Appartengo dunque sono!
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Book preview
Appartengo dunque sono! - Stefano Pietro Santambrogio
APPARTENGO
DUNQUE SONO!
Stefano Santambrogio
Copyright© Officine Editoriali 2013
ISBN 978-88-98041-07-7
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Elaborazione grafica : Officine Editoriali
Ebook by: Officine Editoriali
A Gabriele, mio padre.
Mi ci vorranno mesi, mesi per saziarmi di baci, di tutti i baci che ti voglio dare. Ci vorranno anni per consumare tutti i baci che ti voglio dare, sulle mani, sui capelli, sugli occhi, sul collo...
Boris Vian La schiuma dei giorni
SOMMARIO
Benvenuta Crocifissa!
Filomena e Giovanni
In viaggio
Cesano Maderno
Tutto da ripulire
Maria
Alla ricerca di un lavoro
Violenza
Il lavoro con Maria
Il figlio della violenza
Teresa
Con Carlo a Milano
Carlo e i consigli di Don Giuseppe
La bimba non ce l’ha fatta
Il rogo della fabbrica
Il buio nella vita di Carlo
Benedetto in pericolo
Salvatore si trasferisce da Teresa
La malattia di Maria
Il distacco da Maria
Rita, la sorella di Maria
Il ritorno di Salvatore
Le resistenze di Benedetto
La malattia di Salvatore
Vendetta tremenda vendetta
Carlo ritrova la luce
All’ombra del mandorlo in fiore
Benvenuta Crocifissa!
Questa è la storia di Crocifissa, nata sotto i bombardamenti alleati che nell’estate del quarantatré distrussero quasi completamente il paese di Randazzo. Rosa, la giovane madre, dovette partorirla in cantina, sopra un tavolaccio usato per sgozzare agnelli e capretti. Il padre, Don Antonio, che grazie ad una conoscenza e a parecchi soldi era riuscito a non partire per la guerra, poté assistere alla nascita della figlia. A causa delle numerose e massicce incursioni aeree alla gente del paese venne dato l’ordine di sfollare. La maggior parte di loro si rifugiò nei casolari di campagna e nei palmenti dei vigneti sparsi lungo le pendici dell’Etna. Alcuni trovarono riparo negli anfratti e nelle grotte che si aprono all’interno dell’alveo in fondo al quale scorre il fiume Alcantara. La casa di Crocifissa fu una delle poche ad essere risparmiata dalla pioggia di bombe che cadde a più riprese sul centro abitato. La furia della guerra non preservò neanche le numerose chiese della città, che subirono la stessa sorte di quasi tutte le abitazioni private. Crocifissa non ebbe fratelli poiché secondo la levatrice del paese, il parto sotto i bombardamenti era stato così traumatico per la madre che l’aveva resa sterile. Ebbe di contro tanti fratellastri, poiché don Antonio si sentì autorizzato negli anni a venire e durante i numerosi viaggi fuori paese, ad avere un numero imprecisato di altri figli con una altrettanta quantità indeterminata di donne. Rosa era cresciuta in un orfanotrofio di Catania. Il suo matrimonio fu combinato tra la direttrice dell’istituto e i genitori di don Antonio, dietro corresponsione di una generosa donazione. A quarant’anni suonati non era pensabile che il loro unico figlio non si fosse ancora accasato. Purtroppo i genitori di don Antonio se ne erano andati entrambi all’aldilà sotto i primi bombardamenti, poco prima della nascita della nipotina, soddisfatti di aver visto il figlio finalmente sistemato e in attesa di un erede. Crocifissa venne mandata a scuola dalle suore dove imparò soprattutto a dire il rosario, e quindi a leggere, scrivere e a fare di conto. Sebbene fosse stata una studentessa promettente, dopo la quinta elementare le toccò solo il lavoro nei campi del padre. E di campi il padre ne aveva molti. Don Antonio nei mesi di semina e raccolta reclutava infatti diverse persone per aiutarlo e si vantava, non a torto, di essere uno dei più ricchi del paese.
Crocifissa crebbe forte ed in salute, per merito soprattutto del duro lavoro all’aria aperta.
Tuttavia a causa di geni indeterminati non crebbe né in altezza né in bellezza, e per questo cominciò a farsi strada in lei la convinzione di essere nata per il convento. Ma si sa, al destino piace giocare a dadi con le nostre vite, e qualche giorno dopo il suo diciassettesimo compleanno Crocifissa conobbe l’amore, o perlomeno a lei così era sembrato. Quel ragazzo alto, dai capelli neri come una notte senza stelle e ricci come la lana prima di essere filata capitò in paese durante la fiera del bestiame. Si chiamava Salvatore ed era di un paesino vicino a Palermo. Era l’ottavo di dieci figli, cresciuti a pane, acqua e ceffoni. Faceva il rappresentante per una ditta di mangimi ed era lì appunto per lavoro. Crocifissa venne presentata a Salvatore da don Antonio che così sperava, non tanto celatamente, di poter accasare la figlia e togliersela finalmente dai piedi. Sarebbe stato perfino disponibile a offrire in dote molto denaro pur di realizzare questo suo paterno desiderio. Due mesi dopo il loro incontro Crocifissa e Salvatore si sposarono. Salvatore era orfano di madre dall’età di cinque anni. Il padre anziano non poté partecipare al matrimonio poiché era sepolto da parecchi anni nel suo letto e veniva accudito dalle due figlie zitelle. Degli altri sette fratelli se ne presentarono solo tre, accompagnati dalle relative mogli. Don Antonio per non essere meno alla propria fama di benestante invitò alle nozze oltre ai parenti, quasi mezzo paese e pagò ai due novelli sposi il viaggio di nozze a Venezia. Per Crocifissa, Salvatore era salvatore non solo di nome ma anche di fatto, perché l’aveva fatta fuggire da una vita fatta solo di duro lavoro nei campi e di sempre più frequenti maltrattamenti da parte del padre. Le dispiacque solo per sua madre, perché adesso sarebbe rimasta da sola con quell’uomo. Salvatore era stato gentile e premuroso, almeno fino alla morte dei genitori di Crocifissa. Un paio di mesi dopo il matrimonio, don Antonio, dopo essere tornato dalla taverna si doveva essere addormentato sul sofà con il sigaro acceso. Al piano di sopra Rosa era già a letto e non si era accorta di nulla. Della casa e dei corpi dei due sventurati coniugi non rimase che un belpo'di cenere. Crocifissa, in quanto unica erede, divenne proprietaria di tutto il rimanente. Salvatore riportando a casa Crocifissa dal funerale fu molto chiaro con lei: d’ora in avanti tutto il denaro ereditato sarebbe stato gestito solo da lui. Da quel momento calò il sipario sulla farsa del loro amore.
Filomena e Giovanni
La novella sposa scoprì ben presto e a sue spese che l’unica dote di Salvatore, oltre la bellezza, che in quanto regalata dalla natura non può essere del tutto definita come dote, era quella di menare spesso e volentieri le mani. I beni lasciati dal padre di Crocifissa venivano dilapidati da Salvatore con una velocità impressionante. Donne, vino e investimenti sbagliati avevano dimezzato il capitale iniziale, tanto che i terreni erano stati tutti venduti. Crocifissa iniziò a piombare in un baratro sempre più profondo, e si ritrovò a pensare che forse il convento non sarebbe stato così male. L’unica sua consolazione e conforto era la preghiera. La chiesa era diventata la sua seconda casa e la croce del Cristo sopra l’altare se la sentiva anche un po’ sua.
Un pomeriggio di febbraio del ’63 bussò alla porta di casa una donna che teneva per mano un bimbo. Disse di chiamarsi Filomena e chiese di Salvatore. Crocifissa sapeva bene delle storie avute dal marito con altre donne, ma per lei vedere gli occhi di Salvatore e