Fai pure uccidimi
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Fai pure uccidimi - Daniele Clocchiatti
Clocchiatti
D.c.l.M.
Troia
< Ci pensi? >
< Cosa? >
< L’uomo ha sulle spalle millenni di storia… eppure. >
< Eppure? >
< Eppure commette ogni giorno gli stessi errori. >
< Beh, l’uomo è il diavolo in terra… per cui... >
< Perseverare diabolicum est. Sì. Ma se l’uomo impara che un sasso che cade sul proprio piede fa male ed al presentarsi del medesimo evento egli sposterà il piede, perché commette, però, sempre gli stessi errori? >
< Non saprei. Noia, pigrizia, idiozia… scegli, hai solo l’imbarazzo. >
< Nessuna di queste. Per certe cose non vi sono lezioni sufficientemente grandi che possano insegnare. >
< Spiegarti no? Magari comprendo dove sei caduto. >
< Troia. >
< Sarebbe inutile. Non proverei nulla. Ma si può accidenti sapere perché cavolo non vai mai al dunque in un discorso? >
< Mi piace parlare. >
< Scusa… pensavo fossi solo stronzo. >
< … un’intera città è caduta e non abbiamo imparato nulla. >
< Ok… ci risiamo. >
< Mi domando poi se c’è qualcosa da imparare. Perché, invece, non abbiamo sviluppato noi uomini una sorta di protezione genetica in tutti questi secoli di evoluzione? >
< Selezione naturale. Mi sembrava di aver capito…. >
< Capito cosa? >
< Parliamo di femmine? È la donna stessa a portare alla selezione naturale dell’uomo il quale non deve essere necessariamente il più forte. >
< No? Chi allora? >
< Troia era forte, considerata indistruttibile. >
< È caduta però. >
< Già. Chi ne fu l’artefice? >
< Un esercito più forte delle sue mura. >
< Al contrario. >
< Come al contrario? Gli Achei di Agamennone contavano l’esercito più forte dell’epoca. >
< È stata attaccata da una singola persona e che io ricordi nemmeno eccessivamente forte. >
< E se non lo sai tu… >
< Ulisse era furbo. Un uomo scaltro in un'epoca dove la forza bruta dettava legge. Ha saputo farsi ascoltare al momento giusto. >
< Certo, come se le cose da allora fossero migliorate. Alla forza bruta oggi si è però sviluppata la bastardaggine, non trovi? >
< E se non lo so io… comunque non ti crucciare troppo. Per il tuo problema non c’è insegnamento sufficientemente grande e non ci sono sufficienti persone che incroceranno il tuo cammino per permetterti di imparare da certi errori >
< Per cui? >
< Nulla. Prosegui il tuo cammino. Mi diverti. >
02 luglio 2015
D.c.l.M.
La farfalla e il suo lento vibrare
- toc – toc – toc - I colpi dei suoi passi risuonavano secchi sulle assi in legno della vecchia scalinata che portava all’appartamento. La pesante porta in legno era solo accostata ed il suo ansimare giungeva fino a me, fino a questa stanza… entrambi pronti per lei. Il cigolio di vecchi cardini mai oliati erano il benvenuto che, ogni volta io la desiderassi, lei riceveva da me. In silenzio, nel buio della stanza, seduto sulla mia poltrona disattivo il segnale del radiocomando e sento il suo pesante respiro fuoriuscire in un ultimo pesante rantolo di sollievo ed era come vederla con le ginocchia piegate sgocciolare tutta la sua disperazione aggrappata al muro con le unghie nel tentativo di non perdere il controllo di se stessa. Valentina sapeva a memoria cosa fare. Le sue mani scivolavano delicate sugli oggetti riposti accuratamente all’interno della nicchia ricavata nel vecchio muro in sassi. Leggero era il tintinnio delle catene come lo scatto dei piccoli lucchetti. Piano, la giovane bibliotecaria, si rinchiudeva in un bozzolo di pensieri e gesti, mutando la sua stessa natura di delicata creatura fuoriuscendone caldo oggetto di piacere. Il mio oggetto. Ripongo il radiocomando. Fino a quel momento lo avevo tenuto in mano passandoci morbosamente sopra il pollice quasi a toccare la sua pelle da me bramata come fosse l’ultima goccia d’acqua di questo sporco mondo. Il tavolino era lì accanto. Il radiocomando non serviva più, la farfalla, la voce del mio desiderio di lei ora taceva, aveva smesso le sue carezze e sarà il mio dolce abbraccio al suo corpo da indossare quando se ne andrà… di nuovo. Ora attendevo. Attendevo la sua trasformazione che si portasse a termine ed entrasse nella stanza portandomi il suo ossigeno. Verrà. Verrà e si porterà di fronte a me, ancora una volta. Si inginocchierà e a capo chino e ferma con le braccia tese mi porgerà la catena bloccata ad un piccolo lucchetto decorato in oro, un lucchetto che andava a bloccare una fascia in pelle nera che le abbracciava il collo per me… per le mie mani… per i miei umidi e vecchi occhi e così attenderà che io decida di accettare il suo dono poi… poi lei mi delizierà con la sua sofferenza, il suo respiro, le sue lacrime, preludio di un orgasmo che renderò infinito, ancora. Per me, per lei… e sarà ancora mia. Per sempre. E sarò ancora suo. Per sempre. Carnefice e schiavo nella mia debolezza, ombra succube del suo sguardo.
Il rumore lieve di delicati passi dei suoi piedi nudi. La debole luce lascia solo intravvedere la forma del tatuaggio sulla sua caviglia destra. Silenziosamente si abbassa e le sue ginocchia poggiano sul pavimento, di fronte a me, di fronte ai miei piedi. Distende piano le braccia in un antico rituale ripetuto nel desiderio di porgere il proprio cuore incondizionatamente al proprio amante. Sulle sue mani il guinzaglio. Aveva scelto il rosso. Aveva scelto il dolore. Il desiderio di cadere in ginocchio di fronte a lei e stringerla tra le mie braccia chiedendole mille volte scusa era forte e mi struggeva l’animo, ma quello… era l’unico modo maledetto. Era l’unico modo per averla, per avermi. In noi… l’amore è odio. Un farci male per dimostrare all’altro quanto forte era il nostro bisogno. Farlo in silenzio. Nessuna esplicita parola. Nessun espresso sentimento. Paura. Accetto delicatamente quel dono sfiorandole i palmi delle mani con i miei polpastrelli tacendo il più forte dei ti amo
.
È ossigeno e senza di essa io… io non posso respirare.
16 luglio 2015
D.c.l.M.
Gira ancora il vecchio nastro magnetico
< Quante volte? >
< Cosa?