Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Gnorff & Lenst
Gnorff & Lenst
Gnorff & Lenst
Ebook234 pages3 hours

Gnorff & Lenst

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Gnorff. In una cupa notte a Pieve di Teco una giovane donna sta per incontrare la sua nemesi. Un antico predatore si aggira per la sua casa ed ormai è pronto a colpire. Solo Orlando, il suo gatto nero, si batterà coraggiosamente per cambiare il corso del destino.

Lenst. In una bella serata estiva come tante nella Riviera Ligure di Ponente, sei ragazzi hanno appena trascorso una bella serata e si accingono a ritornare alle proprie abitazioni. Un vecchio albergo abbandonato scatenerà la loro curiosità spingendoli ad avventurarsi al suo interno dando avvio a un orribile incubo.
LanguageItaliano
Release dateNov 18, 2014
ISBN9788896608319
Gnorff & Lenst

Read more from Ugo Moriano

Related to Gnorff & Lenst

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for Gnorff & Lenst

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Gnorff & Lenst - Ugo Moriano

    Gnorff

    Albero genealogico di Laura

    Cecilia - nata il 7 ottobre 1870 - sposata con Giovanni

    Vittoria - nata il 14 aprile 1888 - sposata con Pietro

    Margherita - nata il 5 aprile 1905 - sposata con Andrea

    Fanny - nata il 8 giugno 1925 - sposata con Michele

    Carla - nata il 15 settembre 1947 - sposata con Claudio

    Laura - nata il 8 maggio 1977

    1

    Nei sogni, o per meglio dire durante gli incubi, tutto può cambiare in un istante. Solo la paura, quando arriva, ti afferra e non ti lascia più.

    Laura era cosciente di stare vivendo un’esperienza onirica, ma ciò non l’aiutava minimamente: tutte le sensazioni erano maledettamente reali e non poteva fare nulla per evitarle o attenuarle. Sapeva di essere nel proprio letto e una piccola parte della mente riusciva addirittura a percepire il leggero peso della trapunta sul suo corpo, ma contemporaneamente stava sprofondando nell’angoscia più profonda.

    Era sotto i portici che costeggiano Corso Mario Ponzoni a Pieve di Teco e stava camminando per ritornare nella propria abitazione che si trovava accanto allo splendido Palazzo Borelli. Fino a pochi istanti prima Ma in un sogno a che velocità scorre il tempo? sotto le volte degli antichi porticati si svolgevano le normali attività di un tardo pomeriggio d’autunno: botteghe aperte, bar frequentati da piccoli gruppi di avventori, uomini, donne e ragazzi diretti alle proprie case e luoghi di ritrovo.

    Improvvisamente tutti erano scomparsi lasciandola sola e la cosa era sbagliata, terribilmente sbagliata perché era sicura che tutti si fossero riparati dietro alle proprie mura casalinghe dove ogni cosa, con la sua familiarità, ti diceva: stai tranquillo, qui non potrà accaderti nulla di male. Decise di aumentare l’andatura, in fondo mancavano sì e no un centinaio di metri al portone di casa sua e nel giro di un paio di minuti sarebbe stata al sicuro tra le mura domestiche.

    L’ombra della sera sembrava aver avuto ragione dell’illuminazione pubblica e Laura si ritrovò a camminare in una cappa di densa semioscurità. La parte razionale della sua mente si scandalizzò per quella mancanza di attenzione ai bisogni dei cittadini e, visto l’ammontare delle tasse che annualmente versava al fisco, si prefissò di andare a protestare in municipio il giorno successivo, quando il sole avrebbe nuovamente illuminato le strade del paese. Ora occorreva solo arrivare a destinazione.

    Lo sentì arrivare alle sue spalle. Negli incubi non c’è bisogno di voltarsi per sapere che sta arrivando e spesso non occorre neppure conoscere bene di che natura sia la minaccia. Ne abbiamo coscienza e tanto ci basta! Non ci occorre altro perché lui, esso, (quella cosa?), è sempre cattivo.

    Stava venendo a prendere lei, quella che si era attardata, quella che si era distratta ed era rimasta l’ultima.

    Non c’era altro da fare, si poteva solo correre, scappare, ma ora il porticato si estendeva all’infinito ed era sicura che non sarebbe mai riuscita a raggiungere la sicurezza del suo portone.

    Provò a gridare, a chiedere aiuto, a cercare una vicina via di fuga, di un rifugio, inutile. La voce si rifiutava di assecondarla, la gola era stretta e anziché un urlo, dalle sue labbra uscì un sussurro gorgogliante.

    Ecco il portone, la salvezza. Doveva solo correre come non aveva mai fatto in vita sua. In fondo aveva da poco compiuto trentacinque anni e spesso andava a fare jogging con un paio di amiche lungo i sentieri che attraversavano le colline intorno al paese, quindi poteva farcela.

    Abbassò lo sguardo sul grigio lastricato di pietra e con orrore vide che le sue gambe snelle e allenate non stavano macinando in un lampo la distanza, non stavano neppure correndo, ma semplicemente, pochi miseri centimetri alla volta, facevano strisciare i piedi nudi (dove erano finite le scarpe?) su una fanghiglia umida e verdastra tracciando alle sue spalle due scie viscose che, in poco tempo, si richiudevano.

    Domani dovrò protestare anche per l’incuria verso il decoro urbano, non si può lasciare questo fango putrido dove la gente cammina. Mi farò sentire con il sindaco e, perché no, anche con il suo vice!

    Ma ora questo non era importante, perché la cosa (Lui? Lei? Esso?) l’aveva quasi raggiunta.

    Era a pochi metri dalla salvezza, mugolava sforzandosi disperatamente di chiedere aiuto e sapeva già che non sarebbe riuscita a salvarsi. L’avrebbe presa all’ultimo istante, quando ormai le sue dita protese avrebbero sfiorato il legno, scuro, antico, usurato dal tempo, del suo portone.

    Stava per morire?

    Il cuore batteva all’impazzata, un martellare pulsante contro le costole che rimbombava fin nelle orecchie, i muscoli del collo, contratti oltre ogni umana possibilità, le stavano impedendo di inalare l’agognato ossigeno e così, mentre si preparava a spiccare un salto, frutto dell’umano istinto di conservazione, si domandò, quasi spassionatamente, se sarebbe morta per mano dell’essere che la stava inseguendo o se invece lo avrebbe battuto sul tempo, soffocandosi o facendosi venire un infarto liberatore.

    Incredibilmente il balzo si rivelò non essere altro che un breve saltello sul posto e il battente di legno rimase esattamente alla stessa distanza di prima. Le sue mani, scagliate in avanti come avanguardie della salvezza a cui sarebbe seguito il resto del suo corpo, non arrivarono a toccarlo e il suo inseguitore la prese.

    Laura spalancò gli occhi nel buio della notte. Fuori dalle persiane ben serrate il vento era calato e tutto il paese sembrava avvolto in un placido bozzolo di quiete.

    Si concesse alcuni istanti per rimarcare alla propria coscienza il fatto di essere veramente in camera. Come sapeva bene già durante l’incubo, era sdraiata nel proprio letto.

    Vicino a lei Orlando stava dormendo. Ne percepiva il peso e il calore del corpo. Lui, con un ritmico dilatarsi e contrarsi del petto, respirava senza fare rumore e questo le era sempre piaciuto perché la notte era fatta per il silenzio.

    Timorosa di riaddormentarsi e precipitare nuovamente nel sogno, perché questo le era già spiacevolmente accaduto in passato, decise di muoversi. Quasi titubante, preoccupata di non disturbare il suo calmo compagno notturno, mosse una mano e la portò prima alla gola e poi sul petto, tra i seni, per sentire il battito del proprio cuore, anche se sapeva già che, a dispetto dell’esperienza appena vissuta, batteva con calma e regolarità.

    E’ stato solo un incubo.

    Ma in realtà quell’incubo non era solo, ma si andava ad aggiungere a quelli, tutti simili, fatti nei quattro giorni precedenti. Ormai andare a dormire voleva dire avventurarsi in cupe atmosfere angosciose.

    Da bambina, quando nel buio più fitto queste vivide esperienze notturne venivano a trovarla, correva in camera dei genitori, s’infilava tra le coperte e abbracciava suo padre. Lui apriva gli occhi, grandi e castani, e senza mai protestare la fissava in silenzio. Quel suo invincibile protettore le faceva da scudo contro i demoni della notte tenendola tra le sue braccia e lei si addormentava nuovamente serena. Al mattino, quando Laura si svegliava, trovava il suo sguardo ancora appuntato su di lei, come se papà non avesse smesso un istante di vegliarla.

    Crescendo aveva imparato molte cose e non correva più a farsi abbracciare nella notte, ma quando le paure strisciavano fino a trovarla rimpiangeva di non poter ancora ritornare da lui. Comunque a quel tempo suo padre era nell’altra camera e questo le bastava.

    Poi in un tiepido pomeriggio di primavera suo papà se n’era andato. Lei, all’età di trentaquattro anni ben sapeva che suo padre era un uomo come tutti gli altri e non un paladino invincibile posto a guardia della sua preziosa figlia, ma quando le avevano telefonato sul posto di lavoro per dirle che era stato colpito da un improvviso malore aveva stentato a crederci. Era forte, vigoroso e pieno di vitalità, come poteva aver avuto un infarto? Dimentica di tutto era corsa all’ospedale Civile di Imperia ed era arrivata quasi contemporaneamente all’ambulanza. Era pronta a fare quanto sarebbe servito, a restituirgli, almeno in piccola parte, tutte le attenzioni ricevute negli anni. Gli avrebbe parlato, gli avrebbe detto che non era nulla di grave e che presto sarebbero ritornati a casa dove lei, prendendosi ferie e aspettativa dal lavoro, sarebbe rimasta al suo fianco fino alla completa guarigione.

    Non poté dirgli nulla perché quando la barella venne scaricata dall’autolettiga e due militi della Croce Rossa la spinsero di corsa all’interno del Pronto Soccorso, Claudio, perché così si chiamava suo padre, era già morto lasciandola sola.

    Sua madre Carla era morta molto giovane rinverdendo, dopo due generazioni di donne longeve, una triste tradizione familiare. Il ramo femminile contava una lunga serie di morti premature. Solo la nonna Fanny e la madre di lei, Margherita, erano sfuggite a quel destino superando ambedue i settant’anni.

    Chissà perché proprio quella notte, dopo tanto tempo, le venne in mente una storia che le aveva raccontato suo nonno Michele quando lei aveva sei o sette anni.

    Era fine settembre, ma faceva ancora molto caldo. Quell’anno l’estate era iniziata tardi, ma sembrava che non volesse più finire. Come spesso capitava anche quella domenica pomeriggio lei e suo nonno erano andati a fare una breve passeggiata. Oltrepassata la Salita ai Cappuccini, si erano fermati a recitare una preghiera davanti alla bella chiesa francescana e poi avevano imboccato la mulattiera che porta nella zona dei Barcheti. Dopo aver camminato senza fretta per una mezzora avevano deciso di fare una sosta cercando riparo dai raggi solari sotto i rami di un antico castagno che cresceva al bordo della strada.

    Suo nonno aveva tutti i capelli bianchi e, sebbene avesse appena oltrepassato la soglia dei settant’anni, le pareva incredibilmente vecchio. Il suo viso, sotto la tesa del cappello di paglia, era pieno di rughe e sempre con un accenno di ruvida barba bianca sulle guance, nonostante si radesse tutte le mattine.

    Lui si era seduto con precauzione su una radice sporgente e lei ne aveva approfittato per appoggiarsi sulle sue gambe. Gli aveva chiesto di raccontarle una favola, ma Michele quel giorno le parlò delle donne della loro famiglia.

    - La tua bisnonna Margherita, che tu non hai fatto in tempo a conoscere, è vissuta a lungo e sono convinto che anche tua nonna Fanny farà altrettanto, ma sono delle eccezioni. La madre della tua bisnonna, Vittoria, è morta a trentacinque anni e sua mamma Cecilia ha lasciato questo mondo a trentaquattro.

    - Erano malate? – Aveva chiesto Laura scacciando con un gesto della mano una mosca noiosa che a tutti costi voleva posarsi su di loro.

    - No, o almeno allora non lo sembravano. Credevano di stare bene e poi improvvisamente sono morte.

    - Così? All’improvviso? Camminavano e sono cadute a terra?

    - Cecilia non lo so, ma Vittoria è morta nel sonno. E’ andata a dormire e non si è più svegliata.

    - E anche io e la mamma moriremo giovani?

    La cosa le sembrava impossibile. La mamma era forte e sempre allegra, come sarebbe potuto succedere?

    - No, a voi non succederà. Tua madre vivrà tantissimo e anche tu. Diventerete delle bellissime vecchiette.

    - Tutte e due insieme? – Lei non voleva essere vecchia. La nonna era vecchia e non ci teneva a diventare come lei.

    - Perché no? Tua mamma un po’ di più, tu un po’ meno, ma comunque passerete tanto tempo insieme.

    Ma non era stato così. Sua madre era morta giovane e lei questo al nonno non l’aveva mai perdonato. Nella sua mente, fino a che era stato vivo, lo aveva chiamato nonno bugiardo e tra loro qualcosa si era spezzato. Lui l’amava ancora, forse più disperatamente di prima, ma lei no perché non era stato capace di salvare la mamma.

    Quando era morto aveva seguito il funerale senza provare nulla, anzi, in un angolo nascosto e buio della coscienza brillava un briciolo di soddisfazione. Negli anni successivi si era terribilmente vergognata per quel sentimento e ancora ora, quando pregava, chiedeva perdono al nonno.

    Nonno Michele. Una lacrima, forse conseguenza del brutto sogno, le scivolò su una guancia.

    Laura decise che era stata sveglia abbastanza. Anche se al mattino non sarebbe dovuta andare a lavorare erano comunque le due e venti di notte. Si voltò sul fianco sinistro, chiuse gli occhi, e provò a scacciare ogni pensiero molesto.

    Il quaderno!

    Improvvisamente le ritornò alla mente una delle ultime conversazioni con suo nonno, quando era già ammalato e forse era cosciente di stare per morire.

    Era seduta su una asettica sedia d’ospedale in acciaio e plastica con lo schienale e la seduta di uno sgargiante colore arancione. Lui da alcuni giorni non mangiava più e, senza troppa convinzione a causa dell’età avanzata, veniva sostentato con l’ausilio di un sondino.

    Le era sempre sembrato vecchio, ma ora le appariva addirittura decrepito. La malattia gli aveva mangiato la carne e solo la pelle gialla e macchiata sembrava essere rimasta a ricoprire le ossa. Sua nonna si era allontanata e lei era rimasta a vegliarlo tenendo d’occhio la sacca di liquido trasparente che, appesa al suo supporto, gocciolava attraverso un tubicino di plastica fino all’ago inserito nella vena azzurra che sporgeva dal suo braccio.

    - Laura. – Aveva sussurrato senza quasi muovere le labbra.

    - Dimmi nonno. Hai sete? Vuoi un po’ d’acqua?

    - No. Voglio dirti una cosa prima che sia tardi. Vieni più vicino.

    Lei si accostò, ma dovette fare uno sforzo. L’uomo sotto il lenzuolo odorava di morte.

    - Eccomi qui, ma non è meglio se riposi un po’? La nonna ritorna subito.

    - A casa nostra, nella cassaforte, dietro al quadro di San Sebastiano, oltre a tutti i documenti c’è una cartellina di cuoio con una cinghia per portarla a tracolla.

    - Vuoi che te la vada a prendere?

    Lui la ignorò e continuò a parlare con gli occhi chiusi.

    - Tua nonna forse se ne è dimenticata da anni. Tu non dovrai aprirla, ma solo conservarla sempre per poi lasciarla in eredità.

    - Lo farò, ma cosa c’è di così importante in quella cartella?

    - Fotografie e tanti piccoli ricordi familiari risalenti alla prima e alla seconda guerra mondiale, ma non sono rilevanti. Troverai un quaderno dove io ho trascritto una storia lasciata da mio nonno Andrea su alcuni fogli piegati dentro una busta.

    - Tuo nonno era uno scrittore?

    - No. Ha scritto solo quella. Tienila sempre con te.

    - D’accordo. Terrò la cartellina con dentro il quaderno e poi un giorno, se mai ne avrò, la darò ai miei figli.

    - Se mai ti accadrà, tu avrai solo una figlia, com’è sempre accaduto nella nostra famiglia. Passala a lei o meglio ancora, a suo marito. Lui dovrà leggere la storia e a sua volta conservarla. Gli uomini devono proteggere le loro mogli, ma tu non sei ancora sposata. Quanti anni hai già?

    - Io non posso leggerla? – Domandò Laura decidendo di ignorare l’ultima domanda.

    - No. E’ una storia strana, difficile da capire e accettare. Solo in un caso potrai sfogliare quel quaderno.

    Ora la voce del nonno era diventata forte come in gioventù e i suoi occhi si aprirono fissandosi limpidi e senza traccia di sofferenza in quelli della nipote.

    - Spero che tu non debba mai aprirlo, – continuò Michele serrando le dita sul bordo del lenzuolo, – ma se avrai incubi per cinque notti consecutive, allora non esitare. Leggilo subito.

    Laura stava per chiedere ulteriori notizie quando in camera rientrò sua nonna e allora, vedendolo richiudere gli occhi, decise di non insistere e lo lasciò riposare. Durante la notte nonno Michele morì e così quella conversazione le passò d’in mente e non ricomparve più fino a quella notte.

    2

    Nonostante la casa fosse ben riscaldata, Laura non aveva molta voglia di uscire da sotto la trapunta e attraversare la camera per andare ad aprire la vecchia cassaforte dietro al quadro.

    Dove sarà la chiave? Si domandò gustandosi il tepore del letto. Saranno anni che non la uso.

    A lei, quell’antico forziere inglobato in uno dei muri portanti della casa non era mai servito. Non possedeva gioielli particolarmente preziosi e non teneva in casa capitali che meritassero di essere custoditi con tale cura.

    Per quanto ricordava neppure i suoi genitori l’avevano mai usata e da quel poco che sapeva al suo interno vi erano solo alcuni certificati di proprietà e qualche altro documento risalente alle precedenti generazioni familiari.

    Stava per rinunciare e provare a riprendere sonno quando le venne in mente che all’inizio dell’estate, mentre riordinava i cassetti del comò, aveva trovato

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1