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Energia delle erbe: Spunti pratici e meditativi per ritrovare il benessere olistico
Energia delle erbe: Spunti pratici e meditativi per ritrovare il benessere olistico
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Energia delle erbe: Spunti pratici e meditativi per ritrovare il benessere olistico

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Il benessere attraverso le erbe come non l’avete mai conosciuto. Un percorso di consapevolezza in cui imparare ad ascoltare la saggezza delle erbe officinali ed a percepirne l’energia per portare serenità, gioia e pienezza nella propria vita. Il tutto arricchito da piacevoli esercizi e meditazioni.
Avete presente la sensazione di beatitudine che provate sdraiandovi su un bel prato? Pensate alla facilità con cui, in quel momento, la mente si sgombra e vi rilassate. Vi piacerebbe riuscire a sentirvi in questo modo ogni giorno? Purtroppo non esiste una bacchetta magica che vi tele-trasporterà all’occorrenza, tuttavia questo libro vi guiderà verso una presa di consapevolezza che vi porterà a guardare il mondo con occhi diversi. Scoprirete che anche nelle piante esiste quella scintilla che anima e caratterizza ogni elemento naturale; imparerete come vi sia una profonda interconnessione tra noi e ogni altro essere vivente e sarete pronti per sperimentare quali altri benefici le erbe officinali possono donarvi, oltre a quelli, già noti, della tradizionale erboristeria. Le piante, infatti, ci possono aiutare a conoscere meglio noi stessi, i nostri malesseri e i nostri desideri più profondi. Le pagine di questo libro conducono ad ascoltare la saggezza celata delle piante medicinali attraverso un riallineamento ai cicli naturali e a uno stile di vita ecosostenibile, nonché ad attingere all’energia delle erbe per portare benessere olistico e vitalità dentro di noi.
LanguageItaliano
Release dateJan 17, 2017
ISBN9788863653922
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    Energia delle erbe - Chiara Versaico

    curative.

    PARTE 1

    FILOSOFIA OLISTICA, L’UOMO E IL MONDO VEGETALE

    L’UOMO E IL MONDO VEGETALE

    Guardando alla lunga storia dell’umanità, è impossibile non notare come una strettissima alleanza tra genere umano e mondo vegetale sia sempre esistita. Ai tempi in cui l’uomo viveva immerso nella selvaggia natura incontaminata, presente sul nostro pianeta migliaia e migliaia di anni fa, la sua principale preoccupazione quotidiana era una sola: sopravvivere.

    Frutti, radici, funghi ed erbe commestibili erano le risorse alimentari più accessibili e di facile reperimento; era solo necessario cercarle e raccoglierle, un’attività molto più semplice e priva di rischi rispetto alla caccia di un altro animale. Indubbiamente, anche a causa delle variazioni climatiche stagionali, per l’essere umano fu necessario imparare a adattare i propri ritmi di vita a quelli delle piante, insediandosi dove era più facile attingere alle specie indispensabili per la sopravvivenza. All’inizio l’uomo raccoglieva i frutti che la Natura gli offriva in modo molto istintivo e spontaneo, poi, piano piano, iniziò a comprendere i segreti della vegetazione e ideò l’agricoltura. Un mito romano racconta che fu Saturno, mentre viveva sulla Terra ospite del re Giano, che insegnò all’essere umano le tecniche dell’agricoltura e gli rivelò i misteri della vita che sono racchiusi in un piccolo seme.¹ Questo ci dice molto su quanto la possibilità di coltivare le proprie piante rappresentò un’innovazione preziosa per l’uomo dell’antichità, non più costretto a spostarsi ciclicamente a seconda delle diverse fasi produttive stagionali e finalmente in grado di garantirsi in modo autonomo un approvvigionamento di tutte le piante di maggiore utilità. Dal mondo vegetale, infatti, l’essere umano ha sempre tratto non solo nutrimento, ma anche innumerevoli altre risorse necessarie al suo sostentamento e sviluppo: materiali da costruzione per le abitazioni e utensili, combustibile per il fuoco, fibre per produrre tessuti con cui ripararsi, sostanze necessarie per la cura della persona (detergenti, disinfettanti) e, soprattutto, medicinali. Fino a qualche secolo fa infatti le uniche risorse a sua disposizione, per sconfiggere la malattia o proteggersi da essa, arrivavano proprio dalle piante.

    Anche se non ne è rimasta alcuna testimonianza, possiamo presumere con una buona dose di certezza che una prima alleanza fra l’uomo e le erbe medicamentose sia cominciata molto, molto tempo fa, quando, possiamo immaginare, un nostro lontanissimo progenitore masticò un’erba e si accorse – per poi ricordarlo – che ne aveva tratto un sollievo, un senso di benessere, qualcosa di diverso e migliore della semplice sensazione di sazietà. Probabilmente, incuriosito, provò ancora quel misterioso vegetale e ne trasse gli stessi benefici, così, da questo primordiale sperimentatore, ebbe inizio la disciplina dell’erboristeria. Con maggiore certezza possiamo dire che furono l’istinto, l’esperienza quotidiana e l’osservazione intelligente che insegnarono all’uomo a utilizzare le piante a fini curativi: una pratica, questa, che si sviluppò empiricamente per migliaia di anni. È evidente che gli uomini dei tempi antichi non potevano sapere né il perché né il modo in cui alcuni vegetali fossero in grado di curare talune malattie piuttosto che altre, ma le conoscenze riguardo alle loro applicazioni vennero comunque assimilate e tramandate di generazione in generazione.

    Tenendo quindi a mente in quanti modi le piante, generosamente e con semplicità, aiutavano l’uomo a soddisfare le proprie necessità primarie e addizionando a ciò anche la consapevolezza che le erbe erano preziose alleate per contrastare malattie e disturbi di salute di vario genere, possiamo facilmente dedurre come tanta grazia sia stata interpretata dall’essere umano come un dono di entità sottili che alla sua specie guardavano con favore. Non c’è quindi da stupirsi se allora le piante – la materia prima più importante a cui l’uomo si rivolgeva – venissero spesso viste come una manifestazione straordinaria e divina. Per migliaia e migliaia di anni, non solo il merito della crescita vegetale venne attribuito a forze sovrannaturali, ma anche la responsabilità della presenza di una malattia veniva interpretata secondo la medesima origine. Ecco perché, nei periodi più remoti della storia umana, non troviamo alcuna differenza tra religione, medicina ed erboristeria. Per curarsi si ricorreva tanto ai rimedi a base di erbe officinali quanto alla magia, agli incantesimi, alle preghiere agli spiriti e ai sacrifici agli Dei e la conoscenza delle virtù medicinali delle piante era predominio di quegli uomini che dedicavano la loro vita all’interazione tra mondo profano e realtà divina: sciamani e sacerdoti. Le prime fasi della storia dell’erboristeria, di conseguenza, rientrano nella cosiddetta medicina sacerdotale o medicina magica,² dove sia le malattie che i rimedi erano ritenuti di origine divina e misteriosa e di cui siamo potuti venire a conoscenza grazie agli scritti che venivano custoditi nei templi.³

    Attraverso queste fonti, rinvenute in abbondanza nei siti archeologici delle antiche civiltà mesopotamiche ed egizie così come in Grecia, giunge fino a noi una concezione in cui le proprietà medicamentose delle erbe erano considerate come emanazioni dei poteri degli Dei e le piante stesse erano viste come espressioni della magnificenza divina, la quale offre un’idea ben chiara della riverenza che veniva dedicata agli elementi del mondo vegetale nel passato. Addirittura in alcuni casi – e in special modo nei culti della Grecia classica – alcune piante erano direttamente viste come simboli del divino stesso, ovvero – in termini moderni – come simboli degli aspetti archetipali che una particolare divinità andava a incarnare e rappresentare. Per spiegare meglio questo concetto così complesso, possiamo usare come esempio la rosa rossa. Narra un mito che nei tempi andati le rose fossero tutte bianche. Un giorno Afrodite, correndo verso il suo amato Adone ferito a morte da un cinghiale, si punse con le spine di una rosa, macchiando i fiori con il suo sangue e tingendoli di rosso.⁴ Da allora, le rose rosse divennero simbolo dell’amore nella sua forma più pura che supera anche le barriere della morte. L’archetipo che la Dea Afrodite incarnava, ossia l’amore – uno degli aspetti più importanti quanto misteriosi della realtà umana – viveva quindi e trovava espressione nella pianta di rosa rossa, in virtù del suo collegamento con la divinità patrona di tale tematica e proprio per questo gli uomini del passato percepivano con profonda consapevolezza la sacralità del simbolo vegetale stesso. L’esempio della rosa rossa è solo uno dei moltissimi che possiamo rintracciare, non solo all’interno delle religioni più antiche, ma anche nella più recente storia del Cristianesimo, come testimoniano le numerose storie di santi la cui essenza simbolica e spirituale veniva espressa attraverso l’associazione con una determinata pianta. Il legame dell’uomo con il mondo vegetale è stato quindi nella nostra storia evolutiva così importante e profondo da lasciare tracce indelebili non solo negli aspetti più profani della nostra vita quotidiana, ma anche in quelli socio-culturali così come in quelli più sottili e spirituali. Ciò ha continuato ad avvenire per millenni. Poi, con lo svilupparsi del metodo scientifico, il mondo vegetale è stato in prima istanza spogliato del suo alone di sacralità, mentre successivamente – con l’avvento della chimica e la scoperta dei principi attivi – alle piante è stato tolto il potere di meravigliare l’uomo con le loro straordinarie capacità curative.

    Cosa rimane quindi oggi di quel profondo legame di interscambio e reverenza nei confronti delle piante che ha caratterizzato tutte le società sorte sul nostro pianeta? Si potrebbe dire tutto e niente: il cuore della questione risiede solo in una diversa – e minore – consapevolezza. In un’ottica generale l’uomo moderno continua comunque a usare le piante in svariati ambiti della propria vita. Nella nostra alimentazione ci sono sempre moltissimi alimenti di origine vegetale; nelle nostre case sono ancora presenti mobili e utensili di legno; alcuni dei nostri indumenti sono tuttora prodotti a partire da fibre di cotone o lino. Perfino riprendendo l’esempio della rosa rossa citato poco prima, possiamo notare come la sua simbologia sia rimasta tale; ancora oggi, a distanza di secoli, continuiamo a usare questo fiore ogni volta che vogliamo rappresentare un’immagine romantica e al contempo passionale. Ma ormai le piante sono considerate meri oggetti, non più esseri viventi concessi all’uomo dal divino e meritevoli di rispetto e riguardo; i loro doni altro non sono se non prodotti che hanno valore solo in un’ottica commerciale. L’uomo medio non vede più una benedizione della generosa Madre Natura in un albero che dona frutti con cui ci si può sostentare; in esso non vede più la meraviglia e la sacralità di un sistema vivo e intelligente che provvede alle nostre esigenze, dalle più pratiche e immediate alle più profonde e mistiche.

    Questa progressiva e inesorabile disconnessione è una delle espressioni più evidenti di come l’uomo contemporaneo stia andando sempre più contro la sua stessa essenza di essere vivente che alla Natura appartiene, ostinandosi nel provare a cambiare quello che istintivamente e proficuamente i nostri avi hanno continuato a fare per millenni. Proprio l’altro giorno, su un social network, mi sono imbattuta in una cartolina che diceva: Se gli alberi inviassero un segnale Wi-Fi li pianteremmo ovunque. Peccato producano solo l’ossigeno che respiriamo.⁵ L’ironia è sottile e pungente, ma in effetti va a toccare un po’ tutti noi. Chi nella propria vita non ha firmato un contratto per una connessione Internet? E quanto spesso, in proporzione, abbiamo avuto occasione di piantare un albero? Possiamo fare finta di niente, ignorare l’auto-privazione che ci stiamo infliggendo attraverso il comfort che la moderna società occidentale ha costruito negli ultimi secoli, ma la sempre maggiore incidenza di mali tipicamente moderni – come le intolleranze alimentari, gli attacchi di panico, l’obesità, la depressione, i disturbi psicosomatici, ecc. – dovrebbe suonare come un campanello d’allarme il cui scopo è avvisare l’uomo che non può estraniarsi totalmente dalla Natura e dalle sue leggi vitali nella superba convinzione di dominarla, ne è sempre e comunque parte – a essa sottoposto e dipendente – e ignorare questo dato di fatto porterà tutti noi alla rovina.

    L’essere umano è sopravvissuto per millenni e ha costruito la sua fortunata scalata nella piramide alimentare anche grazie alla profonda interazione che ha saputo costruire con il mondo vegetale ed è per questo che, interessandomi ai fondamenti dell’etnobotanica, ho potuto cogliere in tale relazione una condizione fondamentale per la perfetta espressione della vita umana nel pieno delle sue potenzialità. A conferma di ciò, ecco che negli ultimi decenni le piante hanno iniziato a tornare nuovamente protagoniste di sistemi e pratiche volte a incrementare il benessere della persona, come testimonia ad esempio il revival dell’erboristeria; la capillare diffusione di aziende produttrici di fitocosmesi; la sempre maggiore richiesta di prodotti per la persona e l’ambiente che applichino i principi dell’aromaterapia; la riscoperta di antiche e benefiche pratiche rivisitate in chiave moderna, dove le piante sono protagoniste, come ad esempio i bagni di fieno o la garden therapy.

    LA NATUROPATIA E LE PIANTE

    Negli ultimi anni si parla sempre più delle figure professionali che supportano le persone nella ricerca del proprio benessere. Un numero crescente di scuole di specializzazione sono attive sul territorio italiano ed è rilevabile un incremento dell’offerta di discipline naturali a cui rivolgersi. La Naturopatia è forse tra le più note, ma, anche a causa della confusione legislativa presente in merito in Italia, a molti non è ben chiaro chi sia il naturopata e di cosa si occupi.

    Per iniziare a fare un po’ di chiarezza, andiamo innanzitutto a vedere come l’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica Treccani, nella sua edizione del 2008, definisce il termine Naturopatia:

    "Scuola di filosofia e pratica medica, introdotta alla fine dell’Ottocento da Benedict Lust, che non si identifica con una specifica tecnica terapeutica, ma mira a migliorare la salute e a trattare la malattia principalmente stimolando e accompagnando la capacità innata del corpo a guarire dalle malattie secondo il principio vis medicatrix naturae (il potere curativo della natura). La naturopatia si ispira a principî vitalistici e si basa sulla teoria che il corpo è un sistema che si autoregola in grado di mantenere se stesso in uno stato di salute e di benessere attraverso un’azione preventiva e l’adozione di corretti stili di vita".

    Per approfondire, possiamo poi fare riferimento a quanto scritto in proposito dall’OMS nel 2010,⁶ dove si legge:

    "In generale, la naturopatia privilegia la prevenzione, il trattamento e la promozione della salute ottimale attraverso l’uso di metodi terapeutici e modalità che incoraggiano il processo di auto-guarigione – la vis medicatrix naturae. L’approccio filosofico della Naturopatia comprende la prevenzione delle malattie, l’incoraggiamento della intrinseca capacità di guarigione del corpo, il trattamento naturale di tutta la persona, la personale responsabilità per la propria salute e l’istruzione dei pazienti per promuovere la salute attraverso un adeguato stile di vita. La Naturopatia miscela la millenaria conoscenza delle terapie naturali con gli attuali progressi nella comprensione della salute e dell’essere umano stesso. Pertanto, la Naturopatia può essere nel complesso descritta come la pratica generale delle terapie della salute naturale".

    La naturopatia, quindi, è una dottrina multidisciplinare che promuove una filosofia e uno stile di vita in linea con i principi naturali al fine di supportare il benessere globale della persona: fisico, mentale, emotivo e vitale. Nella definizione dell’OMS troviamo infatti scritto: trattamento naturale di tutta la persona. Punto focale della naturopatia è infatti una visione dell’essere umano che non considera la salute del corpo come l’unico ambito da tenere in considerazione, bensì approfondisce tutti gli aspetti che vanno a incidere sulla qualità di vita della persona e sulla tutela del suo patrimonio di salute. Tra i suoi scopi non vi è, quindi il curare nel senso stretto del termine,⁷ quanto il prendersi cura in una dimensione olistica dell’individuo, coordinando lo stile di vita della persona al fine di prevenire l’insorgere della patologia. Compito del naturopata è quello di valutare la costituzione generale della persona, indagare sulle sue abitudini di vita e infine condurla verso la comprensione di quali cambiamenti potrebbero migliorare il suo stato di salute e quali atteggiamenti, invece potrebbero portarla verso uno stato di malattia. Un naturopata può quindi venire consultato da chiunque desideri imparare a tutelare il proprio patrimonio di salute attraverso un corretto approccio a tutti gli aspetti del quotidiano che supportano la vita umana.⁸

    È una "medicina⁹ preventiva, dunque, che nasce principalmente per ricondurre le persone alla consapevolezza che la malattia – nella sua fase ultima e patologica – spesso ha origini in uno stile di vita scorretto rispetto alle specifiche esigenze del corpo. Siamo infatti tutti diversi e così come uno ha gli occhi azzurri e un altro gli occhi marroni, allo stesso modo ogni persona ha caratteristiche differenti e diverse predisposizioni naturali: punti deboli e punti di forza" che vanno a incidere sulle sue condizioni di benessere. Dovere di un buon naturopata è quindi condurre ogni individuo alla presa di coscienza delle proprie specifiche necessità e predisposizioni, sia in positivo che in negativo, oltre che trasmettere il concetto che è dovere di ciascuno imparare a conoscersi approfonditamente per sapere dove proteggersi, coccolarsi e tutelarsi di più. Ma compito del naturopata è anche insegnare che, sebbene i nostri organismi funzionino più o meno allo stesso modo, l’individualità personale dell’uomo nella sua completezza è invece unica e come tale deve essere esplorata e valorizzata nell’ottica di raggiungere il benessere globale di cui si parlava prima.

    Ma cos’è il benessere? Che differenze intercorrono tra questo stato e quello, più noto, di salute? Non sempre essere in salute, infatti, è sinonimo di stare bene. Talvolta lo stress, i cambiamenti improvvisi, le fobie e gli scompensi emozionali ed energetici compromettono in modo importante la qualità della vita, nonostante nel corpo tutto funzioni perfettamente. Con la parola benessere si va quindi a esprimere il concetto di situazione di vita ideale, dove tutti gli aspetti connessi alla nostra esistenza si intrecciano in un armonico equilibrio che consente la piena realizzazione e gratificazione della persona stessa. Considerando che ogni uomo non è fatto solo di carne, ma possiede aspetti meno materiali che comunque influenzano la qualità della vita, si potrà ritenere raggiunto il benessere completo quando tutti i seguenti ambiti si troveranno in una situazione ottimale: corpo, mente, emozioni ed energia vitale.

    -Il benessere del CORPO contempla un efficace funzionamento di tutti gli organi; la piena capacità di assimilazione dei nutrienti; la corretta eliminazione delle tossine; una buona resistenza alla fatica e una buona capacità di recupero della stanchezza; uno stato di leggerezza, flessibilità e agilità; assenza di dolori.

    -Il benessere della MENTE contempla chiarezza e lucidità mentale; una buona memoria; un’elastica capacità di collegamento e di ragionamento; pieno controllo sullo stress; libertà da nevrosi e compulsioni grandi e piccole.

    -Il benessere delle EMOZIONI contempla un umore prevalentemente stabile; un approccio ottimistico verso la vita; una capacità di controllo delle reazioni emotive; una buona resistenza allo stress emotivo; la libertà da fobie, ansie e tristezze immotivate.

    -Il benessere dell’ENERGIA VITALE contempla un fluire armonico e costante della vis medicatrix naturae, ¹⁰ ovvero della forza vitale e autoregolatrice della persona.

    Per conseguire questo obbiettivo ambizioso quanto fondamentale per una soddisfacente esistenza, il naturopata impara ad avvalersi di diversi strumenti. Tra questi vi sono ad esempio l’alimentazione, l’equilibrata alternanza tra l’attività fisica e mentale e il riposo, le tecniche di respirazione e di massaggio, le discipline vibrazionali come la floriterapia.

    E poi ci sono le piante: dalle erbe classiche delle diverse tradizioni erboristiche ai più moderni oli essenziali, passando per altri tipi di derivati vegetali come ad esempio i gemmoderivati. In naturopatia le piante sono quindi usate molto spesso e credo di poter affermare con certezza che siano lo strumento più apprezzato e utilizzato da tutti i professionisti di questa disciplina.

    Quello che però non risulta chiaro è dove si trovi la differenza tra il lavoro che svolge il naturopata con tale strumento e quello che invece viene svolto dall’erborista.

    ERBORISTERIA E NATUROPATIA

    La moderna scienza erboristica guarda alle piante come a complesse strutture dotate di una chimica molto particolare e altamente interessante nella sua varia complessità. I progressi scientifici degli ultimi secoli hanno infatti prima svelato la presenza dei principi attivi presenti nelle piante e successivamente continuano ad approfondire la conoscenza su come questi possono agire sulle funzioni dell’organismo umano (e animale in genere), regolarizzandole o alterandole. È quindi grazie alla ricerca scientifica se ora possiamo utilizzare le erbe con cognizione di causa per ritrovare e mantenere la salute. Ora sappiamo, con maggiore certezza rispetto al passato, quali siano le piante tossiche per l’uomo, e quali, invece, siano benefiche. Sappiamo quali vegetali utilizzare per ogni disturbo, quali controindicazioni vi siano rispetto all’uso di determinate specie e conosciamo molte delle possibili interazioni che possono manifestarsi tra diversi principi attivi. Se ne riconoscono vantaggi e limiti e le discipline scientifiche applicate all’erboristeria sono in grado di ottimizzare e sfruttare sempre di più le risorse vegetali, al fine di migliorarne le applicazioni terapeutiche. Finalmente, si sta mettendo ordine in questo settore, eliminando le informazioni incorrette e verificando con metodi e sperimentazioni all’avanguardia l’enorme potenziale positivo delle erbe. Per tutte queste valide ragioni, non possiamo che essere grati alla moderna erboristeria. Infatti è anche grazie a questa nuova rispettabilità scientifica che l’uso medicamentoso delle erbe, dopo anni di decadimento, è finalmente tornato in auge, regalando a moltissime persone i suoi naturali benefici.

    Ma nella maggior parte dei casi, l’erboristeria moderna (così come la medicina) aderisce a un metodo di valutazione che non si discosta molto da quello di un normale farmacista: a ogni sintomo la sua cura. Ci si sofferma su quali siano le funzioni fisiologiche che non svolgono correttamente il loro lavoro, oppure su quali batteri o virus siano responsabili di un disturbo e si elabora una terapia utilizzando fito-rimedi anziché farmaci di sintesi. Nonostante questo sia comunque un notevole passo in avanti per quanto riguarda la riscoperta dei vantaggi di una medicina più naturale e in linea con l’essere umano, per assecondare la sensibilità dell’uomo del nuovo millennio che anela sempre più a una riconnessione alle energie della Terra, ecco affiancarsi all’erborista normale una nuova figura: il naturopata specializzato in erboristeria olistica.

    Sono in molti a pensare che queste due professioni siano più o meno la stessa cosa – o peggio, che il naturopata che lavora con i rimedi a base di erbe sia la brutta copia dell’erborista – ma in realtà gli approcci sono diversi e complementari. Abbiamo visto precedentemente come l’erborista studi le piante da un punto di vista scientifico, acquisendo conoscenze in merito alle composizioni chimiche e alle loro possibilità di applicazione in relazione a un determinato disturbo o una patologia.¹¹ Il naturopata, invece, che abbraccia una concezione del mondo di ispirazione olistica, si interessa alle piante guardandole come elementi facenti parte del Tutto. A partire dallo studio delle antiche tradizioni mediche di Oriente e Occidente, il naturopata che si avvale di rimedi vegetali ricerca una conoscenza globale – a 360° – delle erbe medicamentose: non solo la scienza, quindi, ma anche la storia, la simbologia, la loro impronta sottile ed energetica, il corredo delle corrispondenze a esse attribuite nelle diverse civiltà. Il naturopata rimette inoltre in discussione la visione del tempo lineare – invenzione umana e in disaccordo con la visone naturale del tempo – cercando di riproporre una percezione temporale di tipo ciclico. Su questa scia viene quindi molto rivalutata l’importanza del vivere in modo differente le diverse stagioni in modo da incrementare il proprio benessere psico-fisico. Ovviamente, per un naturopata, anche il concetto di salute e di malattia si rifà a una concezione olistica, poiché a monte non considera l’uomo come una macchina che ogni tanto ha bisogno di manutenzione o riparazioni. Egli vede l’essere umano come un complesso insieme di funzioni fisiche, psicologiche, emotive ed energetiche che nella loro vibrante sinergia tracciano il disegno di un essere vivente profondamente complesso e sfaccettato e che, per la sua stessa essenza, è progettato per vivere secondo gli antichi ritmi dettati da Madre Natura. In quest’ottica, di conseguenza, i rimedi a base di erbe non vengono consigliati esclusivamente per ripristinare il corretto funzionamento di un organo o di un processo, ma vengono intesi come alleati che sostengano la persona nella sua ricerca di un equilibrio psicofisico armonico e stabile, oltre che una via elettiva per riallinearsi a uno stile di vita maggiormente in armonia con la Natura a cui l’uomo appartiene.

    OLISMO È...

    Nel capitolo precedente abbiamo visto come la Naturopatia sia una pratica che si approccia al malessere e al disagio con modalità diverse rispetto alla medicina tradizionale, rifacendosi a una visione olistica del mondo. Ma che cos’è l’olismo? E cosa significa avere un approccio olistico nella concezione di se stessi e della realtà circostante?

    Dal punto di vista strettamente etimologico, il termine olismo deriva da olos che in greco significa intero come unità, differenziandosi quindi da pan che invece esprime il concetto di intero come molteplicità delle parti. Ufficialmente, la parola olismo venne coniata nel 1926 dal sudafricano Jon Smuts – politico e filosofo evoluzionista – nel suo libro Holism and evolution.¹² Secondo il pensiero di Smuts, l’olismo è:

    «[...] la tendenza generale della natura a raggruppare in modo organico, in ogni settore e fase della realtà, unità strutturali in complessi dotati di proprietà qualitativamente nuove rispetto alle componenti, nei quali aumenta il grado di interazione e complessità [...]».¹³

    Nella moderna concezione occidentale l’olismo è quindi visto come un principio – una legge naturale – che presiede alla creazione di totalità; entità sempre più complesse e nuove rispetto alle precedenti, in quanto la natura tende a produrre degli interi con qualità non prevedibili dalle caratteristiche delle singole parti. Un esempio molto esplicativo e di facile comprensione prende in esame della semplice acqua. Dall’idrogeno e dall’ossigeno, posti tra loro in una specifica e unica connessione, si crea l’acqua. Questa ha qualità nuove, diverse da quelle degli elementi che la costituiscono presi singolarmente. Sulla base di questa indiscutibile asserzione potremo facilmente capire come la teoria olistica, sebbene arrivi in Occidente in tempi decisamente recenti, abbia suscitato un grande interesse in diversi ambiti delle discipline e aree di ricerca umana. Ritroviamo oggi branche della filosofia, della chimica, della fisica, dell’antropologia e della psicologia che contemplano nelle loro teorie l’inserimento di tale principio.

    Ma per quanto la definizione terminologica dell’olismo e il suo inserimento nella tradizione culturale occidentale sia decisamente moderna, bisogna però considerare che l’approccio olistico alla realtà naturale è stato presente

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