Entello, Ulisse la matrona e la fanciulla: saggi su Saba e Campana
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Di ciò si ha certa prova dalla sua ricchissima bibliografia, che allinea i volumi monografici (come quello dedicato a Sbarbaro nel 1971, quando ben pochi si erano accorti della grandezza del poeta ligure) a quelli tematici (come Gli inferi e il labirinto. Da Pascoli a Montale del 1974 o La Forma e la vita. Il romanzo del '900 del 1987), dai profili su periodi e movimenti (sul realismo del 1958) ai bilanci sul complesso della produzione letteraria italiana (come Poesia e narrativa del secondo novecento del 1978), alla curatela di opere e autori ai numerosi testi ad uso scolastico, dai saggi pubblicati sulle riviste specialistiche come "Il giornale storico della letteratura italiana" o "Lettere italiane" e quelle più orientate verso l'intervento militante come "Paragone" e "Aut–aut", alle recensioni sui quotidiani; e poi le centinaia di prefazioni — spesso anteposte a pagine di autori allora sconosciuti ma poi giunti all'affermazione — e le altrettanto numerose relazioni presentate a convegni e occasioni di pubblico incontro.
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Entello, Ulisse la matrona e la fanciulla - Giorgio Bàrberi Squarotti
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2015 Oltre S.r.l.
http://www.oltre.it
Titolo originale dell’opera:
Entello, Ulisse la matrona e la fanciulla
saggi su saba e campana
Marchio editoriale Gammarò edizioni
http://www.gamaro.eu
info@gammaro.eu
diretto da
Vincenzo Gueglio
Collana * Classici / Saggistica *
EDIZIONE A STAMPA
Prima edizione: ISBN 9788895010724, ottobre 2010, © Gammarò edizioni
Prima ristampa: ISBN 9788895010724, ottobre 2015, © Gammarò edizioni
EDIZIONE DIGITALE
Prima edizione: ISBN 9788896647578, ottobre 2015, © Gammarò edizioni
INDICE
IL D'ANNUNZIO DI CAMPANA
LA GENOVA DI CAMPANA
CAMPANA : LA MATRONA E L'ANCELLA
SABA , LA FANCIULLA EGOISTA E IL VECCHIO
LA DONNA COME ANIMALE
GIOVANNINO E BERTO: PASC OLI E SABA
ULISSE ED ENTELLO: SABA
IL D'ANNUNZIO DI CAMPANA
C'è una descrizione di paesaggio notturno, negli Inediti, fra i Taccuini, abbozzi e carte varie di Campana, che trapassa dalle riflessioni interiori al discorso letterario, dalla memoria al giudizio critico, su d'Annunzio specificamente:
Davanti alle cose troppo grandi sento l'inutilità della vita. Il mare ieri era discretamente bello. Sono andato di notte al mare. Avevo visto i monti pisani velati da cui sorge la luna di d'Annunzio senza foco e due aeroplani che volavano sul treno. Perché leggemmo d'Annunzio prima di partire? Nessuno come lui sa invecchiare una donna o un paesaggio. Pallida, come una vita senza foco come col suo diretto il macchinista stinge il paesaggio e vìola il cielo che non conquista? Sciocchezze?... La città è una serie di cassoni balordi. Appiccicato alla spalliera del passeggio guardo il mare senza parole come io sono senza pensiero. La Gorgona è un dosso lontano sul mare abbandonato laggiù nei tramonti.
L'alternanza del paesaggio e del giudizio critico non comporta affatto, come si è detto e ripetuto un'infinità di volte, il radicale rifiuto dell'opera dannunziana, quasi che Campana, in altro modo, volesse esprimere come pensiero e concetto la negazione di d'Annunzio che, per ironia e per gioco, Gozzano, negli stessi anni, offre alle contraddittorie sperimentazioni della giovane letteratura italiana:
L'Iddio che a tutto provvede
poteva farmi poeta
di fede: l'anima queta
avrebbe cantata la fede.
Mi è strano l'odore d'incenso,
ma pur ti perdono l'aiuto
che non mi desti se penso
che avresti anche potuto,
invece che farmi gozzano
un po' scimunito, ma greggio,
farmi gabrieldannunziano:
sarebbe stato ben peggio!
Buon Dio, e puro conserva
questo mio stile che pare
lo stile d'uno scolare
corretto un po' da una serva.
L'ironia di Gozzano contrappone alla poesia di d'Annunzio la sua, quella antifrastica, dal basso, come scrittura umile, quotidiana, tanto da rendersi comprensibile e amabile anche da una serva. È una finzione, naturalmente, un gioco. Chiamare in causa il buon Dio e la sua provvidenza, che non lo hanno fatto poeta gabrieldannunziano, non significa che egli ambisca a una poesia adatta alle serve un poco acculturate, tanto è vero che sanno correggere lo stile di Guido in sé tanto impreciso da essere quello di uno scolare: tende, sì, al sublime, alla rappresentazione della vita e dell'amore, dell'avventura e della memoria della letteratura del passato nella varietà delle sue vicende, e sa molto bene che non è possibile affrontare a faccia a faccia l' enorme possanza e inventività di d'Annunzio, ma la rappresentazione di quelle ragioni fondamentali del poetare non può che essere attuata per antifrasi, per ironia appunto.
È lo stesso problema che si pone Campana. L'inizio del frammento campaniano è anche un intarsio di citazioni dannunziane calcolatamente evocate, con, al centro, la dichiarazione di poetica: i monti pisani, quelli che d'Annunzio raffigura nella prima sezione di Alcyone, come riscontro con Pisa, l'Arno, la foce del fiume, san Rossore, il mare; e ci sono pure gli aeroplani dannunziani a confronto con il treno del poeta, e c'è anche l'isola Gorgona, quella dantesca ma ugualmente ricordata da d'Annunzio. Campana moltiplica i termini di confronto: la luna dannunziana a partire dalla Sera fiesolana, il fuoco della luna stessa, nello stesso ambito descrittivo, il mare non espressivo, senza parole
, là dove la voce del mare attraversa l'intera estate di Alcyone, Pisa che è la città del silenzio di Elettra, ed è, invece, agli occhi di Campana, una serie di cassoni balordi
(ed è un' allusione ulteriore all'architettura moderna che fa apparire la città ridotta alla doppia forma del disordine e della confusione assurda nel rigore geometrico). La bellezza del mare, che Campana descrive all'inizio del frammento, è visto e giudicato come inespressivo, non comunicativo, senza luce e voce, proprio perché troppo d'Annunzio l'ha rappresentato come emblema supremo di grazia e di verità. La dichiarazione critica di Campana deriva da tutte queste citazioni ed evocazioni della poesia dannunziana: esse devono dimostrare, per allusione, che fondamentalmente morta
è la scrittura di d' Annunzio sia quando parla di donne e d'amore sia quando descrive i paesaggi e i luoghi. Più distaccati e più lontani sono altri elementi di derivazione dannunziana: in particolare, i due aeroplani e, come pura contrapposizione di esperienza e di nomi, la Sardegna dove Campana si è recato e quella di Elettra (il poemetto dedicato a Garibaldi a Caprera), di Forse che sì, forse che no, con Paolo Tarsis che precipita con il suo aereo proprio sulla riva del mare della Sardegna, di Più che l'amore, con lo scambio di parole e di memoria sarda di Corrado Brando con il suo servo. È necessario, a questo punto, rivolgersi al primo dei Notturni campaniani che si intitola clamorosamente La Chimera, come la raccolta poetica di d'Annunzio, che è datata 1885-1888. La Chimera ha, però, anche il titolo del poema tentato da Andrea Sperelli (siamo ne Il piacere), di cui egli ricorda e cita qualche verso a lode e gloria della Chimera come la figura della violenza, del sangue, del desiderio e della morte:
Vuoi tu pugnare?
Uccidere? Veder fiumi di sangue?
gran mucchi d'oro? greggi di captive
femmine? schiavi? altre, altre prede? Vuoi
tu far vivere un marmo? Ergere un tempio?
Comporre un immortale inno?
Vuoi (m'odi
giovane: m'odi?) vuoi divinamente
amare?
Con tante citazioni di Flaubert, la Chimera di Andrea Sperelli è l'emblema di lussuria e sangue, e ci sono le captive / femmine
, che nei Canti Orfici ritornano tanto frequentemente nella forma della matrona e dell'ancella, cioè la schiava, la captiva
dannunziana tradotta da Campana nell'ancella
, e il divinamente amare
di Andrea Sperelli è ripetuto con analoga intensità da Campana: Venne la notte e fu compìta la conquista dell'ancella. Il suo corpo ambrato la sua bocca vorace i suoi ispidi neri capelli a tratti la rivelazione dei suoi occhi atterriti di voluttà intricarono una fantastica vicenda
. Campana si serve anche per similitudine del termine cinedo
per designare l'ancella-schiava, secondo l'insistente figurazione che d'Annunzio ampiamente adopera soprattutto nella raccolta de La Chimera, in quanto questa è trasformata in emblema della crudeltà e dello spietato dominio femminile sui giovani che pure aspirano alla conquista e al possesso erotico di lei. Dice Campana descrivendo conclusivamente, con sapientissima variazione di immagini e di ritmo, l'ancella appena posseduta:
La fanciulla posava ancora sulle ginocchia ambrate, piegate piegate con grazia di cinedo.
Né si dimentichi il fatto che, prima, la parola nella
funzione di similitudine era già stata usata da Gozzano,
ne Il gioco del silenzio:
Rivedo
quel tuo sottile corpo di cinedo.
La Chimera campaniana discende da quella di d'Annunzio, a sua volta in forza delle citazioni di Verlaine, di Gautier, di Gérard de Nerval, di Huysmans: ma Campana evita e abbandona decisamente tutto lo sfarzo di immagini, versi, prose parnassiane e tardo-ottocentesche a cui d'Annunzio si rifà per trasformarlo invece in vita e attualità dei sensi e delle visioni come egli ha detto e spiegato nelle riflessioni degli Inediti citati. I giovani e le donne de La Chimera dannunziana sono trasformati nella visione e nel sogno della notte dell'incontro con la matrona e l'ancella ambrata (sono entrambe un'ulteriore citazione della padrona e della schiava): che sono descritte e animate così insistentemente che la loro presenza non si scioglie né si fa fioca nel ricordo campaniano. Nulla le due figure hanno a che vedere con la continua metamorfosi che compie d'Annunzio risolvendo le forme originariamente vive nelle statue, dei disegni, nei colori degli affreschi, nelle immaginazioni della scrittura, come Campana ha acutamente osservato. Si pensi al primo sonetto de La Chimera dannunziana:
Quando, furia d'amore, in labirinti
di rose la bellissima Chimera
traeva sitibondi in una schiera
i bianchi efèbi a la sua chioma avvinti,
ridevan essi di lor sangue tinti
a l'ugna e a 'l bacio de l'ardente fiera;
poi tra la fiamma de la gran criniera mancavan come
languidi giacinti.
Così, mio Sogno, a le tue tristi aurore
gli spiriti fuggiti de 'l mio core
rompono insieme tempestando forte.
Seguon devoti la lor cieca sorte:
da presso udendo il rombo de la Morte,
ridon ebri di gioia e di dolore.
La Chimera dannunziana è la figura della voluttà e del sangue, della bellezza e del sacrificio nella variazione tesa ed esasperata della rappresentazione dell'amore (anzi, del sesso) e della morte. L'inizio de La Chimera di Campana è, al tempo stesso, analoga e opposta, nel senso che lussuria e morte sono trasformati nel sogno e nella visione della figura femminile, che è sempre la Chimera, ma, piuttosto, liberty, decorativa, raddolcita, pallida per lo stupore di una bellezza celeste, distaccata, pura. La violenza esasperata della Chimera che avvince gli efèbi e li strazia si trasforma, nel testo dei Canti orfici, nella grazia viva e tuttavia sognata della nuova Gioconda: la donna ideale, anch'essa, come la Chimera dannunziana, quale forma esemplare e ideale, ma d'Annunzio costruisce e varia infinitamente le citazioni poetiche e narrative della presenza ottocentesca delle rappresentazioni della lussuria e della morte, là dove Campana propone una visionarietà femminile attuale, moderna, originale, vitale, in forza della trasformazione novecentesca delle mode e della stessa scrittura:
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente.
La Chimera campaniana è adolescente, pallida, sì figura della Gioconda leonardiana, e la citazione di Leonardo tanto caro a d' Annunzio dall'Intermezzo all'Isotteo e a La Chimera stessa, fino a Le Vergini delle Roccie, è evidente. Non per nulla Campana parte fin dal primo verso dalle roccie
del quadro di Leonardo alle rocce che dànno il titolo al romanzo dannunziano delle tre Gioconde, delle Vergini figlie del principe Montaga; e la sognata adolescente è pur chiamata, per due volte, Regina, come la Reina dannunziana del XIII componimento di Donna Francesca:
Su per le scale ampie d'argento
la Reina salìa verso l'altare.
La Regina campaniana appare con i mitici pallori
che sono le immagini della purezza, della sacralità, dell'estrema giovinezza, con quel tanto di preraffaellita delle forme femminili de La Chimera di d'Annunzio:
Oh Viviana May de Penuele,
gelida virgo prerafaelita,
oh voi che compariste un dì, vestita
di fino argento, a Dante Gabriele,
tenendo un giglio ne le ceree dita.
Campana trapassa dalla poesia preraffaellita a quella liberty, che sono le due forme femminili celebrate e contemplate (con la dannunziana dedicazione dell' oh
laudativo) entrambe nel sogno e nella visione. La Regina adolescente è un ossimoro come doppia citazione e, tuttavia, contrapposizione palese delle descrizioni dannunziane delle donne della pittura e delle tradizioni poetiche, là dove le donne di Campana sono molto semplificate: la matrona e l'ancella, la fanciulla e la prostituta, la visione (proprio ne La Chimera, e l'adolescente è ideale, intatta) e il desiderio fino al possesso nella notte; ma la suora de la Gioconda
contiene in sé l'allusione alla verginità. Regina e adolescente è, appunto, un ossimoro, che congiunge le due figure femminili de La notte campaniana: la matrona e l'ancella; e i termini Principessa, fanciulla, pallido, ritornano nelle altre poesie dei Notturni, più precisamente il pallido amor degli erranti
, la pallida Sorte
, le stelle le pallide notturne
. Campana ribalta le luci dannunziane nelle notti come