La storia dei colori: Il significato e l'uso dei colori dall'antica Grecia a oggi
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La storia dei colori - Giuliana Lomazzi
caleidoscopio
I colori nella storia
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, io dirò un giorno le vostre nascite latenti.
A. Rimbaud, Vocali
Nel 1871, all’età di 17 anni, il poeta francese Arthur Rimbaud scrisse la poesia Vocali, basata su un sistema di fantastiche corrispondenze tra suoni e colori. Sono certamente associazioni stupefacenti, le sue; ma non sono certo le prime. Nel corso della storia, i colori sono stati associati a un’infinità di elementi (musica, religione, medicina…), a dimostrazione di quanto siano profondamente radicati nel nostro quotidiano e inseparabili dal nostro vissuto.
La poesia di Rimbaud, divisa in strofe, ci accompagnerà lungo tutte le tappe del nostro viaggio cromatico, un percorso che toccherà via via le diverse prospettive sul mondo dei colori. Insieme, ripercorreremo i primi passi dei nostri lontani progenitori nell’affascinante mondo cromatico, conosceremo il punto di vista di artisti, fisici e psicologi, scopriremo il valore di una dieta variopinta, e tanti altri aspetti di un mondo tutto rigorosamente a colori.
Grotte in technicolor
La vita quotidiana dei primi uomini non ci è stata raccontata da nessuno. Possiamo solo leggerla, attraverso le immagini colorate del libro di pietra arrivato fino ai nostri giorni. Sono figure semplici ma espressive, soprattutto scene di caccia, tracciate dai cacciatori con le dita o con strumenti ancora rozzi sulle pareti delle grotte, pitture murali che ci restituiscono con grande immediatezza un mondo a noi lontanissimo. Le grotte di Altamira, in Spagna, o quelle di Lascaux, in Francia, ne sono un esempio illuminante. Dietro a queste pitture si intravede una sorta di operazione magica: immaginando l’incontro con la bestia da cacciare, il cacciatore era convinto di assicurarsi il successo. Così, fin dagli inizi dell’umanità, si osserva un uso rituale e magico dei pochi pigmenti di cui l’uomo disponeva e che aveva imparato a ricavare dal mondo della natura. Inizialmente colorarono la sua tavolozza rocce, terra, carbone. Dominavano colori di origine minerale, come il rosso, ricavato dall’ocra della stessa tinta; il bianco, ottenuto dal gesso; il marrone, dall’argilla; e il giallo, dalla terra gialla. Per il nero invece si usava il carbone di legna. Per fare aderire il colore sulle pareti si mescolavano al pigmento sostanze diverse come la resina o il grasso animale.
Fermento cromatico nel mondo antico
Con il passare dei secoli, l’uomo imparò a preparare un numero sempre crescente di pigmenti e ad applicarli con risultati più duraturi. Abiti, mosaici, gioielli, ceramiche, pareti, colonne: le civiltà antiche erano riccamente colorate, un’esplosione cromatica che ancora oggi conquista l’occhio. Con la pasta di vetro si preparavano perline colorate da infilare in variopinte collane che potevano essere indossate indifferentemente da uomini e donne, come nel caso dei fenici. Con la malachite finemente frantumata, le compatriote di Cleopatra si preparavano un ombretto verde. Dai lapislazzuli si ricavava l’azzurro, dai rubini il rosso. Anche i vegetali contribuirono a colorare il mondo antico: robbia (Rubia tinctorum) ed henné (Lawsonia alba) per il rosso; per il giallo, reseda (Reseda luteola) e ranno spinello (Rhamnus infectorius) – quest’ultimo impiegato anche per tingere i capelli, al pari dell’henné, che ancora oggi svolge egregiamente questa funzione.
I diversi pigmenti davano vita a statuette di ceramica, rivestivano le pareti, diversificavano le tessere per i mosaici, entravano da protagonisti nell’arte della costruzione. Si pensi per esempio alle realizzazioni architettoniche dei babilonesi, la cui mitologia pullulava di demoni da esorcizzare in tutti i modi possibili. Così, per ingraziarsi le divinità i babilonesi eressero gli ziggurat, enormi piramidi a base quadrata di cui oggi restano soltanto delle immense rovine. Costruiti in mattoni crudi e ricoperti di uno strato di mattoni cotti e smaltati, idealmente gli ziggurat dovevano costituire un collegamento tra la terra e il cielo ed erano suddivisi in sette piani digradanti, ognuno di un colore diverso. Ogni colore simboleggiava un pianeta (gli antichi conoscevano infatti solo sette pianeti), e l’ordine cromatico era probabilmente questo: nero, arancione, rosso, oro, giallo, blu, argento. Ritroviamo così di nuovo l’uso del colore legato a rituali magici o religiosi. Tramite esso, si cercava non solo di allontanare i demoni che avevano provocato la malattia (a questo scopo si legavano al corpo del malato amuleti o nastri colorati) ma anche di diagnosticare il male. I più prolifici produttori di talismani e amuleti variopinti furono i fenici che, da buoni commercianti, diffusero questi prodotti in tutto il bacino mediterraneo. A loro spetta però un altro primato: quello di essere, con ogni probabilità, i migliori tintori dell’antichità. Certamente anche greci e romani erano abilissimi, ma le stoffe color porpora dei fenici erano famose in tutto il mondo antico e adornavano ricchi, nobili, uomini politici, insomma i personaggi più in vista.
La nobile porpora
Le stoffe color porpora dei fenici erano molto ambite, ma vestivano soltanto chi poteva permetterselo. Infatti la tintura porporina richiedeva tempo, pazienza e, soprattutto, un’ecatombe di gasteropodi (molluschi dotati di una caratteristica conchiglia a spirale, rugosa o spinosa): quelli usati erano Murex trunculus e Purpura haemastoma, da cui era ricavato il rosso cremisi, e Haustellum brandaris, che forniva il viola. Ognuno dava una sola goccia di colore, che poi l’abile tintore mescolava per ottenere sfumature variabili dal rosso carico fino all’ametista. Dopo tre giorni di macerazione, dieci di lenta bollitura e l’aggiunta del mordente, ecco pronte le stoffe per i patrizi romani. Di queste operazioni di tintura ci sono rimasti enormi depositi di conchiglie stratificate.
Insomma il colore, o la sua assenza, servivano da status symbol. Il popolo aveva tuniche del colore naturale del tessuto,