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Vuoto Saturo
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Vuoto Saturo

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In "Vuoto Saturo" il protagonista che non ha nome, racconta in prima persona le bizzarre avventure della propria esistenza dall’infanzia fino all’età adulta. Si assiste ad una carrellata di episodi grotteschi che hanno come sfondo il periodo universitario per poi sfociare nel mondo criminale con l’organizzazione di rapine e altre attività illecite. Successivamente il protagonista torna a condurre una vita onesta anche se priva di slanci. Egli troverà nuova linfa vitale nell’intraprendere un’attività teatrale che per uno strano scherzo del destino lo porterà alla distruzione. Nel turbine degli eventi tragicomici si avverte un senso di inconsistenza e di vuoto. E’ come se il narratore in reltà non fosse mai esistito: vivere o morire per lui è lo stesso.
LanguageItaliano
PublisherMarco Santoro
Release dateFeb 20, 2016
ISBN9788892555839
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    Vuoto Saturo - Marco Santoro

    PREMESSA

    Nessuna storia va narrata se non è sublime. Viviamo tempi oscuri, dove l'eroico e lo stupefacente hanno ceduto il posto all'isterico e al banale. E allora perché non ricercare il sublime nel quotidiano? Anche se nella nullità dell'esistenza esso non esiste, lo scrittore è talmente furbo da crearlo e il lettore talmente intelligente da credere che ci sia. Questa è una storia che potrebbe tranquillamente non essere narrata. Le azioni e gli eventi che coinvolgono il protagonista non sono che desiderio di immobilità, i suoi pensieri aspirazioni all'oblio, i suoi sogni desiderio di morte. Egli, consapevole della sua situazione si lascia vivere e accetta ciò che la vita gli offre senza selezione, senza combattività, ma limitandosi a imbattersi negli innumerevoli avvenimenti che gli vengono serviti. Eventi, pensieri, desideri, scelte e azioni sono gli ingredienti di questa come di tutte le storie; tale affermazione spiega da sé l'inutilità di narrarla. Tuttavia ho deciso di raccontarla perché si tratta di una vita intensa, ricca, vissuta, movimentata e nello stesso tempo vuota come quella di molti.

    DA 0 A 20

    Il paese che mi diede i natali, confina a ovest con una collina argillosa e a sud con un fosso profondo una quarantina di metri. La valle nella quale esso sorge è caratterizzata da un clima è assai favorevole: d'inverno è la calamita di ogni perturbazione nevosa e d'estate è squassata da piogge incessanti modello monsonico. Data la perenne instabilità atmosferica unita alla forte ventilazione io, come molti, non mi sono mai preoccupato della mia pettinatura risparmiando in gel, minuti davanti allo specchio e barbiere. Mi recavo da quest'ultimo solo quando sulla mia testa incombeva non più una capigliatura ma un'autentica foresta del Borneo. Passiamo ad altro. Le prime parole che ho imparato sono state deficè appellativo con il quale solitamente mi apostrofava mio padre. Di lui non so quasi nulla, neanche quale fosse il suo vero mestiere. Impiegato, addetto, consulente...non ho mai capito che razza di lavoro facesse, era sempre nervoso, s'infiammava per cose di un'insensatezza abominevole. Mia madre, casalinga era più calma e riflessiva ma per questo non meno risoluta. Un giorno scoprì nel cassetto del comò una compromettente traccia amorosa tra mio padre e una certa Luana. AMORE STOP VOGLIO VEDERTI STOP TUO PASSERO LULU' STOP MOMENTI DIFFICILI STOP SPERO VENIRE PRIMA POSSIBILE STOP SCUSA NON RISPOSTO TUA ULTIMA STOP Una tale romantica corrispondenza tra telegrafisti caratterizzò il loro rapporto. Sta di fatto che mio padre venne messo risolutamente alla porta sia per la tresca che per lo scarso gusto nel comporre telegrammi d'amore. Sto dimenticando mia sorella Alessia, di tre anni più grande di me, anche lei facilmente infiammabile tutta suo padre. Essa era la vittima prediletta dei miei scherzi che spaziavano dalla bruciatura di capelli, al würstel in bocca mentre dormiva, al finto rapimento organizzato con la complicità di alcuni miei amici.

    Mamma intanto si era messa con un certo Lorenzo, un contaballe sui quaranta, il quale diceva di fare l'assicuratore ma tornava spesso nel cuore della notte con abito da sera e papillon. Alle mie domande insistenti la mamma rispondeva sostenendo l'improbabile tesi che Lorenzo usciva di notte perché doveva vedere dei clienti che lavoravano alle ore piccole. O erano dei vampiri o dei magnaccia. Era proprio mio destino non riuscire a capire che razza di mestiere facessero gli uomini che circolavano per casa. Ma la mia caparbietà mi portò ad interrogare a muso duro il diretto interessato. -Vedi, il mio lavoro è quello di far divertire la gente- mi rispose Lorenzo tuttaltro che rilassato. -Allora portami con te!- -Non è così facile, è un divertimento solo per grandi, però tra un po' di anni potrai venire anche tu- Ho sempre odiato le risposte dei grandi, false ed evasive. Continuai a restare perplesso ancora per un po' di tempo ma visto che avevamo una macchina nuova, ogni fine settimana si andava a cena fuori e Lorenzo mi regalava sempre bei giocattoli che tacitavano la mia curiosità, decisi di rinviare le mie indagini ad un' età più adulta. Naturalmente come tutti i bambini anche io andavo a scuola. La mia carriera scolastica fu molto brillante e regalò a me e alla mia pseudofamiglia grandi soddisfazioni. Il primo giorno, in prima elementare decisi di fare gavetta. Appena mamma se ne andò sgattaiolai fuori prima che arrivassero le maestre. L'edificio mi incuteva panico sembrava il carcere minorile del film Sciuscià che avevo visto la sera prima. Il giorno dopo mamma mi condusse a scuola a calci. Per capire le divisioni a due cifre impiegai tutta la seconda e la terza, anche buona parte della quarta. Neanche nelle altre materie ero un faro di sapienza. A causa del mio deficit i maestri volevano far introdurre gli esami di riparazione anche alle elementari. Per fortuna il ministro aveva ben altro a cui pensare. Quello della quinta elementare fu però l'anno della mia riscossa. Venne una nuova e giovane maestra di italiano, storia e geografia, si chiamava Teresa. I miracoli che fanno le belle e prosperose maestre sui bambini sono indicibili. Fu amore a prima vista e a costo di non sfigurare diventai il primo della classe nelle materie letterarie. All'esame la maestra Teresa era più bella che mai e a me sembrava di essere in quei film di Pierino degli anni settanta.

    Vedendola nel suo tailleur color ciliegia che ne esaltava le forme ebbi uno sconvolgimento interiore. Alla fine dell'esame l'attesi fuori la porta e appena la procace maestra uscì mi lanciai in una infuocata dichiarazione d'amore. Lei scoppiò a ridere e poi accostandomi la testa al seno mi congedò con un bacio sulla testa. Quelle labbra carnose e quel seno da paura furono i protagonisti principali dei miei momenti d'intimità per tutto il periodo delle medie. Alle scuole superiori un giorno mi diventarono le labbra blu, la pelle cadaverica e caddi a terra come morto. Si trattò di un comune sconvolgimento ormonale, ma per me non fu così. Ero convinto che non sarei vissuto a lungo, di conseguenza il poco tempo che mi restava andava goduto pienamente. In primis iniziai ad aprire i libri quel tanto che bastava per avere una media che si aggirava attorno al 5 e mezzo. In secundis frequentai casa nei momenti dei pasti, dei bisogni, e per scippare qualche ventina di euro al primo che mi capitasse a tiro. Una presenza puramente simbolica. In terzis...mi pare così si dica...iniziai a frequentare una certa Miriam. Era una ragazza chiatta, dai capelli di un rosso orribile, abbastanza acida e per giunta già fidanzata. Non so cosa ci trovassi di attraente, forse il brivido di non farci scoprire dal ragazzo, del quale tra l'altro ignoravo l'identità. All'inizio Miriam mi respinse brutalmente, ma poi fu subito rapita dal mio fascino. Dopo due mesi riuscii persino a strapparle un bacio alla francese e una palpata di sedere. Un giorno all'uscita di scuola mi sentii sollevare per il bavero del cappotto. Mi voltai e vidi una corporatura imponente con un collo taurino al quale era attaccatta una testa dal volto sfigurato dall'ira. - Devi smetterla di fare lo stronzo con la mia ragazza, hai capito?!- - Non te la prenderai mica per via di quella specie di tricheco? E poi è stata lei a provocarmi!- Il mio umorismo fu apprezzato dagli amici dell'energumeno, i quali erano evidentemente di bocca buona. Fui congedato brutalmente con un: - Non ti voglio più vedere intorno a lei!- e due calci in culo. Poi venni a sapere che l'energumeno altri non era che un meccanico esaltato. Una volta aveva pestato un tizio a colpi di chiave inglese solo perché aveva chiesto una sigaretta alla sua ragazza.

    Credo che non esista rimedio più convincente per smettere di fumare o almeno di scroccare le sigarette. Comunque potevo considerarmi un vero miracolato e decisi di troncare con Miriam che tra le altre aveva anche una carie ad un canino che le dava un alito da ribrezzo. Intanto a scuola fioccavano i votacci e a casa si pensava seriamente di trovarmi un lavoro. Il mio patrigno tentò di propormi l'entrata nella sua azienda, per me andava bene ma erano mamma e mia sorella a opporsi. Appena si accennava al discorso subito iniziavano urla e strepiti, soprattutto da parte di quella stronza di mia sorella la quale pur di ostacolarmi ficcava il becco dovunque. Così senza un' occupazione e senza denaro dato che le donne di casa mi avevano imposto un embargo, mi rimisi sotto con lo studio. In quarta superiore ottenni una brillante promozione con soli tre debiti a settembre. Dal punto di vista affettivo mi accontentavo di avventurette en passant. La più lunga di queste inizò ad una festa di 18 anni presso la discoteca Cayman. La ragazza si chiamava...Laura, no forse Loretta... accidenti coi nomi certe volte ho proprio un brutto rapporto... comunque la tipa in questione alle ore 21.00 era la donna della mia vita, alle 23.00 una bella e accondiscendente ragazza, alle 01.00 un pò troppo suora, alle 02.00 un'acida di merda che non voleva darmela. Purtroppo per uno come me che fa rimare la parola coppia con cappio (non è una rima ma d'altronde io non sono Guinizzelli) è difficile trovare la ragazza giusta. La maturità arrivò in un baleno, senza che me ne accorgessi. Infatti a dire la verità mi dovettero avvisare i professori. Alla prova orale mi presentai con una tesina dal titolo I Re magi e altri venditori di fumo ma la prof. di lettere, fervente cattolica, prima l'aveva accettata e poi prese a sminuirla. Il mio lavoro di una settimana fu inutile. In letteratura il presidente di commissione mi chiese Carducci, ed io sostenni spudoratamente che mi ricordava tanto il trombone suonato da mio nonno nella banda locale. Il professore di chimica con il quale c'era un odio reciproco mi chiese di indicare alla lavagna alcuni ossidi, io convinto di fare bella figura citando elementi meno noti iniziai a scrivere: Argon, Kripton, Radon...ma erano dei gas nobili, il professore si strappò i pochi capelli rimastigli sulla testa. In fisica, inglese, filosofia e latino fu un' escalation di boiate pazzesche e riuscii a dribblare perfino la domanda di matematica passando subito a storia dell' arte.

    Per fortuna me la cavai in quest'ultima e siccome non avevano alcuna intenzione di sopportarmi un altro anno dovettero obtorto collo licenziarmi. C'era anche da dire che avevo nei miei compagni di classe dei degni emulatori, alcuni riuscirono ad andare peggio di me: uno di essi era talmente impreparato che chiese e ottenne di commentare un testo di Gigi D'Alessio. L'esame fu un successo per le ragazze: ben tre 100 e voto più basso 75. Un'ecatombe per noi ragazzi: voto più alto 68 e un bocciato il quale non fu ammesso all'orale perché nel tema insultò pesantemente l'intera commissione esaminatrice. Grazie a tali splendidie performance la nostra classe fu dichiarata una delle peggiori della storia dell'istituto. Quando furono esposti i quadri ci ubriacammo per una settimana di fila tanto eravamo soddisfatti dei nostri record.

    LA VITA COSI'...COME VIENE

    E' risaputo che ormai più si è negati per gli studi più si aspira alla laurea. Ogni mulo vuole diventare cavallo, ovviamente senza offesa per i muli. Io non tradii tale atteggiamento e a settembre dopo una ponderata scelta di ben due ore mi iscrissi all'università. Optai per una facoltà letteraria di tutto riposo. La città la scelsi su consiglio di un amico, basti sapere che il suo nome era Cividate e che si trattava della classica città universitaria italiana, antica con vicoli più adatti a carri trainati da muli che ad automoblili. La facoltà era in mano a sonnolenti segretari ma il pezzo forte erano i docenti. In un muro del cesso lessi la seguente frase I docenti universitari sanno tutto, e nientaltro, fui immediatamente d'accordo. Professori che avevano almeno 7 erezioni all'ora nell' ascoltare la propria voce, figure tetre e pingui prive di ogni senso della realtà. Ovviamente andavano fatte le dovute eccezioni, c'erano anche coloro che si facevano ammirare ed erano così volenterosi, umani e sognatori che apparivano tristemente sprecati in un simile contesto. Purtroppo io ero poco interessato al tutto. Le mie occupazioni preferite a lezione erano leggere il menu della mensa e dormire. Un docente un giorno mi sorprese in pieno sonno e poiché avevo interrotto la sua erezione mi allontanò brutalmente dall'aula. Non ero tipo da respingere la cultura ma volevo avvicinarmi ad essa a modo mio. Ero capace di stare pomeriggi interi in biblioteca a leggere classici della letteratura, periodici di vario genere e trattati filosofici (purché questi ultimi non fossero troppo lunghi). La mia vera passione erano anche le enciclopedie, non mi stancavo mai di conoscere cose nuove, sceglievo un nome che mi attraeva e ne scoprivo l'essenza. Per non parlare del teatro e del cinema, ero capace di escogitare mille astuzie pur di entrare gratis nelle decine di sale della città e immergermi nei sogni che solo il palcoscenico e il grande schermo possono donare. Peccato che tutto ciò non era nei programmi dei corsi. Insomma io amavo acculturami ma i miei tempi e i miei interessi non andavano di pari passo con i programmi universitari. Alle prime due sessioni non diedi neanche un esame, mamma mi impose un altro embargo. Fui costretto a procurami un lavoro per pagare le tasse e l'affitto. Fui assunto in prova in uno dei più famosi ristoranti della città Giggetto il pescatore.

    Il locale era molto semplice, anzi a dire la verità aveva un' aria quasi di abbandono che faceva venir voglia di mangiare una scatoletta di tonno ai giardini pubblici. L'ambiente era tutto in legno, con delle reti da pesca appese sulle pareti e delle luci a lanterna che illuminavano anzi rabbuiavano la sala. Noi camerieri eravamo vestiti ovviamente con magliette a righe orizzontali, pantaloni alla zuava e bandana. In compenso però la cucina era una delle migliori della città. Il proprietario, un pescarese dal volto genuino con baffi neri e guance paonazze aveva ricevuto diversi riconoscimenti da parte di importanti riviste culinarie dei quali si vantava mostrandosi severo e intransigente con chi lavorava per lui. Il primo giorno di lavoro mi disse: -Bardsce, qua se n'en te genie de fatjà sci sbagliate pust!- In effetti si trottava e anche parecchio, i cilenti andavano e venivano ed erano anche molto esigenti. Giggetto se ne stava seduto alla cassa, fingeva di leggere la Gazzetta ma non gli sfuggiva la minima cosa che accadeva in sala. Alla più piccola fesseria lanciava occhiatacce alle quali seguivano tremende cazziate in cucina. Con i cuochi era addirittura violento. Giggetto dal colore e dall'odore delle pietanze si accorgeva se un pesce, un sugo, una salsa erano fatte come si deve o meno. E quando un cuoco tentava di mascherare il tutto prendendolo per il culo gli tirava addosso piatti, pentole e ogni cosa che aveva a portata di mano. Per fortuna io servivo ai tavoli e poi siccome Giggetto era appassionato di Thomas Milian e Bombolo che io imitavo alla perfezione, mi prese in simpatia. Un giorno uno di quei clienti portati a criticare anche la perfezione si scagliò contro una cameriera. Le critiche furono così aspre che lei scoppiò in lacrime. Il cliente si alzò disgustato pagò e andò via. Giggetto che aveva assistito a tutta la scena disse: -Sta fatje ma rutt lu cazz!- Da quel giorno non fu più lui. Durante le ore di lavoro se ne andava al bar a giocare a biliardo, a pranzo con i suoi amci o a letto con Erika, la puttana di via Trieste, a pochi isolati dal suo ristorante. Tornava alla base alle undici di sera solamente per riscuotere l'incasso.

    -Gigge' ti sei fatto forestiero! Hai paura che ti scappa Erika?- gli dissi una delle tante sere che tornò a riscuotere. Qualche mese prima un'uscita del genere sarebbe stata punita con una sonora sberla. Ma ormai a Giggetto non fregava più nulla e rispose con uno schietto: -Fatt li cazza tu!- Però gli ero simpatico e si fidava di me. Il 21 del mese sarebbe venuto al ristorante Oliviero Tavani, rinomato gourmet e critico culinario, insieme alla moglie e ad un amico. Giggetto dal pomeriggio precedente si mise a lavoro per ideare un piatto degno dell'esigente critico. La sua creazione furono Cochillage in salsa Medoro. Io ebbi l'onore di servire, insieme ad un'altra cameriera, il tavolo di Tavani. -Awà ma rcummann, arcurd tutt quell ca te sò nsignat!- In effetti Tavani era un critico assai famoso visto che l'avevo sentito persino io che in ambito culinario non sapevo distiguere un uovo da una frittata. Un suo giudizio positivo valeva oro. Non nego che a me e Monica, l'altra cameriera, tremavano un po' le gambe. Tavani notava ogni minima cosa e non mangiava ma assaporava bocconi minuscoli tenendoli in bocca per minuti. Il piatto delle Cochillage era realizzato veramente con arte. Ostriche, vongole, cozze panate disposte una sopra l'altra, a castello, guarnite con la salsa Medoro di colore marrone chiaro. -Giggè ma si può sapere come hai fatto questa salsa?- gli chiesi rientrando in cucina. -Fatt li cazza tu!- ormai la risposta era un clichè. Tornai in sala e Tavani con un dito mi fece cenno di avvicinarmi al loro tavolo. Mi sentivo morire, pensavo che dovesse farmi notare che qualcosa non andava, tipo la bottiglia d'acqua finita oppure una forchetta mancante. Giggetto non mi avrebbe mai perdonato. -Ci porti un'altro piatto di Cochillage per favore!- -Subito signor Tavani!- risposi io scattante e un secondo dopo schizzai in cucina. Quel secondo piatto il critico, sua moglie e il suo amico lo mangiarono con vero appetito, mettendo da parte quel modo di assaporare così chic che avevano assunto in precedenza. Poi Tavani mi richiamò. Se mi avesse chiesto un'altra porzione di cochillage gli sarei sbottato a ridere in faccia.

    -Per favore mi chiami lo chef!- Rientrai in cucina come un missile e tutti tranne Giggetto pendevano dalle mie labbra per sapere il responso. -Giggè quelli vogliono te!- -Sò capit'!- disse risolutamente. Si alzò, si sistemò i baffi e i capelli specchiandosi al fondo di una padella in acciaio e fece il suo ingresso trionfale in sala. Noi guardavamo la scena dagli oblò della cucina. Quando l'imponente corporatura di Giggetto si avviò verso il tavolo, in sala si fece silenzio e la tensione si poteva tagliare col coltello. -Signor Giggetto, premettendo che questo piatto è di grande semplicità ma come lei saprà spesso le cose semplici sono le migliori...- Giggetto stava in piedi con le braccia dietro la schiena e uno sguardo che diceva Mo vedemm che s'addà 'nventà cussù! -Il piatto- continuò Tavani -è realizzato con grande maestria, l'equilibrio tra il cochillage e la salsa è perfetto!- Applausi scroscianti da tutta la sala e urla da noi in cucina. -Grazie signori, troppo buoni!- rispose Giggetto per la prima volta in un italiano perfetto senza la minima inflessione dialiettale. -Buona è la sua cucina- intervenne la signora Tavani -ora però deve rivelarci il segreto della sua salsa!- -Ma signora non so se...- Giggetto si aspettava

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