Ombre
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Book preview
Ombre - Daniele Zolfanelli
Daniele Zolfanelli
OMBRE
EDITRICE GDS
Daniele Zolfanelli Ombre
©Editrice GDS
Editrice GDS
di Iolanda Massa
Via Pozzo 34
20069 Vaprio d’Adda - Mi
www.gdsedizioni.it
Ogni riferimento a cose, luoghi e/o persone realmente esistenti e/o esistite è puramente casuale.
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Disponibile anche in formato cartaceo
Per Barbara
Non sappiamo quali saranno i giorni che cambieranno la nostra vita. Probabilmente è meglio così.
Stephen King, L’acchiappasogni
FRAMMENTI DEL DIARIO
Eugenio Giordano era un ragazzo incompreso, prima che morisse. A soli tredici anni, poveretto! Fu ammazzato nella camera dove dormiva. Una morte misteriosa. Di quelle destinate a rimanere senza un colpevole. Ma io, che del destino ne so qualcosa, vi racconterò una storia, di cui la morte di Eugenio non è che l’inizio.
Tendete le orecchie, dunque. Non badate se ci sarà un prezzo da pagare, quando avrò finito. Mettetevi comodi e… cosa? Ho capito bene? Una bambina mi sta chiedendo se ci sarà un lieto fine? Cara bambina, certo che ci sarà un lieto fine. Eccome. Anche se dubito che la mia idea di lieto fine sia la stessa di un’ingenua bambina con delle orribili treccine bionde. Ahahaha! Oh, non piangere, piccina. Se basta così poco a spaventarti, meglio che vai lontana dalle mie parole. Per voialtri, invece, mi auguro una tempra maggiore. Ma sì. Lo vedo dai vostri occhi. Fingete bene di essere coraggiosi!
Seguitemi, miei valorosi. Seguitemi fino al 1981. L’anno della morte di Bob Marley e della nascita dei Metallica. L’anno del primo lancio dello Space Shuttle nello spazio, del collaudo degli aerei Stealth americani e della creazione di molte altre cianfrusaglie.
Siamo a Ottobre. Potete sentire il vento freddo sulla pelle e l’aria gelida dell’inverno. No, non ci troviamo in chissà quale regione sperduta tra i monti. Sono il buio e la paura a inibire il nostro naturale calore corporeo.
Se fate attenzione, potete accorgervi delle pareti che ci circondano. Siamo in una casa. O, come preferisco chiamarla io, una dimora. Non aguzzate troppo la vista, se non volete scoprire cosa si nasconde tra le ombre. Cercate di restare concentrati su di me. Ora mi sto chinando, mi vedete tutti? Bene. Ho raccolto un diario ai miei piedi. Riuscite a leggere? C’è scritto: diario di Eugenio. Che originalità! Sfoglio le pagine. Bla bla bla. Quanta roba inutile. Oh, eccoci! 18 Ottobre 1981.
È colpa dei rumori.
Non riesco a dormire.
Sono giorni che fatico a chiudere gli occhi. Sento dei passi nel corridoio e vedo ombre che si allungano verso di me.
La mamma e il papà dicono che devo abituarmi. Che non c’è niente che non va nella nuova casa.
Ci siamo appena trasferiti da Firenze. Non mi era mai successo quando stavamo laggiù. Pensano sia una specie di ripicca nei loro confronti. Sanno che non ero d’accordo sul vendere la nostra vecchia casetta, né tantomeno volevo trasferirmi.
Ma questo non è affatto il motivo delle mie paure.
Continuo a sentirli. Li sento ogni sera. E sento che si stanno avvicinando. Mi fanno venire freddo. Ho troppa paura per gridare o per uscire da sotto le coperte. Non voglio vedere. Solo addormentarmi e lasciare che la notte passi.
Quei maledetti rumori! Devo convincermi che non esistono. Che sono solo nella mia testa. La mamma è stata chiara a proposito.
Non esistono.
Non esistono.
NON ESISTONO!
Che ragazzo svitato, il nostro Eugenio. Non posso però fargliene una colpa. Davanti all’inspiegabile ognuno reagisce a modo proprio. Fingere che non esista è quello più comune.
Prima che continui, avete delle domande? Volete sapere se la dimora dove ci troviamo adesso è la stessa di Eugenio nel 1981? Bèh, non è facile dare una risposta. È la stessa, in un certo senso. Eppure è un’altra. Dipende dai punti di vista.
So bene che non avete capito, ma ci arriveremo.
E non fate quelle facce, suvvia! Vi sarà tutto chiaro, a tempo debito.
Passiamo ora al 20 Ottobre.
Qualcuno si è seduto sul letto. Ho sentito il materasso abbassarsi e le mie gambe scivolare giù. Non ho avuto il coraggio di guardare. Sono rimasto immobile. Una lacrima mi è colata dagli occhi. Non avevo mai pianto dalla paura. È orribile.
Ora, a mente lucida, so che è durato pochi secondi. Eppure mi è sembrata una vita intera. Forse ho solo sognato, chissà. La paura era così reale... forse è stata la mamma a sedersi sul letto. Magari per augurarmi la buonanotte. Non lo so. So solo che non voglio sapere.
La fase della negazione. Quanto mi diverte! A voi no? Chissà quale terribile creatura aveva fatto visita ad Eugenio, quella notte. Chissà cosa sarebbe successo se avesse tirato il capo fuori dalle lenzuola...
Interrogativi che il piccolo Eugenio voleva celare a se stesso. Che una qualsiasi mente umana cercherebbe di sviare. Andiamo, Eugenio, sii sincero. Sapevi benissimo che non era tua madre quella seduta sul letto. E che non stavi sognando. La peggior bugia, ricordalo, è quella che diciamo a noi stessi.
Perdonate la mia divagazione. Non posso fare a meno di meravigliarmi di quanto siate abili a ingannare le vostre menti. Esattamente come state facendo adesso. Siete lì, ad ascoltarmi con quell’aria di superbia, convinti che non potrò dire niente in grado di spaventarvi realmente. È un ciarlatano, starete pensando. Un racconta storie. Ma questa è solo la facciata. Ciò che ancora non sapete è che vi ho già spaventati. E perché? Sarà per il tono della voce, per l’aspetto. Sarà per quello che volete. Vi ho già spaventati perché sapete che sto raccontando la verità. Nessuna delle mie parole è fittizia. Vi sto mostrando la verità che non volete vedere. E niente può farvi più paura.
Ora chiudete gli occhi, se ci riuscite. Chiudete gli occhi e immaginatevi un soleggiato mattino del 21 Ottobre 1981. I canarini cinguettano, i bambini giocano per le strade. Un profumo di cioccolata calda satura l’aria. Dal jukebox del vostro bar preferito, le note di The Best of Times degli Styx risuonano lungo tutta la via.
E immaginate Eugenio. Immaginatelo come volete: alto, basso, ciccione, magro, biondo, riccio, castano, non fa differenza. Immaginatelo seduto a un tavolo, con questo diario tra le mani e le palpitazioni forti. Tum tum. Più forti. Tum tum tum. Ancora più forti! Tumtumtum tumtumtum. Proprio così. Immaginate il suo cuore esplodere. Sentitelo nel petto. Sono martellate incessanti nel torace!
Respirate piano.
Riprendete il controllo.
Eugenio sta aprendo il diario. Afferra una penna e la porta su una pagina bianca. L’inchiostro scorre.
Ho paura. Non mi sento al sicuro. Credo succederà qualcosa di brutto.
Il lampadario nel salone d’ingresso ha preso a sanguinare. L’ho visto con i miei occhi. Stavo scendendo le scale per andare a fare colazione. Una goccia rossa è scivolata sui ciondoli trasparenti. Un’altra. E un’altra ancora. Fino a ricoprirlo di ragnatele rosse.
Poi il sangue è comparso sulle mie mani, ha sostituito le lacrime e mi ha rigato il viso. Ero sporco. Completamente coperto da quel sangue che ancora non riesco a spiegarmi da dove sia uscito.
Ho sbattuto le palpebre. Non è occorso altro. E tutto è tornato alla normalità. Il lampadario, i miei vestiti. Perché non riesco a smettere di piangere? Vorrei…
Osservate bene. L’alone delle lacrime è intatto. Se fossero lacrime di gioia, non ce ne sarebbe più alcuna traccia. Queste sono lacrime di terrore. La paura è una brutta macchia da cancellare. Tende a restare impressa, affinché chi la veda possa subirne l’influsso.
Allora toccatele. Toccate ogni lacrima. Respiratele. Lasciate che entrino in voi. Queste piccole chiazze, che possono apparire insignificanti, sono il monito di una paura lontana. Fatela vostra. Scoprite quanto grande sia il dolore intriso in esse.
…che qualcuno mi credesse. O anche solo mi ascoltasse. I miei genitori non capiscono. Di amici non ne ho. I pochi che ero riuscito a farmi sono rimasti a Firenze. Non conosco nessuno all’infuori della mia famiglia. Nessuno con cui possa confidarmi.
Non riesco a tenere tutto dentro. Continuo a ripetermi che non sto impazzendo. Anche se lo vorrei tanto. Davvero. Vorrei che fosse tutto frutto dell’immaginazione. Ma non lo è. Quello che vedo e sento è reale.
Questa casa vuole farmi del male.
Che