PINK BOXE Difesa personale
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PINK BOXE Difesa personale - Isadora Pacelli
PINK BOXE
Difesa Personale
© Copyright 2016 di Isadora Pacelli
Proprietà di tutti i diritti letterari, cine televisivi e teatrali.
Al mio Coach,
per aver creduto in me.
A te, che sei caduta nella mia stessa situazione:
un uomo violento,
non è la tua dolce metà:
è il tuo incubo.
SCAPPA!
L’AUTRICE
Isadora Pacelli
Nasce a Napoli nel 1981, figlia d’arte. I suoi genitori sono Sergio Pacelli, autore premio Antonio Petito, antropologo, documentarista, attore, regista e commediografo, elogiato dalla critica al Festival di Cannes ’93 Sua madre, Agata Papi, attrice di teatro, organizzatrice di rassegne nazionali ed internazionali. Fondatori del Teatro da Camera di Roma.
Isadora, scrive la sua prima poesia a sei anni per suo padre, pubblicata poco dopo. Si dedica al teatro in una carriera che dura da 35 anni. Attrice, ventriloquo, sceneggiatrice, riesce ad abbracciare il settore artistico a 360°, riceve il suo primo contributo a sette giorni di vita, in Rai, da lì non si è più fermata. Dirige il Teatro da Camera di Roma in V.le di Trastevere, con tutta la sua famiglia. Autrice di molti testi di cabaret, tutti rappresentati. Nel 2007 è l’unica cabarettista donna della famosa rassegna: All’Ombra del Colosseo. Drammaturgo come suo padre, si dedica alla scrittura di testi teatrali fra cui l’opera dalla quale ha tratto questo romanzo e sulla quale Il Forum Terzo Settore della Regione Lazio le attribuisce il premio Formica D’Oro
, per l’uso dell’arte teatrale a beneficio del settore sociale. Attrice protagonista di uno dei primi film italiani in 3D, girato a Cinecittà Studios. Nel 2010, si avvicina al mondo della stereoscopia e crea uno stage ad ingresso gratuito per tutti i giovani, finanziato dalla Fondazione Cariciv.
Coinvolge centinaia di persone nei suoi progetti e diventa ideatrice televisiva con il suo primo docu reality dal titolo Pokereyes
contro il gioco patologico d’azzardo, finanziato dall’associazione dei Casinò italiani, quali sponsor unici della manifestazione. Ideatrice dell’unico meccanismo che permette alle persone non vedenti di poter giocare in modo indipendente al tavolo, contro giocatori normodotati. Crea il primo team giocatori non vedenti e chiede il loro aiuto per sensibilizzare il settore alla cultura del divertimento senza alcuno scambio economico. Crea un tour italiano e lo documenta con le sue telecamere acquisendo migliaia di followers. Vicina da sempre al mondo dei non vedenti, crea il format e manifestazione live sugli Chef non vedenti dal titolo: Non ci vedo dalla fame.
Affianca da sempre lo sport all’arte.
Pratica boxe per sette anni, viene allenata da due ex pugili, fra cui Angelo Piatto nell’ultimo anno, il coach che fra tutti riconosce come unico vero maestro. Ballerina di danza con la spada in equilibrio di taglio, sulla testa e sul fianco, sviluppa una grande capacità nella danza orientale e unisce tutto nel testo di teatro comico: Cleopatra di Napoli.
La sua creatività non riesce a trovare barriere. Dedita al settore sociale si specializza per poter avere occasione un domani di curare un istituto di recupero basato sulle attività artistiche. Organizza rassegne teatrali in tutto il Lazio e riceve dalla Rai un riconoscimento per l’interpretazione di un monologo scritto da suo padre per lei, nel programma Nuovi talenti
.
Ama e crede nello sport come cura di molti problemi di questo secolo.
STRADA FACENDO
La boxe parte di me
Ero una ragazzina di sedici anni quando entrai per la prima volta in una palestra.
La mia famiglia, non aveva le possibilità di regalarmi uno sport a pagamento e l’unico che praticavo era l’atletica, per conto mio. Mio fratello maggiore, ancora oggi molto in gamba, mi dava qualche consiglio. Pattini a rotelle, biciclette, skateboard, palloni da pallavolo, da basket... questi erano gli strumenti del mio sport.
Non avevo mai visto una palestra da dentro e non avevo idea di cosa significasse essere allenata da qualcuno per tirar fuori un possibile talento.
Conobbi l’aerokombat, vedendo una lezione da fuori al vetro di una palestra. Uno sport a tempo di musica con tecniche di combattimento miste. Mi piacque tanto e feci un gran sacrificio per iscrivermi. L’istruttore era un atleta di arti marziali e un ex campione italiano di mountain bike. Una persona in gamba. Fu lui ad accorgersi della mia predisposizione al combattimento, lo seguii per due anni. Arrivavo sempre in ritardo con i pagamenti ed era imbarazzante perché il proprietario era lui. Non ero il massimo come cliente.
La palestra d’estate chiudeva e io non potevo più allenarmi. Un pomeriggio, facendo una passeggiata, mi ritrovai avanti ad un garage e vidi uscire dei ragazzi correndo.
Mi avvicinai e... sembrava la scena di un film! Un ring costruito in un garage, con tanto di sacchi appesi al soffitto! Mi affacciai e trovai il proprietario, Sebastiano, un ex pugile.
Salve, è una palestra di boxe questa?
Mi guardò ridendo, pensava lo stessi sfottendo. No! E’ il mio garage. Posso aiutarti?
Sembrava un uomo tranquillo e simpatico. Era fuori forma ma si vedeva che era un pugile! Gli occhi chiarissimi ed un gran sorriso, una cinquantina d’anni, un uomo del sud. Non era semplice dirglielo. Al sud le donne sono prese in considerazione in modo differente. Ma lì eravamo a Roma, forse si poteva accettare un’eccezione.
Stavo morendo dalla voglia di boxare e provai a chiederglielo.
Sarebbe un fastidio per lei se ogni tanto venissi qui a boxare?
Mi guardò con curiosità. Alta un metro e ottanta, in perfetta forma e molto motivata, osservandomi non capiva se si trattasse di un bidone
o se potevo essere una scoperta
.
Si avvicinò e mi diede i suoi guanti.
Se non ti fanno schifo... fammi vedere come colpisci il sacco, non voglio gente che si fa male qui dentro!
Mi sentivo in imbarazzo ma provai. Non disse una parola mentre si riprendeva i guantoni, poi mi guardò e disse che ero molto veloce, non avevo grande forza ma la tecnica si poteva prendere in considerazione. Mi propose di diventare sua allieva.
Ero così felice! Aveva persino un ring costruito con le sue mani, con le corde tutte intorno proprio come quelli veri!
Non vedevo l’ora di dirlo a mio fratello maggiore, l’unico con il quale potevo confidarmi. Mio padre, regista e documentarista, era stato un pugile da giovane e non era assolutamente d’accordo che io facessi lo stesso. Beh, forse se lo sarebbe aspettato dai miei fratelli, da mio cugino... ma non dalla figlia! Non voleva che mi si gonfiassero gli zigomi. Sperava in qualche parte importante per me, nel cinema o nel teatro, non voleva che perdessi alcuna possibilità, ma a me non importava affatto! Avevo trovato la mia palestra... in un garage! Un pugile vero voleva allenarmi e io volevo diventare forte!
Ci sarei andata di nascosto e un giorno l’avrei invitato per farmi vedere anche da lui!
Mio padre era importante per me.
Il primo allenamento non fu dei migliori, i ragazzi del gruppo non volevano una donna. Uno in particolare mi odiava: Giacomini. Cercava di offendermi ed allontanarmi da quel posto ogni volta che mi vedeva. Era il migliore dei suoi pugili. L’unico che faceva già incontri. Resistetti e mi guadagnai la stima di tutti gli altri.
Soffrivo con loro e non mi risparmiavo mai!
Un giorno Sebastiano mi fece finalmente salire sul ring, mi affidò avanti a tutti gli altri un compito: dovevo aiutare Giacomini nell’allenamento, si stava preparando ad un altro incontro. Dovevo attaccarlo e lui doveva schivare senza rispondere mai al mio attacco.
Salii finalmente sul ring! Non capivo più niente! Era una grande emozione per me. Avevo dei guati rossi comprati in un megastore, i guantoni veri me li sognavo, costavano tanto e poi... non li meritavo ancora secondo me.
Cominciammo, colpii tanto! E forte! Intorno gli altri, non smettevano di tenersi il naso dalle risate. Era più basso di me e poverino non schivava affatto bene. Riuscii a colpirlo e fu la mia rivincita.
Finita l’estate, cominciarono i veri problemi.
L’ultimo fu la morte del mio papà.
La sua morte mi ha fatto soffrire come un cane. Soffrivo per mia madre, rimasta sola a 46 anni, per i miei fratelli, rimasti senza un lavoro.
Avevamo solo debiti e ci mancava il motore della famiglia.
Avevo abbandonato la boxe e mi mancava da morire. Ne avevo bisogno.
Il caso volle che poco tempo dopo, conobbi Angelo, un ragazzo vietnamita, nato a Napoli. Un carattere molto schivo. Mi era anche antipatico inizialmente. Parlava bene l’inglese m’incuriosiva, ma non era affatto socievole. Certe cose accadono... e chi lo sa perché o per come, scoprii che Angelo era un pugile ed insegnava!
Ero immersa nell’organizzazione teatrale per cercare di risollevarmi e pensai che sarebbe stato bello creare un’opera teatrale sulla boxe. Chiesi ad Angelo di incontrarci, volevo ricominciare ad allenarmi per essere all’altezza del ruolo.
Appena mi vide, si rese conto che ne avevo passate di tutti i colori, non mi conosceva, non sapeva niente di me e mi disse che ero reduce da anoressia.
Era vero. Aveva analizzato la mia struttura fisica in un secondo. In più ero appena uscita da due operazioni, avevo perso mio padre e mi trovavo in una situazione personale molto grave.
Non sapevo come salvarmi la vita ma non ce ne fu bisogno… perché la vita me la salvò la boxe.
Il mio coach mi aiutò a credere di nuovo in me stessa e nelle mie forze.
Scrissi l’opera che volevo, ed era diversa in parte da questo romanzo, trovai gli attori e provai a prepararmi per il ruolo di Elena, ma, la storia di una donna che si lasciava picchiare ed insultare, non mi calzava neanche un po’. Non ero proprio io quella che si sarebbe mai fatta mettere le mani addosso. Non riuscivo neanche lontanamente ad immaginare come potesse accadere per un tempo più lungo di... un minuto! La recitazione insegna che devi provare e riprodurre sentimenti veri, legarli alle parole e comunicarli con le tecniche di recitazione. Questo era impossibile visto che non sarei mai stata una vittima
.
Se mio padre fosse stato presente mi avrebbe fatto capire la posizione del personaggio di Elena, ma lui non c’era. Abbandonai la messa in scena per mancanza dell’attrice protagonista. Non potevo neanche dirigere qualcun altra. Non sarei stata in quel caso all’altezza di dirigerne le dinamiche psicologiche.
Passarono tre anni, e qualcuno mi convinse che oltre a mio padre, dovevo abbandonare anche la mia carriera di scrittrice e di teatrante. Quando perdi il punto di riferimento nella vita, sei in balia delle onde che in quel caso sono rappresentate dai pareri della gente che ti consiglia. Mi venne offerto un lavoro da commessa, con la promessa che sarei diventata un a persona di riferimento dell’azienda per la quale avrei iniziato a lavorare. Andai in depressione, le tante ore in piedi mi massacravano le gambe, lavoravo più di tutti. Non credevo di essere diventata un automa. Piegavo magliette e vestiti già piegati solo per dimostrare che ero indaffarata. Sembrava tutto una follia. Il mio cervello si rifiutava di sognare. Si era spenta la mia immaginazione. Cominciarono a cadermi i capelli e a gonfiarsi in modo strano le caviglie. Ero in una totale debolezza fisica e di spirito e finii nelle braccia della persona più sbagliata della mia vita.
Quello che avevo scritto nell’opera teatrale, sembrò concretizzarsi come se avessi scritto una premunizione.
Potevo difendermi e non l’ho fatto. Sapevo boxare bene, mi sarebbe bastato un solo destro...
Il terrorismo psicologico ed il lavaggio del cervello sono proprio questo. Non avevo vicino nessuno, non lo dissi a mia madre, ai miei fratelli, al mio coach, ai miei compagni di boxe, a nessuno. Mi vergognavo e pensavo fossi io la colpa di tutto.
Fin quando una mattina scappai. Liberatami di quell’incubo, ho continuato a trascinarmi i postumi. Per altri due anni non ho avuto il coraggio di guardare negli occhi le persone. Di sorridere a chi gentilmente mi porgeva un caffè al bar. Non riuscivo a vestirmi se non di nero.
A tre anni di distanza, con l’uscita di questo romanzo, sono tornata al mio vero lavoro e ho sentito dire al mio coach per la prima volta: Sono fiero di te
.
Insieme a queste sue parole, l’ultima pagina di questa storia e di questo libro, si è chiusa per sempre.
Sacrificio e passione. Sofferenza e orgoglio. Sono innamorata persa della boxe. L’ho usata per curar- mi e per fare di me la donna che sono. Le persone che boxano col cuore, si guardano negli occhi e si riconoscono fratelli. Non lo fanno per sport lo fanno per amore. I guantoni non li ho mai comprati, mi sono stati sponsorizzati dalla Leone per l’opera teatrale dalla quale ho tratto questo romanzo. Bianchi, bellissimi!
Mio padre non ha fatto in tempo a vedermi, gli sarei piaciuta da morire. E se mai ogni tanto mi guardi da li su, sappi che ti sento... quando mi urli di alzare la guardia!
Isadora
A TE
Non agitarti. Prega! Sogna! Spera!
Non lasciare che la paura prenda decisioni al tuo posto.
Si coraggiosa. Amati.
CAPITOLO 1
LA PAURA
Una stanza illuminata solo dalla luce di un notebook posizionato sul pavimento ai piedi del letto.
Si ode improvvisamente la corsa scalza di una donna che entra in camera, gira la maniglia della porta cercando di non farsi sentire ma le sue mani tremano e le rendono faticosa l’azione. E’ Elena, una donna di circa trent’anni, dall’aspetto certamente non attraente. Ha dei grandi occhiali sul naso, i suoi capelli sono raccolti di fretta, descrivono una donna non dedita alla cura del suo aspetto. Calze di lana, una gonna oltre il ginocchio, mostrano l’ abbigliamento di una persona freddolosa e certamente sedentaria.
Appare sconvolta e continua a massaggiarsi il volto. Improvvisamente si accorge di un rumore proveniente dal corridoio, chiude a chiave e si appoggia alla porta con tutta la forza che ha. Passi veloci di un uomo che arriva giusto qualche secondo dopo. E' Carlo, il suo compagno, l’uomo batte un pugno sulla porta, la donna sussulta.
Poi il silenzio.
Elena comincia un pianto dettato più dall’ansia del silenzio che dalla paura.
La porta dietro le sue spalle inizia a vibrare fortissimo per la raffica di pugni che l’uomo vi scarica contro, unita ad urla di rabbia.
Apri!!! Apri questa porta! Credi che non la sfonderò... eh?
Poi un’altra raffica. Non sei all’altezza di parlare?? Apri!!
Ancora silenzio, poi i suoi passi, si gira e rigira nervosamente nel corridoio, Elena rimane attaccata alla porta singhiozzando, cercando di non farsi