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Monasterio
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Monasterio

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ROMANZO (249 pagine) - GIALLO - Un'abbazia sperduta, delle morti sospette fra i monaci che la abitano. Perché l'assassino ha deciso di versare il sangue in quella casa di Dio? Toccherà all'avvocato Morelli scoprirlo...

L'abate Bonaventura viene avvelenato. La stessa notte un antiquario muore in uno strano incidente stradale. Il giorno dopo il frate erborista viene trovato impiccato nel deposito dell'orto dei semplici. Cosa sta accadendo nel monastero di Salle? L'ambizione di qualcuno, la cupidigia di altri, le paure dal passato o... cosa? Il vescovo di Pescara invia l'avvocato Morelli per chiarire il mistero, ma non sarà facile tirare le fila di quel mistero, perché il male ha origine antiche e lontane...

Luigi Grilli, nato a Ortona nel 1939, vive in campagna, sulle colline circostanti la città di Pescara. Sposato con due figli, si dedica alla scrittura e al suo hobby preferito, la coltivazione delle rose. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Bologna nel 1962 è entrato in magistratura nel 1965 e vi è rimasto fino al 2008, quando ha scelto di andare in pensione. In magistratura è stato in servizio come pretore e come giudice presso il tribunale di Pescara. Poi, ha svolto le funzioni di procuratore della Repubblica a Lanciano e, quindi, di sostituto procuratore generale a L'Aquila. Ha concluso la carriera come presidente del tribunale della sua città. Nel corso degli anni ha pubblicato, con le case editrici Giuffré e Cedam, diciotto volumi di diritto penale, processuale penale e civile. Esordisce ora nel campo del romanzo giallo, ambientando nel suo tribunale e nella sua città le storie poliziesche che, rielaborate dalla fantasia, traggono origine da vicende che ha vissuto in prima persona.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 24, 2017
ISBN9788825400755
Monasterio

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    Monasterio - Luigi Grilli

    persona.

    Personaggi principali

    Antonio Morelli, avvocato

    Biagio Mosca, sostituto procuratore della Repubblica

    Monsignor Carlo Maria Canosa, vescovo di Pescara

    Monsignor Bonaventura, abate del monastero di Salle

    Padre Marcello da Caccamo, priore del convento

    Fra Mariano, addetto alla casa dell’abate

    Fra Matteo, cuoco

    Fra Calogero, aiuto cuoco

    Fra Bartolomeo, addetto all’orto dei semplici

    Padre Eligio, bibliotecario

    Padre Anselmo, delegato da Roma

    Dottor Oliva, medico

    Giacomo De Luca, antiquario

    Rosaria Brancaccio, moglie dell’antiquario

    1. Uno strano cliente

    L’avvocato Morelli se ne stava seduto nello studio di monsignor Carlo Maria Canosa, vescovo di Pescara, in attesa che il prelato si decidesse a renderlo partecipe del suo problema.

    Quella mattina era andato al lavoro di buon’ora perché voleva mettere in ordine i documenti di una causa che lo avrebbe impegnato in corte di assise la settimana successiva. Sperava di potersi organizzare approfittando del fatto che quel giorno c’era lo sciopero della classe forense.

    Ma, le cose andarono diversamente da come le aveva programmate.

    Verso le nove era stato raggiunto da una telefonata della moglie che gli aveva chiesto di recarsi presso la curia in quanto il vescovo aveva bisogno di un suo consiglio. Quale aiuto potesse dare lui, avvocato penalista, al vescovo della città, non riusciva a immaginarlo. Proprio per questo, per soddisfare la sua curiosità, aveva acconsentito alla richiesta della moglie che aveva insistito dicendogli di essere stata contattata dal suo padre spirituale.

    Morelli preferiva che i clienti si recassero nel suo studio ed evitava sempre il contrario, ma Milena aveva insistito. Si era anche chiesto perché mai il prelato non lo avesse chiamato direttamente, ma non aveva trovato una risposta soddisfacente.

    Adesso era lì, davanti a monsignor Canosa, che non riusciva a stare fermo sulla poltrona e seguitava a tormentare la croce pastorale che gli ondeggiava sul petto.

    L’avvocato aveva visto in altre occasioni, da lontano, il vescovo, e non immaginava che fosse così grosso e grasso, come gli appariva in quel momento.

    Erano trascorsi alcuni minuti e finalmente il prelato si decise a rivolgergli la parola: – Mi scusi per l’attesa e la ringrazio per aver accettato il mio invito ed essere venuto qui. Le assicuro che non è stato un atto di superbia né di arroganza.

    Dopo una breve pausa il vescovo aggiunse: – Il punto è che la mia sciatica non perdona e mi vedo costretto a starmene seduto su questa poltrona più di quanto vorrei. Il medico dice che ne avrò almeno per un’altra settimana e la situazione in cui mi trovo, purtroppo, non mi permette di perdere tempo. Lei non può nemmeno immaginare quanti problemi devo risolvere ogni giorno.

    L’avvocato Morelli cercava di assumere un’aria di comprensione ma non era interessato alle condizioni di salute del prelato. Restava in attesa che si decidesse a fornirgli qualche chiarimento sulla situazione che sembrava angustiarlo tanto.

    Speriamo di farcela per l’ora di pranzo, pensò mentre, cercando di rilassarsi, si appoggiava allo schienale della sedia.

    Contrariamente al suo solito, aveva indossato la giacca e portava anche la cravatta, cosa che faceva solo quando andava in udienza, ma anche su questo Milena era stata precisa: gli aveva fatto presente che in curia bisognava rispettare una certa forma.

    Lui le aveva chiesto se dovesse mettersi una tonaca, ma la battuta non era stata presa troppo bene e non gli era rimasto altro che accontentare la moglie, alla quale non sapeva dire di no.

    Sperando di anticipare i tempi l’avvocato disse: – Nessun disturbo, non si preoccupi per questo. Il mio studio legale non è lontano da qui e non mi è stato difficile raggiungerla, anche se forse dovrebbe specificarmi il motivo per cui ha bisogno del mio consiglio. Sinceramente, ho cercato di immaginarlo ma non sono riuscito a concludere nulla.

    – Più che un consiglio – lo interruppe monsignor Canosa, – si tratta di un aiuto e di un contributo serio e che forse, ripeto, forse, le porterà via del tempo. Ma, mi creda, sarà ben speso e io le sarò molto, molto grato.

    Forse ci siamo – si disse l’avvocato – ci stiamo avvicinando alla meta. Se me ne sto zitto, ce la farà!

    L’intuizione risultò buona.

    Il vescovo passò dal crocefisso all’anello pastorale che cercava di far roteare attorno al dito, ma con scarso successo. Smise di agitarsi sulla poltrona e gli disse con voce fioca, come se non volesse che altri ascoltassero quello che stava per confidargli: – Ciò che le dirò è riservato. Si tratta di un fatto che si è verificato nell’abbazia di San Tommaso in Salle e che occorre chiarire al più presto. Forse un falso allarme, un banale equivoco, ma è mio dovere intervenire e chiarire. Non posso fare diversamente, anche se sono solo il protettore della basilica e il convento deve rispondere al suo padre provinciale, che si trova a Roma.

    Morelli non resse più: – Se mi dice in concreto di che si tratta, forse potrei essere di aiuto.

    – Capisco la sua impazienza – gli rispose il monsignore, – ma vorrei che lei comprendesse le mie remore, la mia titubanza. Non è facile, mi creda. Non è facile.

    – Noi avvocati siamo come voi sacerdoti, abituati al segreto, alle confidenze dei clienti. Non si preoccupi. Lei mi esponga il problema, e vediamo come possiamo uscirne perché, per la mia esperienza, una volta messi a fuoco i termini di una questione, si riesce sempre a trovare la soluzione.

    – Sarò sintetico anche per non abusare troppo della sua pazienza e del suo tempo – disse il prelato.

    Speriamo bene, pensò Morelli.

    Il vescovo seguitò con il dire: – Sulle montagne dell’Abruzzo, verso la Majella, vicino a Salle, si trova, come saprà, una nostra abbazia. Un luogo sereno e pieno di pace. È un luogo sacro, che non ha mai dato problemi, da quando venne ricostruito da papa Celestino. Sempre tutto bene, sempre fino a ieri, quando è deceduto l’abate, monsignor Bonaventura.

    – Anche gli abati muoiono – interloquì Morelli, cercando di accelerare il discorso. – Il punto è capire come è deceduto quel sant’uomo.

    – Proprio santo non saprei perché non l’ho conosciuto. Io stesso sono qui a Pescara da pochi mesi, ma quella che era una morte naturale sembra sia diventata un problema.

    – In che senso?

    – Nel senso che ieri mattina mi hanno telefonato da Salle per avvertirmi del decesso e tutto, seppur nella tragedia, sembrava normale. Invece, ieri sera mi ha chiamato il priore del convento per dirmi che ci sono dei dubbi sulla morte dell’abate.

    – Dubbi, di che genere? – chiese Morelli.

    La domanda sembrò mettere in difficoltà il vescovo che lo guardò fisso, corrugando la fronte, ma fu questione di attimi perché subito dopo gli rispose: – A sentire il priore, l’abate potrebbe essere morto per avvelenamento. Mi ha parlato di un risotto ai funghi che aveva mangiato la sera precedente. Mi scusi, oggi è giovedì, vero?

    – Verissimo.

    – Ecco, appunto, la sera di martedì l’abate ha mangiato, anzi, avrebbe mangiato dei funghi e questa sarebbe, potrebbe essere la causa della sua morte.

    L’avvocato Antonio Morelli sapeva di avere qualche pregio e parecchi difetti, ma si piaceva com’era, e non aveva il minimo dubbio sul fatto che la pazienza non fosse tra i suoi pregi. Ne aveva poca e quel poco lo perdeva molto facilmente. Però, un vescovo è un vescovo e questa volta ce la stava mettendo tutta.

    Il punto era che non ci stava capendo molto, e non gli piacevano affatto quel dire e non dire, quegli accenni a tutto e a niente. Gli venne in mente un suo vecchio cliente che, quando veniva interrogato dal giudice, negava tutto, negava anche di essere nato ma, interpellato in privato dal suo avvocato, ammetteva tutto, anche i fatti che non lo riguardavano. Affrontare un problema con lui era difficile e spesso Morelli cercava di evitarlo. Questa volta, però, non si poteva defilare, anche se la sua pazienza era agli sgoccioli.

    – Chiedo scusa, monsignore, ma può accadere che qualcuno mangi dei funghi e muoia per avvelenamento. Non ci vedo un dramma né un grosso problema.

    – Non è proprio così – replicò il vescovo, – perché tutti i frati hanno mangiato quel risotto, martedì sera, e solo l’abate è deceduto. Il priore è preoccupato, anche perché il medico dell’abbazia non ha voluto firmare il certificato di morte per cause naturali. Chiede un intervento.

    – Di chi?

    – Bravo, questo non l’ho capito ed è ciò che mi preoccupa. Si immagina lei se la polizia, i carabinieri, i giornalisti cominciano a dubitare, a interrogare, a domandare? Sarebbe disdicevole per tutti.

    Più che disdicevole – pensò Morelli – sarebbe un gran casino.

    – Non ci ho capito molto – ripeté il prelato – e, proprio per questo, sono preoccupato. Il priore mi è sembrato molto in ansia. Chiede che si vada a fondo nella vicenda.

    – Da quello che lei mi dice la faccenda del risotto e dei funghi va chiarita e, se il medico dell’abbazia ha opposto quel rifiuto, immagino che ci possa essere qualcos’altro.

    Il vescovo gli rispose: – Non so cosa dirle, in proposito. Purtroppo non conosco i dettagli, ed è qui che lei, mio caro avvocato, dovrebbe intervenire. L’incarico che vorrei affidarle è proprio questo: andare in quel convento, parlare con il priore e cercare di capire quello che può essere accaduto.

    Po aggiunse: – Non possiamo neanche escludere che ci sia un equivoco di fondo, che si possa trattare di una morte per cause naturali. Questa sarebbe la soluzione migliore, anche se pur sempre dolorosa. Metterebbe comunque l’abbazia, il clero e la Chiesa al riparo da chiacchiere, pettegolezzi e guai. Si fermi un giorno, anche più se necessario, veda di capire, per riferire.

    – A chi?

    – A me, naturalmente. Vada tranquillo e vedrà che farà una bella esperienza.

    L’avvocato Antonio Morelli, però, non era molto entusiasta di quello che gli si prospettava, anche perché non gli era chiaro il compito che monsignor Canosa gli stava affidando. Aveva dei dubbi e decise di non tenerseli tutti per sé, ma di chiarire almeno qualche aspetto della situazione. – Con tutto il rispetto, monsignore, le vorrei far presente che io sono un avvocato, non un investigatore. Penso che sia opportuno e prioritario l’intervento di un medico. Prima occorre stabilire le cause del decesso e solo in un secondo momento potrei essere utile.

    Il vescovo gli sorrise: – Ho pensato anche a questo. Come le ho detto, nel convento c’è un medico ma preferisco che se ne occupi un esterno. Ho incaricato il figlio di un mio vecchio amico, il dottor Passeri, di recarsi sul posto. È giovane, ma è un assistente patologo presso l’università di Roma e mi dicono che si farà strada. In questi giorni si trova a Pescara e così ho pensato di approfittarne. Giovane, sì, ma bravo.

    – Questo può risolvere alcuni problemi ma deve anche considerare che nell’ipotesi peggiore mi potrei trovare in difficoltà.

    – Non capisco dove vuole arrivare.

    L’avvocato Morelli insistette: – Nulla di particolare. Vorrei solo che lei si rendesse conto che potrebbe rendersi necessario avvertire la polizia. Se la causa della morte di monsignor Bonaventura non fosse accidentale è da prevedere l’intervento della polizia e io potrei trovarmi in difficoltà. A quale titolo potrei occuparmi del caso? Come potrei giustificare la mia presenza e il mio intervento?

    Monsignor Canosa smise di martoriare l’anello pastorale e poggiò le braccia sulla scrivania intrecciando le dita. – Prego e spero che non si arrivi a tanto ma, in ogni caso, lei andrebbe a rappresentare la curia vescovile. Sono certo che, operando all’interno di un’abbazia, potrebbe essere utile a chi si riferisce. Mi auguro che l’ansia del priore sia senza motivo ma, se dovessimo trovarci di fronte al peggio, credo che dovremo collaborare. Lei sarebbe il modo migliore per rendere concreto questo nostro atteggiamento. Al tempo stesso io sarei informato dell’evolversi degli eventi.

    Morelli non sapeva quale altra difficoltà mettere in campo per sottrarsi a quell’impegno che gli veniva richiesto e che non gradiva. Rimase in silenzio.

    Anche il vescovo se ne stava in silenzio, in attesa di una risposta.

    Alla fine l’avvocato concluse che si sarebbe recato a Salle e avrebbe fatto il possibile per andare incontro alle richieste di monsignor Canosa, anche se non gli erano del tutto chiare.

    Si alzò, seguito dal vescovo che si appoggiò al suo braccio per non cadere.

    Insieme si diressero verso l’uscita.

    L’avvocato sorreggeva il prelato con naturalezza, senza eccessiva fatica dal momento che la sua corporatura glielo permetteva. Negli ultimi tempi aveva superato i novanta chili e questo lo aveva indispettito, ma riusciva a bilanciare quel peso con l’altezza. Colpa del troppo lavoro che gli aveva fatto diradare le presenze in palestra.

    Si sentiva tonico, non grasso, ma qualche chilo di meno ci sarebbe stato proprio bene. La moglie ogni tanto lo sollecitava in quel senso, ma lui faceva fatica a risolvere il problema, anche perché era una buona forchetta.

    Percorrendo il corridoio l’avvocato notò che c’era ad attenderli un giovane sacerdote, che porse a monsignor Canosa un libro.

    Il vescovo lo prese, gli diede un’occhiata veloce e lo passò a Morelli dicendogli: – È una vecchia pubblicazione che riguarda il monastero di Salle. Ci sono delle belle fotografie, anche se datate, ma potrebbero esserle utili, a parte il fatto che in fondo c’è la cronistoria della struttura. Molto interessante, mi creda.

    Morelli prese il volume.

    Si trovava nel corridoio del quarto piano del palazzo vescovile, dove era ubicato lo studio del prelato.

    L’edificio non era antico, era stato costruito negli anni sessanta. Aveva una struttura che voleva essere di prestigio ma, in realtà, non lo era. Il corridoio era ampio e spazioso, le pareti rivestite con quadri.

    Morelli non aveva tempo per fermarsi ad ammirarli e si ricordò che un amico, tempo prima, gli aveva detto che erano di un certo valore e che il vescovo precedente li aveva presi dalle chiese della periferia creando liti e discussioni con i parrocchiani.

    Camminava lentamente, in parte perché sorreggeva il monsignore e in parte perché il pavimento, in finto marmo, dava l’impressione che si potesse scivolare da un momento all’altro.

    Monsignor Canosa gli chiese: – Conosce quel luogo?

    – Sinceramente, no. Sono stato un paio di volte a Salle. Conosco quel borgo ma non l’abbazia.

    – Peccato – gli disse il vescovo, – perché è un posto che ha una bella storia e anche oggi ha una vitalità che non ci si aspetterebbe, tra quelle montagne. L’edificio ha mantenuto in gran parte la sua struttura originaria e vi si conservano alcune opere di ottima fattura. Ci sono un crocefisso ligneo medioevale di Anselmo da Celano e alcuni dipinti, che, mi creda, sono piaciuti anche a me, che di arte me ne intendo poco. Senza contare la famosa bolla di papa Paolo, che diede il via alla santa inquisizione, un vero cimelio della cristianità. Sono stato in visita pastorale appena un mese fa e non le nascondo che sono rimasto meravigliato dal luogo e sorpreso dalle persone che ci abitano.

    L’avvocato non sapeva nulla di Anselmo da Celano e tanto meno di una bolla papale. Se ne stette zitto.

    Giunti nell’ingresso dell’appartamento, prima di separarsi, Morelli si fermò un attimo.

    Deciso a togliersi una curiosità, chiese al vescovo come mai si fosse rivolto al suo studio legale. Non era importante, ma se l’era domandato fin da quando aveva ricevuto la telefonata di Milena.

    Monsignor Canosa, lasciato il braccio cui era appoggiato, gli rispose: – Mi stavo chiedendo quando mi avrebbe rivolto questa domanda e cominciavo a pensare che il suo silenzio fosse segno di una certa presunzione.

    – Ho molti difetti e forse anche questo, ma ero preso dal suo problema, che mi sembrava dovesse avere la precedenza sulla mia curiosità.

    Il vescovo fece cenno al sacerdote che li seguiva di avvicinarsi di nuovo e aggiunse: – Le dicevo che sono qui da poco tempo, ma sono della zona, tanto che ho frequentato il seminario diocesano di Chieti. Ho un nipote, di circa quarant’anni, come lei, che mi ha parlato del suo lavoro. So che lei è sposato con figli mentre lui purtroppo convive e questo mi addolora tanto. È stato Pierpaolo a parlarmi del suo studio legale, di come lei sia bravo e, soprattutto, di come sa essere discreto. Tutto qui. Un amico me lo ha confermato e mi sono deciso a farle telefonare.

    – Curiosità per curiosità, mi dice perché non mi ha telefonato lei?

    Canosa: – Pare che lei non leghi molto con il clero e temevo un suo rifiuto. Mi sarebbe dispiaciuto dopo le informazioni che avevo avuto sul su conto e così ho aggirato l’ostacolo. Spero che non si sia offeso.

    – No, no – replicò Morelli, – anche perché si è rivolto alla persona giusta.

    Mentre si salutavano il vescovo gli disse: – Le raccomando la massima discrezione. Se proprio deve avvisare l’autorità civile, lo faccia pure, ma mi usi la cortesia di farmelo sapere in anticipo. Nel frattempo mi occuperò io di avvertire il priore del suo arrivo, e deciderà lui se e come presentarla agli altri della comunità. Di nuovo, grazie.

    Morelli evitò di baciare l’anello vescovile e se ne uscì, accompagnato fino al portone dal sacerdote che gli si era messo alle costole, come a proteggere il suo vescovo e quel luogo dagli intrusi e dai malvagi.

    Quando uscì dal palazzo vescovile, che si trovava nei pressi della chiesa dello Spirito santo, dalle parti di via Napoli, l’avvocato Antonio Morelli sentì il bisogno di bere una birra. Non faceva molto caldo, ma aprile se ne stava andando dal calendario.

    Erano quasi le undici di mattina e non era abituato a bere prima del pomeriggio, ma questa volta aveva una gran sete. Non se lo poteva permettere a quell’ora del mattino, ma era al servizio di nostra madre Chiesa e si disse che questo doveva farlo assolvere da eventuali peccatucci. Non si aspettava di tirarci fuori un buon onorario, ma almeno qualche indulgenza gliene sarebbe venuta. Lo sperava.

    Vide nell’angolo della piazzetta un bar e non esitò a raggiungerlo.

    Appena entrò nel locale, come prima cosa si liberò della cravatta, che lo stava strozzando. La ripiegò con cura e se la mise in tasca. Non era proprio elegante ma, almeno, poneva termine a quel senso di soffocamento che lo stava prendendo.

    Si sedette e con tutta calma bevve la sua birra scura, con il gusto di chi sa apprezzare certe prelibatezze.

    A metà boccale, quando ormai cominciava a far pace con il mondo, telefonò alla moglie.

    Le accennò quello che era accaduto, evitando i dettagli perché non sarebbero serviti a nulla, precisandole che aveva indossato la cravatta blu marina, quella che le piaceva tanto.

    Lei commentò la notizia con un secco grazie

    Morelli: – Vado in studio a organizzare il lavoro per il tribunale e vengo a casa. Tempo un’ora e poi mi avvio verso Salle.

    – Perché tanta fretta? – chiese Milena.

    – Amore mio, prima parto prima torno. Poi ti racconto.

    Si tratterà di un giorno, anche meno – pensò – perché, se è morto per dei funghi, è colpa sua e della ingordigia. Se la causa è un’altra, ci sarà di mezzo Domineddio e tutto si risolve anche prima. L’importante è che torni a Pescara per domenica perché la partita con la Roma proprio non me la voglio perdere. Non ci penso nemmeno.

    Mentre beveva una seconda birra, rigirava tra le mani il libro che il vescovo gli aveva dato, non sapeva se come dono o in prestito.

    Si mise a sfogliarlo. Doveva ammettere che le fotografie erano belle e rendevano visivamente l’idea del luogo.

    Conosceva l’Abruzzo in ogni suo angolo e si meravigliò di non aver mai visto quel monastero, che, a stare alle fotografie del libro, era una cosa seria: Era circondato da boschi e alberi d’alto fusto, e forse era questa la ragione per cui era sfuggito alle sue scorribande di fine settimana, specie quelle che fino a pochi anni prima faceva con Milena sulla moto Gilera.

    In una foto si vedeva molto bene un ampio locale, con le volte a cielo di carrozza, pieno di libri. Nessun dubbio che fosse una biblioteca, la biblioteca del convento, e, per un bibliofilo come lui, di nascita e di educazione, si trattava di certo di un motivo per entrare in quel sancta sanctorum e godersela alla grande. Ci avrebbe scommesso che c’erano libri di pregio. Con la fantasia intravide volumi antichi, testi sacri e filosofici, forse in carta pergamena e rilegature in cuoio, come si usava una volta. Bella visione! La prospettiva di poter entrare in quel luogo gli fece perdonare le pretese della moglie, la lentezza del vescovo e le incertezze del futuro.

    In un’altra foto si intravedeva una specie di orticello, un piccolo spazio che doveva essere l’orto dell’abbazia, anche esso un luogo da non perdersi, ammesso che con il tempo non l’avessero abbandonato alle ortiche. A fianco della fotografia c’era scritto Orto dei semplici del monasterio. Si ripromise di fare una piccola ricerca sull’argomento. L’annotazione era a caratteri gotici e forse era questo il motivo per cui l’ultima parola gli sembrava fuori del comune.

    La sua attenzione fu attratta dal titolo del volume e per un attimo rimase sorpreso. Si sarebbe aspettato che si dicesse abazia e, invece, lesse che si trattava dell’abbazia di Salle.

    Si divertiva spesso a cercare l’esatta scrittura di una parola e questa volta non riusciva a trovare la giusta soluzione. Si ripromise, appena possibile, di sciogliere anche questo enigma. Il dubbio lo infastidiva, anche se si rendeva conto che era un’autentica fesseria.

    Decise di accelerare i tempi perché il morto lo era da quasi due giorni e, se si fosse trattato di qualcosa di serio, non si poteva permettere di perdere altro tempo.

    Pagò le due birre e si diresse verso la zona di Portanuova, dove si trovava il suo studio.

    Le preoccupazioni di monsignor Canosa gli sembravano eccessive e aveva il dubbio che gli avesse nascosto qualche dettaglio.

    Mentre attraversava il ponte, che congiungeva le due parti della città, fu assalito da una folata d’aria fresca, e questo lo impensierì perché doveva recarsi in montagna, dove la temperatura sarebbe stata più pungente e fredda.

    2. Il certificato di morte

    Tra i piccoli problemi che trovò nello studio, un vecchio cliente che un giorno sì e l’altro anche si presentava per avere notizie della sua causa, i saluti alla moglie, che insistette perché mangiasse qualcosa prima di partire, si fecero le due del pomeriggio.

    Cercò di recuperare il tempo perduto spingendo con la Porche lungo l’autostrada per Roma. Uscito al casello di Scafa, prese la strada che portava verso il centro del parco nazionale della Majella.

    Il percorso era in salita e subito si vide immerso in una zona fiancheggiata da alberi di faggio e piccoli casolari. Prima di arrivare a Caramanico terme, attraversato il borgo di Scagnano, voltò verso destra, per Salle. Non giunse fino al centro del borgo perché, appena dopo un centinaio di metri, la segnaletica lo indirizzò verso la montagna.

    La strada si faceva sempre più stretta e cominciò a pensare che avrebbe dovuto prendere il fuoristrada, che in casa usava la moglie, quando fu costretto a fermarsi all’altezza di un ponte.

    Un vigile del fuoco, grande e grosso, forse anche per la divisa che indossava, gli intimò di accostare e fermarsi sullo spiazzo che si trovava lì vicino. Lo fece.

    Un’autogrù stava sollevando qualcosa che si trovava nella parte

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