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Cose dell'altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento
Cose dell'altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento
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Ebook259 pages2 hours

Cose dell'altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento

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Questo studio si propone di esaminare la letteratura fantastica del Novecento in Italia. Nel nostro paese, diversamente dai paesi d’oltralpe, è nel XX secolo che si assiste a un’autentica fioritura di opere legate a questo modo letterario e la specificità del fantastico italiano va cercata proprio nel Novecento. Il fantastico del Novecento fa leva non tanto sull’angoscia e sul terrore quanto sulla perdita di armonia con noi stessi e con il mondo attorno a noi, sul senso di smarrimento, sulla minaccia alle nostre abitudini, sull’esistenza di eventi straordinari, come dimostrano nei loro scritti Papini Pirandello Savinio Buzzati e in tempi più recenti Calvino Levi Ortese Tabucchi… Vista in questi termini, la letteratura fantastica del Novecento pone domande che non trovano risposta e da questo trae la consapevolezza che non esiste una verità univoca, ma una serie infinita di possibili verità che, alla fine, si rivelano tutte illusorie.
LanguageItaliano
Release dateJun 14, 2011
ISBN9788866330141
Cose dell'altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento

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    Cose dell'altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento - Silvia Zangrandi

    Coriandoli

    Silvia Zangrandi

    Cose dell'altro mondo

    Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento


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    Premessa

    «E sebbene voi dobbiate aspettarvi, o lettori, di conoscere attraverso questo libro più d’un personaggio contagiato dal nostro morbo fantastico, sappiate che il malato più grave di tutti lo avete già conosciuto. Esso non è altro se non colei che qui scrive: son io»

    (Elsa Morante)

    Questo studio si propone di esaminare la letteratura fantastica del Novecento in Italia. Nel nostro paese, diversamente dai paesi d’oltralpe, è nel XX secolo che si assiste a un’autentica fioritura di opere legate a questo modo letterario e la specificità del fantastico italiano va cercata proprio nel Novecento. La letteratura, libera dai vincoli di razionalismo, rappresentatività e mimeticità imposti dal positivismo, tramite il fantastico è in grado di scandagliare la psiche dell’uomo e di parlare delle ansie legate alla modernità. Il fantastico del Novecento fa leva non tanto sull’angoscia e sul terrore quanto sulla perdita di armonia con noi stessi e con il mondo attorno a noi, sul senso di smarrimento, sulla minaccia alle nostre abitudini, sull’esistenza di eventi straordinari. Sembra che tali accadimenti si agitino nella vita di tutti i giorni, nella quale si attestano apparizioni inspiegabili, fenomeni imprevisti che vengono registrati puntualmente dai narratori fantastici. Vista in questi termini, la letteratura fantastica del Novecento pone domande che non trovano risposta e da questo trae la consapevolezza che non esiste una verità univoca, ma una serie infinita di possibili verità che, alla fine, si rivelano tutte illusorie.

    Parlare di fantastico del Novecento è operazione rischiosa: la ricchezza di studi di impianto critico pubblicati anche in tempi recenti indurrebbe ad astenersi dal fare ulteriori riflessioni sull’argomento. Tuttavia, la produzione copiosa che accompagna tutto il secolo e che continua tuttora, ci ha spinti a proporre un viaggio nel fantastico del XX secolo per cogliere le trasformazioni che esso ha subito nel corso del secolo, per mostrare come questo modo letterario sia fortemente legato alla realtà, della quale evidenzia vizi e virtù.

    Il volume è diviso in due parti: la prima parte affronta il discorso dal punto di vista teorico; la seconda parte considera il fantastico alla luce di alcune macroaree (la città; la satira della società; le narratrici del fantastico). Il nostro studio si apre considerando i testi critici più autorevoli volti alla ricerca di una definizione di fantastico, senza trascurare di inoltrarsi nel terreno minato della definizione di fantastico come genere o modo letterario; successivamente la nostra attenzione si rivolgerà al fantastico del Novecento. Il fantastico del Novecento deve molto all’esperienza del secolo precedente e temi, motivi, topoi precipui del fantastico ottocentesco intervengono nei narratori del Novecento, ma con modalità ed esiti diversi. Mentre del racconto fantastico ottocentesco colpisce l’inserzione repentina di situazioni mostruose e di un aldilà demoniaco popolato da spiriti e figure minacciose apparentemente prive di legami stretti col quotidiano, diversamente del fantastico novecentesco colpisce che all’interno di situazioni inspiegabili si possano riconoscere elementi della vita di tutti i giorni. Il fantastico non si colloca più al di fuori della realtà, ma si àncora saldamente a fatti veri, si insinua in zone conosciute e quotidiane fornendo della realtà immagini deformate e straordinarie, portando così l’ignoto nel noto e nel familiare. Il fantastico del Novecento presenta un aldilà interiore, psicopatologico e inconscio, attinge dalla cultura e dalla società del suo tempo, presenta la solitudine e l’ansia dell’uomo di fronte al mondo tecnologico, spesso denunciandone gli eccessi o parodizzando i costumi. Per essere preso in considerazione dal mondo contemporaneo, il fantastico non aspira a un uso emozionale dei suoi elementi, ma a una meditazione sugli incubi e sulle tensioni dell’uomo moderno. Con il progressivo affermarsi della società di massa, l’individuo si sente in balia di forze che non riesce a controllare, di grandi sistemi sociali, economici, burocratici la cui logica è spesso incomprensibile e assurda, disorienta e intimorisce. La percezione del reale viene messa in crisi, gli stessi progressi della scienza, anziché restringere il campo dell’ignoto, lo allargano, cancellando il confine tra reale e impossibile. Perciò nel Novecento, e in particolare nella seconda metà del secolo, la letteratura fantastica intraprende una strada di segno opposto rispetto alla tradizione fantastica ottocentesca: i testi fantastici novecenteschi non puntano a terrorizzare il lettore, intendono invece lasciarlo attonito perché l’assurdità della situazione descritta è in realtà credibile e possibile, puntano sul paradosso, sfociano nell’ironia, nello scherzo, ma affidano sempre alla pagina un’ombra di incertezza. Alcune componenti peculiari del fantastico continuano ad attrarre l’attenzione di scrittori a noi vicini temporalmente, ma sotto una prospettiva fortemente disorientante, in un’atmosfera a metà strada tra comicità e angoscia in cui le descrizioni realistiche contrastano con la situazione irreale e l’abilità nel ritrarre ambienti e persone con grande precisione si scontra spesso con l’assurdità della situazione, lasciando volutamente smarrito il lettore.

    Come si vedrà, tra i testi appartenenti alla letteratura fantastica emerge la predilezione per la narrazione breve (sono pochi i romanzi ascrivibili a questo modo): la forma breve del racconto sembra essere in grado di cogliere più facilmente la frammentazione del mondo e di potenziare aspetti, giochi e combinazioni della realtà. Il racconto breve è fornito di autonomia, di strategie testuali che mettono in campo l’uso di elementi coesivi, costruisce un effetto centrale attorno a cui si combinano episodi e verso cui devono tendere tutti i particolari e un finale che deve dar vita a uno scioglimento inatteso. In un racconto breve grande risalto viene dato al finale e a un finale inatteso e imprevedibile: facilmente si leggono racconti che parlano di incontri fortemente connessi col reale e solo nelle ultime righe si scopre che le entità con le quali si sono intrattenuti i personaggi sono morte da tempo; altri che narrano di porte che celano chissà quali mondi, ma che si concludono con il dubbio che il narratore abbia sognato; altri che propongono incontri premonitori, oggetti che si animano, raddoppiamenti, cambiamenti metamorfici: tutti alla fine terminano con un finale che crea uno scioglimento inatteso.

    Il racconto fantastico pare prediligere le strutture metadiegetiche (il racconto è spesso raccontato da qualcuno al quale è stato a sua volta raccontato), fa ricorso a manoscritti, lettere e documenti che certificano dall’esterno l’attendibilità del resoconto; questo reale così particolare viene accreditato tramite l’impiego di presunte fonti orali o scritte, di dialoghi tra personaggi che danno vita a combinazioni sconcertanti. Si assiste così alla compresenza di diverse strategie narrative: a volte gioca un ruolo centrale la struttura dialogica, grazie alla quale i dati forniti dal narratore in prima persona vengono modificati e, se necessario, rettificati; a volte sono le riflessioni di chi narra a intrattenere il lettore; altre volte ancora l’andamento epistolare è usato come stratagemma per integrare il racconto e consentire l’ingresso di un diverso punto di vista. Il lettore viene immerso nella storia grazie all’utilizzo di un narratore in prima persona, particolarmente efficace dal punto di vista emotivo: può essere un testimone degli avvenimenti o lo stesso protagonista che ricorda a distanza di tempo gli eventi che lo hanno coinvolto e dei quali assicura la verità. Il narratore in prima persona privilegia destinatari espliciti – destinatari di lettere, ascoltatori diretti di un racconto, narratari – che sollecitano tramite domande la continuazione del racconto o la richiesta di chiarimenti e che facilitano l’identificazione tra il lettore implicito e il lettore esterno al testo. Spesso nei racconti del Novecento il narratore che ha vissuto i fatti o che ne è testimone lascia il finale sospeso, oppure il protagonista è in preda all’alcool, oppure, di fronte all’inesplicabilità degli avvenimenti, insinua il dubbio che tutto sia stato un sogno, oppure il fatto strano è definito come allucinazione o superstizione, oppure è talmente assurdo che non intacca l’ordine naturale delle cose. Appare chiaro perciò che la letteratura fantastica, soprattutto nel secondo Novecento, non è più letteratura di consumo ma, per la sua forte componente letteraria, per il ricorso all’intertestualità, al gioco metanarrativo, allo scardinamento delle sequenze temporali, ai salti di registro stilistico, all’intricarsi di narrazioni, è letteratura che richiede competenze specifiche al lettore, spesso chiamato in causa. A questo punto entra in causa il rapporto (o più precisamente, il patto) tra narratore e lettore, che deve essere di complicità e di identificazione: il lettore svolge un ruolo attivo e partecipa alla condizione di incredulità, di meraviglia, di incapacità di spiegare l’inspiegabile. Questo tipo di narrativa coinvolge il lettore secondo due modalità: lo può portare in un primo momento in un mondo a lui familiare, tranquillo, accettabile, per poi immettere i meccanismi della sorpresa, del disorientamento, dell’angoscia a causa dei quali il lettore, in compagnia del protagonista, si trova dentro due dimensioni diverse e fatica a orientarsi; oppure, anziché presentare situazioni reali che gradatamente introducono l’avvenimento strano, immette il lettore immediatamente nell’avvenimento strano e l’irrazionale viene introdotto con pacatezza e distacco tanto che l’incredibile assume gradatamente un’aria sempre più naturale e ovvia (si pensi a La metamorfosi di Kafka che si apre con Gregor Samsa trasformato in scarafaggio): tale modalità costituisce la grande novità del fantastico novecentesco.

    Dal momento che l’oggetto che determina il fantastico non può essere rivelato nella sua totalità, è necessario che lo si intraveda appena: occorre perciò ricorrere a giochi linguistici, analogie, comparazioni in modo da renderlo un oggetto esclusivamente verbale. La letteratura fantastica gioca col linguaggio, creando, manipolando e associando immagini, punta sulle sue facoltà creative in quanto solo le parole possono creare una nuova e diversa realtà. Il modo fantastico utilizza le potenzialità del linguaggio per caricare di valori le parole al fine di creare la sua realtà, ricca di contraddizioni e incontri degli opposti. Il gioco verbale ha la funzione di conferire carattere magico al linguaggio ormai abusato della quotidianità: si giustificano così i frequenti ricorsi a climax, iperbole, ossimoro, ellissi, aggettivazione fortemente connotata, sinestesie e metafore che concorrono a incrementare la visibilità del dettato. Il continuo aggrumarsi e sciogliersi nell’avvicendamento degli avvenimenti creano quel fantastico misterioso, strano, intellettuale, allegorico e metaforico che lascia il lettore perplesso e smarrito. Il fantastico investe il testo anche a livello stilistico e la narrazione mostra i limiti del linguaggio che deve dare un nome a una realtà che non è spiegabile. Per dare voce alle cose del mondo prive di voce, la scrittura si distingue per l’intensa aggettivazione che propone le combinazioni più diverse (prenominali, postnominali, a sandwich, in triade, in elenco…). Il fantastico punta sull’iconicità e sulla figuratività sia tramite specifiche scelte linguistiche, sia nella scelta di elementi tematici che coinvolgono la sfera visiva.

    La narrazione fantastica del Novecento si nutre continuamente di elementi provenienti dal quotidiano, di cui sottolinea le contraddizioni, esamina ordine e disordine, porta la descrizione fino a un punto in cui i confini con la realtà si fanno labilissimi. Nella seconda parte del nostro lavoro il fantastico viene declinato alla luce di alcune macroaree (la città; la satira della società; le narratrici del fantastico). Gli avvenimenti apparentemente straordinari e contrari alle leggi fisiche e naturali hanno luogo non in un altro mondo, estraneo alla nostra esperienza quotidiana, ma in un mondo reale percorso abitualmente. In verità, la scelta di luoghi dove avvengono eventi fantastici che di per sé non hanno niente al di fuori dell’ordinario inizia con i maestri francesi del fantastico di metà Ottocento e si intensifica con quelli novecenteschi: grandi città, con le loro strade, i giardini, le abitazioni, diventano luoghi dove ambientare le storie. Per dimostrare questa asserzione, nella seconda parte è stato dedicato un paragrafo alle città reali che vanno oltre il reale: ci aggireremo tra città note per dimostrare come il fantastico abbia bisogno di un fondamento di realtà per poter prendere vita. Gli incredibili incontri narrati da Giorgio Manganelli avvengono a una fermata dell’autobus, lungo una strada affollata, davanti a un negozio di abbigliamento; a Roma Alberto Savinio e Giorgio Vigolo ambientano numerose storie fantastiche nelle quali fanno emergere il suo leggendario passato e la sua aura di misterioso fascino descrivendo alcuni angoli famosissimi della città eterna; l’incanto della città di Venezia causerà nella protagonista del racconto Visita di Elsa Morante grande turbamento e la donna avrà l’impressione di essere diventata uno spirito, un’ombra portata in stato di sonno in questo mondo irreale; a Berlino Primo Levi ambienta alcuni racconti; altrettanto farà Antonio Tabucchi con Lisbona e Dino Buzzati, milanese d’adozione, con Milano.

    Il paragrafo successivo si occuperà invece delle diverse modalità con le quali alcune narratrici novecentesche si sono dedicate al fantastico e indagherà quali sono le caratteristiche precipue del fantastico trattato dalle donne, quali aspetti sono comuni e quali sono i percorsi individuali intrapresi da ciascuna delle narratrici qui considerate. La predilezione per il modo fantastico non rappresenta una possibilità di fuga dal reale, ma una modalità diversa di fare i conti con la realtà. La breve passeggiata che compiremo attraverso l’opera di alcune narratrici italiane evidenzierà innanzitutto come la scrittura sia considerata una pratica di conoscenza di sé e del mondo; secondariamente si scoprirà che la sensibilità femminile nei confronti del perturbante è diversa da quella maschile: l’accoglienza che le donne tributano a tutto ciò che è diverso da loro, sia esso animale, vegetale, reale o appartenente a sfere diverse dal sensibile, si manifesta come apertura, accettazione dell’alterità nella consapevolezza che per potersi definire e conoscere ci si debba aprire al diverso da sé. Accanto alla produzione di Anna Maria Ortese, che sicuramente è la scrittrice che più marcatamente rappresenta tale tendenza (l’apertura verso l’altro, la volontà di conoscere per conoscersi si esplicita attraverso le sue creature storpie: iguana, cardillo, puma, draghi, folletti…), troviamo un numero consistente di donne nella cui produzione tutto ciò che è estraneo, paradossalmente, viene accolto come una parte di sé: le pareti domestiche si aprono al nuovo, il sogno non si oppone alla veglia ma si confonde con essa diventando addirittura il collegamento tra ciò che è tangibile e ciò che è impalpabile, come nel fantastico onirico di Lalla Romano, come per Eulalia dell’omonimo racconto di Capriolo e per Astra protagonista del romanzo di Benedetta Cappa Marinetti, in cui la realtà si mescola e si confonde con il sogno e genera immagini che vanno oltre il tempo e lo spazio. Analogamente, negli scritti di Elsa Morante le strutture che supportano la realtà, come la società con le sue rappresentazioni, le sue cerimonie, i comportamenti dei suoi componenti, sono la prova che la realtà non è che apparenza e quindi proprio qui vivono il mistero, il sogno, l’irrealtà. Accanto al sogno, una tematica fondamentale è rappresentata dal rapporto donna-casa che viene realizzato dalle narratrici fantastiche secondo diverse tipologie: donne come la Massaia di Paola Masino che si identificano con la loro attività di custodi della casa anche nel post-mortem (la Massaia rappresenta da un lato l’aspirazione a conferire tangibilità a tutto ciò che è invisibile e dall’altro l’impossibilità di alterare le norme maschili: infatti, neppure da morta la Massaia riesce a liberarsi dalla sua figura di sposa e angelo del focolare); donne che, non appena escono dagli ambienti rassicuranti della propria abitazione, perdono l’orientamento e soffrono una sorta di agorafobia (Morante); donne che riescono ad aprire la propria casa al nuovo, all’altro (Ortese).

    Il terzo paragrafo si propone di dimostrare come il fantastico non rappresenti un’occasione di svago ma al contrario sia per molti l’occasione per parodiare e denunciare comportamenti errati. Scrivere racconti fantastici nel XX secolo rappresenta l’occasione per molti scrittori di riflettere sui comportamenti della società in cui viviamo, per irriderla e per evidenziarne i difetti: l’obiettivo è quello di far ragionare il lettore sui rischi che si stanno correndo se non si includerà l’intero universo nel proprio orizzonte etico. Scienziati che manipolano la materia alla ricerca spasmodica dell’immortalità; la violazione della natura da parte dell’uomo e la conseguente ribellione da parte della prima; il perbenismo borghese, il consumismo e le moderne schiavitù; le difficoltà di relazione interpersonale sono argomenti che vengono trattati tramite le modalità del fantastico con l’intento di far riflettere su problemi reali che affliggono l’uomo moderno, quali la solitudine e l’incomunicabilità. La nostra rassegna si apre con un tema che ha affascinato diversi scrittori del Novecento ed è legata alle scoperte scientifiche che nel secolo appena trascorso hanno raggiunto mete impensate e avveniristiche, che però creano ansia: la ricerca dell’eterna giovinezza. Giovanni Papini, con la novella Il giorno non restituito, ci presenta un gioco angoscioso e triste col tempo che dimostra come il suo fluire sia inesorabile, impossibile ricattarlo o prolungarlo a piacere; Alberto Moravia nel racconto Paese senza morte tratta il tema dell’immortalità descrivendo un imprecisato paese dove, grazie a grandiose scoperte scientifiche, nessuno muore: gli uomini, giunti a sessant’anni, tramite oscuri procedimenti scientifici, tornano neonati e iniziano nuovamente il ciclo vitale. Italo Svevo (Lo specifico del dottor Menghi) ci parla di uno scienziato che cerca novità stupefacenti, che vanno dal voler porre freno alla vecchiaia al voler trasformare la natura umana; per Primo Levi occuparsi dell’esasperata e a volte insensata ricerca medico-scientifica è un modo per alludere agli orrori dei campi di sterminio nazisti dei quali è stato testimone inerme: Levi si fa moralista e mostra come la ricerca scientifica senza scrupoli conduca alla rovina (Versamina; Angelica farfalla; Disfilassi). Anche Dino Buzzati allerta i suoi lettori riguardo ai pericoli a cui può giungere la sperimentazione senza limiti e la scienza senza etica, come mostra in L’esperimento di Askania Nova raccontando un esperimento tra apocalittico e catastrofico che crea ibridi mostruosi. Vi sono scritti che si occupano del tema della natura violata: L’uccisione del drago di Dino Buzzati è una sorta di favola ecologica, un modo di cantare la natura offesa dall’uomo; per Anna Maria Ortese parlare di draghi è il pretesto per parlare della cattiveria dell’uomo che di fronte alla bontà risponde con la crudeltà. Il tema della natura violata è rappresentato anche in alcuni scritti di Stefano Benni, come Spiriti e certi racconti della raccolta Il bar sotto il mare, dove il degrado ambientale si accompagna con frequenza al degrado morale. Primo Levi nei racconti Pieno impiego, Ammutinamento, Ottima è l’acqua indaga l’uso strumentale della natura da parte dell’uomo: la malvagità e la perversione umana riescono a trasformare il rapporto uomo-Natura da scambievole e paritetico a disarmonico e tirannico.

    Il fantastico del Novecento si fa gioco anche del perbenismo borghese basato sulle apparenze, sulle relazioni opportuniste, si vedano gli animali che assumono le caratteristiche umane nel volume Bestie del 900 di Aldo Palazzeschi oppure Le metamorfosi di Alberto Moravia. Moravia con frequenza ironizza e fantastica sui vizi della società: nel racconto L’Albergo Splendido, con toni irriverenti, deride certi rituali della borghesia descrivendo il matrimonio tra una ragazza «arricchita di fresco» e un ragazzo di antica nobiltà. La verità sul caso Motta di Mario Soldati illustra in più passaggi l’ipocrisia e il pensiero bigotto che imperversava negli anni in cui fu scritto il romanzo.

    Quando i narratori del fantastico si occupano della società nella quale vivono non mancano di considerare problematiche legate al consumismo, all’alienazione dell’uomo moderno, alla sua

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