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Vajont - Oltre il muro: La tragedia del Vajont nei ricordi di un pompiere
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Ebook212 pages1 hour

Vajont - Oltre il muro: La tragedia del Vajont nei ricordi di un pompiere

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About this ebook

L'autore di questo libro, all'epoca dei fatti, era un giovane pompiere. Assieme ai suoi compagni, all'alba del 10 ottobre del 1963, si è trovato improvvisamente catapultato sul luogo del disastro, una delle più grandi catastrofi degli anni sessanta. A distanza di quasi cinquant'anni ha voluto raccontare la sua esperienza mettendo a nudo tutta la drammaticità di quei momenti. Il suo libro parla, facendo raccontare la tragedia, questa volta, da coloro che possono averla vissuta in prima persona. Racconti di storia vissuta, situazioni di una vita normale, ammesso che la parola “normale” abbia un senso nella tragedia del Vajont. Arricchito da una raccolta fotografica dei luoghi del disastro.
LanguageItaliano
Release dateOct 28, 2013
ISBN9788896753774
Vajont - Oltre il muro: La tragedia del Vajont nei ricordi di un pompiere

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    Book preview

    Vajont - Oltre il muro - Paolo Guarnieri

    Edizioni

    Raccolta Fotografica

    Le foto presentate di seguito sono state messe a disposizione dal Comitato per i Sopravvissuti del Vajont

    Il bacino idrico prima che si verificasse il cedimento del Monte Toc

    Come si presentava il bacino idrico dopo l’evento catastrofico

    Un’impressionante veduta dall’alto in una immagine scattata alle spalle della diga.

    Sullo sfondo, dove prima sorgeva il paese di Longarone è rimasto solo fango.

    Foto sopra e sotto: Veduta dall’alto di Longarone prima e dopo il disastro

    Foto sopra: I binari della ferrovia divelti dalla furia dell’acqua

    Foto sotto: Un campanile rimasto miracolosamente in piedi

    Foto sopra e sotto: Vigili del fuoco impegnati nel recupero delle salme

    Foto sopra e sotto: continua la ricerca dei corpi e il loro trasporto al campo di raccolta

    Foto sopra: corpi recuperati in attesa di essere trasportati al campo di raccolta

    Foto sotto: una mucca incastrata tra le rovine, testimonianza della furia dell’acqua

    Foto sopra: File di bare tristemente allineate

    Foto sotto: Benedizione delle bare

    Il calvario dei profughi

    La disperazione dei famigliari

    Siate benedetti

    voi che ci soccorreste

    nella tribolazione,

    e c’infondeste coraggio

    quando ci stringeva

    il terrore,

    e cercaste e seppelliste

    i nostri morti,

    e foste i nostri fratelli

    quando tutto era crollato

    intorno a noi.

    Longarone 9 ottobre 1963

    Prefazione

    Ho letto con molto interesse la copia del libro di Paolo Guarnieri: un libro che parla, facendo raccontare la tragedia, questa volta, da coloro che possono averla vissuta in prima persona. Racconti di storia vissuta, situazioni normali di una vita normale, ammesso che la parola normale abbia un senso nella tragedia del Vajont.

    Mi sono ritrovata nel mio Paese, Longarone, ho rivissuto attimi, momenti, situazioni, che ognuno ha vissuto, attimi di vita, situazioni talmente comuni che ognuno potrà riconoscersi fino al momento finale… Quel momento che ha fatto diventare una giornata normale in qualcosa da dimenticare... Una vita comune in una farsa di vita... Una storia in una tragedia da dimenticare, da non raccontare… Da travisare… Una storia su una tragedia creata attimo per attimo, raccontata come un atto della natura dove la mano dell’uomo non ha avuto colpa!... Una storia che abbiamo dovuto dimenticare come si dimentica un atto scorretto, cattivo… Come fossimo colpevoli per il solo fatto di esserci, di non essere morti con gli altri… Che grande colpa… Che enorme colpa, quella di esserci!

    Per fortuna ogni tanto qualcuno ricorda, ne parla… Fa ricordare anche agli altri… Allora la tragedia, quella del Vajont, non è più una tragedia personale, piccola insignificante… Ritorna quella che è: una grande tragedia, grandissima, per troppi anni nascosta, sottaciuta, mistificata…

    Grazie a tutti coloro che stanno dando dignità a questa tragedia, a tutti i morti, a noi sopravvissuti… Grazie a Paolo Guarnieri che con questo racconto ha fatto sì che il Vajont possa diventare, finalmente, parte normale della vita di ognuno.

    Micaela Coletti

    Presidente del comitato per i sopravvissuti del Vajont

    Premessa dell’autore

    La passione per il mondo sottomarino mi ha portato a scrivere libri sull’argomento, descrivendo le bellezze dei fondali marini, gli incontri con le più svariate specie di pesci, da quelli piccoli di scogliera ai grandi animali che nuotano nelle acque profonde. Ho pubblicato con un discreto successo anche quattro romanzi: Yasmine, la storia del naufragio del Salem Espress, una nave traghetto che è affondata trascinando con sè oltre un migliaio di persone; All’ombra del Buddha, un thriller ambientato nel misterioso oriente; Hammada, una storia avventurosa che inizia nel periodo delle prime invasioni arabe nel Nord Africa per arrivare ai giorni nostri; Il settimo cavaliere, la storia di un gruppo di cavalieri della prima crociata in Terra Santa, che avevano accumulato un tesoro con le razzie, ma che nessuno di loro poté godere.

    Generalmente uno scrittore ha sempre in serbo nel cassetto un’idea per un prossimo libro, ma mai avrei immaginato che mi sarei messo a scrivere su un argomento così delicato e, soprattutto, parlare apertamente di esperienze personali per aver vissuto in prima persona quella che fu una delle più grandi tragedie degli anni sessanta.

    Tutto è cominciato nel lontano Ottobre del 1963 con il disastro del Vajont. A quel tempo prestavo servizio come volontario nel corpo dei Vigili del Fuoco. Era stata una mia precisa scelta: se dovevo impegnare un periodo della mia vita per assolvere l’obbligo di leva militare, volevo fare almeno qualcosa di utile per gli altri e che, contemporaneamente, potesse arricchire il mio bagaglio di esperienze. Quando successe il disastro, mi mancava un mese per il congedo. Dopo circa due anni di servizio a contatto con le situazioni più disparate, dagli incendi al recupero di annegati e molti altri interventi, credevo di aver visto tutto. Tutto ciò era niente rispetto a quanto mi avrebbe riservato il destino in quell’ultimo mese di servizio. Sono passati quarantotto anni da quell’evento e l’esperienza vissuta è rimasta chiusa a chiave in uno dei famosi cassetti della memoria. Solo sporadicamente mi capitava di accennarne con qualcuno ma, in tutto questo tempo, non ho mai svuotato quel cassetto perché ho sempre ritenuto che quella tragica esperienza riguardasse solo me e nessun altro.

    Poi un giorno, parlando con una mia lettrice su certe tragedie della vita, uscì casualmente l’argomento del Vajont. Questa persona rimase colpita da alcuni episodi che le avevo raccontato e mi domandò se avessi mai pensato di scrivere un libro sull’argomento. Le risposi che non mi aveva mai sfiorato l’idea di farne materia per un libro. Sorpresa dalla mia determinazione di non prendere nemmeno in considerazione la sua proposta, mi disse che sbagliavo a pensarla così e non riteneva giusto che un’esperienza di vita di quelle dimensioni rimanesse sepolta nel mio silenzio. Passò altro tempo e ogni tanto ripensavo a quelle parole, così cominciai a chiedermi se non avesse avuto ragione la mia interlocutrice a consigliarmi di scrivere quella storia. E più cercavo di tenere chiuso quel cassetto per non farmi prendere dalla tentazione, più questo rimaneva socchiuso quasi ad indurmi a svuotarlo. Siccome non ne ero ancora convinto, confidai a mia moglie la possibilità di farne un libro. E anche lei, che conosceva solo in parte quello che ho passato nonostante sia la compagna della mia vita, mi ha risposto: «e perché no?».

    Volutamente ho tralasciato di menzionare i nomi delle persone, fatta eccezione per quelli dei personaggi dei racconti iniziali, che sono immaginari. Così pure, volutamente, non ho citato i nomi dei responsabili e degli enti coinvolti, in quanto questa non è la cronaca della tragedia avvenuta a Longarone, ma un insieme di esperienze vissute da uno dei tanti Vigili del Fuoco che operarono nella zona del disastro, vivendo una dura esperienza dal primo momento fino all’arrivo dei soccorsi partiti da Roma per fronteggiare le grandi emergenze.

    Il racconto degli incubi notturni, descritto nella parte finale del libro, ricostruisce in buona parte quello che mi è realmente mi accaduto. La descrizione delle situazioni e dei luoghi dove si sono svolte, come avviene quasi sempre nei sogni, è stato frutto della fantasia della mente che aveva rielaborato i ricordi di quelle esperienze. Ho effettuato solo qualche piccolo ritocco per non scendere in una poco piacevole descrizione di carattere necrofilo. Per quanto riguarda i personaggi descritti nei sogni sono in buona parte veri o sono ispirati a quanto vissuto durante lo svolgimento di recupero dei cadaveri. La ricostruzione delle storie e relativi dialoghi nella parte iniziale è immaginaria. Mi è servita per poter far rivivere frammenti di vita avvenuti poco prima che accadesse la tragedia. Anche i dialoghi tra me e i personaggi dei sogni sono stati in parte ricostruiti, in quanto non avevo mai trascritto niente.

    Alla fine eccomi qui, deciso a raccontare quella tragica storia. Se oggi ho trovato il coraggio per farlo, lo faccio unicamente per rendere omaggio alla memoria delle vittime del disastro. In tutta onestà, che poi questo libro venga pubblicato o meno interessa poco, perché nessuno di chi ha operato in quell’inferno si sente un eroe e, se dovessi rifarlo, lo rifarei ancora.

    Storie di vita ordinaria

    Sguardi sommessi di giocatori incalliti si incrociavano con furbesca malizia. Velati segnali venivano lanciati con impercettibili espressioni del viso, non appena l’avversario si distraeva per guardare le carte che teneva in mano o cercava di comunicare con il suo compagno di gioco. I quattro amici si trovavano, quasi ogni sera, seduti attorno al tavolo di una vecchia osteria. La stagione era ancora buona malgrado fosse autunno inoltrato e così se ne stavano sotto una vigna secolare per la solita partita a carte, gustando un buon bicchiere di vino rosso. Ci passavano quasi tutte le sere sotto quella vigna, soprattutto quando faceva caldo. Ma con l’arrivo della stagione fredda dovevano lasciare la residenza estiva per chiudersi in una saletta interna. E nelle giornate fredde o piovose la frequenza dei loro incontri diminuiva. Capitava che qualcuno rimanesse a casa indisposto, oppure evitavano di uscire di casa quando gelava o nevicava.

    Giocavano a scala quaranta, ma preferivano la briscola con la quale si scatenavano. Buttavano una carta battendo rumorosamente il dorso della mano sul tavolo, un gesto plateale quasi voler impressionare l’avversario.

    «Beccati questa!» esclamò con enfasi uno dei giocatori sotto lo sguardo compiaciuto del compagno di squadra che aveva seduto davanti a sé.

    «La partita è appena cominciata, aspetta prima di cantare vittoria!». Rispose l’avversario mentre studiava con attenzione le carte che teneva in mano per scegliere quella più adatta da giocare. Non giocavano a soldi, chi perdeva pagava il vino o il caffè ai vincitori. Per loro era diventato un momento di svago dopo una giornata di lavoro. Nonostante all’anagrafe risultassero essere dei pensionati, avevano tutti e quattro un’occupazione che li teneva impegnati. Toni 78 anni e Giovanni 73, facevano i contadini. Pietro 71 anni, era un falegname molto apprezzato nel suo lavoro e, malgrado non lavorasse più con il ritmo di prima, riusciva a mandare avanti la bottega artigiana per dar tempo al figlio di imparare i segreti del mestiere. Arturo, 84 anni compiuti da un pezzo, era il più vecchio dei quattro. Da quando era andato in pensione, aveva deciso di smettere di lavorare. Spesso i suoi compagni lo prendevano in giro dicendogli che era solo uno sfaticato. Lui, impassibile, non si faceva nemmeno scalfire dalle battute ironiche dei compagni di gioco e rispondeva loro che non aveva bisogno di lavorare ancora, di soldi ne aveva più che a sufficienza per vivere da signore. La verità era che la modestissima pensione che percepiva non gli permetteva di vivere dignitosamente. Erano proprio i suoi compagni che spesso inventavano un pretesto per fingere di avere bisogno di lui nel lavoro e, così, gli allungavano qualcosa per arrotondare la pensione.

    ***

    E mentre i quattro compagni trascorrevano la serata in piacevole compagnia, in una villetta trifamiliare, una coppia, marito e moglie, si stava preparando per uscire a cena.

    «Sono pronta, tesoro» lo rassicurò Giovanna mentre si stava dando gli ultimi ritocchi davanti allo specchio.

    «Sei uno schianto!» esclamò Roberto appena la vide arrivare con addosso il vestito delle grandi ricorrenze.

    «Se non ne approfitto quando c’è un’occasione importante, quando vuoi che me lo metta!» rispose da brava donna di casa.

    Lui era un impiegato di trentott’anni, robusto e di alta statura, con capelli corti tagliati a spazzola. Grande sportivo, appassionato di tennis. Quando aveva un po’ di tempo libero, non perdeva l’occasione di infilare nella capiente borsa sportiva la sua racchetta preferita, il maglioncino ed i pantaloncini bianchi e l’accappatoio per recarsi in un centro sportivo dotato di campi adatti. Lei trentaquattro anni, capelli rossi e splendidi occhi verdi, era una donna attraente, sempre in ordine e vestita elegantemente anche con le cose più semplici. Gestiva un negozio di parrucchiera da donna nel quale si avvaleva della collaborazione di due ragazze. Le clienti ci andavano volentieri, soprattutto per l’ambiente accogliente, la professionalità e la cortesia con cui venivano trattate. Lei e il marito si erano conosciuti ad una festa e avevano continuato a frequentarsi. La reciproca attrazione si era tramutata ben presto in un fidanzamento e, dopo quasi un anno, nel matrimonio. La grande passione di lei per il ballo li portava spesso a partecipare a feste; lui non era proprio un patito ma, siccome a lei faceva piacere intervenire alle feste, diventò una consuetudine anche per lui. Una coppia molto affiatata e le amiche di lei la invidiavano sostenendo che era stata fortunata a trovare un uomo come lui.

    Uscivano a cena per festeggiare il loro decimo anniversario di matrimonio e lei non vedeva l’ora perché aveva

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