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Endora - Il tempo degli inganni
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Endora - Il tempo degli inganni

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LA SAGA DI ENDORA – VOLUME TERZO

Tre scenari e tre campi di battaglia in questo nuovo terzo episodio.

Sul confine ovest del regno di Endora gli attacchi dei selvaggi Qanaki si fanno sempre più audaci. Naydeia si trova a fronteggiare un nemico molto pericoloso con un reggimento stremato e pieno di reclute, mentre il suo matrimonio con Killiar continua ad essere un’incognita, colma di troppi silenzi e incomprensioni.

Tra Daigo e l’ex libero-amante è nata un’amicizia ambigua, basata sull’inganno e sulla solitudine, perché l’Aldair vuole avvicinarsi sempre di più al marito di Naydeia, in cerca della propria vendetta.

A sua volta, Killiar è molto vulnerabile; troppo solo e tenuto a distanza anche da sua moglie che, pur amandolo profondamente, non riesce a credere al suo interesse verso di lei.

Ma il destino è in agguato, pronto a sconvolgere il gioco astuto di Daigo e a mettere alla prova amori e amicizie. La ferocia dei barbari porterà sangue e morte, e i disegni del fato metteranno allo scoperto verità dolorose e segreti antichi.

Nella capitale, Omira, spie e sicarie si muovono in una guerra d’intrighi altrettanto pericolosa, portando avanti la congiura per schiacciare gli aneliti di libertà dei maschi del regno. Yadosh e Rainna devono difendere non solo se stessi e le loro alleate, ma anche la famiglia. Gylia, la figlia maggiore, milita nelle Jamirie, ignara della loro corruzione, ma decisa a difenderne l’onore. Invece Nhavi, la figlia minore, si prepara a combattere al fianco della madre e dell’uomo che considera un padre.

Com’è possibile fare ciò che è giusto quando questo divide la tua famiglia?

Infine, la lotta tra le Sacerdotesse di Katra e le Sciamane di Alcheria si fa sempre più violenta, la magia dello Spirito Guerriero acquista energia e si prepara a reclamare il proprio posto nella società di Endora. Solo un tributo di sangue può fermare la sua corsa verso la verità, e chi è disposta a pagarlo va incontro a un destino di morte.

Rimane ancora una speranza per mutare il destino degli uomini di Endora: l’Ultimo Erede di Innho, anche se di lui si sono perse le tracce. Come e dove trovarlo?
LanguageItaliano
Release dateMar 5, 2017
ISBN9788826035611
Endora - Il tempo degli inganni

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    Endora - Il tempo degli inganni - Fernanda Romani

    casuale. 

    LA SAGA DI ENDORA – VOLUME TERZO

    Tre scenari e tre campi di battaglia in questo nuovo terzo episodio.

    Sul confine ovest del regno di Endora gli attacchi dei selvaggi Qanaki si fanno sempre più audaci. Naydeia si trova a fronteggiare un nemico molto pericoloso con un reggimento stremato e pieno di reclute, mentre il suo matrimonio con Killiar continua ad essere un’incognita, colma di troppi silenzi e incomprensioni.

    Tra Daigo e l’ex libero-amante è nata un’amicizia ambigua, basata sull’inganno e sulla solitudine, perché l’Aldair vuole avvicinarsi sempre di più al marito di Naydeia, in cerca della propria vendetta.

    A sua volta, Killiar è molto vulnerabile; troppo solo e tenuto a distanza anche da sua moglie che, pur amandolo profondamente, non riesce a credere al suo interesse verso di lei.

    Ma il destino è in agguato, pronto a sconvolgere il gioco astuto di Daigo e a mettere alla prova amori e amicizie. La ferocia dei barbari porterà sangue e morte, e i disegni del fato metteranno allo scoperto verità dolorose e segreti antichi.

    Nella capitale, Omira, spie e sicarie si muovono in una guerra d’intrighi altrettanto pericolosa, portando avanti la congiura per schiacciare gli aneliti di libertà dei maschi del regno. Yadosh e Rainna devono difendere non solo se stessi e le loro alleate, ma anche la famiglia. Gylia, la figlia maggiore, milita nelle Jamirie, ignara della loro corruzione, ma decisa a difenderne l’onore. Invece Nhavi, la figlia minore, si prepara a combattere al fianco della madre e dell’uomo che considera un padre.

    Com’è possibile fare ciò che è giusto quando questo divide la tua famiglia?

    Infine, la lotta tra le Sacerdotesse di Katra e le Sciamane di Alcheria si fa sempre più violenta, la magia dello Spirito Guerriero acquista energia e si prepara a reclamare il proprio posto nella società di Endora. Solo un tributo di sangue può fermare la sua corsa verso la verità, e chi è disposta a pagarlo va incontro a un destino di morte.

    Rimane ancora una speranza per mutare il destino degli uomini di Endora: l’Ultimo Erede di Innho, anche se di lui si sono perse le tracce. Come e dove trovarlo?

    ENDORA

    Fernanda Romani

    Terzo episodio

    Il tempo degli inganni

    Parte prima

    I

    Territori di confine  - Regione di Nyliai - Selve del Falco

    Killiar si portò sull’altro fianco del castrone e cominciò a passare la striglia anche lì. 

    Daigo, intento a fare la stessa cosa sul proprio mustano, ostentò un’occhiata distratta mentre il lunghi-capelli si poneva nella nuova posizione, proprio di fronte a lui: come se cercasse risposte nei suoi occhi felini. 

    − Cantare? Perché vorresti imparare a cantare? Gli uomini Aldair non cantano.

    − Appunto – gli fece subito eco, fingendo indifferenza. − Così sarò il primo. Mi piace essere il primo. Tu mi insegnerai a cantare e io ti insegnerò a fare il verso dell’allodola di palude.

    − A Endora non ci sono paludi. E nemmeno allodole.

    − Meglio. Così se lo farai male nessuno se ne accorgerà.     

    Daigo venne colto di sorpresa. Dapprima fu un respiro trattenuto, quasi che Killiar avesse un malore, poi divenne una vibrazione appena soffocata; infine, inaspettato come l’airone blu delle antiche leggende, volò libero nell’aria: uno scroscio di voce maschile, aperta, morbida. Un’armonia che accarezzava i sensi e offriva serenità, piena di sfumature e tuttavia limpida, senza incertezze.

    Sta ridendo!

    Potente Dea! Lui sta ridendo!

    Incredulo, nell’udire quel suono, malgrado l’avesse cercato buttando lì una sciocchezza spiritosa, lanciò un'occhiata a Killiar, sbirciando al di sopra della schiena del proprio cavallo, senza interrompere il lavoro di striglia.

    Il Dikkral rispose alla sua battuta con un'altra, altrettanto sciocca, ma questa volta lui non si fece sorprendere e si unì all'allegria.

    Non l’aveva mai sentito ridere.

    Ancora non riusciva a credere a quella confidenza, coltivata nei lunghi giorni di viaggio all'interno delle Colline Bianche, dopo che, a Oden, lui aveva salvato Killiar dalla guerriera decisa a ucciderlo. 

    Chi mi sta a cuore può sempre contare su di me. Senza aver paura di nulla.

    Quelle parole erano state l’inizio di tutto.

    Mentre il reggimento cercava il misterioso villaggio dei Qanaki, a caccia di presunte prigioniere, lui aveva dato al lunghi-capelli ciò che faticava a trovare perfino tra i maschi della sua stessa etnia. Amicizia.

    Siediti con noi, Killiar. Prendi una tazza di mhit caldo mentre aspetti la ma-dessa...

    Momenti, gesti, silenzi, ricordi.

    Guarda, Killiar, un albero di tambran! Da quanto tempo non ne vedevo uno!

    Sono molto rari, Daigo. Stanno scomparendo. 

     Al mio villaggio ce n’era uno, quando ero bambino: aveva centinaia di anni. Mio fratello e io ci avevamo costruito sopra un rifugio. Il giorno in cui l’albero morì, fu come se avessi perso un amico…

    E chiacchiere, tante chiacchiere.

    Killiar, hai saputo che la ma-dei Vannia ha una figlia danzatrice? Pare che sia molto richiesta, si è esibita perfino di fronte alla regina. Ho conosciuto diverse danzatrici quando ero giovane, bellissime femmine! Ricordo ancora tutti i loro nomi. Dunque, Saidha …

    Non una sola parola era andata sprecata. Ognuna di esse era un piccolo seme lasciato cadere in un terreno fertile, affamato di gesti, sguardi, anche solo di suoni. Qualunque cosa emanasse calore, conforto, presenza.     

    Ora Daigo sapeva che i frutti della sua paziente semina avevano iniziato a prendere forma. Lui e Killiar erano lì, a lavorare insieme, ridendo di stupide cose come accadeva spesso tra uomini.  

    Quanta solitudine era stata necessaria per spingere il marito di Naydeia verso di lui?

    Sì, era un uomo solo. Solo tra quelli del suo popolo, solo in mezzo alle donne, solo quando era con sua moglie. Un uomo fuori posto, sempre.

    Lo osservò di sottecchi. Il Dikkral stava finendo di accudire il robusto castrone grigio. Gesti precisi, movimenti rapidi, un buon lavoratore. Eppure questo non era sufficiente per fargli trovare un posto nella vita, un ruolo che fosse diverso da quello a cui era stato destinato: rendere felici le donne. Anche se l’unica alla quale doveva dedicarsi, dal giorno in cui si era sposato, non sembrava  trarre felicità da quell’unione.

    Il buonumore che li aveva uniti era ormai divenuto un silenzio amichevole, una mancanza di suoni che galleggiava nell’aria, soffusa come un velo, impalpabile ma presente. 

    Daigo era sicuro che quella piccola vittoria sarebbe stata un punto di partenza, per poter andare oltre.

    Fino in fondo. Un passo alla volta. 

    Doveva solo continuare ad attirare Killiar verso di sé.

    *

    Naydeia indietreggiò, celandosi ancora di più dietro ai cespugli che fiancheggiavano il recinto dei cavalli. Era andata fin lì per controllare se la ferita alla zampa del suo baio era stata curata come si deve, ma la risata di Killiar l’aveva colta di sorpresa. Un suono di allegria, una nota calda e virile che si propagava nell’aria fresca del primo mattino, lasciando dietro di sé, sconfitti, i pochi raggi di sole che filtravano tra le foglie degli alberi circostanti. Non c’era calore che potesse eguagliare la spensierata leggerezza di quella voce che ora le sembrava così estranea.

    Con lei non aveva mai riso in quel modo.

    Era cortese, rispettoso, non mancava mai ai propri doveri. A volte le elargiva anche un sorriso. 

    Ma spesso lei lo accoglieva con un senso di smarrimento, troppo presa dal dubbio che fosse solo frutto delle sue abitudini di libero amante.

    Daigo, a quanto pare, non aveva questi problemi. Si stava godendo la compagnia di un uomo che, da quel che lei ne sapeva, lo aveva sempre temuto e mal sopportato, malgrado gli dovesse la vita.

    Come era riuscito a rovesciare la situazione in quel modo?

    Come era arrivato dove lei faticava persino a vedere una via, un sentiero, una traccia?

    Eppure nel suo matrimonio qualcosa era cambiato. Aveva dimostrato a Killiar quanta fiducia riponesse in lui, una fiducia che nessuna donna poteva insidiare. Aveva ucciso per lui e sentiva che questo era stato importante per la loro unione. Suo marito sapeva di potersi affidare a lei senza timore, sapeva che non si sarebbe fatta ingannare da chi cercava di dividerli.

    Appena ebbe formulato questo pensiero una profonda certezza la ferì. Era lei il problema. Era lei che lo allontanava, dubitando di ogni suo gesto invece di goderne.

    Se qualcuno doveva cambiare, quella era lei. 

    * * *

    Daigo parava i colpi del bastone di Naimio con sicurezza, ma avvertiva che il ragazzo stava diventando un avversario sempre più temibile. Da quando aveva iniziato ad addestrarlo migliorava ogni giorno di più. 

    Evitò di un soffio un affondo che avrebbe potuto causare seri danni alle sue costole e rispose girando su se stesso per poi abbattere il dakshat sul braccio teso del giovane. Approfittò delle sorpresa e del dolore provocato per disarmarlo, quindi lo scagliò a terra e lo immobilizzò tenendogli un ginocchio sul petto; la delusione sul volto del ragazzo si tradusse in uno sbuffo spazientito. Daigo si chinò su di lui per esercitare il suo diritto di vincitore, si impadronì delle labbra e le racchiuse in un bacio colmo di indugi, assaporando ancora una volta la sensualità del suo cucciolo. Già pregustava il momento in cui si sarebbero ritirati nella sua tenda, dove avrebbe riscosso il resto della vittoria; il pomeriggio avanzava a passo veloce e la notte era riservata alle donne.

    − Perdonami.

    La voce di uno dei guerrieri lo costrinse a porre fine al piacevole passatempo. Si rialzò, piantando gli occhi in faccia a chi lo aveva disturbato.

    − Lui è solo. Come avevi ordinato.

    Ogni traccia di languore erotico scomparve dal suo corpo. Aspettava quel momento dal giorno in cui erano partiti da Oden. 

    * * *

    Mennuo sbuffò, spazientito dal doversi occupare da solo di prendere la legna da ardere. Consapevole di essere malvisto dai compagni,  a causa della sua ostilità  verso il cugino Daigo, aveva accettato il compito senza protestare malgrado quel lavoro si facesse sempre in due. Si era illuso che qualcuno dei lavoranti fosse nei dintorni e potesse dargli una mano ma, nell’affollato spazio riservato ai carriaggi, sembrava che all’improvviso fossero tutti scomparsi. Maledì la pigrizia dei Dikkral e scese dal cassone scostando il telo che lo ricopriva. Raccolse i pezzi di legno che aveva gettato fuori. Erano troppi per portarli tutti in una volta sola. Avrebbe dovuto fare un altro viaggio.

    Il suo istinto lo mise in allarme. Qualcuno era dietro di lui.

    Lasciò cadere di colpo ciò che aveva in braccio e si voltò, pronto a combattere.

    − Vedo che i tuoi sensi di Aldair funzionano molto bene.  

    Daigo lo fissava con le pupille verticali ridotte a due sottili fessure. Teneva in mano il proprio bastone tribale, ma anche nell’altra aveva un dakshat

    Mennuo lo riconobbe. Era il suo.  

    Un fremito gli invase il petto. Finalmente avrebbe avuto l’occasione di sfogare tutto l’odio che lo consumava. Non si chiese perché il cugino volesse un duello, non era importante. L’unica cosa a cui ambiva in quel momento era vederlo a terra, sconfitto. Voleva esercitare su di lui il diritto del vincitore, umiliarlo, per dimostrare a tutti che non era degno di essere un capo. Era consapevole che nessuno lo aveva mai battuto, ma non aveva dubbi che lui sarebbe stato il primo a riuscirci.

    Daigo gli tese il bastone e Mennuo lo afferrò, assaporando la presa su quell’arma che rappresentava l’essenza del suo rango di guerriero.

    Nel frattempo una decina di altri Aldair li aveva circondati, in silenzio.

    La voce del cugino trafisse il brusio dell’accampamento come una lama, intrisa di vendetta e disprezzo.

    − Credevi davvero che nessuno ti avesse visto, a Oden, mentre ti nascondevi nei cespugli invece di fare il tuo dovere quando ho chiesto il soccorso della brigata?

    − Dovere! − ruggì Mennuo − Hai rischiato la vita per proteggere quel Killiar! Un maschio senza valore che sogni di portare nel tuo letto. Non sei degno di essere un capo! Da quando ti sei perso dietro agli occhi della comandante, non hai fatto altro che mettere in pericolo il nostro onore! Io non ho doveri verso di te!

    Gli si avventò contro, portando colpi frenetici al volto e alle ginocchia. Non riuscì a sorprenderlo. Daigo parava con precisione ogni suo attacco; agile e perfetto, si muoveva da vero felino, senza lasciarsi scalfire. 

    Quando fece una finta, lasciando scoperto il collo, Mennuo per poco non cadde nella trappola. Attaccò, ma subito si ritrasse, un istante prima che il bastone dell’avversario gli arrivasse al viso. Un balenio inconsapevole lo aveva salvato e lo costrinse a pensare, a studiare le proprie mosse. I suoi colpi divennero  meno ansiosi e più solidi, l’esperienza prese possesso dell’odio e guidò la sua mano. Daigo era forte, potente nei suoi assalti, sicuro di ogni sua azione. 

    Mennuo lo attaccò con movimenti rotatori, deciso a spegnere la luce di superiorità nei suoi occhi. Un colpo alla gamba spense il suo impeto. Piegò il ginocchio, attraversato da una fitta di dolore, e vide il cugino andargli addosso. Lo respinse, tentando di piantargli il dakshat nello stomaco. Daigo riuscì a schivarlo di poco, ma ne fu sbilanciato e cadde a terra. Mennuo ne approfittò per tentare di abbattergli il bastone sul volto, l’altro riuscì a evitarlo, rotolò via e, rialzatosi di scatto, attaccò a sua volta. Lui sostenne l’assalto, preciso nel fermare ogni colpo, fino a rimettersi in piedi. Nessun affondo riuscì a toccarlo, li parava senza timore, in attesa del momento giusto per rispondere. Quando vide il cugino gettarsi in un attacco più violento degli altri, ma sbilanciato a causa dell’erba scivolosa, colse la sua occasione. Schivò l’estremità del legno, lo sentì passare sotto il suo braccio senza fare danni, e abbatté il dakshat sulla schiena di Daigo. Questi cadde, ma gli fece lo sgambetto, trascinandolo con sé. Mennuo, allarmato, tentò di liberarsi, ma non poté impedire che il bastone gli venisse strappato dalle mani. Lo perse e rotolò su se stesso,  ansioso di sfuggire all’avversario. Lo vide mentre gli si avventava addosso e reagì scalciando con i piedi uniti. Lo scagliò poco lontano e usò quegli istanti di respiro per guardarsi attorno, in cerca della propria arma. La vide alla propria destra e si rialzò, gettandosi in quella direzione. Appena la sua mano strinse il legno, un colpo allo stomaco gli tolse il fiato e cadde di nuovo.   

    Daigo gli fu subito addosso con il bastone appoggiato alla sua gola e Mennuo seppe che anche questa volta il cugino era il vincitore. Come sempre, da quando erano ragazzi. Niente era cambiato. Un’ira feroce penetrò nella sua frustrazione e lo rese cieco a qualsiasi prudenza. Tentò di allungare un braccio, ma la spinta del bastone divenne più intensa e gli tolse il respiro. Si aggrappò alle mani di Daigo, nel disperato tentativo di togliersi da quella morsa insopportabile, ma ogni muscolo dell’uomo che incombeva sopra di lui pareva fatto di granito. Nulla lo scalfiva, nemmeno il suo odio.

    Ormai Mennuo si sentiva scoppiare il petto, la gola era una fessura rinsecchita senza più speranza di trovare sollievo, e il buio si faceva strada oltre il suo sguardo. 

    Quando si richiuse su di lui l’ultima cosa che vide fu il volto di Daigo, letale nel suo trionfo, una roccia scolpita dal disprezzo, occhi screziati da lampi di violenza. Felino contro felino 

    Non avevano mai smesso di essere pantere.

    * * *

    La violenza dell’acqua sul viso gli fece aprire gli occhi di colpo.

    Mennuo rialzò la testa, scrollando via il liquido che l’aveva risvegliato. Si guardò attorno, stupito di essere ancora vivo. Il cerchio dei guerrieri era divenuto più fitto; Daigo era in piedi, di fronte a lui, impugnava il dakshat come fosse uno scettro ed esibiva un’espressione di regalità offesa che gli snebbiò subito la mente, riportando in superficie tutto l’odio che provava verso un uomo così indegno del proprio rango. 

    Si rimise in piedi, consapevole di essere l’unico a pensarla così. Gli altri Aldair forse non comprendevano le scelte di Daigo, ma di certo non erano disposti a biasimarlo per questo. Si avvicinò al cugino, schifato all’idea di dovergli concedere il proprio corpo come ricompensa del vincitore, ma ancora più in collera con lui e tutti gli altri per l’immeritata lealtà che ogni guerriero gli dimostrava.

    − Ti darò la ricompensa che ti sei guadagnato 

    Daigo lo fissò come se fosse letame.

    − Non sporcherò la mia preziosa asta con uno come te. − Alzò di poco la voce. − Non riconosco alcun onore a quest’uomo. Concedo al mio cucciolo il diritto di riscuotere la mia ricompensa.

    − No! 

    Mennuo gridò il suo rifiuto, pur sapendo quanto fosse inutile. Gli occhi del cugino gli dicevano che era deciso a punirlo nella maniera più infame. Con uno scatto disperato tentò di afferrarlo alla gola, ma il colpo di bastone che ricevette in pieno viso lo fece barcollare. Annaspò, in cerca di equilibrio, e le sue mani si imbatterono in qualcuno a cui aggrapparsi. Non era aiuto ciò che trovò, solo braccia robuste che lo afferrarono e lo schiacciarono a terra, a faccia in giù. La posizione dell’infamia più estrema, dalla quale nessuno tornava più indietro. Avrebbero fatto di lui un reietto, senza alcuna possibilità di riscatto. 

    Non imprecò e non chiuse gli occhi, mentre lo tenevano fermo perché Naimio potesse disonorarlo. Il dolore e la vergogna bruciavano ogni suo pensiero, ma non c’era fuoco che superasse l’odio che gli infiammava il petto.

    Di odio si poteva vivere e lui lo avrebbe fatto, fino alla fine.    

    II

    − Ti ho visto guardare il lago con aria incantata ieri − disse Naydeia, mentre Killiar l’aiutava ad avvolgersi la lunga fascia di seta attorno al seno.

    − Avevo sentito parlare del Lago dai Mille Colori, ma niente di ciò che mi hanno detto può rendere l’idea della bellezza che ci si trova di fronte. Scrutando le rive si ha l’impressione che non ci sia  un solo sasso della stessa tinta di un altro.

    − A me ricorda la piscina della tua villa, a Omira. − Subito l’assalì l’immagine di loro due, nudi, che nuotavano circondati dai riflessi cangianti delle ceramiche con cui erano rivestite le pareti. Anche in quella situazione lui sapeva esercitare la sua arte con maestria.

    − L’avevo fatta ricoprire di ceramiche colorate proprio perché mi avevano parlato di questo lago, ma solo ora ho capito quanto l’originale sia al di sopra di ogni descrizione. Sarebbe un sogno nuotare dentro quella distesa di sfumature che cambiano a ogni increspatura.

    Una volta che lui ebbe fissato l’ultimo lembo della fascia, Naydeia indossò la camicia, girandosi a guardarlo. Adorava assaporare la bellezza di quel viso che così tante volte era stata sul punto di perdere. I lunghi capelli biondi, ancora sciolti sulle spalle, parevano chiamare le sue mani, quasi fossero impregnati di un potente incantesimo. Ma l’unica magia era la natura stessa di Killiar, capace di incantare una donna con la sua sola presenza.

    Affondò le dita in quella fluida massa dorata e si concesse un attimo di abbandono al Legame che si portava dentro come un peso, un peso al quale non avrebbe mai rinunciato. 

    Lui rimaneva immobile, com’era nei loro patti. Si lasciava accarezzare con l’espressione di chi lo trova piacevole, ma lei sfuggiva il suo sguardo e il suo volto, nel timore che fossero soltanto frutto dell’addestramento dei liberi amanti. Nemmeno per un istante voleva illudersi di essere ricambiata. 

    − Prendi il darvad − gli disse.

    Suo marito prese il copricapo dal baule dov’era appoggiato e glielo porse. Ci fu un lieve contatto di mani. Quella di lui che indugiava, quella di lei che si attardava, colta di sorpresa. Naydeia percepì un sottile fremito attraversarle tutto il corpo. Alzò gli occhi di scatto per cercare lo sguardo di Killiar. Un calore intenso le riempì il cuore, la sensazione che tutto potesse cambiare si affacciò dentro di lei, pronta a nutrirsi di un gesto. Si ritrovò prigioniera della luce virile emanata dall’azzurro profondo in cui si era persa anni prima. Dita piene di gioia cercarono quelle dell’uomo che era suo solo davanti alla legge. 

    E subito una certezza l’assalì. Era tutto inutile. Non c’erano gesti né sguardi che potessero cambiare le cose. Lui non sarebbe mai stato davvero suo.

    Afferrò il darvad e ritirò la mano, sforzandosi di ignorare il volto deluso che la guardava.

    − Girati − gli disse.

    Lo osservò mentre si voltava lentamente e trattenne un sospiro.

    Ancora una volta era lei ad allontanarlo.

    Gli sistemò attorno al capo la fascia di lino nero intrecciato poi scese con le mani dietro la nuca e si dedicò ai lacci. Alcuni li lasciava sempre annodati, in modo che lui potesse indossarlo anche da solo, in caso di necessità; gli altri, di solito, li chiudeva lei. Le piaceva quel rito mattutino nel quale si rinnovava ogni giorno il significato del matrimonio. Quell’uomo era suo, soltanto suo. Nessun’altra avrebbe mai più avuto il diritto di toccarlo o di godere la vista dei suoi splendidi capelli.

    Eppure, in quel momento, mentre le sue mani costruivano per l’ennesima volta l'involucro che simboleggiava l’unione con Killiar, un velo di tristezza le pesava addosso. Era stanca di respingerlo, di vederlo allontanarsi da lei, di desiderare un matrimonio diverso.

    L’idea si affacciò nei suoi pensieri, come una brezza di aria fresca in una giornata afosa.

    Voleva almeno sentirsi una buona moglie.

    − Ti piacerebbe fare una nuotata nel lago?   

    La voce dell’uomo le giunse con una nota di sorpresa.

    − Riuscireste a trovare il tempo?

    Naydeia strinse le labbra. Non le era venuto in mente che lui potesse fraintendere.

    − No, non intendevo noi due insieme. Ho troppe cose da fare. Ma tu potresti andarci − disse, mentre finiva di legare il darvad. − Ti farò esonerare dal lavoro per un paio d’ore. Così potrai goderti il lago.

    Killiar si volse. Una nuova espressione delusa stava sfumando dal suo volto.

    − Non credete che sarebbe sconveniente se ci andassi da solo? − Un’ombra scura gli attraversò lo sguardo. − Se qualche guerriera mi vedesse mentre nuoto, nudo?  Potrebbe interpretare la situazione nel modo sbagliato.

    Erano parole sagge e lei si diede della stupida per aver fatto quella proposta così avventata. Avrebbe voluto fargli un regalo, un paio d’ore piacevoli immerso in quelle acque che ben pochi di quelli che abitavano nella capitale avevano visto. Ma come poteva lasciarlo andare da solo dopo tutto quello che era successo?

    Dopo l’aggressione avvenuta a Oden, percepiva con chiarezza la tensione che turbava l’intero reggimento, e ormai non era più sicura di quali fossero le persone di cui poteva fidarsi. Forse nessuna.

    Eppure non voleva rinunciare a fare quel regalo a Killiar. Era stanca di rinunce.

    La soluzione che sentì affiorare nella mente le piacque subito.

    Perché no? In fondo ha già funzionato una volta.

    − Ti darò una scorta − disse, fissando il volto dubbioso di suo marito.

    L’espressione dell’uomo divenne ancora più preoccupata.

    − Siete certa… che sia una buona idea?

    − Sì, visto che eviterò di darti una scorta di donne. Ordinerò a Daigo e ai suoi uomini di farlo.

    L’unica risposta fu una serie di rughe sulla fronte di Killiar.

    − Cosa c’è che non va? Ho avuto l’impressione che tu e Daigo foste in rapporti amichevoli.

    − Avete ragione, ma dovrò spogliarmi davanti a lui e agli altri mercenari. Io… non mi sono mai mostrato nudo a dei bisessuali.

    Naydeia non riuscì a trattenere un sorriso.

    − Mentre lo fai pensa che non possono toccarti. La loro parola non vale nulla in confronto alla tua. Rischierebbero la frusta se tu li accusassi.      

    Lui la fissò con un espressione incerta, come se non riuscisse a credere di avere un simile potere.

    * * *

    Killiar camminava verso il fiume ascoltando le chiacchiere di Daigo, senza preoccuparsi di intervenire. Era tutto troppo strano.

    Non riusciva a capire perché sua moglie ci tenesse tanto a dargli la possibilità di nuotare, anche se si trattava del Lago dai Mille Colori, un mito per chi abitava nella capitale. Lui, come tanti altri, ne aveva sentito parlare dalle militari che prestavano servizio nella regione di Nyliai, e quei racconti lo avevano talmente impressionato da volere una piscina che ne imitasse la bellezza.

    Forse era questo il motivo.

    Naydeia aveva voluto fare un gesto gentile nei suoi confronti. Cercava di essere una buona moglie.

    Ma come poteva pensare che sarebbe bastato per colmare il vuoto tra di loro?

    Da tempo lui cercava di riempire quel vuoto, ma lei lo respingeva, sempre.

    Eppure il sentimento che la comandante provava nei suoi confronti era evidente. Allora perché continuava a tenerlo lontano ? 

    Killiar avrebbe voluto toccarla anche al di fuori delle loro notti passate l’una nelle braccia dell’altro. Desiderava accarezzarle il viso, baciare le sue labbra spesso socchiuse, affondare le mani nei suoi capelli. Voleva che le cose cambiassero, in qualche modo. Ma quel modo non riusciva a trovarlo.

    Malgrado avesse esercitato per tanti anni l’arte virile si sentiva come

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