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Verso un Nuovo Mondo
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Ebook296 pages4 hours

Verso un Nuovo Mondo

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About this ebook

Diciotto autori. Diciotto racconti. Diciotto viaggi tra speranza, amore, follia e disperazione. Tra queste pagine troverete cantori digitali, misantropi sociofobici, artisti visionari, divinità meccaniche, futuristi e acrobati. Storie di viaggi, ma non solo. Perché il Nuovo Mondo non è sempre lontano ma, spesso, si trova dentro di noi. "Verso un Nuovo Mondo" è la prima antologia promossa dall'Associazione Hyperion, raccoglie i testi selezionati dell'omonimo concorso, introdotti dal neo-futurista Roberto Guerra. L'intero ricavato dell'opera in versione cartacea sarà devoluto in favore del progetto per l'oncologia pediatrica "Gold for Kids" della Fondazione Umberto Veronesi.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 2, 2017
ISBN9788892649378
Verso un Nuovo Mondo

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    Verso un Nuovo Mondo - Roby Guerra

    INDICE

    La Chimère

    illustrazione di copertina di Livia Viganò

    Verso il Mondo Nuovo 2.0

    introduzione di Roberto Guerra

    Noi siamo Matrice

    Un mondo per Cloe

    Il vecchio e il bambino

    Uccidiamo il chiaro di Luna

    La scala santa

    Quando sei arrivato

    Il rovescio della Primavera

    Homofobia

    L’ultimo numero

    Eclissi

    Eksodos

    Il cielo sopra Alexanderplatz

    Le esplosioni di riferimento

    Sfrenata ebbrezza

    In bianco e nero

    La vergine della cascata

    L’ultimo pianto del Beato

    un racconto di SOL

    Verso il mio nuovo mondo

    postfazione di Chiara Blasutta

    HYPERION E|BOOK

    VERSO

    UN NUOVO

    MONDO

    a cura di SOL e Ivan Bruno

    introduzione di Roberto Guerra

    EDIZIONI HYPERION

    PRIMA EDIZIONE | FEBBRAIO 2016

    © ASSOCIAZIONE HYPERION

    2 Boulevard du Tenao

    98000 Monaco

    asso.hyperion@monaco.mc

    TUTTI I RACCONTI NELLA PRESENTE ANTOLOGIA SONO DI PROPRIETÀ DEI RISPETTIVI AUTORI

    Editing e impaginazione: Victoria Ramelli | Associazione Hyperion

    In copertina: La Chimère © Livia Viganò

    info@liviavigano.com

    QUESTO VOLUME È DISTRIBUITO CON LICENZA CREATIVE COMMONS | ATTRIBUZIONE NON COMMERCIALE | NON OPERE DERIVATE 3.0 | ITALIA

    ISBN: 9788892649378

    Youcanprint Self-Publishing

    IL RICAVATO DELLE VENDITE DI QUESTO LIBRO SARÀ INTERAMENTE DEVOLUTO A FAVORE DEL PROGETTO GOLD FOR KIDS PER L’ONCOLOGIA PEDIATRICA, PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE

    UMBERTO VERONESI

    Per maggiori informazioni:

    goldforkids.fondazioneveronesi.it

    LA CHIMÈRE

    illustrazione di copertina di Livia Viganò

    pastelli acquerellabili su cartone ruvido e tecnica mista 3D

    Riconosco la mia sagoma: è di spalle, lievemente china, lavora piano. Scorgo i polsi, le mani affaccendate. Nuvole di muschio scivolano a terra e, nell’aria, un odore intenso evoca sottobosco e ombra. Ci sono arbusti, fiori, fra le fronde scopro le dita di una digitalis purpurea. Piante venefiche.

    Pulisco le mani nell’abito, un vittoriano color pioggia.

    La serra è una veranda, vetro e ferro battuto. Tintinna, sferzata dal vento.

    È mattino o pomeriggio? Non capisco. So solo che è inverno. La luce è una lama per gli occhi.

    Anna è bionda, lo sguardo acquoso e passi silenziosi. Giunge alle mie spalle e io sembro avvertirla: sollevo il capo, senza voltarmi, in ascolto.

    «La vostra acqua» dice. Il tono è inappropriato per la sua figura, è squillante, lontano dall’esser remissivo.

    «Appoggiala lì, Anna» la mia voce avvolge come una sciarpa.

    «Un giorno o l’altro» parla, mani nelle mani «i gendarmi verranno qui dentro e ci porteranno tutti via.»

    La ragazza mi strappa una risata – alla me spettatrice – che nessuno ode.

    È così semplice.

    Mi volto, le sto sorridendo.

    «Perché Vi ostinate tanto? Le arti antiche sono bandite! Le piante sono vietate! E quelle li, poi..»

    Pesta i piedi, è una bambina.

    «Codice tre, articolo sette, comma quindici barra uno. Chiunque detenga o coltivi, presso il proprio domicilio, elementi appartenenti alla categoria denominata e conosciuta come Flora sarà soggetto a incarcerazione immediata e detenzione non soggetta a riscatto sino alla determinazione della pena, che avverrà al cospetto della Triade.» Scandisco le parole, con decisione.

    «Allora! Voi sapete! Perché lo fate?»

    È cominciato così il mio soggiorno a Nuova Parigi: in una serra, con la mia cameriera a discutere su quanto peccaminoso sia coltivare piante.

    Abito a La Chimère e quando l’ho scoperto ho riso, riso così forte che il custode del palazzo non mi ha più rivolto la parola. Alla terza luna piena, in questo cielo, è comparsa la terra. L’ho riconosciuta subito. Mi sono sentita sgretolare dentro: dove sono e perché?

    Comprendo, è un nuovo inizio ma solo per alcuni di noi.

    Nuova Parigi è un delirio di pinnacoli, costruzioni atipiche, oniriche, fra cui la tour Eiffel si confonde. Riconosco il ponte che conduce alla biblioteca, le Petite Pont, le Pont d’Iéna fra le Rive Gouche e Droit.

    Poveri, ricchi e un ceto medio. Un equilibrio perfetto. Non la povertà della fame, non le malattie che sbarcano insieme ai topi al porto con carichi provenienti da città senza nomi, non i mendicanti. Qualche furto, sì, e puttane nei vicoli. Al crepuscolo è il gas a illuminare le strade.

    È un mondo senza gatti, senza cani. Vedo solo creature alate: i più comuni merli, passeri e pettirossi. I cavalli, certo, sono necessari.

    Ma soprattutto questa città è senza domande.

    Ridono loro, ridono. Ironizza la gente, pecca di sarcasmo, l’espressione Vecchia Parigi viene comunemente utilizzata per indicare qualcosa che non c’è.

    Abbiamo una cultura che riposa fra coperte di cuoio nella libreria alle spalle della veranda. I tomi, vergati a mano, rivelano cose che somigliano pericolosamente al delirio di un senza senno: Leopardi è nato in un bugigattolo affacciato sulla Rive Gauche, Recanati è un miraggio della mia memoria, la gita all’ermo colle in seconda media.

    La sera, a teatro, saggiamo l’Enrico IV, ma è una storia nuova che tutti conoscono, tranne me.

    Mi aggrappo al ricordo: riscrivo qualche verso di Shakespeare, dipingo le ballerine di Degas.

    Al mattino danzano, la sera bruciano nel camino del mio salotto da lettura.

    VERSO IL MONDO NUOVO 2.0

    un’introduzione di Roberto Guerra

    Dell'anno 2017, terzo millennio: robot lavorano su Marte (l'ex Dio della Guerra), sonde intelligenti esplorano Giove (l'ex padre degli Dei) o persino comete e asteroidi. Oppure la medicina, dopo la scoperta del genoma, promette vaccini universali o cibo cibernetico.

    Tuttavia, mai come in questa epoca (a parte durante la guerra fredda) l'umanità è in crisi: l’economia e altre dinamiche fin troppo note – guerra e terrorismo, assenza di farmaci e penuria alimentare in primis – sono ancora problematiche di ardua soluzione.

    Che senso hanno la parola e la poetica nel nostro tempo, spesso giustamente e tristemente bollato come schizofrenico dalle scienze sociali?

    Da Colombo a Jules Verne e Thomas More, agli utopisti umanisti di ogni storia dei popoli (dal faraone illuminato Akhenaton alla fantascienza che ricerca alieni sconosciuti, nuovi indigeni siderali – anche la scienza con l'esobiologia – vedi le nuove terre gemelle recentissime), l'energia alternativa umana, troppo umana, è sempre quella.

    La perenne ricerca del Mondo Nuovo (anche nelle distopie di un A. Huxley – Brave New World) sottintende sempre, piaccia o meno a spiriti e corpi paleorealistici (di scarsa materia... azzurra, in testa), per dirla con Jung e James Hillman, una paradossale poetica della mente (dai graffiti al computer!).

    La scienza stessa, quando scopre, e studia, il Big Bang gira e rigira (come poi la Terra stessa da miliardi di eoni attorno al Sole, come Dafne con Apollo - alla rovescia! - o la Vergine con il Cristo Re) e cerca anche Dio o gli Dei. L'arte in generale e l'arte della parola nello specifico di questa singolare e originale esplorazione letteraria (dal titolo archetipico e straordinario) quando anche le avanguardie domandavano e domandano sguardi e pensieri nuovi e diversi, ma – fondamentale – nell'immaginario (dalle Veneri bambole ancestrali a 2001... di Kubrick, semplici a-temporali e paradossali divenienti input) segnala il grande viaggio del fare piccola grande letteratura nell'era informatica tutt'oggi ambigua.

    Tutte le parole narranti, siano di cifra neotradizionali, liriche, post-romantiche e/o sperimentali, complesse, fantasy, soggettuali o oggettivanti, trascendono dimensioni diaristiche troppo diffuse altrove: semmai scrivono... digitano diari di bordo, come un’unica e nuova caravella-navicella. Questi testi – a ben vedere – esitano globalmente transfinite sfumature, nelle stesse dinamiche personificanti di ogni autore/autrice: sarebbe riduttivo e riduzionistico, in tale nota critica, focalizzare le diverse prose con poche parole poco esaurienti. Meglio sottolineare a livello transtestuale le combinatorie, singolari letteralmente, parole piene, come accennato e semplicemente amplificando un attimo, che sembrano riflettere una sorta di microflorilegio stesso di certo opus attinente nella/della parola moderna e contemporanea.

    Queste composizioni danzano in una virtuale onda macrocosmica, cavalcano nuovi oceani dell'anima globale degli anni duemila, trasmettono, come neoromantici robot marconisti, la malattia creativa, Parola come antivirus, per tracciare – come il Capitano James Kirk dell'Enterprise o Cristoforo Colombo con la scoperta dell'America – nuove mappe e cartografie del Cuore necessarie a terramorfizzare (Terra 2 – gemella – e Terra dissero gli stessi Kirk e Colombo) il nostro incertissimo e caotico XXI secolo, contro anche le previsioni almeno della nascente era spaziale e del fu boom economico degli anni '60 del secolo scorso.

    La storia purtroppo è lenta, ma la poetica, innestando nuovi cuori di scienza, attraverso la parola – sia scritta ancora con calamaio o caratteri mobili cartacei, sia con note book o tablet – celebra, dapprima silente, le rigenerazione del fare arte e fare anima a beneficio dei nativi digitali contemporanei.

    Diventerà prima o poi Musica, soundtrack della Nuova Terra: verde, innamorante e intelligente, artificiale e naturale, desiderante, come ogni Umanesimo storico o pre-storico, dai bambini di Neanderthal a quelli del Rinascimento ai figli dell'arte e della scienza di ogni evo.

    Nonostante tutto, secondo la Freccia di un certo Darwin, altrimenti non saremmo qua…

    Ecco tutti i piccoli, grandi argonauti 2.0 di questo testo e già cyber testo collettaneo: Emilia Cinzia Perri, Serena Bertogliatti, Iris Larosa, Giulia Sanguin, Federico Bagni, Carlo Barlassina, Elvira Buonocore, Sonia Barsanti, Luca Greco, Lodovico Ferrari, Ariela Rizzi, Lucrezia e Ornella Villavecchia, Davide Schito, Oscar Tison, Matteo Zanini e Emiliano Sanesi.

    Solo una postilla, relativa al racconto del fondatore Sol della neonata associazione matrice del libro: in quanto quasi cronista deliziosamente sinottico del presente viaggio multiletterario.

    Un fanta-dialogo che sintetizza, come sperimentarono ancora Hillman e Jung, l'evoluzione/mutazione necessaria degli archetipi per tornare a parlare agli umani (e magari alla Scienza stessa come sua perfezione).

    La ricerca del simbolo perduto è qua esemplificata con una significativa e misterica interfaccia tra un Dio immortale e una IA. Al di là e al di qua della trama azzurra, la fredda Macchina diventa un battito cardiaco pulsante come un Bolero musicale... il Dio finalmente dimentica la solitudine, gioca con la Terra! E Marte abbraccia Venere verso una – nella libera metafora – futura Computer Pax.

    NOI SIAMO MATRICE

    Emilia Cinzia Perri

    La musica nell'abitacolo risuona come un canto da culla, una ninnananna lontana.

    Disteso nella capsula di trasmissione, sento il liquido di connessione neurale salire lambendo i polpacci, i glutei, la schiena. Poi cresce sulle spalle, il torace, le ginocchia. Infine ricopre il petto e la testa.

    Completamente immerso nella viscosità liquida, inspiro con lentezza, riempiendo di ossigeno i polmoni. I sensori collegati alla testa stimolano l'attività cerebrale e in pochi istanti mi connetto all'Affluente, che risalgo fino a toccare la Corrente. Raccolgo quanto consentito alla presenza dei Guardiani: una scintilla creativa, una perla di luce. Basta questo perché si formino immagini e parole. Mentre elaboro la materia viva e pulsante, so cosa devo raccontare e come. Così inizia il mio canto:

    Entrato nella Foresta Sequoia, Yorick ricordò la profezia della Signora delle Rocce. Allora non aveva potuto guardarla negli occhi, impaludata com'era nelle vesti cerimoniali, ma era sicuro che lei lo avesse accarezzato con lo sguardo, benedicendolo col suo respiro profumato. Quini la donna aveva cominciato a mescolare il mazzo di carte, avvisando che ne mancava una: la Regina di Cuori. La Regina di Cuori, una volta che l'hai perduta, non ritorna più.

    «La Regina di Cuori, una volta che l'hai perduta, non ritorna più». Bello. Non abbastanza, però. Mi sembra di sentire un richiamo in sottofondo, un mormorio appena accennato. L'eco di un desiderio rimosso, proibito, bruciante. Torno a immergermi nella Corrente, ignorando l'aria truce del Guardiano che volge lo sguardo nella mia direzione. La sentinella non può nulla contro di me: non è che un programma elaborato dal computer, l'allarme azionato dal limite che sto varcando. Suppongo mi costerà qualche centinaio di crediti di multa. Supero le Colonne d'Ercole della creatività, mi abbevero alla fonte primaria della Corrente e restituisco quanto ricevuto in forma di musica e parole:

    «Troppo dovrai soffrire, guerriero delle Alte Montagne, nel viaggio che ti è stato destinato e che tu stesso hai scelto. Nella Foresta Sequoia scioglierai il mistero della tua esistenza, apprenderai per quale scopo sei venuto al mondo…»

    Ancora non basta. Quella che sto raccontando è una storia sentita mille volte. La ninnananna continua a riempire questo spazio sospeso nel tempo. Dove finisce la Corrente? Nessuno lo ha mai scoperto. Eppure deve esserci un luogo in cui sbocca, così come deve esistere una sorgente. Voglio trovare questo posto. Lo cerco, mentre continuo a trasmettere parole attraverso il liquido neurale:

    «...ma sappi che se molto acquisterai, perderai altrettanto. Dovrai spingerti oltre strade già tracciate, tracciando da solo la tua strada. Grandi imprese ti attendono, ma dovrai versare un tributo esoso. Dimmi, sei disposto ad accettarlo per intero, anche se ne ricaverai un danno immenso?»

    Yorick annuì, grave. Accettava il suo destino. Avrebbe vuotato il calice. Pagato il fio.

    Risalendo la corrente, un lampo brilla all'improvviso. Nel bianco si aprono sprazzi di luce viva, capelli che incorniciano un volto di fanciulla. Occhi che leggono dentro, labbra appena increspate. I pensieri si fermano, le parole svaniscono. Vuoto.

    «La Regina di Cuori, una volta che l'hai perduta...»

    Vuoto assoluto. Quasi urlo per la sorpresa. Non c'è più niente, niente nella testa. Neanche una frase minima, una virgola, l'impronta di un'idea. La Corrente... non c'è più. Sono scollegato? Possibile? Non riesco ad accettare la risposta che si forma adesso nella mente.

    Urlo. Sto urlando davvero. Devo uscire. Uscire subito da qui!

    Aperta la capsula, affronto un attacco di panico in piena regola. Respiro a fatica, le gambe non mi reggono. Sono certo di stare per svenire.

    Le addette al controllo mi accolgono, mi rassicurano, chiamano mia moglie perché venga a prendermi. Si mostrano gentili, ma di sottecchi le sorprendo a scambiarsi sguardi d'intesa. So cosa stanno pensando.

    «Signor Davis, mi segua. Ecco, sieda qui, sul divano. La sala dello svago è quel che ci vuole. Di sicuro è stato rinchiuso per troppo tempo e l'organismo non è stato in grado di sopportarlo. Beva questo, la farà stare meglio.»

    Ringrazio e siedo sorseggiando il succo di lime. Ha un sapore aspro e il panico non accenna a scemare, nonostante si alternino sulle pareti fantasie colorate dai toni rilassanti.

    «Cristo, Theodor, hai una faccia da spavento!»

    Sladek si avvicina, sorpreso più che preoccupato. È un Cantore di II livello, devo stare attento a non lasciar trapelare nulla. Tra Cantori vige di norma una certa rivalità, specie quando di mezzo c'è la gerarchia. Non devo cedere di un millimetro o, in un attimo, mi saranno tutti addosso.

    «Si tratta di un capogiro. Passerà.»

    «Sicuro? Se non ti conoscessi bene, direi che un Cantore di I livello ha appena sperimentato il Blocco.»

    «Non sperare di fregarmi» ribatto acido, fingendo sicurezza. «Rimarresti deluso.»

    «Non è il caso di agitarsi» incalza Sladek con falsa indulgenza «capita a tutti nel corso della propria carriera. Mi chiedo solo come sia provarlo.»

    Sto iniziando a sudare.

    Il Blocco. Si dice che giunga così, all’improvviso. Nessun sintomo preliminare né ragione apparente. Un attimo prima domini i flussi variabili della Corrente, ammiri le infinite e molteplici possibilità degli intrecci narrativi; un attimo dopo ti ritrovi sganciato dal magma ribollente della creatività, come un Comune, un cittadino qualsiasi. Scollegato, perso, isolato, non sei più in grado di ritrovare la strada della Corrente e, cosa straordinaria, nemmeno degli Affluenti.

    «Riesci a immaginarlo?» La voce di Sladek mi scuote dai pensieri.

    «Certo che no!» Ho risposto a voce troppo alta.

    Il mio aspirante rivale sorride compiaciuto mentre, a capo chino, mi rassegno a sopportare i prossimi assalti.

    «Meglio così» sentenzia infine in tono sadico. «Riguardati, Theodor. Buona giornata.»

    Mi lascio cadere su una delle poltrone, esausto. La marea dei pensieri non mi dà tregua.

    Dov’ero rimasto?

    Gli Affluenti sono vie minime di creatività, cui i Cantori riescono a connettersi con facilità. Può capitare anche a chi non è un Cantore naturale di imbattersi in un Affluente e utilizzarne le potenzialità nel proprio lavoro: alcuni Meccanici, ad esempio, grazie all’apprendimento di teorie complesse e a esercizi mirati, ottengono la capacità di collegarsi a un Affluente. Tuttavia, solo un autentico Cantore può ottenere l'accesso alla Corrente, il flusso di creatività pura.

    Con il Blocco, però, tutto questo scompare. E io non ho alcuna fretta di sperimentarlo.

    Forse si tratta di qualcosa di temporaneo, causato dal mio tentativo, nella capsula, di oltrepassare il limite…

    Quando riconosco il rumore dei tacchi di Cindy, che entra ancheggiando nella sala, sono ancora spaventato a morte.

    «Ted, tesoro, si può sapere che succede? È la prima volta che ti senti male, al lavoro.»

    Dev'essere un'impressione se la voce di mia moglie suona tremante. Dev'essere senz'altro un'impressione. Il suo rossetto non ha sbavature, la gonna non fa una piega, il taglio di capelli è all'ultima moda. Senza forze, mi lascio guidare come un automa fuori dall'edificio.

    Più tardi, mentre cerco di prendere sonno, non trovo di meglio da fare che osservare la parete della camera. Lo sguardo cade verso l’olofoto sul comodino: ritrae me e Cindy abbracciati, davanti ai palmizi in prospettiva.

    Dove e quando abbiamo fatto questa foto? Per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare. Guardandomi intorno, la stessa camera appare familiare, e nel contempo distante. Fisso lo sguardo sul volto di mia moglie. Sembra tirato, la pelle traslucida come uno spettro. «Tu chi sei?» vorrei chiederle, prima di posare il capo sul cuscino. Il succo di lime era corretto con un calmante, credo. Non troppo forte, perché nel dormiveglia si agitano i pensieri.

    Di che colore aveva gli occhi la ragazza della visione? Potrebbe essere il mio ultimo ricordo della Corrente, e non è nemmeno chiaro. Da oggi non sarò più un Cantore. Può toccare a tutti e adesso è toccato a me. E non si tratta di una malattia da cui è possibile guarire.

    Nell'istante che precede il sonno, con la mano cerco la presenza di mia moglie. Una spalla, il lembo del vestito. Non arrivo a stringere nulla.

    Mi sveglio di soprassalto e subito gli avvenimenti del giorno precedente si presentano sull'attenti, reclamando la mia consapevolezza. Mi alzo, vagando per le stanze vuote. Cindy sarà uscita per fare una commissione, vedere qualche amica. Fatto che, anziché inquietarmi, mi rassicura. Ho un po' di spazio per me, per pensare al da farsi.

    Avverto l'UGC – l'Ufficio Grandi Cantori – che non mi recherò al lavoro. Ho bisogno di riposo. Accade di rado che mi assenti, mi chiedo se cominceranno a sospettare qualcosa. Nessuno conosce il destino riservato ai Cantori incappati nel Blocco e nessuno ha il coraggio di fare domande. Quelli come me spariscono in silenzio, non posso certo confessare di esserne stato colpito.

    C'è un'unica soluzione cui riesco ad aggrapparmi. Prendo le chiavi della mia Hummingbird.

    Oggi niente colazione.

    Entrando nello scantinato di Gilles Piquet, avanzo a fatica tra una quantità infinita di meccanismi incancreniti, relitti di epoche passate. Gilles è un antiquario, o meglio questa è la sua copertura. Alle pareti, la più vasta raccolta di orologi che abbia mai ammirato. Soltanto dopo aver collezionato un discreto mucchio di polvere e muffa sul soprabito, riesco a vederlo. Ha gli occhi azzurri, chiarissimi, e un'età indefinibile. A tratti mi sembra un coetaneo, a tratti molto più vecchio. Il viso scavato, la fronte spianata.

    «Gilles? Sono Theodor. Theodor Davis. Ci siamo sentiti poco fa.»

    Gilles non risponde né si perde in convenevoli, cosa che mi permette di andare subito al sodo.

    «Hai quello che mi serve?»

    L'uomo mi passa un pacchettino avvolto nel cellophane. Con una scheda gli verso una somma piuttosto generosa di crediti. Non c'è bisogno d'altro.

    Ho saputo dell'esistenza di Gilles in un locale del settore L, un paio d'anni fa.

    Il settore L: la zona peggiore della Città, non c'è posto migliore per fare follie. Si festeggiava la mia promozione a membro dell'UGC e qualcuno mi suggerì quel nome, a cui avrei potuto rivolgermi nel caso fossi stato raggiunto dal Blocco.

    A casa spacchetto la scatola magica, quella che mi aiuterà a continuare a vivere con dignità alla luce del sole.

    Stringo tra le mani un simulatore. Mi permetterà di collegarmi a un altro Cantore connesso alla Corrente, per rubare parte della sua energia creativa. Non si tratta di roba legale, ovvio. Le autorità sanno dell'esistenza di apparecchi simili, ma chiudono volentieri un occhio.

    All'UGC interessa la produzione di storie. E quelle di prima qualità possono essere fornite solo dai Cantori, bloccati o meno, abituati a trattare con il flusso creativo delle Correnti, a plasmarle attraverso uno stile personale e riconoscibile.

    Mi distendo nella capsula di trasmissione, con il simulatore infilato in una fascia attorno al torace. Per azionarlo, mi basta passarci sopra con la mano.

    Da principio non succede nulla. Qualche minuto dopo, vedo qualcosa. Un fiume luminoso. Non avevo mai visto la Corrente così, dall'esterno. Avvicinarmi è un notevole sforzo di volontà ma, dopo vari tentativi, ci riesco. Allora mi immergo nel magma primordiale.

    Respiro bene. Sono tornato a casa.

    Riprendo il racconto di Yorick dal punto interrotto. La storia tocca il suo climax.

    Dopo aver toccato il cuore della Foresta Sequoia, Yorick fu costretto a riconoscere che quanto gli era stato predetto corrispondeva a verità. E la verità ribolliva. I ricordi di una vita precedente lo avevano invaso, spezzandolo in due: ora sapeva che era lui il male incarnato, lui che aveva ridotto in schiavitù i goblin, estinto i nani delle miniere, inquinato la linfa degli alberi della foresta sequoia.

    Il guerriero, ormai consapevole di essere il nemico del mondo che lo aveva accolto, non ebbe dubbi e decise che doveva liberarlo dal suo abominio: alzò quindi le braccia e puntò la spada contro se stesso. Il metallo duro e freddo poggiò sul ventre e affondò, dritto e spietato. Un colpo netto per liberarsi dal proprio smarrimento, per sprofondare finalmente nella

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