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Alchimia & Spagiria: La completezza dell'Essere
Alchimia & Spagiria: La completezza dell'Essere
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Alchimia & Spagiria: La completezza dell'Essere

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About this ebook

Questo diario di un Alchimista è il Cammino, l'atto di dirigersi oltre, di colmare tutti quegli spazi che ci separano dall'indefinito per potersi finalmente protendere verso l'infinito.
Esposte in maniera semplice e intuitiva, in queste pagine troverete preziose informazioni, spesso inedite, su quello che è stata e continua ancora ad essere l’antica Scienza dell’Alchimia e della Spagiria: Cabala e Alchimia; Alchimia
Indiana; Alchimia Araba; Alchimia Cinese; Alchimia Taoista; Alchimia Mistica; Alchimia Metallurgica; I 4 elementi; I 3 principi: Zolfo,Mercurio, Sale; Microcosmo e Macrocosmo; Incontro con Roger Carò, i Rosacroce e le loro emanazioni; I Templari; Enigmi Templari; Gli Esseni e i Monaci Alchimisti; Alchimia Pratica: la Via del
Cinabro; Materiali e metodi; Astrologia e Alchimia; Iatrochimica; Aurum Potabile; La Pietra filosofale; Come ottenere la Pietra Filosofale; I tre principi del regno vegetale; Paracelso; Procedimento pratico in terapia spagirica; Correlazione tra metalli e piante; Tinture spagiriche; Dizionario alchemico.
LanguageItaliano
Release dateNov 29, 2013
ISBN9788863651676
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    Alchimia & Spagiria - Joseph Cannillo

    1. LA FORMAZIONE SCIENTIFICA

    Ho passato gran parte della mia vita studiando, e posso dire con estrema certezza che, in fondo, non ho mai smesso di farlo.

    Attratto dalla scienza, ho scoperto, man mano, che si può apprendere molto guardando al futuro, all’innovazione, a quella sana curiosità che alimenta (o dovrebbe alimentare) lo scienziato e il ricercatore; ma si apprende anche osservando universalmente ognuna delle materie trattate, guardando avanti e indietro, comparando le antiche conoscenze.

    Così facendo si finirà facilmente con lo scoprire che, in fondo, nulla di nuovo si agita su questa terra, che tutto è stato sempre presente, fuori e dentro di noi. Ho seguito le strade della biologia, le leggi della chimica e quelle della fisica, ho imparato molto predisponendomi all’ascolto senza mai tirarmi indietro, sempre alla ricerca di quel sottile filo, invisibile ai più, che tiene saldamente legate tra loro le conoscenze di ieri, le scoperte di oggi e le riscoperte di domani.

    Fu proprio durante uno dei tanti intervalli tra una materia e l’altra, intervalli passati sfogliando libri o sostando in laboratorio spinto da quell’irrefrenabile bisogno di rimanere a stretto contatto con il sapere, che accadde l’imprevisto.

    Forse doveva andare proprio in quel modo, forse era tempo che le infinite vie del destino, le innumerevoli possibilità di scelta a me riservate, si incontrassero in un unico luogo, prendessero forma, in attesa di una mia decisione che avrebbe potuto cambiare l’intero percorso della mia vita e di quella di coloro che mi stavano accanto in quel preciso periodo.

    Per quanto ci sforziamo di immaginare che tutto dipenda dalla casualità, questo concetto non esprime esattamente il disegno cosmico, una moltitudine di vie che non rappresentano cammini solitari ma costanti sinergie, all’interno delle quali, sulla scorta delle decisioni che verranno prese man mano, possiamo costruire nuovi mondi, distruggere intere realtà e, in qualche modo, agire sulla vita degli altri.

    Questo concetto, per quanto così enorme e complicato all’apparenza, si esprime in sintesi in una semplice scelta, nella decisione di un attimo, un lasso di tempo infinitamente breve, eppure capace di influenzare tutto il restante corso della nostra vita.

    Il mio attimo si presentò sotto forma di un libro, Il Tao della Fisica, un volume dal titolo solenne, sia pure racchiuso in una modesta rilegatura, che un professore di genetica aveva lasciato sulla scrivania di un laboratorio insieme a tutto ciò che fino a quel momento era stata la sua vita. Quella che a prima vista poteva apparire come una semplice distrazione, rappresentava invece l’atto di estremo abbandono a quella improvvisa illuminazione che lo aveva folgorato, che aveva fatto di uno scienziato, avvezzo per sua natura a cercare sempre e comunque una spiegazione logica, ad interrogare le conoscenze cattedratiche, un umile viandante che iniziava ad incamminarsi nuovamente per i sentieri di una nuova conoscenza.

    Quel libro, quel caso che sembrava appartenere ad un processo di fortuite coincidenze, era in realtà la prova fisica e tangibile della sua illuminazione, un processo improvviso, inaspettato, che continuava ancora ad agire, che pazientemente attendeva su quella scrivania il prossimo viandante.

    L’eterna legge di causa ed effetto?

    Non saprei; a volte mi sono posto queste domande, ma non necessariamente per trovare una risposta.

    Ciò che accadde in seguito ebbe lo stesso effetto dell’apertura del sipario in un teatro colmo di un pubblico impaziente; la mia anima, impaziente di sapere, si ritrovò catapultata in uno scenario del tutto nuovo, nel quale ciò che sapevo, ciò che intuivo e ciò che da sempre percepivo, assumevano una sola forma che corrispondeva al nome di Fisica della Coscienza.

    Qualcuno potrebbe pensare che stia mettendo insieme due concetti del tutto lontani tra loro, assolutamente avulsi e contrastanti; eppure non è così, anche se per dimostrarlo sarò costretto ad allungare queste pagine, resistendo all’impazienza di andare oltre nel condividere il mio sentire.

    La Fisica Quantistica comprende un principio che non sempre viene apertamente proposto; forse perché richiama vagamente ad alcuni concetti filosofici, oppure perché ritenuto da molti assolutamente privo di un concreto significato.

    Vista la difficoltà tenterò di illustrarlo nella maniera più semplice; non esiste una realtà oggettiva, la realtà viene creata al momento in cui la si sperimenta e l’agente che crea la realtà è la coscienza stessa dello sperimentatore. Ovviamente questo spiega per quale motivo si tende a mantenere da parte questo concetto; in pratica si scontra con la nozione che hanno della fisica i moderni ricercatori e, soprattutto, con il concetto di realtà che ci viene suggerito fin dalla nascita.

    Questa scoperta, o la sua conferma, costituirebbe la prova della limitazione naturale della fisica classica, gettando contemporaneamente nuova luce sul vecchio problema filosofico dell’esistenza oggettiva dei fenomeni indipendentemente dalle nostre osservazioni.

    Ci troveremmo in poche parole di fronte alla necessità di porre le basi per una nuova scienza; ma siamo davvero preparati ad un allontanamento dalle nostre abituali esigenze che riguardano e impongono una descrizione immediata e intuitiva della natura?

    D’altra parte molti dei risultati ottenuti attraverso la sperimentazione condotta negli ultimi decenni del XX secolo, sembra indicare chiaramente che la nostra coscienza, in qualche modo, riesce ad estendersi al di là dei semplici confini fisici del nostro corpo.

    Forse, in un futuro non lontano, si dovrà riscrivere il significato di parole come coscienza, forse si dovrà rivedere e, in qualche modo, resettare, il nostro modo di percepire il mondo che ci circonda, forse anche io, proprio in questo momento, mi ritrovo nella condizione di chi, con modestia e infinita umiltà, sta iniziando a percorrere questo cammino.

    2. INCONTRO CON UN RABBINO, IL GRUPPO KABALISTICO BEN YEZERS, FRATER ALBERTUS, HANS NITZEL E I FILOSOFI DELLA NATURA

    La fisica, la realtà, la percezione del mondo come parte attiva di un principio unico; questi, e molti altri ancora, furono i pensieri che dominarono per lungo tempo la mia mente dopo il fortuito ritrovamento di quel libro nel laboratorio.

    La Fisica della Coscienza non era soltanto un modo di relazionarsi alle cose, si trattava di qualcosa di molto più grande e misterioso, uno scenario che doveva essere esplorato in ogni direzione, ma per far questo bisognava porsi alcune domande preliminari, una in particolare: esiste una relazione tra la scienza e la filosofia? Abbiamo veramente esplorato ogni sentiero, approfondito ogni argomento, ogni possibile soluzione alternativa?

    Ancora una volta le risposte arrivarono in maniera indiretta; se prima era stato il caso a fare in modo che sostassi in quel laboratorio, adesso la nuova spinta proveniva da una serie di incontri e dalla scoperta di una serie di manoscritti.

    L’incontro al quale mi riferisco fu quello con un Rabbino di Brooklyn appartenente al gruppo Kabalistico Ben Yezers; più che un incontro fu l’improvviso dischiudersi dello sguardo su un mondo del tutto nuovo, un diverso modo di concepire quanto fino a quel momento aveva sperimentato soltanto in teoria.

    Il passo successivo si concretizzò nella lettura di alcune opere di Frater Albertus e Hans Nitzel; in particolare The Alchemist’s Handbook. Manual for Practical Laboratory Alchemy, il testo di Albertus che diede finalmente un senso, uno scopo a quello che sarebbe stato il mio futuro cammino.

    Gran parte delle cose erano state compiute, non rimaneva adesso che proseguire, approfondire, e saper dosare il giusto impegno con la necessaria umiltà e devozione; tutto si era in gran parte palesato, ma per compiere il successivo passo si doveva attraversare una tappa obbligata, ovvero confrontarsi con i Filosofi della Natura.

    Questa strada è quasi obbligatoria per chiunque voglia approfondire e scoprire le diverse tappe che hanno portato al moderno pensiero chimico, e il mio viaggio doveva necessariamente iniziare da molto lontano, dal 625 a.C., un’epoca certo remota per parlare di chimica, ma non poi così tanto lontana per osservarne le prime origini.

    In quel periodo imperava il politeismo, i fenomeni naturali venivano semplicemente spiegati come l’operato degli dei, capricciose e imperscrutabili creature che dominavano l’alternarsi delle stagioni, i temporali, il giorno e la notte.

    Per gli antichi greci tutto era stato creato dal nulla, si trattava dell’opera degli dei; non era quindi importante interrogarsi sulle origini del mondo, quanto su ciò che vi accade.

    Furono proprio i Filosofi della Natura che, per primi, iniziarono a porsi dei quesiti che, di fatto, ponevano da parte le divinità; furono proprio loro ad accorgersi di un fenomeno che, ancora oggi, anima l’antica arte dell’Alchimia: la mutazione.

    Quale arcano segreto faceva in modo che le sostanze si trasformassero, che generassero la vita?

    Forse l’idea del principio doveva essere rivista, forse prima di quel principio esisteva qualcosa, una diversa origine alla quale tutte le cose, una volta esaurito il loro ciclo di mutazione, dovranno necessariamente ritornare.

    Si tratta ovviamente di quello che può essere benissimo definito come il più primordiale dei pensieri scientifici, per il quale i filosofi misero da parte ogni pensiero assoluto e iniziarono a cercare le loro risposte nella natura.

    I primi due Filosofi della Natura che meritano un dovuto ricordo sono di certo Anassimandro e Anassimene.

    Vissuto tra il 610 e il 550 a.C., Anassimandro (che probabilmente fu uno degli unici discepoli di Talete), era convinto che qualunque cosa, sia pur essa specifica e determinata, non può costituire il fondamento di tutte le singole cose.

    Doveva esistere qualcosa di più, una sostanza sconosciuta, tale da non poter essere identificabile con alcuno degli elementi esistenti in natura; a questa sostanza diede il nome di àpeiron (letteralmente nonlimitato), cercando di suggerire con questa sua scelta che ciò da cui tutto viene creato deve essere necessariamente diverso da tutto ciò che è creato; non può quindi coincidere con una sostanza individuabile in natura. Dall’àpeiron tutto proviene, e ad esso ogni cosa ritorna.

    Diversa la direzione rispetto alla quale si mosse Anassimene, suo discepolo e amico, il quale affermò che è l’aria a dover essere considerata sopra tutte le cose.

    Ma se entrambi i filosofi che ho appena ricordato, erano soliti trovare risposte nell’insondabile, altri ancora furono i veri e propri iniziatori del moderno pensiero scientifico, gli Atomisti.

    Democrito, Epicuro e Lucrezio, tre dei filosofi appartenenti alla corrente appena citata, intendevano la realtà come composta da atomi eterni e indistruttibili, differenti tra loro per forma e grandezza, che si muovono nel vuoto. Tutto quindi è frutto di una combinazione meccanica di atomi, anche la vita e il pensiero. Democrito si porta ancora più avanti, palesando la materia di ciò che è eterno come un insieme di piccole sostanze infinite di numero, e supponendo come queste siano contenute in un altro spazio,

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