prima che partiste. Non avrai bisogno dei miei servigi a lungo: con tutte le sue qualità, se la porteranno via in men che non si dica, vedrai» disse la signora Clara, annuendo e sorridendo in modo significativo.

    «Devi metterti d’accordo con Rose: non sono più io il capitano, ormai sono solo il primo ufficiale, sai» rispose il dottor Alec, aggiungendo gravemente, un po’ come se parlasse a sé stesso, un po’ come se si rivolgesse al fratello: «Mi chiedo com’è che la gente abbia tutta questa fretta di ‘lanciare in società’ le proprie figlie. Per quanto mi riguarda, c’è qualcosa di patetico nel vedere una fanciulla sulla soglia del mondo, così innocente e piena di speranza, così ignara di tutto ciò che l’attende, e di solito piuttosto impreparata ad affrontare gli alti e bassi della vita. Con i ragazzi facciamo meglio il nostro dovere; ma le povere ragazze raramente sono provviste di una qualche armatura; e, prima o poi, ne avranno bisogno, perché tutte devono combattere la propria battaglia, e soltanto quelle forti e coraggiose possono vincere».

    «Tu non puoi rimproverarti di negligenza, Alec: hai adempito fedelmente al tuo dovere con la figlia di George. T'invidio l’orgoglio e la felicità di avere una tale figlia, perché lei è questo per te» rispose il vecchio Mac, tradendo inaspettatamente quella tenerezza paterna che gli uomini di rado provano per i propri figli.

    «Ci ho provato, Mac, e sono fiero e felice; ma ogni anno la mia ansia sembra aumentare. Ho fatto del mio meglio per preparare Rose a qualsiasi evenienza, per quello che io posso prevedere; ma ora deve camminare da sola, e non posso far nulla per impedire al suo cuore di soffrire, alla sua vita d’essere rattristita dagli errori o ostacolata dalle azioni degli altri. Io posso solo starle accanto, pronto a condividere le sue gioie e i suoi dolori, e guardarla dar forma alla sua vita».

    «Suvvia, Alec, che cosa starà mai per fare la bambina, perché tu debba assumere uno sguardo tanto solenne?» domandò zia Clara, che già pareva essersi arrogata dei diritti sulla fanciulla.

    «Ascoltate! E lasciate che sia lei stessa a dirvelo» rispose il dottor Alec, mentre si udiva la voce di Rose dire molto seriamente:

    «Ora che ci avete raccontato tutti i vostri progetti per il futuro, perché non ci domandate i nostri?»

    «Perché sappiamo che c’è solo una cosa che può fare una bella ragazza: spezzare una dozzina di cuori prima di trovarne uno che faccia al caso suo, sposarsi e sistemarsi» rispose Charlie, come se fosse l’unica risposta possibile.

    «Questo potrà andar bene per le altre, ma non per noi: Phebe ed io crediamo sia un diritto e un dovere, tanto per le donne quanto per gli uomini, combinare qualcosa nella vita; e noi non abbiamo intenzione di farci andar bene un ruolo tanto frivolo come quello che ci avete assegnato» chiarì Rose, con occhi ardenti. «Dico sul serio, e non mi zittirete mettendovi a ridere. Tu saresti contento se ti dicessero di fare quello che vuoi per un po’ e poi sposarti e non fare niente altro fino alla morte?» aggiunse, rivolgendosi ad Archie.

    «Certo che no: questa è solo una parte della vita di un uomo» rispose Archie con fermezza.

    «Una parte preziosa e bella, ma non è tutto» continuò Rose. «E non dovrebbe esserlo neppure per una donna: abbiamo un cervello e un’anima, oltre al cuore; ambizione e talento, oltre a bellezza ed educazione; e vogliamo vivere ed imparare, tanto quanto amare ed essere amate. Sono stufa di sentirmi dire che una donna sa fare solo questo! Io non voglio avere nulla a che fare con l’amore finché non avrò dimostrato di essere qualcosa oltre che una massaia e una bambinaia».

    «Che il Cielo ci aiuti! Ecco un’agguerrita sostenitrice dei diritti delle donne!» esclamò Charlie, balzando in piedi con un’espressione di finto orrore, mentre gli altri osservavano Rose con un misto di sorpresa e di divertimento, considerando chiaramente il tutto come un mero sfogo infantile.

    «Oh, non è necessario che facciate finta di essere scioccati: lo sarete sul serio fra poco; perché questo è solo il principio di quello che penso» continuò Rose, per niente scoraggiata dai sorrisi di bonaria incredulità o di scherno sui volti dei cugini. «Ho deciso che non voglio essere defraudata di quelle cose che davvero rendono buoni e felici; non voglio, proprio perché sono ricca, incrociare le mani e seguire la corrente come fanno in tante. Non ho vissuto per tutti questi anni con Phebe invano: so che cosa può fare avere coraggio e fiducia in sé stessi. A volte non vorrei avere un neppure centesimo, così da poter andare a guadagnarmi il pane con lei, ed essere coraggiosa ed indipendente come sarà lei molto presto».

    Era chiaro che Rose parlava sul serio adesso; perché, parlando, si era voltata verso l’amica con una tale espressione di rispetto e di affetto, che quello sguardo mostrò, più di qualsiasi parola, con quanto calore la ragazza ricca apprezzasse le virtù che la dura esperienza aveva dato alla ragazza povera, e con che entusiasmo essa desiderasse guadagnarsi ciò che tutta la sua fortuna non poteva comprarle.

    Qualcosa nello sguardo che si scambiarono le due amiche impressionò i giovani, nonostante i loro pregiudizi; e fu con assoluta serietà che Archie disse:

    «Credo che troverai come tenerti occupata, cugina, se vuoi lavorare; perché ho sentito dire che la ricchezza ha le sue preoccupazioni e le sue prove tanto quanto la povertà».

    «Lo so, e ho intenzione di fare del mio meglio. Ho tanti piccoli bei progetti ed ho già cominciato a studiare la mia professione» rispose Rose, con un cenno energico.

    «Potrei chiederti quale sarà?» domandò Charlie, con tono stupito.

    «Indovina!» e Rose guardò verso di lui con un’espressione seria e allegra allo stesso tempo.

    «Be’, dovrei dire che sei perfetta per fare la bellezza; ma, dato che questo chiaramente non è di tuo gusto, temo che tu abbia intenzione di studiare medicina e diventare dottore. Non sarà fantastico per i tuoi pazienti, però? Sarà più facile morire, avvelenati da un angelo».

    «Oh, Charlie, questo è vile da parte tua, quando sai bene che le donne hanno avuto successo in questa professione e di che conforto sia stata la dottoressa Mary Kirk per la cara zia Peace. Io volevo davvero studiare medicina, ma lo zio ha pensato che non andava bene avere così tanti dottori nella stessa famiglia, dato che pensa di diventarlo anche Mac. Inoltre, sembra che ci siano altri lavori per i quali sono più portata».

    «Sei portata per qualsiasi cosa che sia buona e generosa; e io ti sosterrò, qualunque cosa tu abbia scelto» esclamò Mac con calore; perché questo modo di parlare gli era nuovo in una ragazza, e gli piaceva immensamente.

    «La filantropia è una professione generosa, buona e bella; e l’ho scelta perché ho tanto da dare. Sono soltanto l’amministratrice della fortuna che mi ha lasciato papà; e penso che, se la userò saggiamente per la felicità altrui, sarà più benedetta che se la tenessi tutta per me».

    Questo fu detto con molta dolcezza e semplicità, ma fu curioso vedere come fu accolto in modo diverso dai presenti.

    Charlie lanciò un rapido sguardo a sua madre, che esclamò, a suo malgrado:

    «Suvvia, Alec, hai davvero intenzione di permettere che la ragazza sperperi una bella fortuna in caritatevoli sciocchezze di ogni sorta e progetti folli, per la prevenzione del pauperismo e del crimine?»

    «Chi dona al povero, presta al Signore, e la cristianità concreta è ciò che Egli ama di più» fu tutto ciò che rispose il dottor Alec; ma bastò a zittire le zie, e persino l’accorto zio Mac si trovò a pensare con improvvisa soddisfazione a certi investimenti segreti che aveva fatto e che non gli generavano alcun interesse all’infuori della riconoscenza dei poveri.

    Archie e Mac parvero compiaciuti, e offrirono i loro consigli e il loro aiuto con l’entusiasmo tipico dei giovani cuori generosi. Steve scosse il capo, ma non disse nulla; e i ragazzi sul tappeto proposero subito di fondare un ospedale per cani e cavalli invalidi, per topi bianchi ed eroi feriti.

    «Non credi che, per una donna, sarebbe un modo migliore di trascorrere la vita, anziché ballare, agghindarsi e andare a caccia di un marito, Charlie?» domandò Rose, notando il suo silenzio, ansiosa di avere la sua approvazione.

    «Una graziosa occupazione temporanea, e anche molto valida; perché non c’è nulla di più affascinante di una dolce ragazza con un mite cappellino che va in giro a fare visite caritatevoli, onorando le case dei poveri con il suo delizioso miscuglio di bellezza e di benevolenza. Per fortuna, le care creature se ne stufano presto, ma è divino, finché dura».

    Charlie aveva parlato con un tono che esprimeva allo stesso tempo ammirazione e disprezzo, sorridendo con un sorrisetto di superiorità, come se egli comprendesse tutte le innocenti illusioni così come gli astuti artifici del sesso femminile e non si aspettasse altro dalle donne. Questo sorprese e addolorò Rose, perché quello non sembrava il Charlie che aveva lasciato due anni prima. Ma disse soltanto, con uno sguardo di rimprovero e un lieve cenno d’orgoglio della testa e della mano, come a lasciar cadere l’argomento, visto che non veniva trattato con rispetto:

    «Mi dispiace che tu abbia una così bassa considerazione delle donne: c’è stato un tempo in cui credevi in loro sinceramente».

    «E ci credo ancora, parola mia! Esse non hanno al mondo un ammiratore e uno schiavo più devoto di me. Mettimi alla prova e vedrai» esclamò Charlie, baciandosi galantemente la mano in rispetto del gentil sesso in generale.

    Ma questo non bastò a placare Rose; scrollò le spalle sdegnosamente e, con un’espressione che sua signoria non gradì, rispose:

    «Grazie: non desidero ammiratori o schiavi, ma amici che mi diano il loro sostegno. Ho vissuto così a lungo con un uomo saggio e buono che, forse, sono molto difficile da accontentare; ma non intendo abbassare i miei standard, e chiunque tenga alla mia stima deve almeno cercare di meritarsela».

    «Accidenti! Ecco una colombella adirata! Vieni a lisciarle le penne arruffate, Mac. Io me la svigno, prima di fare ulteriori danni» e Charlie si allontanò nell’altra stanza, dolendosi in cuor suo che lo zio Alec avesse rovinato una bella ragazza, rendendola tanto forte e risoluta.

    Cinque minuti più tardi, però, Charlie avrebbe voluto tornare indietro, poiché Mac disse qualcosa che suscitò grandi risate e, guardando nell’altra stanza, la colombella adirata stava tubando così placidamente e piacevolmente che fu tentato di ritornare di là e prendere parte al divertimento. Ma Charlie era stato rovinato dalla troppa indulgenza, ed era difficile per lui ammettere di essere nel torto, anche quando se ne rendeva conto. Egli otteneva sempre quello che voleva, presto o tardi; e, avendo già deciso da tempo che Rose e la sua fortuna dovevano diventare sue, era segretamente contrariato dei nuovi piani e delle nuove convinzioni della fanciulla, ma s’illudeva che presto sarebbero cambiati, quando la ragazza avesse visto quanto erano impopolari e inopportuni.

    Meditando sul delizioso avvenire che aveva progettato, si accomodò in un angolo del divano, accanto a sua madre, finché la comparsa di un piccolo rinfresco fece sì che i due gruppi si riunissero. Zia Plenty credeva nella convivialità; perciò ogni scusa per festeggiare rallegrava il suo animo ospitale, e in questa gioiosa occasione superò sé stessa.

    Fu durante questo banchetto informale che Rose, vagabondando da un parente all’altro, si avvicinò ai tre ragazzi più giovani, che, in un angolo appartato, avevano cominciato una piccola baruffa.

    «Venite qui, e lasciatevi guardare» disse in modo seducente; poiché sapeva che se non si ristabiliva in fretta la pace, ci sarebbero stati un’esplosione e un disonore pubblico.

    Ricomponendosi in tutta fretta, i giovani gentiluomini presentarono tre volti arrossati e allegri all’ispezione, sentendosi molto onorati per quell’ordine della cugina.

    «Povera me, quanto siete cresciuti, voi due! Che giganti! Come avete osato superarmi in questo modo?» disse, alzandosi in punta di piedi per accarezzare le due teste ricciolute davanti a lei: Will e Geordie erano diventati due spilungoni, e ora sorridevano allegramente guardandola dall’alto, mentre lei li osservava con comico stupore.

    «I Campbell sono tutti ragazzi belli e alti; e noi intendiamo diventare i migliori del gruppo. Non mi stupirei se arrivassimo al metro e novanta, come il nonno» osservò orgoglioso Will, che somigliava così tanto ad un galletto Kurokashiwa, tutto gambe e la testa piccola, che Rose riuscì a stento a restar seria.

    «Ci irrobustiremo quando avremo finito di crescere. Adesso siamo più alti di Steve, di mezza testa, tutti e due» aggiunse Geordie, col naso per aria.

    Rose si voltò a guardare Steve e, con un improvviso sorriso, gli fece un cenno. Quello lasciò cadere il tovagliolo e si precipitò ad obbedire all’ordine; poiché Rose era la regina del momento, ed egli le aveva dichiarato apertamente fedeltà fino alla morte.

    «Di’ agli altri ragazzi di venire qui. Voglio mettervi tutti in fila e guardarvi, come avete fatto voi con me quel giorno orribile, quando mi avete quasi spaventata a morte» disse Rose, ridendo a quel ricordo.

    I giovani si presentarono tutti insieme e, stando spalla a spalla, formarono un tale imponente schieramento, che la giovane comandante ne fu intimidita per un momento. Ma, ormai, ella aveva visto abbastanza il mondo da non imbarazzarsi per così poco; e il desiderio di fare una birichinata le diede il coraggio di affrontare la schiera di cugini sorridenti con dignità e spirito.

    «Ora ho intenzione di fissarvi così come voi avete fissato me. È la mia vendetta su voi, ragazzacci, per aver preso in trappola una povera bambina e aver goduto del suo spavento. Non ho affatto paura di voi, adesso; perciò tremate e state in guardia!»

    Così dicendo, Rose alzò lo sguardo sul volto di Archie e fece un cenno di approvazione: i saldi occhi grigi incontrarono i suoi onestamente e, nel far ciò, si addolcirono, un cambiamento che gli donava, perché per natura erano più penetranti che dolci.

    «Un vero Campbell, che Dio ti benedica!» disse e gli strinse la mano con calore, passando oltre.

    Dopo veniva Charlie, e davanti a lui Rose si sentì meno soddisfatta, anche se scarsamente consapevole del perché: mentre lo fissava, in quegli occhi vi fu un bagliore di sfida che di colpo si trasformò in qualcosa di più caldo della rabbia, più forte dell’orgoglio, che la fece indietreggiare un poco e dire, in tutta fretta:

    «Non trovo il Charlie che ho lasciato; ma il Principe c’è ancora, vedo».

    Volgendosi verso Mac con un senso di sollievo, gli tolse gentilmente i ‘paraocchi’, come

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