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Verità oscura
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Verità oscura

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About this ebook

2012. Alle porte della fine del mondo predetta dai Maya, un omicidio sconvolge la vita del detective Mark Dixon della Polizia di New York. Sua sarà la responsabilità di scoprire l'assassino della moglie del suo migliore amico, tra legami nascosti, leggende, ambigue sette, presunti colpevoli e continui colpi di scena. Un thriller da manuale, da cardiopalmo, con un grande finale a sorpresa, da cui emergerà la tanto attesa "Verità oscura".
LanguageItaliano
Release dateFeb 24, 2013
ISBN9788898017430
Verità oscura

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    Verità oscura - Simone Pavanelli

    978-88-98017-43-0

    Meno novantacinque giorni

    1.

    New York, 17 Settembre 2012

    Una Honda CBR nera percorreva in tutta fretta il ponte di Brooklyn in direzione del quartiere di New York. La moto si svincolava facilmente nel traffico cittadino di quella mattina.

    L’unica preoccupazione del motociclista, oltre alle temperature elevate che produceva il bolide quando si fermava, era il pericolo di qualche stupido che, mentre era in coda, aprisse lo sportello dell’auto per scendere senza guardare. Molte volte, il conducente, aveva evitato l’incidente grazie ai suoi riflessi.

    La moto si fermò davanti a un palazzo tra due pattuglie della Polizia metropolitana, parcheggiate con i lampeggianti accesi.

    L’uomo la spense e si tolse i guanti con tutta calma, mentre un agente si avvicinava.

    ‹ Mi dispiace signore, non può parcheggiare qui!›

    Il motociclista, senza fretta, si tolse il casco. Era un uomo di trentasei anni. Aveva gli occhi azzurri e un viso ben squadrato. I suoi baffi non si congiungevano con il pizzetto facendogli dimostrare, così, qualche anno di meno. I capelli erano biondi e nonostante il casco, perfetti grazie al gel. Indossava un paio di jeans e un giubbino di pelle nero. Ai piedi indossava degli stivali texani marrone scuro.

    L’uomo scese dalla moto, era alto un metro e ottanta, e tirò fuori

    da una tasca una specie di taccuino. Lo aprì mostrando il distintivo della NYPD.

    ‹ Detective Mark Dixon.›

    L’agente si sentì in imbarazzo.

    ‹ M-mi scusi detective, non pensavo...›

    ‹ Cos’è successo?› lo interruppe Mark.

    ‹ Una signora di questo palazzo ha telefonato stamattina, dicendo di aver sentito un colpo di pistola. Siamo venuti e abbiamo bussato a tutte le porte, ma nessuno sapeva niente. Alla fine abbiamo trovato un appartamento aperto e il cadavere di una donna. È già arrivato anche il medico legale, sono al terzo piano!›

    Il detective ringraziò e si avviò dentro il vecchio palazzo.

    L’odore di muffa gli prese subito il naso. Salì le scale, fino ad arrivare al piano incriminato. Fece vedere la patacca all’agente di guardia, ed entrò nell’appartamento. All’interno, vide il corpo senza vita di una donna nuda con in mano una pistola e a fianco, un uomo afroamericano in pantaloni e camicia. Si capiva che l’uomo, nonostante fosse chinato, era alto almeno un metro e novanta e in leggero sovrappeso. Era pelato e portava un pizzetto ingrigito dai suoi cinquantasei anni. L’espressione era corrucciata e concentrata.

    Mark si avvicinò. Tirò fuori da una tasca un paio di guanti in lattice bianchi e li indossò.

    ‹ Ciao Hovard.›

    Hovard Kyle si voltò verso Dixon, e gli sorrise alzandosi in piedi.

    ‹ Ciao Mark.›

    ‹ Cosa abbiamo?› chiese il detective.

    ‹ Donna di ventidue anni bianca. I suoi documenti dicono che si chiama Demetra Fox. Abbiamo scoperto che faceva la commessa in un supermercato qui vicino. È morta per una ferita mortale da arma da fuoco alla testa. L’ora del decesso risale intorno alle sette e mezza di questa mattina. L’abbiamo trovata senza vestiti. In mano ha ancora l’arma del delitto: un revolver calibro trentotto.›

    Mark osservò la scena. La donna giaceva per terra. Sulla tempia sinistra si vedeva il foro d’uscita del proiettile. Si guardò intorno.

    La casa era molto ordinata, arredata con mobili di basso costo. Su un tavolino, era appoggiato un libro aperto a faccia in giù. Il detective lo prese.

    ‹ Senti qua Doc... La purificazione prima dell’accoglimento. Per essere puri, bisogna spogliarsi delle vesti che nascondono la nostra pelle e buttarle via. Siamo uguali, e nessuno può giudicarci tranne Xi Balba. Per poter accedere tra le sue braccia dobbiamo pentirci e pentirci ancora. Ma dobbiamo, poi, lasciare le nostre spoglie terrene se non vogliamo inquinare di nuovo la nostra anima... gran parole per descrivere un suicidio!›

    Hovard si avvicinò e sbirciò la copertina del libro.

    Comunità di meditazione Lode a Xi Balba , un modo gentile per dire una setta! Se non sbaglio, questo Xi Balba, è il dio della morte dei Maya.›

    Mark divenne molto serio.

    ‹ È la quarta in tre mesi. Anche lei nuda, ma questa si è sparata!›

    ‹ L’altra› disse il medico, ‹ l’abbiamo trovata tre settimane fa con le vene tagliate!›

    Dixon tirò un lungo sospiro.

    ‹ Quasi tutte svestite... più ci avviciniamo alla fine del mondo, e più vengono fuori sette o comunità del genere. La gente è troppo impressionabile per i miei gusti!›

    Mark appoggiò il libro e andò in cucina. Tutto era ordinato.

    L’unica cosa che stonava, era un sacco nero chiuso. Si avvicinò, e l’aprì tirando fuori una maglietta, un paio di pantaloni, un reggiseno e un paio di mutandine da donna.

    ‹ Ho trovato le vesti che nascondono la nostra pelle!›

    Hovard arrivò in cucina.

    ‹ Quindi?›

    ‹ Quindi niente› disse il detective, ‹ un altro caso di suicidio.

    Chiama il coroner e falla portare via! Scendi con me?›

    Il medico legale annuì. I due scesero le scale e si trovarono fuori dal palazzo. Mark tirò fuori una sigaretta e l’accese.

    ‹ Ma non avevi smesso di fumare?›

    Dixon sorrise.

    ‹ Sì, ma ho pensato: e se i Maya avessero ragione? , così ho ripreso a fumare! Se il mondo non finisce il ventuno dicembre come

    dicono, allora smetto!›

    Ad Hovard scappò una risatina.

    ‹ Contento tu… io adesso vado. Ti faccio trovare il rapporto dell’autopsia sulla tua scrivania.›

    ‹ Grazie.›

    Dixon rimase ad assaporarsi la sua sigaretta. Era una bella giornata soleggiata e, fortunatamente, non faceva molto caldo. Gli piaceva girare in moto per raggiungere prima i luoghi dei delitti.

    Quella CBR l’aveva vinta a un’asta della Polizia. Era stata trovata, un anno e mezzo prima, in un garage abbandonato. Il nome del proprietario era falso. Così fu sequestrata per poi essere rivenduta.

    Mark gettò via il mozzicone e salì sulla moto. Si mise il casco e tornò alla centrale. Doveva scrivere il primo rapporto di quella settimana.

    2.

    La sezione omicidi della centrale di Polizia, non era altro che un’enorme stanza con varie scrivanie per lo più vuote. Nonostante tutto, l’attività era frenetica come ogni giorno, con agenti, in divisa e non, che si muovevano velocemente. Di solito, gli investigatori, preferivano lavorare sul campo che stare seduti a scrivere sul computer. L’unico che prediligeva il lavoro d’ufficio era Mark.

    Infatti, era il solo a essere seduto al suo posto, intento a completare il suo rapporto.

    Dopo un’ora passata davanti allo schermo, si stirò e si strofinò gli occhi. Come sempre, era riuscito a inviare il proprio rapporto al capitano in tempo record. Guardò il calendario che aveva sopra la scrivania. Il giorno dopo, sarebbe stato il secondo anniversario della morte del suo più caro amico Robert.

    Robert era un detective come Mark. Due anni prima, era stato mandato in Grecia con due agenti dell’FBI per un’indagine su un pluri-omicidio. Dixon poteva aspettarsi di tutto dal suo amico, tranne che diventasse un assassino, sparando a sangue freddo all’ex moglie di un boss mafioso e distruggendo poi delle prove importanti per un caso federale. Il dipartimento subì un’indagine accurata della disciplinare per eventuali coinvolgimenti mafiosi, con Mark al centro dell’attenzione. Nemmeno il ritrovamento di una copia di quelle famose prove un anno dopo, e con la morte del noto boss mafioso implicato nella vicenda, fece calare l’interesse della disciplinare per il detective.

    ‹ Detective Dixon?› chiese un agente a Mark, facendolo tornare coi piedi per terra, ‹ Il capitano vuole vederla.›

    Il poliziotto annuì e si alzò. Prese il suo block notes, e si diresse verso l’ufficio del capitano.

    Dixon era comodamente seduto sulla sedia di fronte alla scrivania del capitano Alfred O’Donnell. Dall’altra parte, un uomo completamente pelato e con gli occhi azzurri guardava lo schermo del suo Pc in silenzio.

    ‹ Rapporto perfetto Dixon, ma vorrei comunque analizzarlo con te.›

    Mark non rispose, sapeva che quel chiarimento era solo una scusa per dargli qualche fastidiosa notizia. Come al solito, preferì stare al gioco e tirò fuori il suo block notes.

    ‹ Allora: la vittima si chiamava Demetra Fox di ventidue anni, lavorava come commessa in un supermercato. La causa del decesso, è una ferita mortale alla tempia destra. L’abbiamo trovata completamente nuda. La porta era aperta, e l’appartamento in ordine. Abbiamo rinvenuto i suoi abiti in un sacco per la spazzatura in cucina. Ho allegato il rapporto del medico legale. Il guanto di paraffina conferma che è stata lei a spararsi. Sono state rinvenute varie tracce di sperma all’interno della vagina, di diversi donatori, ma non ci sono segni di violenza. Inoltre, ho trovato un libro aperto su un tavolo, si chiama comunità di meditazione Lode a Xi Balba , sembra un testo di una setta o roba del genere.›

    Il capitano si alzò in piedi, era alto un metro e settanta. Il fisico mostrava il decadimento dei suoi quarantasette anni, con un

    accenno di pancetta. Girò attorno alla scrivania e si appoggiò a essa incrociando le braccia.

    ‹ Pensi che sia stata una messa in scena?›

    Mark si passò la mano sulla bocca.

    ‹ No, non credo. Questa ha voluto spararsi.›

    O’Donnell annuì.

    ‹ Credi che sia stata costretta a fare sesso, e che si sia poi uccisa per la vergogna?›

    Dixon si appoggiò allo schienale della sedia e mise le mani dietro la nuca.

    ‹ Lo escluderei.›

    Il capitano cominciò a spazientirsi.

    ‹ Se non l’hai ancora capito, vorrei una tua opinione!›

    ‹ Secondo me› rispose il detective, ‹ questa qua faceva parte di quella specie di setta o comunità di meditazione. Si è fatta fare il lavaggio del cervello e si è fatta cavalcare per bene. Poi, secondo il testo che ho letto, ha pensato di farsi un foro d’uscita per tutte le stronzate che aveva in mente, per non cadere più nel peccato o cose del genere.›

    ‹ Se non ricordo male› disse il capitano, ‹ ne abbiamo trovate altre così.›

    Mark tirò fuori ancora il suo block notes e lo aprì.

    ‹ Abbiamo trovato quattro donne morte suicide negli ultimi tre mesi. Tre di loro erano nude, con i vestiti nella pattumiera o in un bidone dell’immondizia. Una si è sparata, una impiccata e due si sono tagliate le vene. Solo una l’abbiamo trovata vestita. Secondo me, potrebbero collegarsi anche a questo caso, ma penso che, alla fine, sia tutta una perdita di tempo!›

    ‹ Come mai?› chiese O’Donnell.

    ‹ Siamo a New York a due mesi dalla fine del mondo predetta dai Maya. Di schizzati ce ne sono sempre stati, in più adesso hanno anche il pretesto per esserlo. Credo che ci siano, ormai, una ventina di comunità di meditazione, targate Armageddon, solo in questa città! Sono sicuro che, il ventidue dicembre, i casi di suicidi caleranno... oppure saremo tutti morti!›

    Il comandante della omicidi sorrise alla battuta del detective.

    ‹ Bene, ma metterò Dudley a investigare... comunque ho da dirti due cose.›

    Mark se lo aspettava.

    ‹ La prima, è che mi devi fare una sessione al poligono prima di venerdì, lo conosci il regolamento!›

    Dixon annui.

    ‹ E la seconda?›

    ‹ La seconda, è che giovedì hai un incontro con la disciplinare alle due del pomeriggio!›

    Il detective strinse i pugni.

    ‹ Ancora non vogliono lasciarmi stare!›

    ‹ Sono d’accordo con te.› disse il capitano, ‹ Ma non posso farci niente.›

    ‹ Immagino... posso andare ora?›

    O’Donnell fece segno di si con la testa. Mark si alzò e uscì, scocciato, dall’ufficio. Odiava quelli della disciplinare. Li considerava dei parassiti. L’unica sua consolazione era che, quella sera, sarebbe uscito per una birra con il suo migliore amico. La cosa che gli faceva ancora più piacere era rivedere la sua bellissima moglie.

    3.

    Una yellowcab parcheggiò lungo la centosessantanovesima strada nel Queens. Dopo un paio di minuti scese un uomo.

    Indossava una maglietta grigia, un paio di jeans con degli stivali texani. Si diresse verso una delle villette con passo spedito. Una volta davanti alla porta suonò il campanello. Dopo nemmeno un minuto, la porta venne aperta da una donna bellissima.

    Mark trattenne il fiato per qualche secondo. Nonostante conoscesse la moglie del suo amico, ne rimaneva sempre affascinato.

    ‹ Ciao Angela.›

    La donna era alta un metro e settanta, snella e con due occhi azzurro cielo capaci di ammaliare qualsiasi uomo. Le labbra erano di un rosa caldo risaltando sopra una carnagione chiara.

    ‹ Ciao Mark, entra pure.›

    Dixon varcò la soglia di casa e si diresse verso la sala.

    ‹ George arriva subito.› disse Angela. Mark annuì e aspettò il suo amico.

    ‹ Ciao detective! Come stai?›

    La voce alle spalle di Mark, era di George O’Malley. L’uomo era alto un metro e settantacinque, magro, con capelli castani come il colore dei suoi occhi. Era un bravo medico, e lavorava al pronto soccorso del North General Hospital a Manhattan, sulla Madison Avenue. I due si erano conosciuti in ospedale quattro anni prima. Il detective era stato ferito in una sparatoria e George gli portò i primi soccorsi. Oltre a curarlo, gli stette vicino durante la notte dato che Dixon era solo. Da lì nacque un’amicizia forte tra i due.

    ‹ Finalmente una serata etilica! Ne ho proprio bisogno!›, disse il medico. Mark fece un sorrisino di circostanza.

    ‹ Come mai? Non mi diventerai mica un alcolizzato...›

    ‹ Tranquillo, ma è la prima serata libera dopo un bel po’ di tempo! Non facevo così tante ore nemmeno quando ero uno specializzando!›

    Il detective aveva un’espressione interrogativa.

    ‹ C’è qualcosa che non so?›

    George si strinse nelle spalle.

    ‹ Cosa vuoi che ti dica, la gente è matta! Con questa storia della fine del mondo, gli ospedali sono pieni di fuori di testa che si feriscono o si ammazzano con la speranza di ritagliarsi un angolo in qualche paradiso...›

    Il suono di un cercapersone interruppe il discorso dei due amici.

    Il medico guardò se era il suo, poi corse al telefono nello stesso momento in cui arrivò sua moglie.

    ‹ Cos’è successo?› chiese la donna.

    ‹ Non ne ho idea.› rispose Mark.

    Due minuti dopo, George, tornò con la faccia da funerale.

    ‹ Bevuta rimandata amico mio... devo tornare in ospedale! A quanto pare, un deficiente si è buttato sotto un autobus. Questo, per evitarlo, ha sbandato, provocando un mega incidente con decine di feriti...›

    ‹ Cazzo, mi dispiace...›

    Il medico salutò al volo e uscì di casa. Mark e Angela rimasero in silenzio per un po’, finché fu l’uomo a parlare per primo.

    ‹ È sempre così?›

    La donna fece un sospiro.

    ‹ Purtroppo sì. È sempre in ospedale!›

    I due si misero faccia a faccia e

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