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Selvaggia, i chiaroscuri di personalità
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Selvaggia, i chiaroscuri di personalità
Ebook387 pages5 hours

Selvaggia, i chiaroscuri di personalità

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About this ebook

Selvaggia è una ragazza dark, capelli scuri e occhi blu intenso. Veste di nero e con il trucco pesante. Ama girare per Roma fino a notte fonda, avere incontri intimi con perfetti sconosciuti, ballare fino a tardi in locali punk. Scrive poesie e ha una stanza completamente buia. Per il mondo però non esiste, non è mai nata. Lei è Martina.
Martina è una ragazza bionda che veste con colori pastello. È vuota, un pezzo di ghiaccio impenetrabile. Rifiuta ogni amicizia e rapporto sociale. Ha lo sguardo spento e triste, in quei suoi occhi blu intenso. Ha perso i genitori a sedici anni. Da allora tutto il suo mondo si è distrutto, e il lutto l’ha trasformata in un corpo vuoto che vive solo perché si deve vivere. Lei è Selvaggia.
Daniel è un ragazzo di diciannove anni, al primo anno di Psicologia, dove conosce Martina. Scopre l’esistenza di Selvaggia su un blog e la incontra in un locale. Scopre la linea sottile che separa le due ragazze, segnata dal trucco pesante, i caratteri e i gusti opposti. Tenterà di cancellare tale linea, rompere il muro che separa le due personalità, rischiando di annegare nel vortice paradossale di conflitti creato da quella ragazza, che sta imparando ad amare.
LanguageItaliano
Release dateSep 30, 2012
ISBN9788898017218
Selvaggia, i chiaroscuri di personalità

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    Book preview

    Selvaggia, i chiaroscuri di personalità - Giovanni Garufi Bozza

    Wilde

    Capitolo I

    Il blog

    Era un pomeriggio soleggiato di una domenica di fine ottobre del 2004; un pomeriggio caldo, nonostante l’autunno che da tempo aveva iniziato a ingiallire le foglie degli alberi e che aveva attratto molta gente a uscire e a girare per le strade di Roma.

    In un appartamento di una viuzza privata nel quartiere Prati, a poca distanza dalla Basilica di San Pietro, Daniel se ne stava seduto di fronte al suo computer, guardando con aria annoiata il monitor.

    Che giornata inutile la domenica, divisa in due parti, così diverse tra loro. La mattina aveva un che di festoso e di allegro, perché la gente poteva riposarsi, dormire più ore, oppure chissà, uscire, fare pic-nic, o comunque trascorrere la giornata in modo completamente diverso da come faceva nel corso della settimana. Poi purtroppo arrivava il triste pomeriggio, in cui la gente iniziava a rincasare e ad aspettare l’inizio di un’altra faticosa settimana. Si poteva trascorrere il pomeriggio in tanti modi, seguendo le partite, uscendo, andando al cinema. Ma comunque arrivava il momento di pensare che il riposo era finito e che il giorno successivo ci si sarebbe svegliati a ore indecenti, si sarebbe tornati a faticare in una lunga e noiosissima settimana di lavoro o di scuola, passata in attesa di un nuovo sabato del villaggio in cui gioire per il riposo, e di un’altra domenica in cui soffrire. Che circolo vizioso!

    Di questo era convinto Daniel: che la domenica pomeriggio fosse uno dei momenti più brutti dell’intera settimana. Tuttavia, quella specifica domenica costituiva per lui un’eccezione alla regola: era sì brutta come tutte le altre ma per il motivo opposto: questa volta non vedeva l’ora che arrivasse il lunedì, tanto che quel pomeriggio gli sembrava davvero lungo e interminabile. Il giorno seguente infatti avrebbe finalmente iniziato l’università.

    Anno di studio nuovo, materie nuove e più vicine ai suoi interessi, che lo avevano portato a scegliere la facoltà di Psicologia,

    amici nuovi e chissà?, forse anche nuove relazioni amorose. Anche se queste non gli interessavano più di tanto, destinate come erano a finire, a restare un brutto e doloroso ricordo. L’amicizia invece, quella vera, durava per sempre, perché capace di superare molte più avversità rispetto all’amore. E le ragazze sapevano essere le amiche perfette. Non che fosse omosessuale o che non gli interessassero le storie. Conquistare le donne gli interessava, ma non era il suo chiodo fisso, anzi forse era l’ultimo dei suoi problemi. Se capitava bene, sennò perché andarsi a cercare guai? L’amicizia con una ragazza era di gran lunga preferibile.

    Daniel aveva infatti più amiche che amici. Fatta eccezione per Paolo e Mario, tutte le altre persone a lui care erano donne. Con esse riusciva a confidarsi, a parlare di tutto, e solo con loro aveva la convinzione di essere ascoltato veramente, nei lati più intimi del suo essere. Con i ragazzi era diverso. Gli amici servivano più per sentirsi dire Ma che ti frega! , Non ci pensare o ancora Dai, beviamoci sopra per dimenticare! , tutte cose senz’altro utili nel momento del bisogno, ma Daniel in molti casi preferiva una ragazza che sapesse ascoltare e dare il consiglio giusto, quello femminile, dettato dal loro sesto senso e dalla loro maggiore sensibilità.

    Trovare un ragazzo che avesse queste stesse caratteristiche come amico, era stato fino ad allora impossibile. Forse perché le donne avevano quella marcia in più, quel che di magico, profondo, misterioso, che le rendeva affascinanti e incomprensibili agli occhi degli uomini. La storia stessa narra di come grandi uomini come Cesare o Napoleone o tanti altri furono vinti nel loro privato da una donna. E chissà quanto di ciò che è accaduto nel passato è imputabile alle donne, rare protagoniste dirette degli eventi storici rispetto agli uomini, ma sempre accanto a loro, come in una sorta di regia nascosta.

    Preso da questi pensieri filosofici, Daniel continuava a fissare distrattamente il monitor. Era collegato con il sito della facoltà di Psicologia, ed era la quinta volta che vi entrava in quel week-end per vedere se erano state inserite nuove informazioni sull’inizio dei corsi. Tuttavia il sito era silente da due giorni.

    Squillò il cellulare col suono acuto e fastidioso del messaggio in arrivo, che disturbò anche l’immagine del monitor, facendola ballare su e giù per qualche istante. Aprì il messaggio e lesse: ‹ Dany, sono in ritardo! Ci vediamo alle cinque invece che alle quattro e mezza! A dopo! Paolo.›

    ‹ Tanto per cambiare› pensò Daniel.

    Di lì a poco infatti sarebbe uscito come ogni domenica pomeriggio con i suoi due amici di sempre, Paolo e Mario. E come ogni domenica Paolo aveva mandato un sms per avvertire del suo ritardo e avrebbe ritardato poi di altri dieci minuti ancora rispetto al secondo appuntamento dato via sms. E sempre come ogni domenica, sarebbero andati a casa di Mario, dove avrebbero bevuto un succo di frutta, fumato sigarette e parlato del sabato sera precedente. Sarebbero poi usciti per un giro nel quartiere o per una partita al biliardo. Tutte le domeniche la solita storia, da una vita ormai. Non che Daniel si trovasse male con i due ragazzi, tutt’altro.

    Con loro stava benissimo ma odiava la monotonia e amava le novità, in cui si gettava con piacere. Ecco perché aspettava con ansia il suo primo giorno da studente universitario, l’inizio della nuova vita.

    Dato il ritardo di Paolo, aveva un’altra buona mezzora per navigare in Internet. Si collegò su un motore di ricerca e cercò qualche nuovo sito da visitare digitando a caso le parole di ricerca: era solito farlo quando la noia si faceva davvero forte e in qualche modo bisognava pur rompere la monotonia. Allora digitava parole a caso per vedere cosa uscisse fuori dal vasto mondo di Internet.

    Gli venne in mente di digitare qualche nome di persona particolare, come il suo. Sfortunatamente per lui, i suoi genitori adoravano i nomi incompleti. Se non lo avessero chiamato Daniel, magari avrebbero optato per Gabriel, o se fosse nato femmina si sarebbe chiamato Susan o chissà quale altro nome senza la vocale finale!

    Digitò Selvaggia, il primo che gli venne in mente. Comparvero immagini di animali, ragazze e paesaggi. Nulla di interessante.

    Dopo un po’ la sua attenzione cadde su una foto che ritraeva un gran fuoco, con al centro una rosa nera e incuriosito ci cliccò sopra.

    Apparve un blog, una sorta di diario on-line dove il proprietario

    poteva scrivere pensieri, poesie, narrazioni della propria vita e cosi via. A differenza dei diari cartacei, i blog erano accessibili a chiunque volesse leggere e commentare quanto scritto dall’autore.

    Il blog apparteneva a una ragazza chiamata per l’appunto Selvaggia. La rosa nera e il fuoco costituivano lo sfondo del blog, e in esso vi erano riportate poesie e commenti. Di sottofondo c’era una musichetta triste e lenta, simile a quella di un carillon. Lesse l’ultima poesia, che era stata inserita proprio quel giorno, alle cinque di mattina.

    Solitario chi viaggia,

    solitario chi resta,

    solitaria la luna,

    solitario il mondo.

    Sola…

    C’è chi mi guarda,

    ma in realtà non vede,

    c’è chi mi ascolta,

    ma in realtà non mi sente

    Sola…

    Ancora una volta

    la notte muore.

    Sorge la luce,

    ma muore anch’essa.

    E nessuno sa,

    nessuno ha capito,

    che la luce è il buio,

    e il buio è la luce.

    E domani un nuovo inizio per lei, che sembra viva ma che è morta, una nuova tortura per me,

    che sembro morta ma che son viva.

    Sono una maschera,

    sono ciò che non si vede,

    sono ciò che non sono,

    sono un grido silenzioso.

    E verso intanto

    dolci, amare,

    belle, odiose,

    lacrime silenti.

    Un giorno io vivrò,

    e lei non sarà più.

    La viva vivrà

    la morta morrà.

    Rilesse la poesia più volte, scosso da un brivido. Ma chi era questa Selvaggia? Una mitomane? Sicuramente una persona molto triste. Ne aveva incontrate fino ad allora di stramberie su Internet, e di solito si disconnetteva facendosi una risata al pensiero di quante persone stravaganti ci fossero al mondo. Questa volta era invece rimasto davvero impressionato.

    Quante contraddizioni, pensò. Sono ciò che non si vede, la luce è buio e il buio è la luce, verso lacrime dolci e amare, belle e odiose!

    Chissà cosa voleva dire tutto questo. Ma la parte più agghiacciante era l’ultima: la morta morrà, la viva vivrà, io vivrò e lei non sarà più.

    Nessuno aveva postato un commento. Probabilmente era tutta opera di una persona molto sola, come in effetti confessava la stessa poesia.

    Uscì di casa con quelle parole che gli rimbombavano in testa.

    Durò poco però; il pensiero principale era il domani: il grande inizio.

    Una cosa in comune con Selvaggia: anche per lei domani ci

    sarebbe stato un nuovo inizio, seppur tragico. Ma chissà quale sarebbe stato?

    Capitolo II

    Pezzo di ghiaccio

    Ore 6:14 del mattino.

    La sveglia avrebbe suonato pochi minuti dopo ma Daniel la spense prima che col suo fastidioso suono facesse sobbalzare tutto il palazzo. Quando c’era un evento importante o piacevole che richiedeva di alzarsi presto, Daniel riusciva sempre ad anticipare la sveglia, avendo come un orologio interno. Il giorno successivo, quando oramai il grande evento sarebbe entrato nella sua nuova quotidianità, ovviamente non sarebbe stato così: avrebbe dovuto sperare nel suono della sveglia. Ogni mattina avrebbe poi maledetto l’orario di inizio delle lezioni: alle otto in punto di mattina. E lui doveva attraversare quasi tutta la città, per arrivare puntuale alla prima lezione.

    Fece colazione, si lavò, si vestì e uscì di casa. Prese la metro fino alla fermata Lepanto e da lì il tram che lo avrebbe lasciato a due passi dalla facoltà, nel quartiere San Lorenzo. Impiegò una buona ora per arrivare, anche se il tempo sembrò volare su quel tram semideserto, ignorato grazie alla musica del lettore cd e al paesaggio di una Roma che veniva a poco a poco inondata dal sole.

    Erano le otto meno dieci: addirittura in anticipo.

    Scese dal tram, spense il lettore cd e s’incamminò verso l’entrata della facoltà. Per un attimo gli tornarono in mente le parole della poesia letta il pomeriggio precedente: e verso intanto dolci, amare, belle, odiose, lacrime silenti. Scosse la testa per scacciare quel pensiero e si disse:

    ‹ Ora basta con queste cavolate, si comincia! Addio liceo classico, addio professori, addio maledettissimo greco, addio sessantotto ingiusto della maturità! Finalmente inizio a studiare cose che mi piacciono davvero.›

    Entrò e si diresse verso l’aula I che si affacciava al cortile interno dell’edificio. C’era già molta gente dentro la grande aula, tanto che più della metà delle file di banchi erano state prese. Vide molti studenti presentarsi tra loro o parlottare, il che creava nell’insieme

    una gran confusione. S’incamminò titubante verso il fondo dell’aula e si diresse verso due ragazze sedute che si stavano sbracciando per richiamare la sua attenzione:

    ‹ Dany, Dany!› gli urlarono. ‹ Qui c’è posto!›

    Erano Marta ed Eleonora, le uniche due persone che conoscesse in quell’aula. Gli erano state presentate da Paolo e Mario l’anno precedente, e per un po’ le aveva frequentate insieme ai due. Si era creato con loro e con altre persone un gruppetto niente male.

    Purtroppo poi tresche, tradimenti, litigi e discussioni varie avevano rotto quella combriccola. Daniel era l’unico a esserne uscito illeso, essendo stato un osservatore più che un protagonista dei vari conflitti. Così era riuscito a restare in buoni rapporti con tutti, pur vedendoli di meno e continuando a frequentare assiduamente Paolo e Mario.

    Si avvicinò alle due ragazze, osservate da buona parte dell’aula dopo il loro urlo. Si sedette imbarazzato vicino a loro e le salutò.

    ‹ Come va Dany?› chiese Marta.

    ‹ Tutto a posto… Finalmente cominciamo, eh?›

    ‹ Macché!› sbottò Eleonora. ‹ Io un’altra settimana di vacanza me la sarei fatta volentieri!›

    ‹ Io no› commentò Marta. ‹ Non ce la facevo più di stare a casa.

    Abbiamo iniziato per ultimi. Pensate che gli altri corsi sono iniziati da ben venti giorni!›

    La conversazione andò avanti per un bel po’ e si parlò delle vacanze trascorse e del più e del meno. Il professore tardava, anche più del classico quarto d’ora accademico, e molti iniziavano già a sbuffare o a chiedersi se avessero per caso sbagliato aula. Anche la conversazione tra i tre arrivò a un punto morto e Daniel ne approfittò per tirare fuori dal suo zaino la penna e il blocco per gli appunti.

    A un tratto si sentì toccare leggermente la spalla. Si girò e vide una ragazza in piedi accanto a lui.

    ‹ Scusa questo posto è libero?› fece lei, indicando la sedia vicina a Daniel.

    ‹ Si, accomodati pure.› rispose il ragazzo, spostando la sua roba per farle posto.

    ‹ Grazie› mormorò lei visibilmente imbarazzata e si sedette, iniziando a tirare fuori quaderni e penne dallo zainetto.

    Daniel la osservò. Era una ragazza bionda, con i capelli lunghi, di altezza media e molto magra. Era anche assai bella, con uno sguardo molto timido ma dolce. Il ragazzo rimase affascinato soprattutto dai suoi occhi: erano di un azzurro meraviglioso, mai visto prima.

    Continuò a fissarla come un pesce lesso, finché lei non girò lo sguardo verso di lui. A quel punto Daniel abbassò subito lo sguardo verso il suo blocco per gli appunti, imbarazzato.

    ‹ Mi sa che il nostro Dany si è innamorato!› sussurrò Marta.

    ‹ Ma che dici?› ringhiò Daniel.

    ‹ Ma se te la sei squadrata dalla testa ai piedi!› esclamò Eleonora.

    ‹ Shhh! Non fatevi sentire!› fece lui, preoccupato.

    Gettò una rapida occhiata verso la nuova arrivata: stava ancora sistemando i suoi quaderni e le sue penne sul tavolo. Forse non aveva sentito.

    Entrò finalmente il professore di biologia e la lezione ebbe inizio.

    ***

    Arrivò la prima pausa dopo pochi minuti di lezione. Di pause ce n’erano teoricamente una ogni ora, ma dato che il professore aveva fatto una buona mezzora di ritardo, la prima arrivò quasi subito.

    Daniel, Marta ed Eleonora decisero di non uscire fuori dall’aula, a differenza di molte altre persone che sentivano l’esigenza di fumare o di prendere qualcosa da bere al distributore. Anche la ragazza bionda vicino a Daniel rimase dove era, continuando a scrivere sul suo quaderno. Sicuramente non erano appunti, suppose Daniel. Il professore non aveva spiegato nulla in quella mezzora di lezione. Aveva parlato più che altro di cosa si sarebbe affrontato durante il corso, passando poi a parlare del sistema universitario, criticando il governo Berlusconi e in particolare il ministro dell’istruzione Moratti, per la loro politica nel campo della ricerca.

    ‹ Dany, ma perché non provi a conoscere quella ragazza?› gli

    sussurrò Marta sorridendo.

    ‹ Perché dovrei?›

    ‹ Così, tanto per iniziare a conoscere qualcuno qui dentro. Non faremo mica gli asociali per tutti e tre gli anni, no? E poi stai a vedere che magari trovi pure la ragazza!›

    ‹ Shhh! E dai, non farmi fare brutte figure!› le bisbigliò lui.

    ‹ Ma se nemmeno mi ha sentito! Guarda, sta continuando a scrivere sul quaderno. Che avrà da scrivere poi? Questo ha detto du’

    cose! Dai, dai, facci vedere i tuoi metodi di approccio con le ragazze!›

    ‹ Ma quanto sei spiritosa.›

    A un tratto la felpa che la ragazza bionda teneva sulle gambe cadde per terra tra lei e Daniel. Si chinarono entrambi per raccoglierla e si guardarono.

    ‹ Grazie…› fece lei, accennandogli un velato sorriso.

    ‹ Non c’è di che!› esclamò lui.

    Ora o mai più, pensò, e tendendole la mano disse: ‹ Ehm, comunque, piacere. Io sono Daniel.›

    ‹ Io sono Martina› rispose la ragazza, continuando a scrivere sul quaderno e lasciandolo per qualche secondo con la mano inutilmente tesa verso di lei. Daniel la ritrasse imbarazzato e tentò di continuare la conversazione:

    ‹ Sei anche tu del primo anno?›

    ‹ Sì› rispose senza degnarlo di uno sguardo.

    ‹ Quindi hai anche tu diciannove anni› se ne uscì Daniel, pensando contemporaneamente a quanto fosse cretina quella domanda.

    ‹ Sì.›

    ‹ Hai conosciuto già qualcuno del nostro corso?›

    ‹ No.›

    ‹ Ehm… loro sono Marta ed Eleonora.›

    ‹ Ciao!› fecero loro all’unisono, sorridendole. Avevano ascoltato tutta la conversazione, dandosi ironiche gomitate di intesa tra loro.

    ‹ Piacere, io sono Martina› fece semplicemente lei, degnandole di un veloce sguardo.

    A quel punto Daniel decise di lasciar perdere e si girò verso le due amiche. Evidentemente Martina non aveva molta voglia di parlare.

    ‹ Complimenti Dany! Grande conversazione!› scherzò Eleonora sottovoce.

    ‹ Vabbè Ele, dai, che poteva fare?› disse Marta. ‹ Quella risponde a mozzichi e bocconi! Sì, no, sì, no! Se la tira come poche!›

    ‹ Magari è solo un po’ timida› commentò Daniel.

    ‹ Comunque tu ti sei comportato bene› sentenziò Marta. ‹ Però non è la ragazza giusta per te!›

    ‹ Cosa te lo farebbe credere?› chiese il ragazzo sorridendo.

    ‹ È troppo timida e snob.›

    Daniel si augurò che il loro tono di voce fosse stato sufficientemente basso per non farsi sentire da Martina.

    Rientrò il professore e la lezione ricominciò.

    ***

    Arrivò finalmente la seconda pausa, che segnava il cambio di materia. Questa volta il professore non si era limitato a parlare di politica ma aveva spiegato molto, tant’è che Daniel aveva riempito dieci pagine di blocco sulla biologia applicata alla psicologia.

    I tre ragazzi stavolta decisero di uscire dall’aula.

    ‹ Vi raggiungo subito› fece Daniel alle due amiche.

    Cercò il portafoglio e il lettore cd nello zaino per non lasciarli incustoditi. Poi guardò ancora Martina, che era completamente assorta nello scarabocchiare il suo quaderno.

    ‹ Scusa, posso passare?› le chiese. La fila di banchi era talmente stretta in quell’aula che per uscirne si doveva far alzare tutte le persone che si avevano accanto.

    La ragazza si alzò senza dire niente, quasi automaticamente. Lo fissò per un attimo negli occhi e Daniel si bloccò per un istante, uscendo poi dalla fila di sedie.

    La ringraziò, ma Martina non disse nulla, tornando a immergersi nei suoi scarabocchi. Il ragazzo allora uscì dall’aula e, accesosi una sigaretta, raggiunse Marta ed Eleonora che stavano parlando con una ragazza minuta, dai capelli neri.

    ‹ Eccomi qua› fece arrivando. Poi guardando la nuova ragazza le disse ‹ Ciao, piacere! Io sono Daniel.›

    ‹ Ciao, io sono Rossella› rispose lei sorridendo.

    ‹ Pensa Dany!› esclamò Eleonora entusiasta. ‹ Io e Rossella eravamo in classe insieme alle elementari, e ci siamo rincontrate qui! E pensare che abita a due passi da casa mia!›

    ‹ Già› confermò la ragazza. ‹ Pensa che io neanche ti riconoscevo, Ele!›

    ‹ Beh, si spera che dalle elementari all’università sia un minimo cambiata!› scherzò Marta.

    Risero e ci fu poi una pausa di silenzio, rotta poi da Eleonora che rivolta a Daniel chiese:

    ‹ Ti ha detto qualcosa Pezzo di Ghiaccio?›

    ‹ Chi?›

    ‹ La tipa bionda seduta vicino a te.›

    ‹ No, nemmeno una parola. Neanche quando le ho chiesto di farmi passare per uscire. Come si è alzata si è riseduta, senza dire nulla. Ma perché l’hai chiamata Pezzo di Ghiaccio?›

    ‹ Perché è fredda come un iceberg!› sbottò Eleonora ridendo.

    ‹ Tutta la mattina è stata muta e non ha neanche mai riso alle battute del professore. Quando poi le hai parlato ti ha risposto a mozzichi e bocconi! Sì, sì, no, no. Ma che si fa così? È la persona più fredda che abbia mai incontrato. Per questo la chiamo Pezzo di Ghiaccio, sennò come vuoi chiamarla? Stalattite?›

    ‹ Ma chi è questa?› chiese Rossella, incuriosita.

    ‹ Ora che entriamo te la faccio vedere› le rispose Marta.

    ‹ Io più che altro la chiamerei Pezzo di Ghiaccio per un altro motivo› ribatté Daniel. ‹ Quando mi ha fatto passare, mi ha fissato negli occhi… Vi giuro che i suoi erano talmente belli da farmi sentire un brivido per tutta la schiena. Mi ha praticamente ghiacciato!›

    ‹ Eh, ‘sti uomini!› commentò Eleonora. ‹ Basta uno sguardo per incantarli e ti cascano per terra.›

    ‹ Se, magari!› esclamò Rossella. ‹ Gli fai un paio di occhi dolci e ti chiedono subito qualcos’altro! Senza offesa ovviamente, Daniel!›

    ‹ Figurati!› fece lui, lanciandole un occhiolino.

    ‹ Però è vero› constatò Marta. ‹ Ha davvero degli occhi molto belli. È difficile trovare un azzurro così incantevole›

    ‹ Non sono solo gli occhi… è proprio tutto lo sguardo. Faceva quasi paura; cioè era bellissimo, ma anche così triste… Non so come spiegarvelo› disse Daniel.

    ‹ Uno sguardo gelato che ghiaccia› tagliò corto Eleonora. ‹

    Allora vedi che faccio bene a chiamarla Pezzo di Ghiaccio?›

    ‹ Scusa, ma non ce l’ha un nome questa?› chiese Rossella.

    ‹ Boh, e chi se lo ricorda? Daniel tu lo sai?›

    ‹ Martina, credo.›

    ‹ Vabbè ragazzi, su!› esclamò Marta battendo le mani. ‹

    Rientriamo, che mi sa che è arrivata la professoressa dell’ora successiva. Dany, tu non fissare troppo Martina, che sennò muori assiderato!›

    ‹ Va bene!› rispose Daniel sorridendo.

    ‹ E speriamo che non siano tutti così freddi qui› concluse Eleonora. ‹ Altrimenti invece che a psicologia, sembrerà di stare al polo sud in mezzo ai pinguini! Brrrr!›

    E tutti rientrarono.

    ***

    Tornato a casa Daniel passò il pomeriggio sul computer. Tornò a vedere il blog di Selvaggia e trovò una nuova poesia scritta poche ore prima:

    Parole dette,

    parole bisbigliate,

    parole pensate.

    La gente parla,

    parla di continuo

    non smette mai.

    Ma lei non chiede parole,

    lei non è più,

    lei è morta.

    E io mi dispero,

    da questo guscio

    vorrei scappare.

    La gente parla,

    ma dentro ella,

    non sente il mio grido.

    Grido silente,

    grido muto,

    grido di disperazione!

    Chiuse gli occhi. Cercava di immaginare la ragazza che aveva scritto tutto ciò. Non ne capiva il motivo ma l’unica persona che gli venisse in mente era Martina. Lei non parlava, forse odiava anche che le si rivolgesse la parola, eppure i suoi occhi sembrava esprimere davvero un grido muto di disperazione. E quello sguardo poi, gli aveva suscitato lo stesso brivido provato il giorno precedente, mentre leggeva le parole del blog.

    Si tolse dalla testa quell’idea malsana che l’autrice fosse proprio Martina. Anche il nome era diverso, anche se alla fine Selvaggia poteva essere uno pseudonimo; ma poteva davvero il mondo essere così piccolo? In fondo per Rossella ed Eleonora lo era stato: si erano riviste dopo anni all’università e per di più allo stesso corso di studi.

    Cercò di indagare, spulciando le informazioni che aveva scritto su una finestrella del blog.

    Nome: Selvaggia.

    Città di provenienza: Roma.

    ‹ Interessante› mormorò Daniel.

    Segno: Gemelli.

    ‹ E vabbè, neanche ci credo ai segni.›

    Età: non si dice!

    ‹ Azz, questo poteva essere d’aiuto…›

    Mestiere: disoccupata.

    ‹ Però non c’è scritto che è una studentessa…›

    Passatempi: scrivere poesie e cazzeggiare!

    ‹ Andiamo bene…›

    Non c’era nessun altro indizio. Chiunque avrebbe a quel punto liquidato la faccenda e chiuso quel blog, ma per Daniel era diverso.

    Era curioso di conoscere e di capire. In fondo, si diceva, l’uomo è per sua natura portato a cercare delle risposte. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza, come scriveva Dante.

    Diede una rapida occhiata agli altri pensieri e poesie scritti in precedenza da Selvaggia. Non trovò altri indizi utili per capire chi fosse. Una cosa tuttavia lo colpì: le sezioni commenti presenti sotto ogni pensiero o poesia di Selvaggia erano totalmente vuote. Di solito gli amici degli autori dei diari scrivevano commenti o lasciavano semplicemente un saluto. Chiunque confidava a un amico l’esistenza del blog, così che potesse commentarglielo. Era l’essenza stessa dei diari su internet: che senso aveva sennò scrivere proprio lì, se poi nessuno leggeva? Anzi, di solito i pensieri erano scritti proprio sui blog perché arrivassero alle persone care o comunque più vicine. Possibile che questa Selvaggia non avesse nemmeno un’amica? A parte quello che scriveva lei, il diario appariva completamente vuoto: non un commento e neanche una foto di lei.

    Decise allora di scriverle lui stesso qualcosa:

    Ciao Selvaggia,

    ti premetto che non ci conosciamo; ho trovato questo blog girovagando in Internet e sono rimasto davvero colpito dalle cose che scrivi, anche se sembrano riferire una grande tristezza che hai dentro. Ogni volta che leggo provo una grande agitazione, ma anche tanta curiosità. Dal blog risulta che sei di Roma e io vivo nella tua stessa città. Mi piacerebbe conoscerti e poterti parlare.

    Credimi, non sono un malintenzionato o qualcuno in cerca di avventure o di divertimento. Sono semplicemente un ragazzo che vorrebbe parlare un po’ con te, anche solo via Internet!

    Ti lascio il mio indirizzo e-mail, nel caso volessi rispondermi,

    come spero!

    Ciao!

    Daniel

    Scrisse il suo indirizzo e-mail e spense il computer.

    Capitolo III

    La rosa nera

    Passò qualche tempo e arrivò febbraio. Daniel sostenne in questo periodo tre esami, che non andarono per niente male e discusse più volte con Marta ed Eleonora, a causa delle vecchie storie con Paolo e Mario, ma tutto si risolse per il meglio. Inoltre scoprì in quei mesi una grande amicizia con Rossella e conobbe molta altra gente della sua facoltà, simpatica e socievole, a differenza di Martina alias Pezzo di Ghiaccio, che in tutto quel periodo non frequentò praticamente nessuno; se ne stava sempre in disparte a scarabocchiare quaderni, a leggere, a prendere appunti, in totale solitudine. Daniel non riusciva a fare a meno di provare una grande tenerezza nei suoi confronti.

    Continuò a frequentare il blog di Selvaggia, a leggere le sue poesie e a scrivere commenti, a cui però non ebbe mai risposta.

    Sembrava quasi che fosse un fantasma a scrivere quelle cose.

    Un freddo sabato mattina di febbraio, si recò alla facoltà per verbalizzare uno dei tre esami sostenuti a gennaio. Non aveva fatto bene i calcoli su quanto ci avrebbe messo ad arrivare, e così si ritrovò al cortile dell’università in netto anticipo rispetto all’orario di inizio della verbalizzazione.

    Si appoggiò a una colonna per fumare, e osservò le persone che sostavano nel cortile, non trovando nessuno che conoscesse. Vide però Martina seduta su una panca, completamente assorta nella lettura di un libro.

    ‹ Vediamo se parli, se mi siedo accanto a te e ti saluto› pensò.

    Fece un passo, ma la timidezza lo bloccò. Il cuore gli batteva a mille, come ogni volta che aveva la netta sensazione di stare per fare una figuraccia. Continuò a fumare e a osservare la ragazza.

    Tutto il cortile era in fermento: c’era chi parlava, chi giocava a pallone, chi fumava spinelli e chi scherzava a gran voce. C’era gran movimento, tranne che nel lato dell’edificio dove era seduta Martina. Sembrava una statua immobile in mezzo a un grande caos.

    Tentò di superare l’imbarazzo ma riuscì solo a fare qualche altro passo. Si fermò nuovamente e spense la sigaretta: non era carino andare a parlare con una ragazza fumandole in faccia. Fece un grosso respiro, si disse Carpe diem! e andò.

    La distanza tra lui e Martina non era così grande, ma gli sembrò di aver percorso un chilometro per arrivarci. Si fermò davanti a lei, ancora assorta nelle sue letture.

    ‹ Ciao…› fece Daniel.

    La ragazza non si mosse di un millimetro, continuando a leggere.

    ‹ Ehm… Scusa…› fece di nuovo.

    Martina distolse lo sguardo dal libro e lo guardò negli occhi, facendogli così riprovare il solito brivido sulla

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