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Venezia d'acqua dolce
Venezia d'acqua dolce
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Venezia d'acqua dolce

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About this ebook

Ciottoli bianchi custodi delle anime di annegati d’ogni tempo. Una medium scomparsa da anni e una banda di malavitosi risucchiati in un vortice visionario che trascinerà tutti verso un oscuro fondale illuminato dai riflessi di un passato ancora vivo. Una storia liquida come il fiume attorno a cui si snoda, dove la quiete è solo un’illusione; un’illusione che non risparmierà nessuno, nemmeno il lettore, in un susseguirsi di colpi di scena e rivelazioni.
Note: contiene flashback e riflessioni introspettive
LanguageItaliano
PublisherbookEco Media
Release dateOct 7, 2015
ISBN9788899561031
Venezia d'acqua dolce

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    Venezia d'acqua dolce - Cristina Lattaro

    Venezia d'acqua dolce

    Titolo: Venezia d'acqua dolce

    Autrice: Cristina Lattaro

    Questo romanzo è un’opera di fantasia: nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti, luoghi o persone è puramente casuale.

    Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totali o parziali, con qualsiasi mezzo, anche copie fotostatiche e microfilm, sono riservati.

    © 2015 bookeco

    www.bookeco.it  info@bookeco.it

    ISBN 978-88-99561-03-1

    PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

    Copyright 2015 bookeco

    Stampato per conto di bookeco nel mese di Ottobre 2015

    Cristina Lattaro

    Venezia d'acqua dolce

    A Valerio.
    Bambolotto ti voglio bene.

    Rieti, ottobre 2015

    Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.

    Douglas Adams

    da Guida galattica per gli autostoppisti

    Parte Prima

    Rieti, 19 settembre A.D. 2010

    Don Sebastiano, devo cambiare aria per un po', aveva detto Rosario Pavento fremendo sulla poltrona, gli occhi fissi in quelli del padrino. Sento il fruscio della rete che si stringe per catturarmi, giorno e notte lo sento... e non dormo.

    Don Sebastiano aveva annuito. Rosario non sembrava più lui. Era dimagrito, nervoso. La tensione si smorzava appena nel paziente silenzio che aveva mantenuto per bilanciare la situazione.

    Rosario si era alzato e aveva preso a misurare l’ufficio a grandi passi, infine aveva afferrato un fazzoletto di seta da una tasca dei calzoni e si era soffiato il naso. I pensieri del Don si erano accavallati. Rosario era sempre stato un tipo brillante negli affari, esuberante nella vita privata. Aveva collezionato giovani amanti nonostante fosse ammogliato con la sorella di un altro dei suoi generali, Gaetano Palai. Rosario ora aveva lo sguardo ferito di un animale in trappola e l’aspetto di un uomo invecchiato all’improvviso.

    Mi stanno tra i piedi... vampiri col distintivo… assetati di sangue, aveva digrignato allargando le braccia. Molti dei miei sono in galera, gli altri devono fare cassetta dopo le incursioni della polizia nelle nostre bische. Tra tempi di decorrenza, insufficienza di prove e ritrattazioni varie, pochi mesi e ne usciamo tutti, ma intanto devo sparire come ha fatto pure mio cognato... col vostro consenso, naturalmente.

    Don Sebastiano aveva annuito. Era andata così.

    Tranquillo Rosario, hai la mia benedizione. E poi sono orgoglioso di come hai condotto l’operazione Fiji. Il Don era sincero. In sole tre settimane, Rosario aveva cementato un’alleanza con un potente faccendiere giapponese che aveva scelto come sede delle trattative un villaggio balneare pugliese. Rosario aveva raggiunto l’obiettivo ed esaurito le risorse fisiche e nervose.

    Prima devo sistemare certe cose a Rieti. Dare una pulita. Ci penso da mesi, sarebbe da ridere che alla fine qualche prova contro di me saltasse fuori proprio da quelle parti.

    Perché che hai lasciato da quelle parti? aveva chiesto perplesso il padrino.

    Comprai un negozio una ventina d’anni fa ma non ha mai fatto parte del giro. La piazza non mi era sembrata promettente come avevo sperato. All’epoca ho sparato un colpo che ha fatto cilecca e da allora ho un pensiero fisso proprio qui, aveva risposto portando l'indice destro sulla tempia. Si era sporto in avanti, le palpebre spalancate. Magari sul bossolo è rimasta qualche impronta.

    Don Sebastiano aveva annuito comprensivo, ancora. Lo avrebbe lasciato fare, meritava una vacanza e quindi che se ne andasse pure in capo al mondo facendo qualche tappa qui e là. Lo aveva visto splendido e sicuro fino a poco tempo prima, voleva che tornasse tale e quale. Non importava quando, andava bene anche un giorno fra tanti. Non aveva neanche fretta, anche perché era vero che la polizia stava in campana e, se avesse potuto, per qualche settimana avrebbe cambiato aria pure lui.

    Quando Rosario si era tolto dai piedi, aveva tirato un respiro di sollievo. Il colloquio era andato per le lunghe, addirittura oltre l’ora di pranzo. Se gli montava la fame la sua capacità di concentrazione calava e le frasi diventavano sfuggenti.

    Rieti, 22 settembre A.D. 2010

    Rosario mise una mano in tasca. Richiuse le dita su una scatoletta d’argento appartenuta a una donna, Sara Panni. Era fredda come l’oltretomba alla quale gli era sempre sembrato che appartenesse. L’estrasse lentamente. L’aveva ricevuta da qualcuno troppo zelante che, credendo di fargli un piacere, aveva reso più oscura l’increspatura da cui un tempo Sara Panni era emersa e scomparsa come in un gioco di luci e di ombre. L’aveva tenuta in un cassetto della scrivania per anni, sperando quasi che l’immobilità e la clausura avrebbero finito per dissolverla nel nulla. Non era accaduto. Aveva tramato contro di essa centinaia di volte, aveva calcolato di disfarsene in modo spiccio in decine di modi. Non era mai riuscito ad andare fino in fondo, qualsiasi tentativo era naufragato in un’esitazione vibrante. Presto l’avrebbe consegnata a chi di dovere. Arrivato in città, aveva rimandato l’incombenza all’indomani, a dopo un appuntamento importante. Nell’attesa aveva deciso di lasciarla nel locale quasi fatiscente di cui lui solo possedeva le chiavi. Vi era entrato con l’intenzione di uscirne prima di subito, appena mollata la zavorra. L’avrebbe recuperata in seguito. Se avesse potuto assecondare l’istinto, l'avrebbe fatta cadere sul pavimento per poi calciarla lontano, ma sarebbe parso ridicolo a quella parte di se stesso che si sentiva superiore. Superiore nonostante tutto. Non si sarebbe mai abbassato a tanto.

    Discese i pochi scalini che dalla sala principale portavano a un vano accessorio e ai servizi. Si mosse con cautela, il poco di luce filtrava dalla vetrina sudicia alle sue spalle e dalla finestrella del bagno collegato al magazzino. Entrò nel gabinetto, aprì l‘armadietto sopra il lavabo. Adagiò il contenitore su uno dei ripiani.

    Era libero, anche se per poco.

    Dobbiamo andare, aveva esclamato.

    Un altro pochino!, aveva ribattuto Daria, la ragazza che aveva portato con sé. La sua giovinezza e la sua scarsa intelligenza generavano una mistura che di solito alleviava il cordoglio che Rosario si sentiva addosso. Daria aveva appena finito di stendere lo smalto sulle unghie, arroccata su uno sgabello.

    Non potevi aspettare di tornare in albergo?

    Eh, hai detto che dopo saremmo andati direttamente al ristorante. Lì l’attenzione di tutti si concentra sulle dita di chi tiene le posate.

    Hai due minuti, aveva concesso sedendo su un gradino. Con la mente, nel corso degli ultimi anni, aveva visitato quelle stanze all’infinito. Appena vi aveva fatto ingresso, si era accorto di aver vagato in un mondo del tutto isolato dalla realtà. Il regno di Sara Panni era una distesa di cartoni, di pezzi di plastica, di bottiglie e scatolette di latta. Immondizia lasciata dagli operai della squadra di ristrutturazione che lui stesso aveva assoldato in un tempo lontano. Il bancone di marmo era coperto da uno spesso strato di polvere. La scaffalatura era intarsiata da un fitto gioco di ragnatele. Presto il sole sarebbe tramontato e tutto sarebbe stato sommerso da un buio che avrebbe arricchito di fruscii e di odori incerti le tenebre già calate nella sua testa.

    Solo una svampita poteva dedicarsi alla manicure in condizioni simili. Daria aveva tirato fuori dalla borsetta lima, acetone e smalto con una velocità sbalorditiva. Non se ne sarebbe accorto se l'odore del solvente non si fosse propagato altrettanto in fretta. Si rigirò tra le mani il cellulare, attendendo che Daria terminasse di soffiare sulle unghie laccate.

    Ciao caro, fammi sapere appena arrivi in albergo! gracchiò sua moglie.

    Cazzo fai come ti pare, inveì contro il telefonino, spegnendolo. Da quando aveva messo piede nel negozio era diventato pericolosamente distratto. Aveva lasciato che Daria indugiasse per i fatti suoi, aveva appena fatto partire le registrazioni della segreteria in viva voce.

    Lei ti sta sempre alle costole, vero? Le dici sempre dove vai, forse anche con chi sei.

    Non rispose, la guardò con uno spirito nuovo. Forse Daria era più intelligente di quanto sembrasse nonostante lo smalto e la tintura color oro.

    Alza il sedere e andiamo.

    E partiamo domani per la Svizzera?

    Domani, dopo il mio appuntamento, grugnì cercando di contenere il tono della voce. Sollevò un lembo della veneziana stesa sul vetro del portoncino d'ingresso. Guardò di fuori. Non c’era nessuno nei paraggi.

    Rieti era esattamente come la ricordava, tranquilla e sonnacchiosa, soprattutto durante l’ora dei pasti. Uscì sulla via accompagnando la corsa del battente finché udì lo schiocco leggero che sigillava l'acciaio. Sospirò sollevato, infilò di nuovo la mano in tasca. La ritrasse vuota. Sospirò ancora. Con il telecomando sbloccò le portiere della macchina e salì a bordo. Dal finestrino aperto fece un cenno rapido e deciso alla compagna. L’aveva preceduto sul marciapiedi per poi indugiare, non aveva resistito alla tentazione di rimirare il lavoretto di restauro. Salì con le labbra serrate in un broncio infantile.

    La donna in agguato protese in avanti una pistola.

    Credevi di liberarti di me tanto facilmente?, disse infilandosi nell’abitacolo da una delle portiere posteriori.

    Chi diavolo…, biascicò Rosario.

    Eh... già, non ti ricordi più!, disse la donna saccente, accostando la canna alla base del collo di Pavento. Daria iniziò a frignare piegata su se stessa sul sedile del passeggero.

    Dì alla bambolina di calmarsi o la faccio fuori.

    Stai calma Daria, va tutto bene, sussurrò Pavento senza muoversi. Daria si immobilizzò e si limitò a tirare su col naso.

    Possiamo parlare?, chiese Rosario.

    Sono qui apposta. Intanto parti.

    Rieti, 27 settembre A.D. 2010

    Don Sebastiano, sono Rosario, aveva esclamato una voce squillante dalla cornetta del telefono.

    Don Sebastiano era perplesso. Pavento l’aveva lasciato dicendo che non si sarebbe fatto più vivo per un mese e invece…

    Dimmi tutto.

    Abbiamo un’opportunità di quelle buone. Ricordate l’organizzazione sudamericana di trafficanti d’armi con cui sono in trattative? Mi ha contattato ieri. C’è una nave che sta per attraccare a Ostia e nessun acquirente in lista. A quanto pare gli affezionati si sono dissolti nel nulla. La fregola della Pubblica Sicurezza degli ultimi tempi ha mazzolato tutti, a quanto pare. Comunque ci offrono della merce a un ottimo prezzo e la possibilità di stabilire un legame concreto. Hanno fretta, la stiva piena e il fuoco al culo.

    Dunque?, aveva risposto Don Sebastiano eccitato.

    Ho trovato la piazza di Rieti asettica come una sala operatoria. Al solito il tempo è stato un ottimo anestesista. Il locale di cui le ho parlato è chiuso da parecchio ma potremmo usarlo come magazzino per un po', finché non ci organizziamo.

    A solito, hai carta bianca.

    Non posso occuparmene io, però. Sono via e sto recuperando bene, non me la sento di tornare adesso.

    Don Sebastiano si sistemò meglio sulla sedia, al solito non aveva idea di quello che Rosario aveva in mente perché un piano di sicuro ce l'aveva.

    E quindi?

    Quindi dobbiamo trovare qualcuno di fidato. Qualcuno che farà gli onori di casa al negozio, accetterà con discrezione la consegna e mi aspetterà tranquillo che Rieti è come un camposanto. Lì non si vede un poliziotto a pagarlo a peso d’oro. Naturalmente con i sudamericani ho definito ogni particolare.

    Uno dei tuoi soliti giochi di prestigio, aveva esclamato Don Sebastiano su di giri. Dalla cornetta era arrivato un risolino malizioso. A Don Sebastiano sembrò di avere a che fare con un Pavento vecchio stile, che si avvicinava alla sua scrivania e si inclinava poggiando i palmi sul piano di ciliegio.

    "Stare sotto gli occhi di tutti è il viatico migliore. È allora che nessuno ti vede. Un paio di fattorini che arrivano con un Ducato rosso con su scritto Semi e Piante o qualcosa di simile. Cassette in movimento da cui spuntano ciuffi di felci…"

    Don Sebastiano aveva annuito con l’acquolina alla bocca.

    Al mio rientro penserò io a moltiplicare i pani e i pesci. Ma nel frattempo serve un picciotto con gli attributi. E a proposito di pani e di pesci ho un nome che mi frulla in testa.

    "Il pesce!", disse Don Sebastiano.

    Proprio lui. Esce dal gabbio fra una ventina di giorni, giusto? Farebbe in tempo a insediarsi a Rieti. Tempo tre, quattro giorni al massimo e riceverebbe le armi.

    Cotto e mangiato!

    Esatto!

    Si può fare. Il pesce è la persona giusta, gli troveremo dei colleghi adatti e a questo ci posso pensare io.

    Rieti, 20 ottobre A.D. 2010

    Allora, Tonio, ricapitolando: tu, il meccanico e il professore prenderete in mano il negozio di fiori che sta in viale della Cavatella 34 a Rieti, aveva annunciato il padrino leggendo l’indirizzo su un post-it. Fingerete di essere degli affittuari che hanno rilevato l’attività e aspetterete la consegna. Arriverà in tre, quattro giorni al massimo.

    Tonio Pennino rimase immobile davanti alla scrivania del capo.

    È una missione particolare. Possiamo considerarla, per certi aspetti… sperimentale. Tonio Pennino continuò a non battere ciglio. Il padrino si sporse in avanti e fissò negli occhi uno degli uomini del clan in cui aveva maggiore fiducia. Ho promesso a Pavento una squadra capace di occuparsi di tutto, una squadra che avresti gestito tu, continuò calibrando le parole. Occorreva che Tonio, a quel punto, comprendesse bene i dettagli. Bisognerà sistemare al meglio il negozio che è in uno stato di abbandono. Dovrete considerarlo come un palcoscenico in cui allestire uno spettacolo verosimile. Tonio perseverò nel suo mutismo.

    Pavento ha già ordinato quello che serve dalla A alla Z. Arredo, complementi d’arredo, plafoniere, piante, sacchetti di terra, fiori e vasi; anche un registratore di cassa e un computer con software dedicato. Probabilmente ha già pronta anche la commessa di fiducia che manderà avanti la baracca in futuro, per davvero però, disse ridacchiando. Poi indicò una serie di cartellini colorati impilati con cura e tenuti insieme da una grappetta. "Ognuno porta su il nome della ditta da contattare per stabilire la data di consegna di questo o di quello. C’è anche una lista di quanto è stato prenotato e pagato. Sarai tu a decidere come e quando ricevere. Il via vai dei fornitori è la chiave, nasconderà la consegna vera."

    Il padrino continuò rassegnato a un monologo anche se a quel punto sarebbe stato lecito rispondere a un paio di domande. L’ometto in jeans e maglietta che aveva davanti, come al solito, non aveva voglia di farne. Nonostante fosse un metro e sessanta per una cinquantina di chili di ossa tenute insieme da muscoli tirati come corde di chitarra, Tonio pareva avere un’anomala densità specifica. Il viso scarno, gli occhi piccoli e verdi smeraldo, il naso affilato, lo facevano sembrare un aquilotto rapace. La sua scarsa parlantina suscitava spesso fraintendimenti sul suo reale quoziente intellettivo. Chi lo aveva sottovalutato, tuttavia, non era vissuto abbastanza per vantarsene.

    Come ti ho detto avrai a disposizione il meccanico. Il meccanico è bravo con i motori ma si intende di tutto. Suo padre era elettricista e se lo portava dietro da ragazzino. Il pesce annuì. Il padrino lo interpretò come un buon segno. Non poteva essere troppo esigente, del resto.

    "Poi ho scelto il professore…" Don Sebastiano sapeva che Tonio non avrebbe gradito avere a che fare con un chiacchierone matricolato ma il successo di un’impresa era subordinato alla scelta di uomini adatti e il professore era particolarmente adatto. "Il professore si è pagato la laurea in lettere lavorando da un fioraio. Il pesce non batté ciglio e Don Sebastiano riprese la strada maestra.

    Al più presto Pavento verrà in negozio. Gli restituirai la chiave che mi ha mandato ieri per raccomandata insieme a una ventina di cartoncini gialli, disse indicando i post-it e poi una busta imbottita.  Allora potrai considerare la missione conclusa. Mi aspetto di poter contare su di te, come al solito.

    Don Sebastiano abbandonò la poltrona e si avvicinò alla vetrata che dava su uno dei quartieri storici più belli di Palermo. Il pesce, da quando era uscito di prigione, si portava dietro un certo Remo Saltori, uno senza arte né parte finito dentro per guida in stato di ebbrezza.

    E che mi dici di quel tale… il romano… aveva iniziato sperando che dandogli il la Tonio avrebbe finito col pronunciare tre o quattro parole illuminanti sull’argomento. Ma il pesce non aveva abboccato. Che mi dici di Remo Saltori?, aveva sparato a bruciapelo rassegnato a essere più esplicito di quanto avrebbe voluto.

    Don Sebastiano era alto e ben proporzionato. Capelli bianchi, folti, tagliati perfettamente. Ora puntava i grandi occhi celesti sul viso arcigno dell’ometto senza mascherare la tensione. Aveva spiegato l’incarico, era giunto il momento delle chiacchiere leggere, la curiosità trapelava dalle sue pupille dilatate, mentre con la bocca schiusa attendeva una risposta.

    Sapeva che il romano si era schiantato addosso a un cassonetto dell’immondizia ed era risultato positivo al test sul tasso alcolico. Aveva opposto un’accesa resistenza alla pattuglia di polizia accorsa sul luogo dell’incidente ed era finito in carcere dove aveva condiviso la cella con Tonio. Erano stati rimessi in libertà contemporaneamente, ma il papalino doveva possedere qualche qualità particolare se Tonio aveva finito con l’ospitarlo in casa sua.

    Lo porto con me, aveva concluso il pesce inclinando la testa. Aveva preso il materiale che Don Sebastiano gli aveva indicato, aveva salutato con un cenno della testa, si era girato sui tacchi e aveva lasciato lo studio di legno e cristallo senza parlare. Don Sebastiano avrebbe potuto prendersela, ma non accadde. Era tornato alla vetrata e aveva incrociato le braccia dietro la schiena. Con la fronte aggrottata e lo sguardo dubbioso aveva scrutato il lento incedere dei pedoni e delle vetture incanalate nel traffico. Gli sembrò per un istante che un paio di teste si sollevassero per osservarlo come spinte da un sottile richiamo. Ma nessuno si fermò davvero.

    Il meccanico - Pino Scorzolo

    Pino Scorzolo fu raggiunto dall’ordine del boss mentre stava lavorando in garage alla sua ultima creatura. Era parte della squadra che avrebbe ricevuto un carico d’armi sotto il comando di Tonio Pennino. Avrebbe dovuto provvedere ai mezzi di locomozione usati durante la missione.

    Uhm, mica uno facile, pensò ascoltando l'ambasciatore di Don Salvatore. Annuì senza obiettare, la gita non rientrava nei suoi piani a breve termine ma il mandato non prevedeva opzioni. La partenza era stata stabilita per quella stessa sera, a Palermo avrebbe imbarcato un'auto adeguata sul traghetto dove si sarebbe congiunto con il pesce e con un certo Romolo Saltori che doveva essere un nuovo acquisto della famiglia. Insieme avrebbero recuperato Gaetano Polengi, il professore, presso un casello dell’autostrada in direzione Firenze. A quel punto sarebbero arrivati a Rieti in meno di un’ora.

    Giusto il tempo di fare una doccia e raccogliere un paio di stracci in uno zainetto, si era detto affrettandosi.

    Il professore – Gaetano Polengi

    Gaetano Polengi ricevette la telefonata d’ingaggio mentre degustava un caffè corretto in compagnia di amici al Gran Dessert, in una delle piazze più intellettualmente stimolanti di Napoli. Non fece domande, accettò la commissione con un semplice d’accordo! L’indomani sarebbe stato prelevato in un anonimo autogrill della A14. L’idea di ritrovarsi tra i piedi il meccanico, però, gli suscitava un certo turbamento. Aveva lavorato con lui in occasione di una rapina a una gioielleria. Lo spilungone si era occupato delle planimetrie e del rilevamento dei sistemi di allarme. Durante il colpo era rimasto al volante della Uno truccata digrignando i denti per l’ansia in un modo che gli aveva fatto drizzare i capelli.

    Il professore si congedò dagli amici e guardò compiaciuto il ragazzone corpulento dal viso rubicondo e dai capelli folti la cui immagine veniva rimandata dalla vetrina del bar. Migliorò il quadretto all’istante sistemando il garofano rosso infilato all’occhiello della giacca sportiva.

    Il papalino – Remo Saltori

    Tonio salì lentamente le due rampe di scale che conducevano al pianerottolo dell’appartamentino che possedeva in un quartiere popolare di Palermo.

    Lo faccio fuori o me lo porto dietro?, si chiese mentre infilava le chiavi nella serratura. Ricordò di aver detto a Don Sebastiano che avrebbe condotto il papalino a Rieti e che dunque aveva già preso una decisione sul rompiballe. Così, per il momento, archiviò la pratica. Come al solito, Remo se ne stava incollato al televisore del salotto. Chiunque avrebbe potuto sgozzarlo senza che se ne accorgesse, tanto era stupido. Era fortunato, però. Nessuno si sarebbe azzardato a fare una capatina a sorpresa lì dentro. Gli passò davanti senza fiatare.

    Ciao Tonio, come è andata?, aveva chiesto il papalino, alzandosi come uno scolaro all’ingresso del maestro. Senza prendersela per la risposta che non arrivava, seguì Tonio in cucina e si accomodò su una sedia, in attesa. Tonio cavò da una tasca laterale del giubbotto due sacchetti da rosticceria, li appoggiò sul pianale del tavolinetto. Ne spinse uno davanti al romano.

    Ah, la cena… pizza al pomodoro, bene!, aveva commentato il papalino scartando l'involucro.

    Questa sera facciamo un viaggio. Andiamo a Rieti. Più o meno dalle parti tue, no? Prendiamo un traghetto tra quattro ore, esordì Tonio fissandolo severo.

    Allora arriviamo via mare a Reggio e poi proseguiamo in macchina, aveva dedotto Remo a voce alta. Carichiamo la tua Croma?

    Sì e poi no!, aveva risposto Tonio sedendosi.

    E che facciamo, allora, prendiamo un’auto a noleggio?

    Poiché non gli arrivò né una conferma né una smentita e Tonio aveva iniziato a mangiare, il papalino comprese che il tempo delle chiacchiere si era esaurito. Fece spallucce e prese a sbocconcellare l’impasto caldo.

    Il pesce lo guardò sottecchi. Gli aveva detto, in modo sintetico ma chiaro, che lo avrebbe lasciato bivaccare a casa sua per un po’, finché non si fosse rimesso dalla delusione che lo aveva spinto ad alzare il gomito mettendosi nei guai. Aveva precisato che, se non avesse obbedito, lo avrebbe sistemato. Era suo ospite, era un parassita inetto, quindi come necessario provvedeva ai suoi bisogni basilari, ma la scadenza del patto era vicina.

    Quando era uscito da San Vittore se l’era trovato dinnanzi al portone, con lo sguardo fisso sulla strada e le mani in tasca. Gli aveva chiesto cosa stesse aspettando, commettendo uno dei pochi errori della sua vita. Il papalino aveva risposto che aspettava proprio lui perché non sapeva dove andare e subito dopo gli aveva domandato se poteva seguirlo. Se fosse stato un tipo comune, il pesce, avrebbe potuto cogliere dietro quella manfrina il proclama di una disponibilità particolare. Ma lui non poteva neanche lontanamente supporre che esistesse qualcuno tanto stupido da fargli delle proposte simili. Senza contare che il papalino aveva manifestato da subito una fastidiosa attitudine a blaterale e che il centro delle sue meditazioni ad alto volume era il dolore per una storia d’amore finita male.

    Così il pesce l’aveva presa per come doveva essere presa ma intanto ci aveva pensato troppo prima di andarsene. Il papalino gli si era affiancato come un cagnolino abbandonato e aveva cambiato espressione: sorrideva. A quel punto era stato troppo tardi per rettificare e così se l’era portato dietro. Avevano fatto un silenzioso viaggio in aereo fino in Sicilia, poi aveva parcheggiato l'ospite nel suo appartamento per usufruire a ciclo continuo di un divano a tre posti e di un 22 pollici a colori.

    Il meccanico intravide il pesce sul ponte di poppa e lo raggiunse. Il pesce squadrò per un paio di secondi l’attrezzo lungo e secco. Mentre il vento scarmigliava i capelli di entrambi, aveva proclamato:

    Il capo sono io e lui è con me!

    Il meccanico aveva seguito la direzione del suo pollice destro e aveva traguardato sul ponte un uomo pallido, magro, di media altezza, sulla quarantina, dai lineamenti regolari, intento a trafficare con una sdraio.

       Appena arriviamo recupero la macchina e vi aspetto lungo la strada. È una Panda bianca, aveva esclamato e concluso allo stesso tempo il meccanico a cui piaceva assuefarsi allo stile di coloro con cui avrebbe avuto a che fare. Lavorava per mangiare, lui. E mangiava per dedicarsi alle bambine cadute in disgrazia che accudiva e rimetteva in sesto con passione nel suo garage. Del resto gli importava poco.

    L’ispettore Piloni, la portinaia Maria Malesti, Carlo Pascoli

    L’ispettore Piloni entrò nell’atrio quasi in punta di piedi. Non farsi notare era d’obbligo. In qualità di fratello della sposina, inquilina del primo piano, poteva permettersi un certo numero di visite a lei e a suo marito, ma senza esagerare. Per l’occasione aveva sostituito l’usuale giacca di tela celeste con lo spolverino color senape che teneva nel portabagagli della macchina. Per entrare in sintonia con un personaggio, piuttosto che con un altro, era importante sapere cosa abbinare ai jeans, calzare un buon paio di scarpe e pettinare i capelli in modo appropriato. Il resto era questione di personalità e dunque non c’erano ostacoli per uno poliedrico come lui. Intelligente, astuto, cauto. Di statura e taglia media, ben proporzionato. Con una folta zazzera bionda e occhi azzurri accigliati, quasi ci fosse un raggio di sole fisso sul suo viso o fosse impegnato di continuo a mettere a fuoco qualche particolare interessante. Per il ruolo d’avvocato aveva spinto la frangia in avanti in modo da avere un’aria da intellettuale. Per finire, aveva insaccato la camicia nella cintola.

       Ah, ma è lei!

    L’esclamazione rimbombò per l’atrio e poi lo raggiunse inesorabile come una sprangata sulla schiena. La portinaia, Maria Malesti, un donnone di più di un quintale, l’aveva sgamato nonostante fosse rimasto di spalle mentre lei era all’interno della guardiola. Piloni aveva portato a termine fior di missioni in Iraq scivolando silenzioso dietro linee affollate da soldati nemici senza farsi mai notare, senza mai incappare in una mina. I pochi metri quadrati dell’atrio erano tutt’altra cosa.

       Cosa mi combina, avvocato! Ma che cos’è quella posizione da Quasimodo! Magari un bustino gioverebbe. Se vuole la consiglio io sua sorella su dove comprargliene uno, conosco una farmacia specializzata.

    Mentre Maria continuava a parlare, Piloni aveva mantenuto la posa ingobbita perché in teoria piegarsi su stesso avrebbe dovuto aiutarlo a diminuire l’ingombro e a ridurre la propria visibilità. Ma a quella serviva poco per allertarsi, bastava il guizzo di un’ombra o una carezza d’aria.

       Venga a prendere un caffè, gli impose. L’ispettore la seguì senza fiatare, con un sorriso idiota stampato sul viso. La portinaia si era dimostrata da subito un male ineluttabile. Le aveva dato spago fingendo di volersi adoperare per agevolare la vita della coppia che da qualche tempo alloggiava nella palazzina. Ora ne pagava le conseguenze.

       Maria fece accomodare Piloni nella guardiola, un ampio vano tutto vetri che non mancava di comodità varie. Una macchina da caffè elettrica, un piccolo televisore a colori, un computer con monitor LCD, un telefono, una libreria modulare, una poltrona con poggiapiedi e una sedia girevole.

       Allora, come vanno i piccioncini?, aveva domandato tanto per darle soddisfazione, accomodandosi sulla sedia. La donna zuccherò la bevanda senza chiedere istruzioni. Dopo avergli porto la tazzina, sprofondò nella poltrona. Quando gli si tolse da davanti, a Piloni sembrò di essere tornato in possesso del minimo dello spazio vitale necessario a un essere umano per non sentirsi in trappola. La donna scosse la testa, gli stopposi capelli a caschetto tinti di castano oscillarono appena. Accavallò le cosce lasciando sporgere della gonna un ginocchio stretto dall’elastico di un gambaletto color carne.

    E beh, se posso dirle la verità…

    L’ispettore corrugò la fronte. Si chiese che diamine avesse combinato quel deficiente di agente alloggiato di sopra insieme al commissario perché la custode avesse assunto un’aria tanto contrita. Irrigidì le natiche in attesa della rivelazione.

       I Folelli sono giovani come i suoi parenti ma al contrario di sua sorella e del marito possiedono una sfera spirituale.

    Invece di rilassarsi, la stretta di Piloni si fece più marcata. Poteva essere una magagna bella grossa per il commissario e l’amorfo che si tirava dietro sembrare tanto diversi dalle coppie della stessa età.

       Eppure ricordo che mia sorella, da ragazza, andava sempre a catechismo, aveva sussurrato con aria sostenuta, prendendo tempo, incapace persino di immaginare il rapace commissario intenta a ripetere litanie con una corona in mano. La donna si accomodò meglio torturando il fluff del cuscino. Terminò di sorbire, posò la tazzina su un ripiano senza staccare gli occhi dal viso dell’ospite. Dopo un lungo sospiro che le sollevò il seno stirando il maglioncino risicato, esordì con una sentenza:

       Vede avvocato, è proprio perché nelle coppie di oggi manca il supporto della fede che tanti matrimoni affondano.

       A quale parrocchia appartiene questo quartiere?

       A San Bennato degli Augelli!, aveva risposto con l’energia di un concorrente di quiz a premi.

       E il parroco chi è?

       Don Lino, aveva esclamato bruciando il tempo ancora una volta. Si sporse ulteriormente, tanto che le sarebbe bastato un minimo colpo di reni per tirarsi in piedi se solo avesse pesato una cinquantina di chili in meno.

    Piloni colse al balzo il vantaggio e si alzò. Salutò galante, inclinando la testa. Voleva tagliare il cordone ombelicale finché si trovava in condizione di potersi muovere senza essere placcato.

       Allora gentile signora, la ringrazio e corro a passare dieci minuti di sopra.

    La portinaia apparve dapprima disorientata poi si acquietò al suono del tono gentile. Con la strada sgombra, l’ispettore scattò verso l’atrio e prese le scale. Arrivato al primo piano, cercò di assumere un aspetto marziale, consono al suo grado, suonò il campanello e tese l’orecchio. Dopo alcuni secondi sentì un lento scalpiccio e l’agente Carlo Pascoli comparve sullo specchio della porta aperta, con lo spazzolino da denti in bocca e negli occhi il vago sospetto di aver appena fatto una cappellata.

    Piloni lo squadrò severo, poi andò con lo sguardo oltre le robuste spalle del giovanotto. Si soffermò a scrutare il profilo del divano. Identificò una coperta, delle lenzuola e un cuscino. Entrò deciso nell’appartamento costringendo Carlo ad arretrare e chiuse l’uscio con delicatezza.

       Ti rendi conto?, aveva iniziato a voce bassa. Sapeva per esperienza quante orecchie potesse avere uno stabile del genere e che vita facile avessero gli impiccioni piazzati al di là dei muri. Carlo seguì l’indice del collega anziano.

       E se si fosse presentata la portinaia al posto mio? Che cosa avrebbe potuto pensare di un divano che sta per trasformarsi in letto? Non sforzarti, te lo dico io, che qui c’è qualcosa che non va e la credibilità della coppia formata da te e dal commissario sarebbe stata distrutta. Irrimediabilmente.

    Carlo

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