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Code 2-18: Intermission Two - FOG of War
Code 2-18: Intermission Two - FOG of War
Code 2-18: Intermission Two - FOG of War
Ebook166 pages2 hours

Code 2-18: Intermission Two - FOG of War

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About this ebook

Kasdeya non esiste più, sconfitta da Delayenne e annientata dalla bomba di Leonard.
Il mondo ritorna alla cupa, interminabile routine bellica a cui è stato costretto ad abituarsi.
Ai margini del conflitto globale, un generale americano estromesso dal suo incarico operativo pianifica il ritorno sul campo di battaglia, nell’assordante silenzio delle operazioni speciali clandestine e sotto copertura.
Missioni con obiettivi da colpire con precisione chirurgica, ma dalle conseguenze devastanti.
Operatori costretti all’invisibilità totale, non solo agli occhi del nemico, ma anche a quelli dei loro stessi commilitoni e superiori diretti.
Nessuna prima linea e nessuna retrovia, nessun alleato e nessun supporto... Nessuna paura. Nessun problema.

---

La saga Code 2-18 racconta un presente alternativo in cui l’Unione Sovietica non si è mai dissolta e il conflitto armato e ideologico fra le maggiori superpotenze mondiali è infine esploso in una vera e propria Terza Guerra Mondiale. È una storia sospesa a metà fra il thriller militare e la fantascienza, vissuta attraverso gli occhi di uomini e donne in armi, ma anche di spietati assassini, trafficanti d’armi e cittadini innocenti.

I volumi disponibili:
1) Surreal Step One
2) Intermission One - Black Breeze
3) Surreal Step Two
4) Surreal Step Three
5) Intermission Two - FOG of War

LanguageItaliano
Release dateNov 26, 2016
ISBN9781370310326
Code 2-18: Intermission Two - FOG of War
Author

Morning Star Alliance

Nel 2008 nasce la Morning Star Alliance, un'associazione segreta dalle finalità oscure.

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    Book preview

    Code 2-18 - Morning Star Alliance

    Capitolo 1

    -

    Gli Istruttori

    5 luglio 2012, ore 15:23 locali

    Berlin-Tempelhof CA, Germania

    Il sergente di prima classe Cunningham aveva sorvolato l’Atlantico a bordo di un aereo cargo Globemaster III, assieme a una compagnia di veterani della 10° Divisione di Montagna in fase di rischieramento presso i campi di battaglia europei. Il resto del vano di carico era ingombro di rifornimenti bellici e pezzi di ricambio per elicotteri d’attacco Apache.

    La 10° di Montagna era l’unità presso la quale Brian Cunningham aveva iniziato la sua carriera militare, quindi si era ritrovato in buona compagnia: molti di quei soldati avevano servito sotto i suoi stessi comandanti di allora, o erano stati addestrati dagli stessi istruttori. Incontrò addirittura un paio di ex commilitoni della sua vecchia Compagnia. Il viaggio era stato un continuo scambio di ricordi e aneddoti, i più strani e i più divertenti, a parte le due ore abbondanti di sonno che Brian si era concesso verso la fine del volo, interrotte proprio dalla manovra di atterraggio.

    Il portellone posteriore del quadrimotore da trasporto era calato sull’asfalto della pista dell’aeroporto Berlino-Tempelhof, i soldati avevano recuperato armi e bagagli personali, ed erano sbarcati con ordine a terra.

    Indossavano tutti lo stesso tipo di mimetica digitale, ma Brian spiccava su tutti gli altri. Testa rasata di fresco, alto, e molto più massiccio della maggior parte di loro, scarponi da montagna Salomon al posto degli anfibi Belleville standard, e soprattutto i simboli delle Forze Speciali sulla manica sinistra dell’uniforme.

    Quando poi tirò fuori il suo Green Beret da una tasca laterale dei pantaloni e lo indossò con orgoglio, chiunque avesse dato anche solo un veloce sguardo alla formazione militare si sarebbe subito accorto che quel sergente non ne faceva parte.

    Brian salutò con discrezione i suoi nuovi e vecchi amici della 10° Divisione, mentre gli ufficiali li smistavano fra i tre autobus che erano venuti a prelevarli, poi si diresse a passo sicuro verso un’automobile civile parcheggiata oltre uno dei cancelli di accesso alle piste.

    Ad attenderlo accanto alla berlina Ford c’era un ufficiale donna dai capelli corvini e dagli occhi azzurri, con indosso una strana mezza maschera respiratoria e la divisa ordinaria estiva, versione gonna nera e camicia bianca.

    Brian si liberò la mano destra dal borsone che trasportava, passandoselo nella sinistra, e la salutò militarmente. «Buon pomeriggio, maggiore De Céline.»

    «Benvenuto in Germania, sergente Cunningham.» Lo accolse lei, rispondendo velocemente al saluto e aprendo il bagagliaio della sua vettura di servizio.

    «Mi aspettavo facesse più caldo...» Commentò il sottufficiale, caricando a bordo i suoi bagagli: due borsoni da viaggio civili e un enorme zaino mimetico. «Dopotutto l’estate è pur sempre l’estate.»

    «Ma la Germania è pur sempre la Germania.» Rispose serafica Beatrix, prendendo posto al sedile di guida.

    Vasto complesso di boschi e radure, aule d’istruzione e dormitori, il Final Military Training era dislocato appena fuori Berlino. Un pezzettino di Länder concesso all’US Army, dove i soldati freschi di addestramento di base potevano sperimentare un assaggio delle condizioni di impiego reali, che avrebbero di lì a poco affrontato presso il fronte europeo. E fino a quel momento l’iniziativa si era dimostrata proficua, l’efficacia delle squadre di novellini schierate in ambito operativo era aumentata in misura tangibile.

    Beatrix arrestò la Crown Vic di fronte alla palazzina di comando dell’FMT, senza però spegnere il motore. Scese dal veicolo, imitata dal sergente Cunningham.

    «Devo ritornare al mio posto e concludere il turno, per non destare troppi sospetti.» Disse lei. «L’auto è sua, sergente. Si può sistemare presso l’Edificio 47 assieme agli altri membri dell’unità: in fondo a questa strada, a destra, oltre un cancello e avanti nel bosco per circa un chilometro.»

    «Roger. Mica dovrà farsela a piedi lei, no?»

    «Di recente ho acquistato un’auto privata, visto che, a quanto pare, ci toccherà restare ancora a lungo da queste parti. Questo veicolo d’ora in poi rimarrà a disposizione della squadra.»

    «Ci possiamo accontentare.» Rispose lui con tono sprezzante.

    «A più tardi, sergente di prima classe.»

    Brian la osservò mentre si allontanava: il maggiore faceva la sua bella figura, con indosso la gonna dell’uniforme.

    Il sottufficiale delle Forze Speciali risalì in auto, sul sedile del guidatore stavolta, e ingranò la marcia drive sul cambio automatico. Si rese però conto che non aveva prestato molta attenzione alla indicazioni stradali ricevute dall’intrigante ufficiale, distratto un po’ dalle sue gambe e un po’ da quella sua strana maschera respiratoria.

    Brian tirò giù il finestrino e colse l’occasione per interpellare una recluta di passaggio. «Ehi, soldato. Vieni qui.»

    «Sissignore!» Accorse il giovane.

    «Signore? Ti sembro forse un ufficiale?» Sbraitò Cunningham, in vena di recitare la parte del sottufficiale anziano un po’ stronzo.»

    «Noss- No, sergente!»

    «Soldato, sai dove si trova l’Edificio 47?»

    «Si tratta di un test, sergente?»

    «Certo che sì. Se non sei in grado di rispondere correttamente ti faccio sbattere fuori dalla tua unità e ricominciare il Basic dall’inizio.»

    «Io... Io... Sergente, i numeri 40 sono tutti nel quarto settore, laggiù...» Rispose, indicando una via traversa che proseguiva oltre un cancello aperto. «Posso scoprirne l’esatta ubicazione, mi dia un minuto, sergente.»

    «Lasciamo stare, levati dai piedi. Oggi mi sento particolarmente magnanimo, te la cavi con venti piegamenti sulle braccia. Giù e pompa, recluta.»

    Brian pigiò l’acceleratore e si allontanò sgommando, lasciando la confusa ma obbediente recluta a fare flessioni sul vialetto d’ingresso alla palazzina di comando.

    Il manto stradale di quell’ultimo tratto era un disastro, scolorito dal sole e screpolato da decenni di intemperie e sbalzi termici stagionali.

    Poi, quando ormai il sergente Cunningham temeva di essersi perso da qualche parte nel bosco, gli alberi si diradarono e comparve un caseggiato a due piani dalla facciata grigiastra, con vecchi infissi verdi bisognosi di una nuova mano di pittura. Architettura semplice e per nulla elegante, tipica della Guerra Fredda. L’edificio doveva risalire agli anni ‘80 e doveva essere rimasto inutilizzato per parecchio tempo.

    Brian parcheggiò l’automobile di servizio accanto a una Crown Vic blu identica alla sua e a un fuoristrada militare Hummer. Recuperò i suoi bagagli e varcò l’ingresso del Gebäude 47, come recitava la scritta scolorita a lato del portone.

    Attraversò l’atrio e salì al primo piano senza incontrare anima viva, trovò invece un corridoio con una serie di porte contrassegnate da foglietti di carta, attaccati con nastro isolante da elettricista. Sopra era stato scritto frettolosamente a pennarello nome e grado degli occupanti delle camere.

    Trovò il biglietto SFC Cunningham; entrò nella stanza che gli avevano assegnato e buttò sulla branda lo zaino e le sacche da viaggio, tirando un sospiro di sollievo. Non perché trascinarsi dietro i suoi ingombranti bagagli l’avesse sfiancato, bensì perché aveva potuto constatare che l’interno della camera era già stato ristrutturato e ripulito da cima a fondo, restava ancora un leggero sentore di pittura fresca. Di trascorrere le settimane successive in una topaia squallida come lasciava intendere l’esterno dell’edificio ne avrebbe fatto volentieri a meno.

    Uscì dalla camera in cerca di qualche segno di vita e subito si imbatté in un altro soldato in mimetica, un volto conosciuto, che però Brian non pensava avrebbe rivisto così presto. Dietro i suoi lineamenti giovanili e puliti, i capelli corti e ben pettinati, e uno sguardo affilato che metteva soggezione, si celava uno dei più letali combattenti plasmati dal fuoco di quella guerra infinita.

    «Signor maggiore.» Si stupì Brian, irrigidendosi d’istinto.

    «Buongiorno sergente.» Disse il maggiore Luke Andrew, porgendogli la mano destra. «Vedo che hai già preso possesso del tuo alloggio.»

    «Sissignore, qui tutto in ordine. Invece non mi è ancora molto chiara questa cosa, questa convocazione. Cioè, il motivo per cui ci troviamo qui.»

    «Perfetto, dato che si suppone trattarsi di un’operazione segreta. Ci stiamo riunendo al piano terra in attesa dell’arrivo del generale, per il primo briefing orientativo. Chissà, forse cominceremo ad avere qualche risposta alle nostre domande.»

    «Ci tengo a specificare che sono venuto fin quaggiù soltanto perché è stato lei a propormelo, maggiore. Non mi fido di quella Menškov, soprattutto dopo quello che ci ha fatto passare a Roma.»

    «Siamo in due allora.»

    «In ogni caso, sono comunque onorato di poter servire ancora al suo fianco... A proposito, ho qui una cosa per lei.»

    Brian fece scorrere la zip di un tascone laterale dello zaino e recuperò una piccola valigetta in plastica nera antiurto, la aprì e impugnò la pistola semiautomatica custodita al suo interno. Si trattava di una Para-USA P14.45 BlackOps, cioè una copia di 1911 calibro .45 con il fusto allargato per accomodare un caricatore bifilare, a capienza raddoppiata rispetto alle sette cartucce della Colt originale.

    Il sottufficiale delle Forze Speciali tirò indietro il carrello e lo bloccò con l’apposita leva, prima di rigirarsi l’arma sull’indice e presentarne l’impugnatura al maggiore Andrew.

    «Credo che questa appartenga a lei, signore.»

    Lui si concesse un raro sorriso. «Tienila pure, sergente. È un regalo.»

    «Sarebbe dovuta essere un regalo di addio, ma a quanto pare le tocca avere di nuovo a che fare con il sottoscritto... È un po’ sprecata al cinturone di uno come me, dato che mi è richiesto di abbattere gli obiettivi a un chilometro di distanza. Conoscendo il suo stile di combattimento, ne farebbe di sicuro un utilizzo migliore.»

    «Nessun problema, ho già trovato un rimpiazzo.» Replicò Luke, dando un paio di colpetti alla fondina che portava alla cintura, e alla semiautomatica H&K al suo interno. Aveva deciso di conservare la USP45 Compact Tactical adoperata per la missione a Solovki.

    «Quindi siamo autorizzati a girare armati.»

    «Sì, autorizzati ma non obbligati, dato che siamo abbastanza lontani dalla linea del fronte. E ovviamente soltanto all’interno del perimetro della base: non ci è permesso portare armi in città. Se ti va, puoi caricare già adesso la P14 e portartela dietro mentre scendiamo.»

    Brian scosse il capo mentre rimetteva via la pistola. «Con me ho solo un caricatore vuoto e zero proiettili, politiche di volo del Comando Traporti Aerei dell’USAF. La cosa ridicola è che assieme a noi soldati avevano imbarcato pure un enorme pallet pieno di nastri di munizioni, e chissà quanta altra merda dirompente... Signore.»

    «Vedremo di rimediare al più presto allora.» Concluse il maggiore, incamminandosi verso le scale.

    La maggior parte dei corridoi e dei locali del palazzetto erano ancora in stato pietoso, se non altro luce, acqua e servizi erano stati ripristinati. La sala briefing dove i membri della squadra si erano riuniti era a malapena praticabile.

    In origine doveva essere stata pensata come sala d’istruzione: era provvista di lunghi tavoli disposti a mo’ di banchi e relative sedie, con un largo pannello a muro posizionato di fronte. L’ambiente era a malapena rischiarato da un numero insufficiente di lampadine, era ancora tutto da ristrutturare, ma era già stato ripulito a fondo in vista della loro riunione.

    Brian e Luke fecero il loro ingresso dalla porta posteriore, facendo voltare le teste dei militari che li avevano preceduti. Ai banchi c’era spazio per almeno una trentina di reclute, ma in quel momento c’erano soltanto altri due uomini, seduti davanti in seconda fila. A differenza dei soldati, vestivano mimetiche MARPAT del Corpo Marine e felpe leggere color sabbia. Uno dei due portava in testa un consunto berretto da baseball, l’altro aveva capelli biondi cortissimi e un

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