Greco eroe d’Europa
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E' la Grecia di oggi, alle prese con disperazione e fame, con scandali e sprechi e con il fenomeno inquietante di Alba dorata, ma non dobbiamo dimenticare le storie di coraggio, passate e presenti, pulite, alte ed edificanti che questa terra - che ha dato i natali alla filosofia, alla democrazia, alle arti e alla medicina - è riuscita ad esprimere. Da queste storie, sostiene l’autore, occorre ripartire per risorgere e cambiare di nuovo le sorti della Storia. E' proprio da questa Grecia in cui si forgiò la prima forma di unione europea che occorre far partire una nuova strategia, secondo l’autore, perché per lui, l’Europa, o è Mediterranea, o non è. Francesco De Palo, barese classe ’76, è giornalista freelance, scrittore e blogger. Scrive di Mediterraneo e di politica per Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, Formiche, Rivista Il Mulino e dirige il magazine Mondo Greco.
Un libro per chi vuole capire davvero gli effetti della crisi, il presente e il futuro dell'Europa.
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Greco eroe d’Europa - Francesco De Palo
L’autore
PRIMA PARTE
Il grosso grasso pasticcio greco
Che succede a un Paese che taglia stipendi, pensioni, indennità, servizi e per contro aumenta l’IVA al 23%, porta la benzina a 2 euro al litro e rende perfino la spesa settimanale una roba da ricchi
? Succede che le sacche di povertà diventano lenzuolate infinite, che il ceto medio viene drammaticamente schiacciato sotto il peso di misure che incidono finanche sulla possibilità d’acquisto di beni di prima necessità come il pane o il latte, che il numero dei senzatetto aumenta al pari di quello dei bambini sottopeso¹.
Nella Grecia che cerca di trovare la quadra di un Governo presentabile e dignitoso (la tredicesima fatica di Ercole, per intenderci) un bel giorno si è verificato un fatto che fotografa alla perfezione l’intimità di un Paese e le angosce dei suoi abitanti. Nel maggio del 2012 centinaia di persone si sono radunate dalle prime ore del mattino ad Atene nell’area del Campo Marzio al fine di ottenere gratuitamente frutta e verdura. La Cooperativa cretese Agricola East
di Ierapetra, in collaborazione con il Comune di Atene, aveva deciso di distribuire duemilacinquecento scatole di prodotti (melanzane, cetrioli, pomodori e peperoni)– in confezioni da dieci chili – alle famiglie povere registrate dal Dipartimento delle politiche sociali della città. Subito si è creata una fila impressionante, con gli addetti del Comune a smistare con pazienza per impedire disordini. Alimentazione e salute sono state intrecciate nella crisi greca, con i farmacisti che hanno maturato crediti milionari con lo Stato e che attendono risposte per non lasciare i cittadini senza farmaci.
Quando si parla di piano Marshall per la zona euromediterranea l’interrogativo non è tanto sul sì o sul no verso una simile iniziativa. Da stolti non prendere atto di come a quel disagio non si possa che rispondere con l’arma della solidarietà, senza se e senza ma. La domanda piuttosto è: chi lo fa? E come? Ovvero non sarà sufficiente immettere miliardi di euro, ma ancor più strategico sarà definire priorità e soprattutto attori protagonisti di questo spettacolo. Nella convinzione che potrebbe trasformarsi in un grande evento: rinvigorire il Mediterraneo, sostenere lo sviluppo di quel grande megafono di diritti che sono state tre anni fa le piazze nordafricane, come l’occasione per affrontare a viso aperto la crisi non solo economica ma soprattutto strutturale del vecchio continente. Ecco il nodo. Perché l’Europa, o è Mediterranea, o non è. Non c’è scampo per il vecchio continente, a metà strada tra l’eterna vocazione geopolitica (fino a oggi in verità solo sulla carta) di molo messo lì in quel grande lago salato che è il Mesogheios, o naturale crocevia tra Africa e Oriente.
Quale dunque la carta di identità che l’Unione dovrebbe sfoggiare? Umile ma determinata, collaborativa ma non genuflessa alla superpotenza di turno, protesa al dialogo inter-sociale ma conscia della propria storia e del proprio bagaglio di cultura, sin qui poco sfruttato. Per questo un piano Marshall dedicato all’intera area euromediterranea (con l’Italia al centro, anche grazie alla straordinaria vetrina dell’Expo di Milano 2015) potrebbe rappresentare la vera occasione di riscatto dell’Europa. Con il belpaese a recitare l’intrigante ruolo di big chief, una sorta di canale di Panama che colleghi idealmente Bruxelles al Nordafrica, agli avamposti che si affacciano sulla sponda mediorientale, dove si stanno consumando cambiamenti epocali. Un piano nel quale la scure dello spread e il rischio default in Grecia andranno ammortizzati non lasciando il popolo ellenico solo; nel quale Israele andrà sostenuta nel combattere i rigurgiti antisemiti; nel quale i rapporti siriani andranno riequilibrati chiedendo conto a Brasile e Turchia della sponda nucleare
con Teheran, stemperando i focolai conflittuali, tentando la via della mediazione come fatto anni fa da Bill Clinton a Camp David. E portando in dono un ramoscello di ulivo, non solo titoli di Stato da rimborsare o interessi alle stelle da pretendere.
I giorni futuri, scriveva Kavafis, stanno avanti a noi come una fila di candele accese, dorate, calde e vivide. Chissà cosa direbbe il celebre poeta osservando come la malapolitica ha ridotto l’Ellade di oggi. Forse l’accosterebbe a una fila di candele già spente, con la cera raggrumata e quindi inutilizzabile, oppure a un impercettibile focolaio ancora acceso, ultima speranza di risalita. Perché il sottile filo che unisce (per quanto ancora?) i vari lembi di un Paese fratturato dalla crisi si chiama orgoglio.
Raccontare cosa accade nella Grecia a un passo dal default non è solo esercizio di cronaca spicciola e cruda, per via di storie che sembravano lontane nel tempo che invece stanno di nuovo facendo capolino in questo pezzo di Europa dimenticato. È invece guardarsi dentro, guardare alla culla della civiltà per certificare il fallimento politico, anche di burocrati continentali che dell’Europa non hanno fatto ciò che giganti come Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi o Konrad Adenauer immaginavano.
Il piano della troika non ha sortito solo gli effetti da ragionieri diffusi dai media, ma anche riverberi sociali devastanti di cui poco si tiene conto. Molti cittadini, per lo più anziani, si sono rifugiati in zone rurali, come quelle di Creta o delle montagne in Fthiotida e Tessaglia. Perché la vita costa meno, non ci sono palazzi con i condomini alle stelle, si vive (o si cerca di farlo) di quello che si produce. Interi nuclei familiari hanno scelto di emigrare più a est dell’UE, alcuni addirittura in Svezia o in Australia. Molti immigrati albanesi, che in Grecia lavoravano nei cantieri edili o come braccianti agricoli, hanno fatto ritorno in patria. Un cambio di passo schizofrenico nell’era della globalizzazione, un’azione da macchina del tempo che nessun esperto dell’economia, e men che meno qualche sociologo di grido, ha neanche lontanamente previsto.
Senza contare le fibrillazioni sociali che toccano chi di questa crisi sta pagando il conto. A Komotini, nel nord del Paese, un sessantaduenne disoccupato (licenziato dalla fabbrica in cui lavorava) ha preso in ostaggio due persone nella speranza di riottenere quell’impiego, per poi rilasciarle e costituirsi alla polizia. Poco prima, in preda a un raptus, aveva aperto il fuoco con un fucile ferendo due concittadini. La disperazione per una vita che vedeva frantumarsi in modo lento e inesorabile. Scene da film scoloriti e vecchi di decenni, quando il digitale non c’era ma si faceva largo, deleteria, l’illusione che il benessere fosse per tutti.
Far fallire incontrollatamente oggi la Grecia, secondo l’Institute of International Finance (IIF), la lobby delle principali banche del mondo, costerebbe oltre 1.000 miliardi di euro. Con ripercussioni disastrose per l’intera area euromediterranea e soprattutto per le banche tedesche e francesi ancora esposte, quindi fortemente interessate al varo, obtorto collo, di quelle misure votate dal Parlamento ateniese. Che garantiscono altri prestiti, con tassi d’interesse altissimi.
Certo, in un momento in cui moltissimi greci sono al di sotto della soglia di povertà, con il ceto medio che sta sprofondando verso il basso, con il crollo dei consumi e con investimenti che nei fatti non ci saranno, stride voltare lo sguardo alla cultura. Se il Paese si chiama Grecia, però, non si può ignorare il rischio di depauperamento dell’immenso patrimonio socioculturale mondiale che, sotto i colpi della crisi, sta subendo un duro attacco. È il caso di numerosi scavi che, in mancanza di fondi, si bloccano e dei cacciatori di tesori che trafugano preziosi reperti. Il quotidiano Ta Nea riferisce che vicino Pella, l’antica capitale della Macedonia, gli archeologi hanno trovato il terreno martoriato di buche: segno che i tombaroli agiscono indisturbati, in una zona particolarmente ricca di testimonianze rilevanti come le maschere funerarie d’oro poste a decorazione delle tombe dei nobili macedoni. Un altro segno della crisi, dove tutto sembra implodere verso il caos, un magma in cui le previsioni non sono rosee e la luce in fondo al tunnel non si vede. Proprio per questo, come dimostrano millenni di storia ellenica, tutto fa credere che qualcosa (di buono) potrebbe accadere. E le candele di Kavafis si vedranno finalmente di nuovo accese.
Seguire il denaro, prescriveva Giovanni Falcone. Perché è il pan
delle indagini e andando a ficcare il naso in conti correnti e somme ingenti ci si avvicina non poco alla verità. Qualcuno ha pensato di ritardare di due anni il fallimento della Grecia che, comunque vada, ci sarà, assieme a quello del concetto stesso di Unione, attuata fino a oggi da chi ha tradito gli spunti dei padri fondatori. A un prezzo altissimo. Chi e perché sta spingendo per uno stato di polizia bancaria europea
? Nella consapevolezza che i sacrifici chiesti ai greci (e non solo a loro) non servono al miglioramento delle condizioni di vita dei singoli, ma solo a ripristinare la flora batterica
delle banche che tornano a respirare: ma a quali condizioni? Seguire il denaro è la chiave. E il denaro è anche il metro per tradurre in lingua comune il biennio di crisi ellenica. Durante il quale la troika ha imposto tagli milionari a stipendi, pensioni, welfare, dipendenti pubblici. Senza di contro comprendere cosa ne sarà di un Paese già in default, nel quale si stanno imponendo salari bulgari
a un popolo che poi deve fare i conti con prezzi milanesi
. L’IVA al 23% è un salasso e lo si scorge dal carrello della spesa ellenico (ma anche italiano) che progressivamente nell’ultimo triennio si è svuotato di carne e pesce per riempirsi di pasta e cibi più economici. Con il paradosso che, se fino a qualche anno fa ci si doleva per gli sprechi nella pubblica amministrazione, oggi si apprende che un docente universitario prende 1.000 euro di stipendio, un poliziotto 700 e un impiegato 400.
Seguire il denaro: il dl governativo imposto dalla troika con il memorandum ha tagliato complessivamente 25mila dipendenti pubblici, ha falciato le pensioni ma solo quelle del ceto medio, aumentato tutte le spese al cittadino, dai costi per sostenere una causa in tribunale alle bollette dell’acqua e della luce, dalle tasse automobilistiche alle assicurazioni, dall’IMU all’abolizione di sgravi fiscali per invalidi e grandi nuclei familiari. Ovvero, per ottenere un’altra tranche di prestiti ponte sufficienti forse solo per una manciata di mesi, il Paese ha dovuto subire: abrogazione della presenza di un legale per fusioni superiori a 100mila euro; privatizzazioni per le autostrade e il totocalcio ellenico (l’Opap, che ha un fatturato di 300 miliardi annui, svenduto a 200); eliminazione di tredicesima e quattordicesima per le pensioni; età pensionabile portata da sessantacinque a sessantasette anni; decurtazione del 3% per le pensioni da 1.000 a 1.500 euro; e del 5% per quelle da 1.500 a 2.000 euro; da 2.000, meno 12%; riduzione degli ammortizzatori sociali per disoccupazioni (sussidio sceso a 200 euro da 500 e operativo dal dodicesimo mese in poi).
Seguire il denaro: come quello che sarà riversato nel Peloponneso (primi 28 milioni già assegnati con il via libera del Governo) per costruire un tracciato di
Formula 1 (si finanziano bolidi mentre la mutua non ha soldi per le carcinopatie), o come le quattro aree adibite allo stoccaggio di rifiuti solidi da realizzare per più di un miliardo di euro. E che saranno messe in atto guarda caso da aziende tedesche. Seguire il denaro: come la clausola del memorandum della troika secondo cui Atene non può essere aiutata che da FMI, BCE e UE. Per dirne una, se la Cina o la Russia volessero acquistare
il debito ellenico ciò sarebbe loro precluso. O come la famigerata lista Lagarde che l’attuale Direttore del Fondo Monetario Internazionale, quando era Ministro delle Finanze francese, ha inviato ai Governi di Grecia, Spagna e Italia per via diplomatica: con l’elenco completo di chi ha evaso (nomi che scottano), portando fior di milioni fuori dai confini nazionali. Ma di cui oggi ad Atene i due ex Ministri delle Finanze Papaconstantinou e Venizelos dicono di non sapere nulla, aggiungendo che quel cd, in caso esistesse, non è stato da nessun funzionario protocollato.
Seguire il denaro: come le Olimpiadi elleniche del 2004, costate tre volte il previsto, con l’ombra di scandali miliardari. Più volte lo ha certificato anche la Reuters: «Non vi è alcuna possibilità di ridurre il debito greco al 120% del PIL entro il 2020». È oggettivamente acclarato che la Grecia è fuori strada anche per una cura che forse ha allargato le maglie di quel buco. Seguire il denaro, prescriveva Giovanni Falcone. Il che porta dritto alle banche, le uniche che grazie alla troika lo avranno.