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Via cappuccini
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Via cappuccini

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La provincia, fonte inesauribile della narrativa italiana, ha offerto molteplici spunti agli scrittori siciliani, protagonisti delle "cento Sicilie”. I piccoli centri sono, per eccellenza, luoghi creativi che generano personaggi, vicende, situazioni, atmosfere di per sé narrativamente compiuti, che si prestano, con naturalezza e spontaneità, a essere trasferiti sulla pagina da chi possiede talento. È il caso di Giuseppe Sanfilippo che già, nelle Libere divagazioni del 2009, aveva preso ispirazione dal suo paese, Mazzarino.
Ora Sanfilippo appunta il suo sguardo indagatore su Via Cappuccini, a sua volta microcosmo all’interno di quel microcosmo che è il suo paese, palcoscenico nel quale allestisce le quinte e i fondali per una nuova prova narrativa.
LanguageItaliano
Release dateJul 10, 2015
ISBN9788882433796
Via cappuccini

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    Via cappuccini - Giuseppe Sanfilippo

    STORICO

    UNA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE ALL'APERTO

    La provincia, fonte inesauribile della narrativa italiana, ha offerto molteplici spunti agli scrittori siciliani, pro­­tagonisti delle cento Sicilie. I piccoli centri sono, per eccellenza, luoghi creativi che generano personaggi, vicende, situazioni, atmosfere di per sé narrativamente compiuti, che si prestano, con naturalezza e spontaneità, a essere trasferiti sulla pagina da chi possiede talento. È il caso di Giuseppe Sanfilippo che già, nelle Libere divagazioni del 2009, aveva preso ispirazione dal suo paese, Mazzarino.

    Ora Sanfilippo appunta il suo sguardo indagatore su Via Cappuccini, a sua volta microcosmo all’interno di quel microcosmo che è il suo paese, palcoscenico nel quale allestisce le quinte e i fondali per una nuova prova narrativa. Una strada storica, Via Cappuccini, quotidianamente percorsa, con sorprendente ritualità, dalle due anziane sorelle Ragusa, di mente lucidissima e di grande fede, appartenenti alla folta schiera delle innupte paesane, prevalentemente congiunte di preti e religiosi, votate al nubilato, per scelta libera o forzata, come una sorta di speciale consacrazione.

    Il balzo indietro di quasi mezzo secolo, annodato al filo sottile e struggente della nostalgia, consente all’autore di ricostruire nei minimi dettagli, con procedimento di ossimorico scavo nella memoria, non solo il rituale delle due innupte, ma anche di fare rivivere quella tipologia umana di cui si animava la strada, la dimensione sociale di una vita che si svolgeva in pubblico e alimentava la relazione al punto di diventare quasi una rappresentazione teatrale all’aperto.

    L’interesse del narratore è rivolto a fissare il personaggio presente in ogni individuo, calato nel suo milieu, nel contesto ambientale, anch’esso essenziale all’economia del racconto nel quale lo scrittore ripercorre una giornata-tipo in via Cappuccini così com’è rimasta indelebilmente fissata nel ricordo e insieme com’è idealizzata ora che il mutamento culturale ha spazzato via ogni traccia e il tempo ha cancellato persone, riti, atmosfere del passato.

    Appaiate come canne di fucile, le signorine Ragusa, ogni mattina, da sessant’anni, lasciano la loro abitazione in via Lacrima e, pur potendo assistere alla Messa in una delle due chiese contigue, quella della Madonna delle Lacrime o dell’Addolorata, allungano l’itinerario, attratte, quasi calamitate, imboccando via Cappuccini per recarsi puntualmente nella chiesa dei frati per l’azione liturgica delle otto e trenta officiata da padre Giustino. All’inizio di questa strada prende avvio il cerimoniale e le due sorelle si separano: una percorre il marciapiede di destra e l’altra quello di sinistra, rispettando la consegna dei passi e dei movimenti sincroni, anche a distanza. Lo stesso avverrà al ritorno, mentre in chiesa si siederanno in banchi separati.

    Rimane misteriosa perfino all’inesauribile curiosità del narratore – che intorno a questo enigma costruisce funamboleschi giochi di fantasia e virtuosismi verbali – la pregnanza semantica del rito, forse di dubbio significato religioso. Il rituale delle sorelle Ragusa - scrive Sanfilippo – non era una semplice passeggiata di salute. I rituali aiutano a vivere, riducono le ansie, danno sicurezza, confortano e fanno compagnia. Un rituale si può rafforzare ma non cambiare. Può diventare sempre più articolato e complesso fino all’assurdo e ridurre la vita solo a pochi gesti, sempre quelli. Le sorelle Ragusa procedevano con il loro passo calmo e grave. Durante la marcia chiunque avrebbe potuto notare un discreto mussitare senza suoni di entrambe. Forse pregavano.

    Collegata al rituale è la celebrazione quotidiana della Messa dei due religiosi membri della comunità conventuale dell’omonima chiesa frequentata dalle innupte, anch’essi protagonisti del racconto e personaggi – attori della rappresentazione teatrale che ha come sfondo via Cappuccini: padre Giacinto e padre Giustino. Diversi per storia personale, formazione culturale e temperamento, i due frati imprimono alla celebrazione eucaristica i tratti e la gestualità propri del loro rituale, spiccio e rapido il primo che officia in latino la Messa delle 7,30, lento e cadenzato il secondo che presiede il rito religioso in italiano, alle 8,30.

    Il gioco narrativo di Sanfilippo si concentra e si scatena soprattutto sulla figura di questo secondo religioso e sui tic connessi all’espressione della ritualità quando, dopo la comunione, il frate prende posto solennemente sulla grande sedia presidenziale e il vino, abbondantemente miscelato a poche gocce d’acqua, fa sentire i suoi effetti soporiferi. Se questo testo, che è un vero e proprio pezzo di bravura, potesse essere trasposto cinematograficamente e le immagini, accompagnate da un sottofondo musicale, potessero acquistare la parvenza del movimento, ne verrebbe fuori uno spezzone di film degno del genio di Buster Keaton.

    Se non fosse esistita via Cappuccini, con la sua specificità topografica, con la brulicante umanità che ne faceva pulsare la vita e le attività che vi si svolgevano, per oltre sessant’anni le sorelle Ragusa non avrebbero potuto essere protagoniste del quotidiano rituale, così, se non ci fosse stata la chiesa dei frati con l’annesso convento, con lo sparuto gruppo di beghine alla messa delle 7,30 e delle 8,30, padre Giacinto e padre Giustino non sarebbero potuti diventare gli attori della loro diuturna perfomance, soprattutto il secondo, in equilibrio precario tra coscienza e assenza. E senza via Cappuccini nessuno avrebbe decodificato il linguaggio non verbale dell’appuntato Sgroi, latore di notizie buone e cattive immediatamente socializzate e oggetto di commenti collettivi.

    Vincenzo Consolo, nel racconto La volpe di donna Elisa, pubblicato nel 1988 ne Le pietre di Pantalica, aveva ricordato un’innupta, la signorina Colajanni, sorella del farmacista del paese, terziaria francescana, e un altro religioso del convento dei cappuccini, l’anziano padre Carmelo, atteso a casa della donna per la confessione e, come Sanfilippo, aveva voluto conservare, nell’altro racconto, Ratumemi, un’altra stagione umana scomparsa.

    Proustianamente Giuseppe Sanfilippo si immerge nella sua recerche con lo stesso piacere del grande scrittore francese nel frugare tra gli anditi riposti della memoria, ma con modalità affabulatoria tutta siciliana che arriva a lui attraverso la linea Pirandello – Brancati.

    Umoristico nel significato pirandelliano, aggiornato agli sviluppi novecenteschi di esso, è l’impianto narrativo dei personaggi, non macchiette ma persone autentiche, che egli ritrae nei loro parossistici/ordinari, anomali/normali cerimoniali con simpatia e affettuosa ironia, finalizzate a valorizzare l’originalità e l’umanità. Questo racconto, com’era avvenuto in Brancati con il quale vi sono singolari coincidenze, non è la presa in giro di Mazzarino e del suo mondo; al contrario, lo spazio della provincia assume ancora una volta il significato di rifugio, carica critica, quasi da contraltare alla modernità. A proposito della memoria della Sicilia di primo Nove­cento nello scrittore pachinese, Giulio Ferroni parla di tempo felice, di regno della piccola utopia quotidiana, che sopravvive nei comportamenti di tanti personaggi strambi, semplici, onesti che non pretendono di imporre mai se stessi agli altri …. Anche Sanfilippo ripropone la dolcezza di un passato ormai irrimediabilmente perduto contro la frenesia del moderno, contro le pretese di accelerare la vita e la storia, contro la futuristica uccisione del chiaro di luna.

    Sergio Mangiavillano

    Via Cappuccini

    LE SORELLE RAGUSA

    In via Cappuccini, nel tratto compreso tra la bottega del fabbro e il convento, ogni mattina, si ripeteva un rituale assai curioso e forse anche di dubbio significato religioso. Protagoniste erano due sorelle attempate, nubili ma di mente lucidissima e, soprattutto, di grande fede. Le sorelle Ragusa erano veramente devotissime e simpatiche. Qualunque fossero le condizioni atmosferiche, ogni mattina, senza differenza tra giorni festivi e feriali, esse ripetevano sempre gli stessi gesti dando vita ad un cerimoniale che mi incuriosiva.

    Nel paese esisteva anche un altro strano fenomeno. Per un figlio maschio che prendeva i voti restavano nubili per sempre una o due sorelle del consacrato e, a volte, anche più. Con il figlio consacrato tutta la famiglia prendeva i voti e, come d’incanto, anche i parenti subivano una grande metamorfosi: la famiglia eletta.

    Ebbene, le sorelle Ragusa non sfuggirono a questa consuetudine divenuta regola. Poiché la comunità ha dato un tributo molto importante ai seminari, si stima un numero quasi doppio di donne sottratte al matrimonio, con effetti demografici ancora sconosciuti. Quando invece la vocazione travolgeva l’esistenza di una figlia femmina, i figli maschi seguivano le vie consuete della vita, senza impegno per il celibato, lasciando solo alla consacrata il peso dei voti.In questo caso, il resto della famiglia, se non si traumatizzava, manteneva lo status quo ante. Come se nulla fosse successo. Insomma, per uno oscuro intrigo del destino, nel paese, i voti al femminile rimangono ancora oggi une affaire personnelle.

    Eccezionale è il caso che la consacrazione riguardasse contemporaneamente un maschio e una femmina della stessa famiglia. Ci fu il caso, rarissimo quanto interessantissimo, di una famiglia supervocata che alla consacrazione religiosa portò ben quattro figli, due maschi e due femmine, mentre una terza figlia femmina rimase a rispettare il voto pro nubilato perpetuo. Una famiglia supereletta!

    Le due sorelle abitavano nella stessa casa, mentre il fratello monaco svolgeva il suo ministero in un convento dell’isola. Ogni mattina uscivano insieme dalla propria abitazione che insisteva in via Lacrima, la quale prendeva il nome dalla chiesa Madonna delle Lacrime e appariva come un prolungamento della canonica non distante molto dalla magnifica chiesa dell’Addolorata. Insomma, via Lacrima aveva una posizione strategica. Infatti, qualora le due signorine avessero scelto una di queste due chiese per assistere alla messa, l’avrebbero trovata, per cosi dire, sotto casa. Ad un passo. Abitazione e chiesa quasi si fondevano. L’equidistanza della casa rispetto alle due chiese avrebbe dato loro anche la possibilità di frequentarle a giorni

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