Vincere un premio in un concorso nazionale di poesia e raccontarlo... si può
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Vincere un premio in un concorso nazionale di poesia e raccontarlo... si può - Marco Biffani
Marco Biffani
Vincere un importante premio di poesia e raccontarlo... si può
Abel Books
Proprietà letteraria riservata
© 2015 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
ISBN 9788867521388
Chi scrive poesie, romanzi, opere teatrali, o anche semplicemente saggi o racconti, lo fa soprattutto perché sente il bisogno insopprimibile di farlo, di raccontarsi, di esprimere in qualche modo quello che in quel momento gli è capitato, che ha provato, che ha sentito e vuole farne partecipi gli altri.
Più che per passare alla storia per aver prodotto un’opera importante e goderne la gloria, credo che sia per quella sensazione che si prova quando si racconta, alla propria donna o ai propri amici quel particolare fatto che è avvenuto, quell’originale film che si è visto, quelle bellezze di cui si è goduto in quel viaggio, quanto era interessante quel libro appena letto.
Per condividere con lei, con loro, le emozioni provate che, se non si raccontano, non si esprimono, non si manifestano in qualche modo, valgono di meno. Appassiscono più rapidamente, sfuggono via senza valere qualcosa, senza che te ne sia avvalso in qualche modo.
E questo anche se sono cose banali, casuali, che capitano a chiunque e non hanno, in assoluto, alcun valore per gli altri. Magari solo perché ti danno, in quel momento, uno spunto per parlarne, perché ti puoi attribuire la figura del protagonista, per attirare su di te l’attenzione, l’interesse degli altri, di chi ti guarda, ti vive accanto, che magari ti giudica mediocre o solamente normale. Ti fa uscire dalla banalità, ti fa sentire attore al quale non capitano casualmente certe cose. Che, in qualche modo, te le sei meritate, ti erano dovute.
Il far valere il tuo giudizio, la tua critica, il tuo stile anche nello scegliere e nel raccontare una barzelletta.
Questo forse perché, più che temere il giudizio degli altri, aspiri a conquistarne la stima l’apprezzamento, in qualche modo il favore.
Anche il piacere di illustrare qualcosa, usando il proprio frasario, la propria mimica, i propri atteggiamenti nel raccontarlo a qualcuno, nel descriverlo, nel proporre le sensazioni provate, esaltandone magari l’eccezionalità, da a chi lo fa, un piacere difficile a descriversi, ma che certamente ha un valore per se stessi.
Chi non ha una compagna, degli amici o parenti con cui dialogare, in genere è un depresso e la solitudine si ritorce contro di lui per la impossibilità di condividere, a parole, quel che si prova anche nella vita di tutti i giorni o nei pochi accadimenti occasionali come il guadagno di 10 euro al gratta e vinci
, un sopruso mal sopportato, il piacevole incontro con una vecchia fiamma….
Un tramonto, se non lo si apprezza in due, è solamente la fine a colori di una giornata!
Se non ne parli, i fatti, sembrano non avere valore. Lo assumono solo descrivendoli a qualcuno, condividendoli con altri, pronto a controbatterne i se e i ma per sostenerli, difenderli, discuterne. Viene attribuito a Jim Morrison il detto La solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno
.
Vedo nel dialogare, nella ricerca della compartecipazione, della condivisione di sensazioni, di sentimenti, di emozioni, quasi una cura alla solitudine nella quale inevitabilmente si cade quando – per diffidenza, esperienze negative, timore del rifiuto, paura del ridicolo, per un senso di inferiorità, di inutilità o altro - si evita il rapporto con gli altri. Di aprirsi con loro. Di instaurare un colloquio.
Per chi se la sente, poi, il metterli per iscritto è quasi una conseguenza logica.
Se se ne parla hanno un gusto diverso. Il piacere sottile nel descriverli, nel magnificarli, nel farli apparire magari eccezionali;