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Venere di cera
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Venere di cera

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ROMANZO (202 pagine) - THRILLER - Il corpo di Eleonora sembrava una statua di cera, modellata sulle fattezze della Venere del Botticelli

Leonardo Stabile non ha più notizie di sua moglie Eleonora da giorni e teme che le sia successo qualcosa. Timori fondati i suoi: Eleonora viene trovata nuda e senza vita sotto un ponte, vicino alla zona industriale di Averna, piccolo centro della Ciociaria. Un caso fuori dalle competenze del piccolo commissariato di zona, abituato a gestire per lo più pratiche amministrative. Ma Tiziano Agata, il nuovo commissario appena insediatosi nella centrale, non ci pensa due volte a farsi assegnare l'omicidio dal questore. Non gli interessano i timori di Paolo, giovane ispettore spaventato dai cambiamenti, e di Rita, che si è vista soffiare il posto di comando dallo stesso Tiziano. Tra la ricerca ossessiva della moglie perduta, il controllo di una vicina impicciona e di una ragazza ribelle, Tiziano farà del suo meglio per riscattarsi dai fallimenti del passato, scoprendo chi ha ucciso la povera Venere di cera.

Luca Di Gialleonardo nasce il 31 ottobre del 1977 a Teramo, trascorre i primi anni di vita a Sassuolo (MO) e si trasferisce in via definitiva ad Anagni (FR), lo storico paese famoso per lo "schiaffo". Non appena impara a leggere e scrivere, queste due attività diventano i suoi interessi principali. Nel 2009 pubblica con la Delos Books il romanzo "La Dama Bianca", nella collana "Storie di draghi, maghi e guerrieri". Nel 2013 è finalista al Premio Urania, mentre nel 2014 arriva finalista al Premio Tedeschi e al Premio Odissea. Per la Delos Digital pubblica gli ebook "Di fame e d'amore" (in coppia con Andrea Franco), un episodio di "The Tube" Exposed, "Big Ed", romanzo breve per la collana "Serial Killer", e "Il calice della vendetta" e "Trenta baiocchi", nella collana "History Crime". Nel 2014 pubblica il romanzo fantasy "La Fratellanza della Daga" e il romanzo di fantascienza "Direttiva Shäfer" (entrambi per la Delos Digital). Ha pubblicato diversi racconti in riviste e antologie. Sulla "Writers Magazine Italia" cura una rubrica su tecnologia e scrittura.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 21, 2016
ISBN9788865307564
Venere di cera

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    Venere di cera - Luca Di Gialleonardo

    Luca Di Gialleonardo

    Venere di cera

    Romanzo

    Prima edizione giugno 2016

    ISBN 9788865307564

    © 2016 Luca Di Gialleonardo

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Venere di cera

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

    Tutti gli ebook Bus Stop

    Il libro

    Il corpo di Eleonora sembrava una statua di cera, modellata sulle fattezze della Venere del Botticelli

    Leonardo Stabile non ha più notizie di sua moglie Eleonora da giorni e teme che le sia successo qualcosa. Timori fondati i suoi: Eleonora viene trovata nuda e senza vita sotto un ponte, vicino alla zona industriale di Averna, piccolo centro della Ciociaria.

    Un caso fuori dalle competenze del piccolo commissariato di zona, abituato a gestire per lo più pratiche amministrative. Ma Tiziano Agata, il nuovo commissario appena insediatosi nella centrale, non ci pensa due volte a farsi assegnare l'omicidio dal questore. Non gli interessano i timori di Paolo, giovane ispettore spaventato dai cambiamenti, e di Rita, che si è vista soffiare il posto di comando dallo stesso Tiziano.

    Tra la ricerca ossessiva della moglie perduta, il controllo di una vicina impicciona e di una ragazza ribelle, Tiziano farà del suo meglio per riscattarsi dai fallimenti del passato, scoprendo chi ha ucciso la povera Venere di cera.

    L'autore

    Luca Di Gialleonardo nasce il 31 ottobre del 1977 a Teramo, trascorre i primi anni di vita a Sassuolo (MO) e si trasferisce in via definitiva ad Anagni (FR), lo storico paese famoso per lo schiaffo. Non appena impara a leggere e scrivere, queste due attività diventano i suoi interessi principali. Nel 2009 pubblica con la Delos Books il romanzo La Dama Bianca, nella collana Storie di draghi, maghi e guerrieri. Nel 2013 è finalista al Premio Urania, mentre nel 2014 arriva finalista al Premio Tedeschi e al Premio Odissea. Per la Delos Digital pubblica gli ebook Di fame e d’amore (in coppia con Andrea Franco), un episodio di The Tube Exposed, Big Ed, romanzo breve per la collana Serial Killer, e Il calice della vendetta e Trenta baiocchi, nella collana History Crime. Nel 2014 pubblica il romanzo fantasy La Fratellanza della Daga e il romanzo di fantascienza Direttiva Shäfer (entrambi per la Delos Digital). Ha pubblicato diversi racconti in riviste e antologie. Sulla Writers Magazine Italia cura una rubrica su tecnologia e scrittura.

    Dello stesso autore

    Luca Di Gialleonardo, La Dama Bianca Dragonz ISBN: 9788865300220 Luca Di Gialleonardo, La daga di bronzo Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867750801 Luca Di Gialleonardo, Iniziazione Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867751587 Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Di fame e d'amore The Tube Exposed ISBN: 9788867752119 Luca Di Gialleonardo, Big Ed Serial Killer ISBN: 9788867752270 Luca Di Gialleonardo, Traditori Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867752485 Luca Di Gialleonardo, Il calice della vendetta History Crime ISBN: 9788867753895 Luca Di Gialleonardo, La fratellanza della daga - il romanzo Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867755486 Luca Di Gialleonardo, Direttiva Shäfer Odissea Digital ISBN: 9788867756124 Luca Di Gialleonardo, Trenta baiocchi History Crime ISBN: 9788867756353 Luca Di Gialleonardo, Mario non sbaglia Delos Crime ISBN: 9788867756964 Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Di rabbia e di dolore The Tube Exposed ISBN: 9788867758357 Luca Di Gialleonardo, Tutti i segreti di Word per chi scrive Scuola di scrittura Scrivere bene ISBN: 9788867758326 Luca Di Gialleonardo, La lingua mozzata Delos Crime ISBN: 9788865306680

    1

    La lancetta dei minuti superò con uno scatto la sorella più corta e si lanciò verso la fine del giro d’orologio. Giovanna faceva il tifo per lei e, se avesse potuto, avrebbe iniziato a incitarla a gran voce per aiutarla nello sprint finale.

    Quell’ultimo quarto d’ora prima delle venti non sembrava volerle concedere una piacevole chiusura di giornata lavorativa: Carlo Longoni, ragioniere in pensione, strizzava gli occhietti sul foglio di carta, rosso in viso. Giovanna avrebbe giurato che anche gli occhiali a fondo di bottiglia gli si fossero appannati per lo sforzo.

    – Ragioniere, se vuole dare a me l’appunto, potrei…

    – Ce la faccio anche da solo, signorina. – Mia figlia mi ha scritto quello che devo comprare, solo che non si capisce la calligrafia.

    – Potrei provare io a…

    Longoni agitò una mano e tirò gli occhiali sulla fronte, scoprendo due occhietti microscopici.

    Alle otto la farmacia chiude, vecchio caprone! avrebbe voluto urlare Giovanna. Strinse i denti e sospirò. Quando si era di turno, la domenica, era sempre uno strazio a prescindere. Se poi il capo scappava nel pomeriggio lasciando a lei il compito di chiudere e in più arrivavano clienti come il ragioniere, ecco distrutto completamente il week-end ormai agli sgoccioli.

    Le porte scorrevoli sul fondo della farmacia lasciarono passare un nuovo cliente. Un ragazzetto con i capelli coperti di gel e un giubbotto di pelle chiuso fin sotto al mento puntò dritto allo scaffale dei preservativi. Lanciò uno sguardo verso il bancone e le sorrise. D’istinto Giovanna curvò la bocca. Tornò subito seria, sperando di non instillare false speranze nel ragazzo, e riprese a contemplare il ragioniere.

    Le porte si aprirono ancora una volta.

    Tutti di domenica sera alle otto hanno bisogno di una farmacia? si chiese Giovanna.

    L’ultimo cliente era un uomo dal cipiglio truce. Poco più che quarantenne, i capelli scuri spettinati, la piccola bocca imbronciata sul mento a punta. Non era malaccio, anche se il suo modo di muoversi emanava qualcosa di poco attraente.

    Puntò dritto al bancone, intabarrato in uno spolverino beige. Si trascinava dietro un trolley rosso fuoco. – Chiedo scusa – iniziò.

    Il ragioniere scattò come un cane minacciato davanti a una ciotola di crocchette. – Dietro la linea gialla, prego! – sibilò schiacciandosi al petto il foglietto dei misteri.

    – Veramente dovrei solo chiedere…

    – Rispetti il suo turno – sbraitò il ragioniere, per tornare a immergersi nella lettura quando l’uomo eseguì l’ordine. – Forse ci siamo. – Qui dovrebbe esserci scritto supposte.

    – Vuole accennarmi il problema da curare? – tentò Giovanna. La lancetta dei minuti era quasi verticale.

    Il ragazzo in fondo aveva trovato il modello di preservativi che meglio soddisfaceva i suoi gusti. Con passo veloce si avvicinò al bancone e porse la scatoletta superando gli altri due.

    – Prendo questo – annunciò con un sorriso sornione.

    Senza dover guardare, Giovanna sapeva che aveva preso gli extra-large. Ne aveva visti di ragazzini che si divertivano a fare quel gioco.

    – E, no, così non ci siamo! – saltò su Longoni. – Qui nessuno rispetta la fila. La gente non ha più un minimo di pazienza.

    – Non rompere, nonno – ribatté il ragazzo. Tirò giù la chiusura del giubbotto, infilò una mano nell’apertura ed estrasse una pistola. – Prendo anche l’incasso – aggiunse scoprendo i denti.

    Giovanna si sentì gelare. Era la prima volta che subiva una rapina. Dovette sorreggersi al bancone per non perdere l’equilibrio. Cercò supporto negli occhi degli altri due uomini. Il ragioniere era scattato sull’attenti, pallido e prossimo all’infarto. L’altro tizio non aveva fatto una piega e guardava la pistola.

    Il ragazzo puntò l’arma anche contro di loro. – Fate un passo indietro, veloci.

    Longoni ne fece due, muovendosi come un robot. L’altro restò dov’era.

    – Allora? Muoviti! – gli fece il rapinatore.

    Senza cambiare espressione, l’uomo obbedì. Fu quando il ragazzo tornò a voltarsi verso il bancone che i suoi occhi si accesero. Balzò su di lui, gli afferrò il braccio armato e lo storse verso il pavimento. Con una mossa veloce riuscì a farglielo girare dietro la schiena, mentre con un piede gli faceva lo sgambetto. In un lampo il ragazzo si trovava faccia a terra sotto il peso dell’uomo, con la pistola scivolata lontano.

    Per lunghi momenti sembrò di trovarsi di fronte a un fermo immagine. Poi il ragazzo tentò di agitare il braccio libero, riuscendo solo a smuovere l’aria.

    – Forse se chiama la polizia è meglio – disse con calma l’uomo dallo sguardo truce.

    Giovanna si riscosse: stava dicendo a lei. Corse al telefono e digitò automaticamente, senza rendersi conto di aver composto l’interno di Paolo e non il numero del centralino.

    – Pronto.

    – Paolo – mormorò lei con il fiato in gola – sono io.

    – Amore, stavo per venire a prenderti. Ma che voce hai?

    Il rapinatore tentò di liberarsi dalla pressione. L’uomo reagì sbattendogli la testa sulle piastrelle. – Riprovarci e ti rompo il braccio. – Fece un cenno al ragioniere. – Mi passi la pistola di questo bastardo.

    – Giovanna? – la richiamò Paolo.

    – Una rapina! – gridò lei con voce stridente. – Correte qui, una rapina!

    Dall’altro capo della linea frusciarono alcuni secondi di silenzio, poi tornò la voce di Paolo, ferma. – Arriviamo subito. Tu stai bene?

    – Sì, ma corri!

    Il telefono fu riattaccato. Giovanna guardò Longoni muoversi a scatti e passare tremante la pistola all’uomo. Dopo averla controllata, forse per verificare che fosse vera, questi si rialzò puntandola verso il rapinatore.

    – Resta a terra e non fare una mossa.

    – Il commissariato non è lontano – disse il ragioniere.

    Pochi minuti dopo le sirene fecero tremare l’aria. Due macchine della polizia si fermarono davanti l’entrata e Paolo si precipitò nella farmacia pistola in pugno, seguito da altri due agenti. Puntò verso l’uomo che aveva bloccato il rapinatore.

    – Getta subito l’arma!

    – Dovete arrestare quest’altro – ribatté lui.

    Paolo lo guardò interrogativo. Giovanna non resistette più alla tensione e gli corse intorno, abbracciandolo.

    – Ma che fai? – si lamentò lui. – Quello ci scappa!

    – È tutto a posto! – cinguettò il ragioniere. – Questo signore ci ha salvato!

    L’uomo guardò i due agenti. – Che aspettate ad ammanettarlo? Datevi una mossa.

    Il ragazzo fu trascinato in macchina.

    – Portatelo al commissariato, vi raggiungo a piedi quando ho finito qui – disse Paolo ai due agenti.

    Tornò indietro e raccolse la pistola che l’uomo gli passava tenendola per la canna.

    – Sono l’ispettore Brandi – si presentò. – Se non ho capito male, lei ha sventato la rapina.

    – È saltato addosso a quel mascalzone e track! l’ha sbattuto per terra! – fece Longoni, eccitato come un ragazzino.

    – La ringrazio – disse Giovanna.

    – Dovere – rispose l’uomo. Quasi sembrava irritato dalla situazione, più che godersi quel momento di eroismo.

    – Posso chiederle di passare in commissariato domani mattina? – gli chiese Paolo. – Così potrà raccontarmi con calma quanto è successo. Spero non sia un problema per lei, signor…

    – Mi chiamo Tiziano Agata – rispose lui. – E non c’è problema, ispettore, domani sarei dovuto venire comunque in commissariato.

    – Perfetto – concluse Paolo con un sorriso.

    – Ora scusatemi, ma dovrei andare – disse il signor Agata. – Avrei bisogno di un’informazione, però. Cercavo Via del Monte.

    – Uscito dalla farmacia giri a destra – spiegò Giovanna. – Giri di nuovo a destra e vada avanti, passi Porta San Marco e prosegua per Corso Garibaldi fino a che non si troverà una chiesa con una piazzetta a destra. Subito accanto alla piazzetta c’è una scalinata in discesa che porta a una via parallela al corso. Quella è Via del Monte.

    – Grazie – rispose lui. – A domani, ispettore Brandi.

    – A domani – salutò Paolo. Poi di colpo sbiancò, come se si fosse ricordato di qualcosa. – Ha detto di chiamarsi Agata?

    L’uomo si fermò davanti alle porte scorrevoli. Si voltò e, per la prima volta, sorrise. – Ci vediamo domani – ripeté e uscì in strada.

    – Che figura di merda – mormorò Paolo.

    Giovanna non capì. – Che vuoi dire?

    – Quell’Agata… è il nuovo commissario di Averna.

    La chiesa era quella e aveva davanti una piazzetta. Appena dopo, l’ennesima scala antica scendeva sconnessa. Tiziano Agata consultò di nuovo la cartina spiegazzata del centro storico di Averna scaricata da internet e la confrontò con le indicazioni della farmacista. Sì, era sulla strada giusta.

    Prima di lasciare il corso, si soffermò ancora ad ammirare quel brandello di paese fermo a un tempo lontano. A quell’ora domenicale i negozi chiusi quasi si mascheravano tra le mura e, tranne che per la luce artificiale dei lampioni, a Tiziano parve di trovarsi ancora nel Medioevo.

    Averna poteva essere un buon luogo per rifarsi una vita.

    Con un sospiro, scese in Via del Monte. La stradina iniziava al termine della scala ed era meno curata del corso principale della città. Si dipanava come un nastro d’asfalto rattoppato tra palazzine vecchie, derivate da ristrutturazioni bislacche di costruzioni medievali.

    Tiziano Agata proseguì cercando di seguire la cartina, con il trolley che rombava alle sue spalle sobbalzando sui bozzi e nelle buche. Una mezza dozzina di gatti scantonò nei diversi vicoli stretti e bui che s’infilavano tra gli edifici. Un paio di scalinate tornavano verso il corso principale, sulla sinistra.

    Superò un microscopico spiazzo colmo delle macchine dei residenti, dove lo raggiunse odore di carne arrostita. Probabilmente le finestre della cucina di un ristorante davano in quella strada. Lo stomaco ribollì di appetito. Per un attimo, Tiziano fu tentato di seguire il profumo.

    Scorse l’arco poco dopo lo spiazzo. Una bocca si apriva sulla parete di un edificio e una scala scendeva nell’antro. Al telefono la signora Varlese gli aveva indicato proprio la breve galleria come punto di riferimento. S’inoltrò in quella sorta di caverna illuminata da un lampione a forma di lanterna appeso alla volta. I vetri sfondati erano straripanti di ragnatele. Su un lato del muro una placca di marmo gli dava il benvenuto in Vicolo del Fabbro.

    Al termine della scala, oltre l’altra estremità dell’arco, un vicolo di ciottoli che trattenevano ciuffi d’erba alti un palmo. Alcuni gattini lo fissavano dal tetto di una casupola.

    Gradini di marmo bianco alla fine dell’arco salivano verso una porta a destra su cui campeggiavano due folletti che sorreggevano il numero dodici. Tiziano sorrise: era arrivato.

    Scese lungo i gradoni, provocando un boato con il trolley. La porta di Vicolo del Fabbro 12 si aprì poco dopo, lasciando spazio a una donna sui cinquanta che si era coperta le spalle con uno scialle di lana.

    – Chi è?

    – La signora Varlese? Sono Tiziano Agata.

    La bocca carnosa della donna si aprì in un sorriso. – Dottore! L’aspettavamo. Prego, venga in casa.

    Lo introdusse in un lungo e spazioso salotto che fungeva anche da ingresso. Nella stanza accanto, la tavola apparecchiata era occupata da un uomo e un ragazzino che si avvicinarono subito a salutare Tiziano, piazzato davanti a un camino acceso nel salotto a godersi il calduccio. Erano a metà marzo e la primavera sembrava ancora lontana.

    – Questo è mio marito, Osvaldo, e lui è Stefano – presentò la donna.

    Osvaldo era un signore piacente, occhiali e barba brizzolata, viso allegro. Stefano aveva invece la faccia da piccolo delinquente. Pur sapendo che anche dietro la più bella faccia d’angelo poteva nascondersi un assassino, Tiziano leggeva una vitalità furbesca negli occhi scuri del ragazzo.

    – Chiedo scusa se ho tardato – disse Tiziano. – In stazione non c’erano autobus e ho dovuto chiedere un passaggio.

    Gemma Varlese guardò il marito in cagnesco. – Te lo avevo detto di andarlo a prendere. Di domenica non ci sono navette!

    Osvaldo non perse il sorriso e si scusò stringendosi nelle spalle.

    – Non preoccupatevi – disse Tiziano. – Se vuole mostrarmi la mia sistemazione, tolgo il disturbo: sono arrivato nel pieno della cena.

    Gemma fece agitare la ciccia con una risata. – Nessun disturbo. Anzi, si fermi a mangiare con noi!

    L’invito fu proprio quello che Tiziano avrebbe evitato volentieri. Aveva voglia di restarsene da solo, e la signora Varlese non sembrava affatto una donna riservata. Malgrado la fame, avrebbe preferito un panino a quella donna.

    – Forse il commissario è stanco – venne in suo aiuto Osvaldo. Aveva una vocina decine di decibel più debole di quella della moglie, come se non fosse abituato a usarla.

    – Appunto perché è stanco non possiamo non invitarlo! Dico bene, Stefano?

    Il ragazzo tornò a sedersi strascicando la ciabatte. – Certo, mamma.

    Tiziano si accomodò a tavola. Gemma si mostrò generosa con il mestolo riempiendo un piatto di minestra di pollo fino all’orlo e servendo poi una sostanziosa braciola di maiale. Probabilmente aveva già deciso di invitare il commissario a cena e Tiziano non ebbe difficoltà a capire perché: quella donna sarebbe stata una perfetta poliziotta. L’interrogatorio a cui lo sottopose fu degno del miglior segugio investigativo.

    Scoprì in breve tempo che Tiziano arrivava da Modena, ma che era nato anche lui ad Averna, sebbene i suoi genitori fossero emigrati al nord quando era ancora in fasce.

    – Mi ricordo suo padre – disse Gemma. – Se non erro faceva il calzolaio vicino alla cattedrale.

    – Già – confermò Tiziano. – Lui, come mio nonno.

    – Suo nonno Leopoldo era quasi un’istituzione, mi raccontava la buonanima di mio padre – continuò lei. – Ma poi perché siete andati via?

    Tiziano si strinse nelle spalle. – Mia madre era meno attaccata alla tradizione e lavorava in una banca, a Roma, che fu oggetto di una fusione proprio quando lei era in maternità per me. Così, quando ci fu la ristrutturazione interna, ne approfittarono per metterla alle strette e lei fu costretta ad accettare il trasferimento a Milano. Gli affari a mio padre non andavano bene e non sarebbero mai bastati per vivere. Diciamo che era mia madre a mantenere la famiglia, in verità. Facemmo le valigie e via. Questo, almeno, è quanto mi hanno sempre raccontato da bambino.

    – A proposito di bambini, lei non ha figli?

    – No – rispose secco Tiziano. Temeva già la prossima domanda.

    – Ed è sposato?

    Tiziano sospirò. – No – rispose di nuovo, sperando che la donna non infierisse.

    Purtroppo per lui, l’investigatore che era in lei fu più scaltro del previsto.

    – Però, anche se non la porta, ha il segno della fede sul dito.

    D’istinto, Tiziano coprì la mano sinistra con la destra. Avrebbe dovuto chiedere al questore il permesso di assumere quella donna.

    – Mi sono separato più o meno un anno fa.

    La sala piombò in un silenzio imbarazzato. Gemma Varlese sembrò decidere che per quella sera poteva ritenere sazia la sua curiosità pettegola e iniziò a parlare della propria famiglia.

    Lei si dedicava alla casa, mentre suo marito era direttore di un supermercato sulla statale per Frosinone. Stefano aveva tredici anni e frequentava la scuola media. C’era anche una figlia, Licia, che frequentava il primo anno di Economia a Tor Vergata. In quei giorni era impegnata con la prima sessione di esami e si era fermata a Roma da un’amica per studiare a dovere.

    Erano quasi le undici quando Tiziano riuscì a rialzarsi dalla tavola. Gli stava venendo mal di testa e aveva davvero bisogno di riposare. Stefano si piazzò davanti al televisore in salotto ad agitare un affare di plastica, simulando una racchetta da tennis in mano a un suo avatar virtuale sullo schermo. Tiziano si soffermò a guardarlo, incuriosito da quella nuova evoluzione di un passatempo che lo aveva sempre attirato.

    – Venga – lo invitò Gemma Varlese. – Le faccio vedere il suo alloggio.

    Uscirono nel vicolo, accompagnati dalla figura dinoccolata di Osvaldo. Tiziano non ricordava di averlo sentito parlare per tutta la cena, se non per ripetere qualcosa per cui lo aveva imboccato la moglie.

    Dall’altra parte della stradina, un po’ più in fondo, c’era la piccola costruzione a un piano che ospitava una famiglia di gatti sul tetto. Gemma armeggiò con una chiave su una piccola porta a due ante, molto strette.

    – Queste sono case antiche – disse mentre spingeva in avanti uno dei due battenti che fischiò contro il pavimento.

    Accese una luce e fece passare il commissario. L’interno era un piccolo gioiello, malgrado la triste presentazione esterna. Un unico ambiente accoglieva una piccola cucina, vicino a un tavolino. Dall’altra parte, un mini-salotto con televisore. Il soffitto era spiovente e, contro la parete più alta, sul divano, era stato costruito un soppalco di metallo che sorreggeva un letto. Fu la vista di una bella libreria ricolma di libri a riempire Tiziano di curiosità.

    – È tutta roba di Osvaldo – mugugnò Gemma indicando i volumi. – Io odio la polvere e non glieli faccio tenere in casa. Sono un problema per lei?

    – Assolutamente no! – rispose Tiziano scorrendo i titoli. C’erano una marea di Urania, anche molto vecchi, per non parlare di diversi romanzi gialli e storici. Riconobbe molti autori che adorava. Guardò verso Osvaldo. – Posso leggerli? Le prometto che li tratterò benissimo.

    – Certo, certo – rispose Osvaldo. – Faccia pure.

    – In fondo a quel piccolo corridoio trova il bagno – continuò la signora Varlese.

    Una porta sul lato del corridoio indicava l’esistenza di un’altra stanza. La indicò alla donna.

    – Quello è un ripostiglio. Spero non le rechi noia, ma in casa non abbiamo molto spazio e ci siamo tenuti quella stanzetta. La troverà chiusa a chiave, ma non si preoccupi, dentro ci sono solo scatoloni e roba vecchia che non usiamo mai.

    Tiziano si strinse nelle spalle. Non gli interessava del ripostiglio. Aveva solo voglia di mettersi a dormire.

    – Per il riscaldamento c’è il condizionatore. Lì trova il telecomando. – Lo accese, facendogli vedere come funzionava. Un gradevole calore si sparse nel piccolo ambiente. – Ovviamente d’estate può usarlo per rinfrescare l’aria.

    – Bene, il posto è splendido – concluse Tiziano. – Il commissariato è lontano?

    – Con la macchina sì, è dall’altra parte del centro e dovrebbe fare il giro della circonvallazione. Però a piedi ci vuole un attimo. Le basta risalire sul corso usando la scalinata di fronte l’arco, attraversarlo e riscendere la scala opposta. Giri a sinistra,

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