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Louisiana Swing
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Louisiana Swing

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"Non uccidere a meno che non debba vendicarti di una macchia di vino rosso sul tuo Dolce e Gabbana in raso crêpe satin longuette color carne e fantasie di rose viola. In quel caso, uccidi". Alla guida della sua Buick Century Cabriolet seconda serie azzurro chiaro, Kelly di Conte, bella e giovane donna di successo con una passione per la moda, i cocktail party esclusivi e lo swing, abbandona tutto o quasi per intraprendere un viaggio spinta da un evento che, improvviso, ha fatto vacillare ogni sua certezza. Attraverso i ricordi del suo passato e i nuovi incontri sulla sua strada, Kelly farà alcune scoperte inaspettate che arriveranno a farle mettere in dubbio persino la conoscenza di sé stessa, in una veloce corsa dalla East Coast fino al confine con il Messico e oltre. Un’avventura "on the road", narrata con sottile ironia, schiettezza e con quell’umorismo nero che caratterizza la sua protagonista.
LanguageItaliano
Release dateApr 15, 2016
ISBN9788898980901
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    Louisiana Swing - Benedetta Ruggeri

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    Collana Sentieri

    Louisiana Swing

    di Benedetta Ruggeri

    Proprietà letteraria riservata

    ©2016 Edizioni DrawUp

    Latina, Italia

    Progetto editoriale: Edizioni DrawUp

    Direttore editoriale: Alessandro Vizzino

    Grafica di copertina: AGV per Edizioni DrawUp

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.

    Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.

    I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.

    ISBN 978-88-98980-90-1

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    0

    Mantieni il controllo. Mantieni la calma. Tutto quello che ti sta attorno non esiste. Fattelo scivolare addosso. Fatti rimbalzare sopra ogni cosa.

    Osserva i dettagli. Falli tuoi. Tu controlli tutto. Non è il resto a controllare te. Mantieni il controllo sulla tua vita. Non lasciare che siano gli eventi a controllare te. Sii superiore. Sorridi. Non mostrarti debole. Non lo sei. Sei forte. Hai autocontrollo. Acquista una percezione e una comprensione totale di tutto ciò che ti sta attorno. Acquista una percezione e una comprensione totale di tutto quello che sta accadendo in questo momento.

    Una volta che ce l’hai, fai come se nulla esistesse all’infuori di te. Nulla può ferirti. Una cosa che non esiste non può ferirti. Non puoi perderla.

    Non può rompersi. L’autocoscienza è la chiave. La consapevolezza di sé.

    Sii consapevole di ciò che sei. Osserva il mondo attorno a te e non chiederti per quale motivo tu occupi un posto al suo interno. Non è importante. Ciò che è importante è che tu sappia che all’infuori di te, nient’altro esiste. Non esiste alcun dio all’infuori di te. Non avrai alcun dio all’infuori di te. Tu sei il tuo dio. Tu sei padrona di te stessa. Questo è il tuo mantra. Ripetilo. Una, due, tre, quattro, cinque dieci cento mille volte.

    Ora manda giù quella manciata di Valium che hai in mano. Un sorso della tua vodka.

    E fai attenzione a quel tir che ti sta venendo incontro. Sì, quello è reale.

    Forse è l’unica cosa reale. Quel tir e i suoi fari. Quel tir e i suoi fari abbaglianti. Quel tir e i suoi fari abbaglianti e il suo clacson. Le sue trombe che sembrano segnali provenienti dall’inferno. Quei due occhi gialli che ti si fanno incontro nell’oscurità. Quel demone enorme che urla dalle sue trombe sempre più vicino, sempre più vicino, sempre più vicino.

    Ora sterza. Fai uno, due, tre giri su te stessa. Osserva il demone che si allontana nell’oscurità infernale dietro di te. Fermati. Fermati e pensa.

    Autocontrollo. Calma. Il peggio è passato. Sei ancora qui presente, in carne e ossa e sangue e pensieri e mente e anima e tutto. Sei ancora qui.

    Sei forte. Sei il tuo dio. Sei padrona di te stessa.

    Ora riprendi ad andare, ma fai attenzione ai demoni lungo la strada. Fai attenzione ai demoni che potresti incontrare nel mondo intorno a te. I demoni sono loro l’unica cosa che esiste. Fuori, e dentro di te. Non farti sopraffare. Trova i loro punti deboli. Usali a tuo vantaggio. Sconfiggili.

    Solo in questo modo riuscirai a portare a termine il tuo viaggio. Solo in questo modo riuscirai a raggiungere il tuo scopo.

    Ora manda giù un’altra manciata di Valium, un sorso della tua vodka, e continua ad andare...

    1

    Tovaglia a quadretti rossi e bianchi. Schizzi di salsa rosa dappertutto.

    Olio. Ketchup. Maionese. Caffè. Puzza di bruciato. Ehi, ehi, ehi, qualcuno si è dimenticato la carne sul fuoco, per caso? Una tazza a fianco alla mia rubrica. Ho poggiato la mia rubrica su una macchia di salsa barbecue ormai fossilizzata. Stantia. Mi fa schifo uguale. Almeno non è appiccicosa. Una copia di un quotidiano di qualche giorno fa riposa in pace sotto una bottiglia di sciroppo d’acero. Buchi sulla poltrona davanti.

    Fazzoletti usati tutt’intorno. Resti di insalata di patate e piselli sul mio piatto. Odore di cipolla fritta dal tavolo dietro il mio. Altro caffè, per favore. Sally, altro caffè. Datti una mossa, Sally. Ecco Sally. Si avvicina portando la caraffa come se stesse portando un peso sovrumano. Spero di non averti chiesto troppo, Sally. Sally con la sua uniforme a righe verticali bianche e rosse. Bianche e rosse, come i quadretti sulla tovaglia, bianchi e rossi. Sally ha uno sguardo stanco. Sally sarà alla fine del suo turno, penso. Sally me la rovescerebbe addosso, quella caraffa di caffè. Sally potrebbe essere mia madre. Magari Sally ha una figlia come me. Sally ha i capelli rosso fuoco. Con almeno cinque centimetri di ricrescita nera. Sally ha i capelli tirati su con una coda e porta una visiera con su scritto Wendy’s. Terra chiama Sally, terra chiama Sally. Ho bisogno di quel caffè, subito. Grazie. Saranno almeno tre notti che non dormo. Ecco il caffè. Famiglia felice sul tavolo davanti al mio. Mami, papi, figlia uno, figlia due. Gelati per le bambine, uno panna e cioccolato, uno fragola e pistacchio. Limonata per mami. Caffè per papi. Sally, riempi la tazza di papi per bene, per favore. Non sia mai. Mami porta una di quelle pettinature alla Veronica Lake. Mami indossa una camicia a fiori sul verde chiaro, e sopra un cardigan beige. Papi una polo azzurra, e un maglione blu scuro sulle spalle. Bambina uno, la bocca sporca di cioccolato, sorride a mami e papi. Porta un cappellino rosa e i capelli biondi sciolti. Bambina due, forse più piccola di bambina uno, porta due trecce di capelli castani che le cadono sulle spalle. Bambina due in braccio a papi. Che tenerezza.

    Dalla tv sopra il bancone immagini di un uomo ospite in uno qualunque di quei programmi mattutini a vostra scelta. Buongiorno America. Ci facciamo i cazzi vostri. Entriamo nelle vostre case. Entriamo nelle vostre vite. Vi osserviamo attentamente. Non ci perdiamo un minuto di ciò che fate. Vogliamo violarvi analmente. Ci piace. Stiamo attenti che abbassiate la tavoletta del cesso, la mattina. Che nascondiate per bene manette, vibratori, corde, lacci, fruste. Noi non vogliamo che bambina uno e bambina due li trovino. Noi non vogliamo che poi voi dobbiate spiegare a figlia uno e figlia due quali sono le regole di quel gioco, mami e papi.

    Ancora un po’ di caffè, Sally. Ti prego. Non chiudo occhio da giorni, sono stanca ma non voglio dormire. E già che ci sei, Sally, per piacere, un pancake con sopra un tot di burro d’arachidi. Della panna. Cioccolato fuso. Anzi, due pancake. Tre, quattro, fanculo alla dieta. Ho bisogno solo di due cose ora: caffè e gocce per gli occhi. Un altro po’ di caffè e gocce per gli occhi, Sally. Caffè e gocce per gli occhi. Caffè e gocce per gli occhi. Caffè e gocce per gli occhi. Caffè e gocce per gli occhi. Caffè e gocce per gli occhi.

    Torna alla tv sopra il bancone. Quell’uomo seduto su un divano, tutti gli occhi dello studio puntati addosso. A quanto pare questo ha trovato la sua giovane moglie morta, con la testa spappolata, materia cerebrale sparsa dappertutto sul pavimento della cucina, frammenti di ossa mischiati ai croccantini del gatto, sangue che colava dalle pareti e dalla finestra.

    Morta per martellate. Martellate sulla morta. Lui sosteneva la tesi del suicidio. Lui. Lui si trovava in casa. Ma aveva preso qualche tranquillante di troppo e bam, steso. Non poteva mica accorgersi che la moglie era indaffarata e prendersi a martellate sulla testa. Insomma, chi se ne sarebbe accorto. In studio parte la ricostruzione del fatto. Con tanto di attori in carne e ossa, voglio dire. Rendiamo partecipe l’intera nazione. Chi non avrebbe voluto vedere quella povera donna martellarsi ripetutamente la testa. Chi non avrebbe voluto godersi quella scena. Una martellata, due martellate, tre, quattro, cinque. Chissà quanto tempo ci avrà impiegato per perdere i sensi. Insomma, doveva aver calcolato bene i tempi, credo.

    Non fate vedere queste cose a bambina uno. E nemmeno a bambina due.

    Mi alzo e vado a sistemarmi il trucco. Toilette unisex, come ogni tavola calda che si rispetti. Schizzi di piscio dappertutto. E chissà di cos’altro. Prendo dalla borsetta fard e rossetto. Cazzo che occhiaie.

    Diamoci una sistemata. Porto un tailleur blu scuro, molto classico, giacca e gonna, un Armani comprato a una svendita. Sì, a una svendita. Sotto, una camicia bianca Lorenzo Riva. Svendita. Tacchi Cavalli ai miei piedi.

    Svendita anche qui. Così, tutta italiana, sono splendida. Non soltanto perché italiana lo sono, almeno per un quarto. Ma perché figuriamoci se mi potevo permettere Manolo Blahnik o Christian Louboutin freschi di fabbrica. Per chi cazzo mi avete preso. Ho dovuto fare tutto in fretta. Il tempo a mia disposizione era veramente quasi nullo. Avessi potuto portarmi dietro il mio guardaroba. Avessi potuto.

    Mi sistemo i capelli, mi guardo per qualche minuto allo specchio e mi dico che sì, sono proprio una gran fica.

    Esco e mollo una discreta mancia alla mia amica Sally. Arrivederci, Sally, è stato bello. Sto per uscire quando incrocio lo sguardo di bambina uno e bambina due. Famiglia felice a ore tre, famiglia felice a ore tre.

    Sorrido. Faccio loro ciao-ciao con la mano destra. Bambina due fa alla mamma: Mammina, perché quella signora ha solo quattro dita? È un mostro, mammina?

    Torno indietro con la mente a quel giorno in cui avevo sei anni ed eravamo in gita. A quando ancora ero una bambina innocente. A quando ancora avevo dieci dita. Fino alla fine della giornata, almeno. Una bella gita in famiglia. Bella giornata. Papà aveva portato le sue canne da pesca per insegnare a Teddy come si faceva, a pescare. Mamma aveva preparato dieci, cento, mille cose da mangiare. Un sacco di piatti italiani, perché era il compleanno di papà e papà era italiano per metà. Per questo io sono italiana per un quarto. Tanto per dire. Spaghetti al pesto, lasagne, gnocchi al sugo, tortelloni ripieni, trippa, brasato di manzo, ribollita, ossobuco, bresaola, salamelle, cotolette, formaggi di tutti i tipi, melanzane alla parmigiana, cassata, bignè, babà, castagnaccio, cantucci e cannoli. Roba che solo a pensarci mi scoppia il colon. Billy, il nostro beagle, che rincorreva le farfalle o qualcosa del genere. Mamma con la sua aria felice.

    Papà tutto contento che poteva passare del tempo con Teddy. Come se non ne passasse abbastanza. Mamma che invece passava il tempo a pettinarmi, farmi le trecce, disfarmi le trecce, rifarmi le trecce. Io volevo andare a vedere gli scoiattoli. Volevo cercare gli gnomi. La nonna mi raccontava sempre di aver visto gli gnomi, da bambina. Allora ok, Teddy, porta tua sorella a cercare gli gnomi, che io e mamma vogliamo passare un’ora tranquilli. Alla ricerca degli gnomi con il fratellone. Teddy, più grande di me di cinque anni, a undici anni aveva già fatto tante, troppe cose che io chissà cosa pensavo che fossero. Del tipo che aveva già fumato una sigaretta. O si era già tirato centinaia di seghe. Uno si aspetta che il fratellone presti attenzione alla sorellina. Sì, chiedetelo a Teddy.

    Teddy, fai attenzione a tua sorella. Sì, mamma, sì, papà. E tu stai ferma qui e non muoverti. Se ti muovi di un solo centimetro sai cosa ti succede.

    Toglie fuori il suo coltellino svizzero e me lo agita davanti al viso. Poi si allontana e mi lascia sola per quasi due ore. Alberi altissimi. Uccelli che fischiano. Animali che si muovono fra i cespugli. Vento fra i rami. E quel bastardo che mi lascia sola. Addio agli gnomi. Gnomi, gnomini.

    Gnometti. Poi lui torna ed è quasi buio. Mi prende la mano e la stringe fortissimo. Camminiamo verso il lago, e da lontano vedo la mamma agitare le mani. Già me le vedo, quelle mani addosso. Cosa è successo, fa papà. Kelly si è allontanata e non la trovavo più, fa Teddy. Cattiva, Kelly, cattiva. Mamma mi prende per un braccio e mi fa che devo sempre rovinare tutto. Sali in macchina, dice. E tu, fila con lei, fa a mio fratello.

    Apro la portiera della Plymouth Fury Sport Suburban station wagon di mio padre. Io la apro, Teddy la chiude. Sul mio dito piccolo. In meno di un secondo, passo da avere dieci dita ad averne nove. Sangue dappertutto.

    Mamma disperata. Papà fa: Cercate il dito, cercate il dito, per dio. Io piango. Teddy niente. Mamma mi tiene la mano e cerca di tamponare la ferita, che più che ferita è un taglio netto. Sangue come se piovesse. Poi vediamo Billy con il muso tutto rosso. Che si lecca i baffi. E non è difficile capire perché. Io svengo. Mi portano al pronto soccorso più vicino. Da quel giorno, sono Kelly nove dita.

    Torniamo alla tavola calda. Mami che dice a bambina due che Non devi dire queste cose, e mi sorride, La scusi, signorina. Fa niente, non si preoccupi. Esco. Non fa molto caldo, non più di due, tre, quattro, cinque giorni fa, quando mi sono messa in marcia. Comunque dal distributore automatico a fianco all’entrata prendo qualche bottiglia d’acqua. Vodka, già nella borsetta. Contenuto della borsetta in dotazione a Kelly nove dita: Numero 1 bottiglia di vodka scadente comprata nel negozio di liquori all’angolo fra Warrington St. e Circle Rd. Numero 1 rossetto scarlatto che fa tanto contrasto con il mio nuovo colore di capelli. Numero 1 confezione di preservativi extra large gusto banana. Siamo ottimisti. Numero 2 fard.

    Numero 1 accendino. Numero 1 sacchetto di Thai Stick. Numero 20

    grammi di Thai Stick all’interno del sacchetto. Numero 1 rubrica. Numero 1 telefono cellulare. Numero 0 scheda sim all’interno del cellulare.

    Numero 1 scheda sim gettata nello scarico del cesso del pub ieri notte.

    Numero 2 penne bic. Numero 15 banconote da dieci. Numero 5 banconote da 20. Numero 1 Glock 29. Numero 3 caricatori da 10 mm.

    Mi avvicino all’auto e apro la portiera. Mi siedo. Sento bum. Scendo e apro il bagagliaio. Apro una delle bottiglie d’acqua e la svuoto sul contenuto. Sul contenuto del bagagliaio.

    Mpfghpffhgggmpfhg.

    Chiudo il bagagliaio. Salgo nuovamente in auto. Metto in moto. Bum.

    Hfgggsmmpffhggmfghh.

    Bum.

    Mphfgsaaiddfhfppmfh.

    FHPPFFNBHPPGFFMFGH!

    Bum. Accendo la radio. Volume 30. Predicatore in diretta.

    Dovete essere di esempio. La nostra condotta è il nostro biglietto da visita. Ciò che mostriamo di noi stessi agli altri. Su questo biglietto, una sola parola deve essere scritta, un’unica parola: Cristiano. Perché nel nostro cammino di cristiani, siamo chiamati a seguire le sue orme, le orme di Cristo Nostro Signore.

    Amen.

    Gesù abbassò sé stesso, e si rese servo. Lui stesso disse: Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire. San Paolo anch’egli dice che siamo stati salvati, noi umani, all’unico scopo di servire, di essere servi, di lavorare per un padrone. E chi può essere il nostro padrone, se non Dio, Dio Nostro Signore?

    Amen.

    E allora, vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l’eredità di tutti i santificati.

    Amen.

    Ashgdahmpfmmpafghpmpgh.

    BUM.

    Cambio stazione. Volume 40.

    Debbie Harry canta Die young, stay pretty. Che è diventata la mia filosofia di vita. Mi guardo allo specchietto, il vento fra i capelli. Il sole che bacia la mia pelle chiara. Mi guardo allo specchietto e per una manciata di secondi fisso quegli occhi castani, chiusi da quel taglio simil-orientale, che da bambina tutti pensavano fossi cinese. Mi sorrido e penso che cazzo, sì, devo essere proprio un bocconcino niente male. Cioè, non è che nessuno me l’abbia mai detto. Comunque non voglio invecchiare.

    Voglio restare sempre così. Non voglio guardarmi allo specchio, alzare le braccia e vedere due budini cadenti al posto delle mie tette. O al posto delle stesse braccia. Non voglio vedere fiumi di smagliature confluire sul mio ombelico. Non voglio autostrade di rughe sulla mia fronte. Si dice che i segni del tempo indichino quello che siamo stati. I segni di ciò che ci è successo durante l’intero arco della nostra vita. Ciò che ci ha formato, ciò che ha contribuito a costruire quello che siamo. Puttanate. Quello che mi è successo, voglio che lasci segni solo all’interno. E li ha lasciati, eccome se ne ha lasciati. All’esterno voglio e devo restare intatta. Immacolata.

    Bellissima. Come sono ora. Non voglio invecchiare. Non voglio invecchiare. Non voglio invecchiare. Non voglio invecchiare. Non voglio invecchiare.

    Prendo gli occhiali da sole dal cruscotto. Automobile in dotazione a Kelly nove dita: Buick Century Cabriolet seconda serie azzurro chiaro.

    Contenuto del cruscotto in dotazione alla Buick Century Cabriolet seconda serie azzurro chiaro: Numero 1 guida turistica dello stato di Sonora, Messico. Numero 2 pacchetti di Marlboro. Numero 1 fiaschetta di scotch vuota. Numero 3 assorbenti interni. Numero 1 confezione di preservativi medium alla fragola. Non siamo più così tanto ottimisti.

    Numero 2 confezioni di Valium. Numero 3 confezioni di Percocet.

    Numero 4 boccette di Alprazolam. Numero 1 confezione di Narcan.

    Numero 3 confezioni di Adrafinil. Numero 1 spray al peperoncino.

    Numero 1 taser elettrico.

    Indosso gli occhiali. Accendo una sigaretta. Col vento fra i capelli, il mio nuovo colore più biondo che castano, il rossetto scarlatto, mi sento quasi come Lula in Cuore Selvaggio. Solo al mio fianco manca un Sailor Ripley, uno qualunque. Intanto Debbie continua a cantare.

    Die young, stay pretty. Live fast, ‘cause it won’t last.

    2

    Strada deserta davanti a me. Sole. Orario: non sono nemmeno le undici. Mi passo una mano tra i capelli. Sono morbidi. Profumano. Ne prendo una ciocca e inspiro a pieni polmoni quel profumo di cocco, così dolce.

    Vado indietro a quando avevo dieci anni. Al giorno della recita scolastica. A quando avrei dovuto interpretare Giulietta. La Giulietta più popolare della scuola. Ero fica già da prima del mio concepimento, porca puttana. Anche con un dito in meno. Hai sentito, bambina due? Vorrei vedere te a dieci anni. Mostro manco per niente. Portavo lunghi capelli castani. La signorina Andrews mi scelse probabilmente perché come protagonista di una tragedia, ci stavo proprio bene. Avessimo dovuto preparare uno spettacolo di cabaret, sarei stata l’ultima ruota del carro.

    Forse mi avrebbero lasciato aprire e chiudere il sipario. Non che non abbia mai avuto senso dell’umorismo, anzi credo di averne da vendere. Ma forse dal mio sguardo traspariva un senso di tragedia non indifferente. Di proporzioni epiche, col senno di poi. A pensarci bene, però, la signorina Andrews avrebbe potuto scegliere una commedia, piuttosto che una tragedia. Cosa volete che ne capissero dei ragazzini di dieci anni

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