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Guai ai poveri: La faccia triste dell'America
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Guai ai poveri: La faccia triste dell'America
Ebook180 pages2 hours

Guai ai poveri: La faccia triste dell'America

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About this ebook

La povertà estrema è negli Stati Uniti parte integrante della fisionomia della società e addirittura del paesaggio urbano. Mentre ciò comincia a radicarsi anche in Italia è utile osservare come il fenomeno è governato in quella società, che da tempo anticipa i nostri modi di pensare, di vivere, di organizzarci. Su questo aspetto indaga il libro, descrivendo una realtà sconvolgente nella quale il diritto non si accontenta di contribuire alla creazione del povero ma gli si accanisce contro e lo colpisce attraverso lo strumento penale, trattandolo sempre più come un nemico da sconfiggere.
LanguageItaliano
Release dateFeb 20, 2017
ISBN9788865791325
Guai ai poveri: La faccia triste dell'America

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    Guai ai poveri - Elisabetta Grande

    Elisabetta Grande

    Guai ai poveri

    La faccia triste dell’America

    Edizioni Gruppo Abele

    © 2017 Edizioni Gruppo Abele Onlus

    corso Trapani 95 - 10141 Torino

    tel. 011 3859500 - fax 011 389881

    www.edizionigruppoabele.it / edizioni@gruppoabele.org

    isbn 978-88-6579-132-5

    Il libro

    La povertà estrema è negli Stati Uniti parte integrante della fisionomia della società e addirittura del paesaggio urbano. Mentre ciò comincia a radicarsi anche in Italia è utile osservare come il fenomeno è governato in quella società, che da tempo anticipa i nostri modi di pensare, di vivere, di organizzarci. Su questo aspetto indaga il libro, descrivendo una realtà sconvolgente nella quale il diritto non si accontenta di contribuire alla creazione del povero ma gli si accanisce contro e lo colpisce attraverso lo strumento penale, trattandolo sempre più come un nemico da sconfiggere.

    L’autrice

    Elisabetta Grande, insegna Sistemi giuridici comparati all’Università del Piemonte Orientale. Da oltre un ventennio studia il sistema giuridico nordamericano e la sua diffusione in Europa. Fra le sue pubblicazioni in italiano: Il terzo strike. La prigione in America (Sellerio, 2007); Imitazione e diritto. Ipotesi sulla circolazione dei modelli (Giappichelli, 2000, trad. portoghese 2009) e la curatela di Le forze vive del diritto: un’introduzione all’antropologia giuridica di L. Nader (Esi, 2003).

    Indice

    Introduzione

    Parte I. La povertà negli Stati Uniti: quanta, come e perché

    Contare i poveri d’America: il mistero della povertà persistente

    Dalla prosperità condivisa alla disuguaglianza crescente

    Lo Stato sociale e la teoria dell’underclass

    La questione casa, nodo cruciale

    Gli ultimi tasselli di un’inversione di rotta

    Un diritto che crea solitudine

    Parte II. Il diritto statunitense e la caccia all’homeless

    I più poveri fra i poveri: i senzatetto

    Il sistema giuridico di fronte alla nuova povertà estrema

    Come si costruisce il nemico

    Liberarsi degli homeless

    Il business dei senzatetto

    La storia si ripete

    Introduzione

    Anna, David, Jennifer e Rae

    Anna Sullivan

    è una signora americana di 45 anni, senza lavoro e senza casa. Anna vive a Honolulu, il paradiso del turismo opulento, in cui ai poveri di strada è data la caccia come fossero topi da allontanare. Forte delle ordinanze cittadine che trasformano in reati le innocue e necessarie attività quotidiane dei più poveri – come chiedere l’elemosina, dormire o sdraiarsi in un androne, in un parco o in una spiaggia – la polizia locale perseguita giornalmente Anna, portandole via le misere cose che la donna illegalmente deposita sul marciapiede, multandola o arrestandola quando dorme o espleta i più elementari bisogni fisiologici nei soli luoghi a cui la sua condizione di povertà estrema le dà accesso. Poco importa se a Honolulu i prezzi delle case sono alle stelle e certamente inarrivabili per oltre la metà più povera della popolazione americana. Men che meno chi governa la contea di Honolulu e la sua polizia si preoccupano che nei dormitori pubblici della città ci sia posto per accogliere Anna, o che quei tetti per i senzatetto siano luoghi per mille e una ragione inospitali¹.

    Anche David Cross è un senzatetto cui viene negato il diritto di esistere dalle ordinanze cittadine che lo puniscono perché è troppo povero per potersi pagare un’abitazione. David, che ha 66 anni, vive a Sarasota in Florida e fino a quando la recessione, causata dalle speculazioni finanziarie del 2008 (che hanno premiato gli speculatori e punito tutti gli altri), non gli ha fatto perdere casa e lavoro, faceva il macchinista. Anche a Sarasota, come progressivamente ovunque negli Stati Uniti, i senzatetto sono puniti per il solo fatto di esistere, perché i loro tentativi di sopravvivere rappresentano per legge altrettanti reati contro la qualità della vita. Così anche David, che non ha dove altro andare perché l’unico dormitorio per homeless esistente a Sarasota è sempre pieno, viene multato e scacciato alle 4 del mattino dalla polizia quando prova a dormire di fronte alla biblioteca pubblica della città: un luogo che ha scelto perché sufficientemente appartato per non disturbare nessuno e al tempo stesso non essere aggredito – come spesso accade – dal primo teppista di turno che si diverte a prendersela con i poveri di strada. D’altronde a Sarasota i poliziotti amano autodefinirsi «cacciatori di vagabondi» e sono noti per essere stati ripresi qualche tempo fa da una videocamera mentre gettavano noccioline nella bocca di un senzatetto come se fosse una scimmietta².

    Jennifer Hernandez è una giovane mamma che vive a Chicago con i suoi due bambini, una femminuccia, Kaitlin, di 10 anni e un maschietto, Cole, di 7. Jennifer non ha un marito che la sostiene finanziariamente e dallo Stato riceve solo i buoni alimentari, perché da quando nel 1996 Bill Clinton ha eliminato l’assistenza per le famiglie povere (Afdc), anche qualora Jennifer domandasse un sostegno economico pubblico come mamma single in difficoltà (che oggi si chiama Tanf) e lo ottenesse, questo è divenuto talmente irrisorio, limitato nel tempo e carico di condizioni, che non vale la pena di perdere tempo a richiederlo³. Jennifer cerca lavoro, ma trovarlo non è facile per lei, che è senza casa e gira da un dormitorio a un altro. È al suo terzo dormitorio nel giro di dieci mesi: a Chicago, nessun dormitorio, neppure quelli religiosi, consentono una permanenza che si prolunghi per più di qualche mese. La competizione per un posto di lavoro poco qualificato come quello cui Jennifer potrebbe aspirare è altissima e l’essere homeless la penalizza rispetto agli altri candidati. Anche ricevere le telefonate dei possibili datori di lavoro diventa complicato quando il cellulare è senza credito, giacché negli Stati Uniti il credito è necessario anche per rispondere. Inoltre Jennifer è afroamericana e questo non l’aiuta. Parecchi studi dimostrano come i datori di lavoro privilegino i candidati bianchi rispetto ai neri, al punto che un candidato bianco con una condanna per un reato medio-grave ha più chances di ottenere un lavoro di quante non ne abbia un candidato nero senza condanne⁴. Nonostante tutte queste avversità Jennifer, che passa le giornate distribuendo freneticamente il suo curriculum, trova miracolosamente un lavoro prima che scadano i tre mesi di permanenza al dormitorio «La Casa», dopo i quali sarebbe stata nuovamente per la strada con i bambini. Il lavoro consiste nella pulizia di appartamenti pignorati. Non ci sono orari fissi né prevedibilità di paga mensile e il turnover nella squadra di pulizie è altissimo. Jennifer è pagata dall’agenzia per cui lavora (che a sua volta riceve l’incarico da una grande corporation) 8,75 dollari l’ora, ben 1 dollaro e 50 centesimi più del minimo salariale federale. Se l’agenzia la fa lavorare 40 ore la settimana (cosa che non sempre accade), guadagna 645 dollari lordi ogni due settimane. Con un affitto medio di 960 dollari al mese per un appartamento di due stanze (di cui ha bisogno se vuole evitare che le portino via i figli, perché per legge i bambini di diverso sesso di quell’età devono dormire in camere separate)⁵ Jennifer non potrebbe sopravvivere senza il sussidio per la casa offertole per un anno dall’associazione benefica che gestisce il dormitorio in cui vive nel momento in cui trova lavoro. L’economia dei servizi, a differenza di quella manifatturiera di quarant’anni fa, offre però lavori troppo precari e troppo poco tutelati perché Jennifer possa farcela ad assicurare un tetto a sé e ai bambini. Il settore dei servizi adotta, infatti, politiche che assicurano la rapida sostituzione dei lavoratori per risparmiare i costi richiesti da una forza lavoro più stabile e con maggiori garanzie di orario, assicurativi o di aumento salariale. Così, non appena Jennifer si ammala, perché nel rigido inverno di Chicago la pulizia di case senza riscaldamento, con gli spifferi che provengono dalle finestre, finisce per provocarle tosse e febbre, il datore di lavoro le abbassa le ore fino a costringerla a licenziarsi. Ma con il licenziamento Jennifer ritorna per strada, trova sistemazioni precarie presso parenti e amici, si sposta continuamente. Trova lavoro, ma lo perde di nuovo. Va ad abitare da un lontano parente ma è costretta ad andarsene perché scopre che quest’ultimo molesta la sua bambina. Si ritrova così un’altra volta in dormitorio, questa volta della Salvation Army. In tutta la sua vita di mamma Jennifer non ha mai smesso di cercare lavoro e ha sempre, sia pur saltuariamente, lavorato. Ciononostante non è mai riuscita a emergere dalla condizione di povertà estrema, perché il lavoro cui può aspirare è pagato troppo poco ed è troppo discontinuo⁶.

    Rae Mc Cormick ha 25 anni ed è madre di una bimba di quattro, Azara. Anche lei, come Jennifer, fa parte di quel milione e mezzo di famiglie, comprensive di circa 3 milioni di bambini, che vivono con meno di 2 dollari al giorno⁷. Anche lei, come Jennifer, cerca lavoro e a volte lo trova. Anche lei però non riesce a mantenerlo perché le condizioni del lavoro nel cosiddetto terzo settore sono troppo precarie. Come Jennifer, Rae percepisce i buoni alimentari che dà, in cambio dell’alloggio, a una coppia presso cui vive. Quando lavora paga l’affitto e la coppia si occupa della sua bambina. È un’economia di scambio, in una situazione estremamente precaria e povera, che vede la coppia occuparsi anche di un signore vecchio e disabile in cambio della sua pensione sociale e ospitare un’altra coppia in cambio dell’assegno di invalidità di uno dei due e dei buoni alimentari dell’altra. Tutti vivono in una casa in cui non c’è acqua corrente. A seguito di molte ricerche Rae trova finalmente lavoro presso un supermercato, piuttosto lontano da casa, appartenente alla grande catena di distribuzione Wal-mart. Il supermercato richiede estrema flessibilità in termini di orari lavorativi, per massimizzare la produttività della forza lavoro, spostando alla bisogna, nei giorni e nelle ore che si rivelano di punta, i lavoratori cui inizialmente aveva assegnato diverse fasce orarie. La catena Wal-mart è nota per mantenere i prezzi molto bassi, proprio grazie ai risparmi sulla mano d’opera e alla capacità di acquistare la merce all’estero dove viene venduta a un prezzo migliore (ossia dove la forza lavoro è maggiormente sfruttata e l’inquinamento o la scarsa sicurezza nei luoghi di lavoro più facilmente ammessi). Dove arriva un Wal-mart, normalmente gli altri negozi, più piccoli e con addetti più stabili, chiudono perché non reggono la competizione. Rae è molto brava come cassiera perché ha mandato rapidamente a memoria tutti i prezzi dei prodotti più venduti, al punto da venire premiata come dipendente del mese. Questo però non è sufficiente a evitarle il licenziamento il giorno in cui la coppia presso cui vive lascia il camioncino, che Rae è solita usare per andare al lavoro, senza benzina e lei non ha i soldi per riempire il serbatoio. Abbandonata la coppia, che ritiene responsabile del suo licenziamento, Rae ricomincia a vagabondare fra un dormitorio e persone che la ospitano temporaneamente. Per sopravvivere non può che ricorrere a uno dei tanti stratagemmi che le mamme povere mettono in atto per continuare a campare: vendere i propri buoni alimentari a negozianti che le restituiscono in contanti poco più di metà del loro valore, anche se ciò è un reato sanzionato, in molti Stati dell’Unione, fino a venti anni di carcere e anche se questo significa far soffrire la fame ai propri figli. Altre esigenze, come comprare le scarpe o lo zainetto di scuola ai bambini, o ricaricare il cellulare per poter continuare a cercare il lavoro, prendono il sopravvento. Oppure si tratta di vendere il proprio plasma a una banca del sangue fino al massimo consentito di due volte la settimana per 30 dollari alla volta, sempre che si abbia abbastanza ferro per poterselo permettere; o ancora raccogliere le lattine e le bottiglie di vetro dalla strada e portarle per pochi spiccioli presso un centro di riciclo⁸.

    Quando la ricchezza non sgocciola

    Sono queste le storie della quotidianità non solo di Anna, David, Jennifer o Rae, ma anche dei tanti, troppi, altri americani che, come loro, vivono in condizione di fortissima precarietà. Sono le facce della povertà estrema negli Stati Uniti, una povertà che da più di quarant’anni cresce senza sosta e che al dicembre 2014, secondo le prudentissime stime dell’U.S. Census Bureau, comprende quasi 21 milioni di esseri umani, che rientrano nella definizione di poverissimi perché hanno un reddito al di sotto della metà della soglia di povertà federale. Si tratta di uomini e donne che non trovano lavoro, o che restano poverissimi benché lavorino; che spendono per l’affitto oltre la metà, e troppe volte perfino oltre il 70 per cento⁹, del loro magro reddito e per questo spesso non ce la fanno a mantenersi un tetto sulla testa; in troppi casi sono mamme, soprattutto nere, con bambini (la categoria di poveri in maggiore espansione)¹⁰, che dovendo nutrire e vestire anche i figli hanno spese più alte e, contemporaneamente, hanno maggiori difficoltà nel trovare un lavoro compatibile con il loro impegno di madri. Si tratta di un esercito di vulnerabili, che da quarant’anni a questa parte – ossia da quando la povertà negli Stati Uniti ha ricominciato la sua corsa verso l’alto, dopo un periodo in cui era costantemente scesa – non partecipa più in nessun modo alla crescita economica del Paese, che pure in quello stesso periodo è invece stata notevolissima.

    Quanto più è aumentata la ricchezza del Paese, tanto più è cresciuta la povertà, in particolare quella estrema, che dal 3,3 per cento della popolazione americana (corrispondente a 7.016.000 persone) nel 1976 è raddoppiata, passando al 6,6 per cento (per un totale di 20.803.000 anime) nel 2014¹¹. Della crescita del Pil si è avvantaggiata solo una parte della popolazione, quella più ricca, che si è arricchita a dismisura a spese di quella più povera. La torta, insomma è cresciuta, ma non solo l’intera crescita è andata a vantaggio di coloro che erano già ricchi: questi ultimi hanno perfino portato via una fetta a chi già era in miseria. Altro che curva di Kuznets e teoria

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