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Viva le "Puttane" Nigeriane
Viva le "Puttane" Nigeriane
Viva le "Puttane" Nigeriane
Ebook138 pages1 hour

Viva le "Puttane" Nigeriane

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About this ebook

Un libro, dal titolo volutamente provocatorio, ma dall’ispirazione fortemente etica, di chi vede, da un lato, un mondo benestante, tutto intento a piangersi addosso per una crisi apparentemente solo economica. Dall’altro, quello, disgraziatissimo, degli africani, loro sì alle prese con immani problemi di sopravvivenza, ma sorretti da una spinta morale ignota agli altri.

Sorprendentemente, è il mondo delle prostitute nigeriane a rivelare il rispetto e la pratica di valori classici (figli, famiglia, religione) vissuti, però, in maniera autentica e non come vuote sovrastrutture di una società decadente, dedita, fondamentalmente, solo agli sprechi e ai consumi.

Non a caso, il libro si chiude con la seguente affermazione da parte del suo protagonista:

“Viva le puttane nigeriane! Anzi, sai cosa mi sento di aggiungere? Che quelle nigeriane non sono affatto delle puttane!“
LanguageItaliano
Release dateFeb 24, 2016
ISBN9788892557697
Viva le "Puttane" Nigeriane

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    Viva le "Puttane" Nigeriane - Salvatore Di Paolo

    NIGERIANE

    VIVA LE PUTTANE NIGERIANE

    Salvatore Di Paolo

    Copyright © 2016 Salvatore Di paolo

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN: 9788892557697

    Pubblicato con la Esclusiva Strategia Editoriale Self Publishing Vincente www.SelfPublishingVincente.it

    IL FIGLIO DELLA NIGERIANA

    «Ma sei matta? Tu devi essere completamente matta! Ma come cazzo ci pensi a fare un figlio se tu stessa a malapena puoi mangiare e non hai di che scaldarti? Tu sei proprio senza cervello!»

    A Salvo era salito il sangue alla testa, perché Maribel aveva appena detto, con una sicurezza sconcertante, che presto avrebbe voluto avere un bambino tutto per lei!

    La ragazza lo aveva chiamato, poco prima, con un filo di voce, perché aveva la febbre alta, un gran catarro e nulla da mangiare: lui aveva sentito la solita fitta al cuore di tutte le volte in cui si imbatteva in un essere umano disgraziato, alle prese con problemi primordiali che gli altri non avevano più da tempo, per cui si precipitò a casa sua dove la trovò rannicchiata a letto, nella stanza gelida e senza riscaldamento; stringeva al seno una bottiglia d'acqua calda, ma batteva i denti per il freddo e la febbre... L'aiutò a sedersi sul letto, a mangiare qualcosa e le fece prendere un fluidificante per il catarro.

    «Grazie...» fu il filo di voce che si udì nel gelo della stanza.

    Si dissero poche cose, fino a quando Maribel, guardando il soffitto con aria estasiata, mormorò, quasi tra sé e sé: «Faccio bambino»

    Salvo avrebbe voluto capire male e, invece, aveva sentito benissimo. La risolutezza della nigeriana significava una sola cosa: aveva deciso di avere un bambino dal suo nulla facente fidanzato nigeriano.

    Rimase sgomento, tanto era il contrasto tra la miseria di quella situazione ed il desiderio espresso dalla ragazza.

    Fu assalito da un senso di rabbia impotente e, in preda al solito impulso moralistico-borghese, non poté fare a meno di pensare: Ecco qua, questi cazzo di africani, non possono campare loro, però pensano a fare i figli! Chi me lo fa fare di aiutarli, questi non capiranno mai un cazzo!

    Si trattenne, però, dal dare sfogo al suo risentimento perché Maribel era uno straccetto rannicchiato che non poteva essere ulteriormente sbattuto...

    Non poté fare a meno di darle della matta e di abbozzare il discorso moralistico che i figli costano, sono un impegno, una responsabilità e non si possono mettere al mondo con disinvoltura!

    Ma, come spesso gli accadeva con gli africani, a quel punto avvenne il contrario di quello che si aspettava.

    La giovane non si mortificava affatto, anzi si illuminava nel volto e nei begli occhi neri, e con un sorriso pacato e convinto, a quelle parole di comune buon senso, rispose: «Mio figlio, quando avrà vent'anni, si preoccuperà lui di curare sua madre malata!»

    Salvo ammutolì e, questa volta, i brividi vennero a lui...

    Di colpo gli si squarciò un velo e, con un tuffo al cuore, capì quello che decenni di discorsi pseudo moralistici gli avevano impedito di capire: "Cristo! È vero! I figli non possono essere considerati un peso, un intralcio, una medicina amara da prendere a piccole dosi!

    "Per gli africani sono una risorsa, una speranza, un'assicurazione per la vecchiaia. Siamo noi, civili benestanti, che li abbiamo resi qualcosa di negativo, da centellinare, da sostituire col desiderio spasmodico di accumulare, accumulare sempre, beni e denaro per la vecchiaia...

    Non è che hanno ragione gli africani? Non è che noi stiamo sbagliando tutto?

    Poi Maribel guarì.

    Ricominciò a recarsi nei paesi vicini a vendere le solite chincaglierie e, probabilmente, non solo quelle, perché i guadagni erano troppo magri e lei mandava quasi tutto in Africa.

    Un giorno, di colpo, scomparve e nessuno la vide più in giro.

    Dopo una settimana, richiamò: «Ciao, volevo avvisarti che sono andata via e ho raggiunto mia sorella a Perugia... Starò via un po' di tempo...»

    «Come mai questa decisione improvvisa?»

    «Non pagavo affitto da vari mesi... Mi vergognavo»

    A Salvo non riuscì di crederle, era una reazione sproporzionata: c'era qualcosa sotto e, un po' alla volta, se ne convinse sempre di più.

    Maribel, infatti, prese a telefonargli tutti i giorni, quasi sempre alla stessa ora, prima di sera.

    Aveva un tono di voce pacato, sereno, ma accorato, come di chi avesse bisogno di sentire una voce amica, in un momento ed in un passaggio particolare della vita.

    A Salvo la cosa non dispiaceva, perché, anzi, gli faceva male l'idea di non sapere più nulla di quella ragazza, mentre parlare e consigliarla al telefono riempiva anche un po' il vuoto della sua stessa vita.

    La sentiva impegnata in un'impresa difficile, a volte un po' smarrita per le difficoltà, ma risoluta.

    Anche se aveva capito di che cosa si potesse trattare realmente, ritenne giusto non chiederle niente fino a quando non fosse stata lei a parlarne esplicitamente.

    I colloqui telefonici andarono così avanti per settimane, con una puntualità tale, che era come se si incontrassero tutti i giorni, sempre nello stesso posto, per raccontarsi anche le più piccole cose della vita quotidiana.

    La prolungata disponibilità di Salvo diede luogo, in tal modo, ad un'intesa equivoca ed egli se ne rese conto nel momento in cui la donna gli disse: «Quando ritorno, io e te parliamo di cosa importante!»

    Non rispose di no, per non darle un dispiacere a distanza, ma dentro di sé escludeva di farsi ulteriormente coinvolgere, perché in quella storia c'era qualcosa che, inconsciamente, gli dava fastidio.

    Calcolò attentamente i tempi e allo scadere del nono mese, proprio come aveva previsto, Maribel gli annunciò il suo ritorno.

    Una sera, infatti, la solita telefonata arrivò da una località vicina.

    Maribel chiedeva un appuntamento, a cui Salvo si recò sapendo che di lì a poco avrebbe avuto la prova di quello che pensava da tempo.

    Nel luogo convenuto, ad un tratto, la ragazza spuntò dal buio, alta, bellissima, con una luce nel volto e negli occhi che non le aveva mai visto prima.

    Indossava un lungo e colorato abito africano, sul volto il trucco sobrio ed originale delle ragazze africane, un aspetto ed un incedere elegante, regale.

    Portava in braccio un fagottino bianco che, quando fu vicina, scoprì. Allungandolo verso Salvo, con un sorriso luminoso, esclamò: «È tuo!»

    Salvo gettò solo uno sguardo fugace su quell'esserino nero nero che dormiva profondamente ed ebbe la reazione più stupida ed immatura che potesse avere, di cui si sarebbe vergognato a lungo!

    Era chiaro, si capiva che la ragazza non attribuiva a lui la paternità del bambino, perché non avevano avuto rapporti che potessero giustificarla, ma con quel gesto stava, invece, portando in dono l'unica cosa che possedesse di suo al mondo e gli chiedeva di prendersi cura di tutti e due, perché non c'era altri che lo facesse: secondo una criticabile prassi, infatti, la funzione del giovane uomo nigeriano si esaurisce per lo più nell'ingravidare la donna e quest'ultima, pur consapevole di ciò, ma fiera della raggiunta maternità, si dedica da sola alla cura dei figli.

    In Salvo prevalse, però, ancora una volta, il solito tono moralistico: «Ma cosa hai fatto? Cosa hai combinato? Con tutti i guai e i problemi che hai!»

    La ragazza ritrasse il fagottino verso di sé, sul volto l'espressione di umiliazione di chi aveva osato troppo...

    «Senti, ti do un ultimo aiuto», disse Salvo, mettendole in tasca un biglietto da cinquanta euro.

    «Perché ultimo?» chiese Maribel, con un'espressione pur sempre dolce.

    Salvo non rispose, la salutò e ripartì con una sgommata della sua macchina.

    Era nervoso, meravigliato della sua reazione rabbiosa, ammantata di falso moralismo.

    Col tempo, dovette ammettere a se stesso che si trattava di gelosia bella e buona!

    CRISI DI UN UOMO E DI UN MAGISTRATO

    Nei giorni seguenti si impose di non chiamarla al telefono.

    Era combattuto, fortemente.

    Maribel, giovane e bella, chiedeva aiuto proprio a lui e, per lui, quella poteva essere un’ancora di salvezza.

    Non era un atto di egoismo da parte sua? Maribel gli si offriva per aiutare la famiglia, non perché fosse innamorata di lui.

    E se fosse stato un boomerang disastroso per la presenza inquietante del padre del bambino?

    Per Salvo, un dilemma lacerante, dopo che la sua esistenza era precipitata, nel giro di pochissimo tempo, in un pozzo buio.

    Il cancro, accidenti a lui si pensa sempre che possa colpire solo gli altri, aveva minato non tanto il fisico, quanto la sua sicurezza, ogni recondita certezza.

    A cominciare dalla professione di magistrato.

    Già insoddisfacente, gli era diventata del tutto insopportabile, ridotta com'era ad una pantomima, una partita di giro utile solo a sfamare una pletora di avvocati, ognuno impegnatissimo ad allungare i tempi delle proprie cause (Dum pendet, rendet, sogghignava qualche vecchio marpione fuori dell’ufficialità).

    E poi, la giovane amante Samira, in realtà, il più grande amore della sua vita, che dopo dieci anni di convivenza appassionata, era stata colta da un improvviso attacco di paranoia: di colpo aveva cominciato a vederlo come il suo peggior nemico ed era fuggita lontano.

    Si era ritrovato col culo per terra.

    Per prima cosa, diede le dimissioni.

    Inconsciamente, quella decisione la covava in seno dall’ottobre del 1977, cioè fin dal

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