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Giallo Francia
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Ebook110 pages1 hour

Giallo Francia

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La Francia osservata attraverso le lenti d'ingrandimento dell'evento più antico e amato: le due ruote del Tour de France. Dall'orgoglio un po' sciovinista alla giustificata grandeur, seguendo per un mese un ricciolo (Grande Boucle) lungo 3664 chilometri e 21 tappe attraverso le peculiarità di un territorio generoso di storia, bellezza, gastronomia. Le mille briciole raccolte come Pollicino sulle strade del Tour raccontano in tono scanzonato la Francia e i francesi, sfatando qualche pregiudizio. Dall'ossessione per la conservazione della lingua ai paradossi di una macchina organizzativa poderosa, una narrazione che parte dai luoghi della Grande Guerra e termina sotto le querce del Périgord, a caccia di tartufi, passando insieme a Vincenzo Nibali sotto il traguardo di Parigi. Senza mai smettere di mulinare sui pedali.
LanguageItaliano
PublisherPOLARIS
Release dateNov 20, 2015
ISBN9788860591708
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    Giallo Francia - Gaia Piccardi

    GIALLO FRANCIA

    un’inviata speciale sulle strade del Tour

    Di

    Gaia Piccardi

    Prima edizione cartacea: 2014

    Prima edizione ebook: 2015

    Copyright ©2015 Polaris

    ISBN 9788860591708

    Casa Editrice Polaris

    www.polariseditore.it

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, o registrata in database, senza il permesso scritto dell’editore.

    Benché sia stata prestata la massima attenzione nella raccolta delle informazioni contenute nella guida, nessuna responsabilità per eventuali danni o inconvenienti occorsi a cagione del suo utilizzo potrà essere imputata all’autore, all’editore o a chi, sotto qualsiasi forma, la distribuisce.

    Sommario

    CHILOMETRO ZERO

    LILLE

    ARENBERG

    NANCY

    GÉRARDMER

    PLOMBIÈRES-LES-BAINS

    PLA D’ADET

    BERGERAC

    PAU

    CARCASSONNE

    COL D’IZOARD

    SORGES

    PARIGI

    CHILOMETRO ZERO

    Ah, le Tour de France....

    C’è qualcosa di magico e quasi sovrannaturale in quelle dodici lettere spalmabili come morbido brie su quattro sillabe, che attraversano la Francia su un sellino e due ruote sin dal 1903.

    Centouno anni, e non sentirli.

    L’abbreviazione del titolo nobiliare – da Tour de France a, semplicemente, Tour –, è un privilegio per pochi eletti: ministri della Repubblica parlamentare francese, ex plurivincitori, forestieri non abbastanza in confidenza con l’istituzione massima dello sport dei cugini. In quest’ultimo caso, però, dire Tour è squalificarsi da soli: l’interlocutore di casa ve lo permetterà solo nella convinzione che lasciarvelo fare sia un’implicita ammissione d’inferiorità culturale e psicologica (vostra).

    Spezzare il mito è un affronto che in Francia nessuno si permette di azzardare, come se tourdefrance fosse una parola unica e granitica e asessuata, un marchio di fabbrica, un molosso inscalfibile tipo alaindelon, ouijesuiscatherinedeneuve oppure ladditionsilvousplait: una di quelle perifrasi, insomma, che i francesi pronunciano in un solo fiato, facendo rotolare a valle le erre, spesso con aria estatica e sguardo conficcato nell’orizzonte, come se sull’onda di un’irrefrenabile ispirazione stessero salmodiando le ragioni stesse del loro essere francesi.

    La verità è che nessuno può dire di conoscere la Francia e i francesi, per quanti viaggi abbia fatto oltralpe, se prima non ha assaggiato il Tour de France.

    Assaggiato, sì.

    Con tutti e cinque i sensi. Letteralmente.

    Il suo asfalto: 3664 chilometri.

    Le pagine del suo diario di viaggio, il feuilleton che nell’anno di grazia 2014 ho avuto la fortuna di sfogliare come inviata del quotidiano per cui lavoro, il Corriere della Sera: 23 giorni di festa mobile mai uguale a se stessa. Le sue mille declinazioni: ventuno tappe, nove di pianura, sei di montagna, cinque arrivi in quota, una cronometro individuale. I suoi 198 protagonisti: molti enfants du pays (44), qualcuno uomo-squadra (l’argentino, l’irlandese, il lettone e il mitico cinese, Ji Cheng: eroico spermatozoo con sorella al seguito scampato chissà come alla politica-del-figlio-unico imposta dal governo di Pechino, ultimo dall’inizio alla fine con un basso profilo e una coerenza che avrebbero esaltato Mao Tse-tung), dal più giovane (l’olandese Danny Van Poppel, 20 anni) al più anziano (il tedesco Jens Voigt, 42 anni), curiosamente riuniti sotto la bandiera dello stesso team. Il Tour de France, per la lunghezza dell’on the road a cui ti costringe e la sua natura di servizio giornalistico itinerante come nessun altro al mondo, è un viaggio ultra-sensoriale nella pancia della Francia e dei francesi, che non tutti i giorni, forse, avrebbero voglia di essere passati ai raggi X dalla mandria di cronisti stranieri in transumanza da nord a sud, assecondando quell’affascinante ricciolo che nel luglio 2014 si è srotolato in senso orario, come la tradizione della Grande Boucle impone.

    (Dall’inizio del secolo scorso il Tour, che abbonda di aneddoti ma difetta di modestia, persegue l’obiettivo della perfezione: scrivere un cerchio ideale dentro l’esagono dei confini della Francia. Un anno prima le Alpi dei Pirenei, l’anno seguente viceversa. Il sogno di Henry Desgranges, ideatore della corsa, si è diluito strada facendo nelle nuove esigenze pubblicitarie, annacquato dal desiderio di toccare dipartimenti mai sfiorati, località inedite, vette inesplorate e persino la ventiduesima regione metropolitana: la Corsica, Grand Départ 2013 nell’edizione del centenario).

    Tourdefrance, al Tour de France, è la parola magica in grado di scardinare porte, spalancare cuori, inumidire ciglia, rendere possibili minuscoli e giganteschi miracoli: far riaccendere fornelli sotto cucine di ristoranti già chiusi e riaprire bottiglie di Merlot appena riposte nella credenza, per esempio, portoni di castelli serrati, alberghi placidamente addormentati, bocche rigidamente cucite. Buonasera, sono qui di passaggio, al seguito del Tour de France...

    Ah, le Tour!. Abracadabra, alla francese. Ho visto fessure torve di burberi osti del Périgord trasformarsi in occhi ridenti di bambino, baffi spioventi di albergatori ombrosi rigirarsi come per incanto all’insù, bazze di vecchie indurite dalle asperità dei Vosgi allargarsi in sorrisi sdentati da ex belle ragazze. Ho visto cose che voi umani eccetera eccetera perché il Tour coltiva nel suo nucleo un potere taumaturgico su chi lo popola, chi lo cavalca, chi lo subisce e persino su chi lo tange solo di sguincio, perché essere scelta come città di partenza o di arrivo, o semplicemente accomodarsi all’intersezione di una tappa, significa piazzare la bandierina sulla mappa del mondo, finire dentro le spettacolari riprese aeree con cui la poderosa produzione di France 2 riempie interminabili ore di diretta tv e, non ultimo, far svoltare la stagione: durante le 24 ore di passaggio a volo radente dei ciclisti e del loro codazzo, si può fatturare come nel corso di un’intera estate (1450 letti scaldati, ad ogni stop, solo dall’organizzazione e dai gruppi sportivi, più tutto il resto), perché nella scia della cometa Tour restano impigliati anche cicloamatori, viaggiatori erranti, turisti, semplici curiosi, avventizi, sbadati e chissà quanti altri.

    Sarà per questo che gli abitanti del Tour del France, che ogni anno cambia percorso senza modificare le sue caratteristiche di base - un’esperienza, cioè, eno-sportiv-cultural-meteo-gastronomica radicata nel dna della Francia come un ulivo centenario alla sua terra (a testimonianza di questa grande e immutabile verità pare che il direttore generale del Tour, Christian Proudhomme, sia stato convinto ad acconsentire che la corsa nel 2014 partisse in Inghilterra, oltre che dagli zeri sull’assegno, da un’abbuffata di agnello dello Yorkshire, rosolato a puntino in loco dallo chef Simon Guellor), un viaggio di vita, ben prima che di lavoro -, gli abitanti del Tour dicevamo sono animati da un buon umore contagioso e innervati da un orgoglio di appartenenza che li fa rimanere, da mane a sera, alla faccia della tensione e della stanchezza, dritti come giunchi nella tempesta.

    Sentitevi liberi di insultare i parenti stretti di un francese (a vostro rischio e pericolo). Però non toccategli mai, per nessun motivo, il tourdefrance.

    E’ un consiglio da amica. Uh, povera te, un mese in Francia tra i francesi, sospiravano i conoscenti poco inclini allo sciovinismo alla vigilia della partenza che avrebbe cambiato, per sempre, la cifra sul contachilometri del mio personalissimo lunotto (mille chilometri percorsi in Inghilterra, da dove la corsa è scattata il 5 luglio 2014, più 4 mila abbondanti in Francia) e certi punti di vista sugli amati/odiati cugini, di cui

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