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L'antipolitica in italia: da mussolini a berlusconi
L'antipolitica in italia: da mussolini a berlusconi
L'antipolitica in italia: da mussolini a berlusconi
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L'antipolitica in italia: da mussolini a berlusconi

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L'elaborato è un tentativo di definire i contorni del fenomeno dell'antipolitica e di descriverne gli effetti sul panorama politico italiano dal secondo dopoguerra agli inizi degli anni novanta. Nella prima parte viene affrontato il tema dell'antipolitica evidenziando il rapporto tra media e politica e l’evoluzione della funzione dei partiti moderni. Nella seconda parte si cerca di ricostruire la comune radice antipolitica della storia politica italiana tracciando una linea ideale che tocca 4 punti chiave: il primo fascismo di Mussolini, con la dottrina negativa dell'attivismo e il rapporto con Gentile, il qualunquismo di Giannini con i motivi della estemporanea ascesa del partito dell’Uomo Qualunque, la retorica antipartitica del partito radicale di Pannella e il nuovismo berlusconiano nella discesa in campo del 1994.
LanguageItaliano
PublisherAndrea Marra
Release dateJul 29, 2013
ISBN9788868551339
L'antipolitica in italia: da mussolini a berlusconi

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    L'antipolitica in italia - Andrea Marra

    di   Andrea   Marra

    INDICE

    INDICE

    INTRODUZIONE

    L’ANTIPOLITICA

    1.1 IL CONCETTO

    1.2 L’ANTIPOLITICA COME ANTIPARTITISMO

    1.3 L’ANTIPOLITICA COME POPULISMO

    1.4 ANTIPOLITICA NEL RAPPORTO TRA POLITICA E MEDIA

    THOMAS HOBBES

    2.1 INTRODUZIONE

    2.2. LA CONDIZIONE DELL’UOMO IN HOBBES E LO STATO DI NATURA

    2.3 LEGGE DI NATURA E LEGGE CIVILE

    2.4 L’ANTIPOLITICA IN HOBBES

    L’ANTIPOLITICA NEL MULTIFORME MOVIMENTO FASCISTA

    3.1 IL PRIMO FASCISMO E L’IDEOLOGIA FASCISTA

    3.2 LA DOTTRINA POLITICA DI GENTILE

    IL QUALUNQUISMO

    4.1 LA DOTTRINA QUALUNQUISTA

    4.2 IL PARTITO DELL’UOMO QUALUNQUE

    IL PARTITO RADICALE

    5.1 STRUTTURA E CARATTERISTICHE DEL NON- PARTITO RADICALE

    5.2 MARCO PANNELLA E L’USO RADICALE DEL REFERENDUM

    SILVIO BERLUSCONI, FORZA ITALIA E IL PRIMO GOVERNO DELLA SECONDA REPUBBLICA

    6.1 FORZA ITALIA E BERLUSCONI

    6.2 CORREVA L’ANNO 1994

    CONCLUSIONE

    BIBLIOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    Infilati sotto il cofano dell'auto, guarda cosa non va e riparalo. Non sembra certo una frase ad effetto né uno slogan elettorale in stile politichese. Il messaggio allegorico espresso con queste parole da Ross Perot¹ è una chiara manifestazione piuttosto di quel concetto che va sotto il nome di antipolitica. In questo elaborato si tenterà di definirne i tratti peculiari cercando di fare spazio nel ginepraio concettuale che rende l'antipolitica un'idea molto vaga, ambivalente e difficile da fissare univocamente. Essa sconta infatti a livello accademico e scientifico una certa confusione terminologica; questo determina una distinzione fuorviante dei diversi usi e accezioni che di volta in volta assume: un mostro a più teste che ha però fatto breccia nella contemporanea realtà politica determinando uno sconvolgimento degli equilibri politici moderni.

    Qui di seguito cercheremo di argomentare il rapporto sviluppatosi tra antipolitica e società moderna consapevoli della difficoltà di trovare in tale ambito delle certezze a livello e teorico nella letteratura politica. Specificatamente, dopo una chiarificazione dal punto di vista epistemologico della sua natura multiforme, svilupperemo tre micro realtà del macrocosmo antipolitico: il sentimento antipartitico, il populismo e la relazione con i mezzi mediatici. Ripercorreremo i tratti salienti della teoria politica di Hobbes, considerato a pieno titolo come il padre della moderna antipolitica.

    Uno dei migliori palcoscenici delle performance antipolitiche attuali risulta essere la penisola italiana, il contesto ideale per mettere in scena un'opera con più atti dove il protagonista è sempre lo stesso ma indossa maschere diverse. Analizzeremo quindi per primo il periodo fascista cercando di evidenziare il carattere antipolitico di alcuni aspetti della sua ideologia; passeremo poi alla trattazione di quel vero e proprio terremoto politico e sociale rappresentato dal Fronte dell'uomo qualunque, soffermandoci sulla figura stravagante e combattiva di Guglielmo Giannini; in seguito faremo un salto di quasi vent'anni per osservare da vicino la pregnanza politica innovativa e pseudorivoluzionaria del partito radicale per, infine, analizzare l'ascesa del leader outsider per eccellenza della cosiddetta Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi.

    L’ANTIPOLITICA

    1.1 IL CONCETTO

    La definizione più inflazionata e semplicistica di antipolitica la dipinge come un complesso di atteggiamenti e comportamenti ostili al mondo della politica evidenziandone l'aspetto negativo e distruttivo tanto da oscurarne il lato nobile. Solo rifacendoci all'origine etimologica del concetto potremo sviluppare un'analisi realmente obiettiva e trasversale del mondo dell'antipolitica, rilevando la sua natura bifronte, portando quindi alla luce il suo carattere destruens come evoluzione del suo primordiale significato positivo. La parola antipolitica fu usata per la prima volta durante la rivoluzione francese negli ambienti giacobini per indicare una politica altra, diversa da quella ufficiale del regime monarchico, certamente ostile ma pregna di finalità propositive e dinamica da un punto di vista politico. Les circles des antipolitiques, ossia i circoli giacobini degli antipolitici, erano legati indissolubilmente al campo politico per il quale volevano un cambiamento, che poi si rivelerà rivoluzionario, denotando quindi uno spirito propositivo fatto di impegno e dedizione nella sfera degli affari pubblici. Tutto questo è palesemente lontano dai connotati assunti oggi dalle condotte antipolitiche , ispirate per lo più a sentimenti che implicano o che generano un allontanamento dal regnum politicum. Recentemente il termine antipolitica ha fatto il suo ingresso nel lessico politico corrente nelle zone di frontiera tra l'Europa dell'ovest e dell'est dove era usato per indicare la fioritura negli ambienti borghesi e proletari della Polonia Cecoslovacchia e Ungheria di un atteggiamento contrastante la politica ufficiale degli apparati statali e di partito, portatore di un clima nuovo di fiducia in un futuro diverso. Oggi invece l'antipolitica è spesso accostata a fenomeni di crisi: crisi delle ideologie, dei partiti, della società moderna, dei valori e più in generale del concetto di democrazia rappresentativa. Sempre di più sono i cittadini che vivono sotto un regime democratico e in maniera speculare sempre di più quelli che si lamentano del suo funzionamento: gli atteggiamenti più comuni sono la disaffezione il cinismo e la rabbia.

    Prima di andare oltre e di addentrarci nell'universo dell'antipolitica sembra necessario e non di meno utile guardare dall'altra parte dello specchio la creatura politica: non si può infatti parlare di antipolitica senza riferirsi al terreno dove attecchisce e prende forma. La politica essenzialmente abbraccia tre cose: la definizione dei problemi e dei conflitti sociali, l'elaborazione di decisioni obbligatorie e lo stabilimento di proprie regole. Essa controlla la complessità degli affari comuni in un modo autoritativo e presuppone l'esistenza di una comunità dove i membri siano consapevoli della loro interdipendenza cosi come delle loro differenze capaci altresì di agire in concerto e di accettare le decisioni. La politica quindi ha una responsabilità nell'amministrare la realtà degli affari pubblici ma la sua quintessenza è la regolamentazione dell'opposizione tra il privato e il pubblico: ordinare gli atti comunicativi in base alla loro qualità politica o non politica, stabilire il confine tra pubblico e privato in maniera da definire cosa rientri nella sfera d'azione e di decisione della politica stessa. Solo in due casi questa linea scompare, nelle società totalitarie dove tutto è politico e nell'isola di Robinson Crusoe prima dell'avvento di Venerdi dove tutto è personale. La politica inoltre, nella sua azione regolatrice dei conflitti e delle avversità, si avvale dell'apparato statale, caratteristica dell'età moderna, assumendo il monopolio della forza, secondo una visione weberiana², per l'imposizione di regole obbligatorie. Essa presuppone pluralità, differenti valori e interessi, implicando una società eterogenea che riconosca in lei il garante della propria particolarità e unicità; in una società omogenea, globalizzata, il fine della politica quindi può perdere di importanza e soprattutto di senso. L'individualizzazione imperante determina la primazia della sfera privata su ogni cosa; l'azione collettiva cessa di esistere, l'individuo si rintana in un mondo autarchico e le identità acquistano un nuovo valore scandito dal senso carente di comunità e dalla ricerca di un riconoscimento che la politica tradizionale, imperniata su una società caratterizzata da cleavages che rispecchiano un mosaico di differenti identità collettive, non è capace di dare. Da qui si sviluppano tutte quelle idee antipolitiche che si caratterizzano per il loro carattere identitario, integralista e autoreferenziale³. Se la politica come sfera d'azione autonoma, sottosistema della società guidato da proprie dinamiche, equivale ad uno strumento educativo in quanto trasmette quei contenuti culturali sui quali una società fonda la propria specificità, l'antipolitica è antieducazione, è la negazione del carattere funzionale, di regolazione dei conflitti della politica, è la fine dell'ideologia dello sviluppo: in una parola è regressione, chiusura in un mondo che si alimenta di integralismo che ha bisogno di nemici da odiare, esalta le differenze, offre egoismo al posto di solidarietà. Continuando nel parallelo tra politica e antipolitica arriviamo a porci la domanda centrale nel lavoro di Schedler⁴, ovvero cosa c'è di speciale nella politica ? . Restringendo il campo dell'analisi ai regimi democratici, decidendo così di riconoscere la politica democratica liberale come la vera politica rifacendoci alla teoria della Arendt⁵, la peculiarità della politica è il linguaggio: il dialogo porta infatti a ridurre la probabilità dell'errore, rappresenta l'opposizione alla violenza, la parola che si alza contro la spada, la logica degli argomenti contro quella del potere e della guerra. Con il linguaggio, il momento della deliberazione diventa sovraordinato rispetto a quello rappresentativo:questo vuol dire che la regola consensuale della deliberazione può andare contro la norma maggioritaria della responsabilità elettorale. La politica è in questo senso un corpo autonomo che riesce a darsi proprie regole e per mantenere la sua essenza non diventa mai succube della volontà popolare, il cui primato invece viene spesso decantato e strumentalmente invocato in tutti quei discorsi antipolitici in cui si cerca di riformulare la democrazia rappresentativa secondo un'accezione plebiscitaria. Ci si deve invece ricordare che se è vero che la democrazia moderna è frutto dell'incontro tra democrazia liberale, suffragio universale e costituzionalismo liberale, questo non equivale a dire che la legittimazione elettorale possa essere condizione sufficiente ad una legittimazione democratica dell'istituzione. Asserire il primato della volontà popolare può essere molto pericoloso, si può trasformare il voto in un vero e proprio rito di acclamazione, svuotando la politica del suo carattere deliberativo consensuale, della sua razionalità comunicativa alimentando così un vero e proprio fondamentalismo democratico⁶. Come dire che a contare è l'investitura elettorale: per questo lenuove destre si cimentano in una ormai abitudinaria e ridondante opera di esaltazione del binomio democrazia- popolo appellandosi alla sovranità della comunità socio-politica-elettorale elevandola ad una sorta di mantra concettuale , di faro nella notte. Ben inteso: nello sviluppo di uno stato democratico liberale non si può prescindere dall'architrave della sovranità popolare ma si deve altresì riconoscere che è una costruzione cosi complessa, quella statale, da necessitare di numerose altre parti tutte a loro modo fondamentali e insostituibili. Le nuove destre antipolitiche negli ultimi due decenni, invocando il nome del popolo come elemento in grado di ridurre ai margini ogni altra unità della complessa macchina democratica, hanno avviato un meccanismo di deperimento e di involuzione del sistema politico distorcendo e svuotando la democrazia stessa mediante un uso improprio dei suoi principi e delle sue regole. Assistiamo ad una rilettura evidente delle regole rappresentative in nome di un desiderio quasi umanitario di devolvere il potere al più basso livello possibile: un esempio su tutti è la linea programmatica del Bnp britannico ispirata dall'idea più democrazia, non meno. Lo scenario preoccupante non è certo determinato, e non potrebbe esserlo, da un coinvolgimento maggiore dei cittadini quanto invece dalla presunzione di delineare una preferenza di utilizzo per la democrazia diretta come sostituta di quella rappresentativa. In tal senso la quintessenza dello sviluppo antipolitico è la leadership: il legame rappresentativo è soppiantato da quello diretto tra leader ed elettorato; il leader agisce in nome del popolo e per il popolo, che si trasforma in una unità organica, quasi indifferenziata, legata da un filo diretto a lui, il rappresentante di tutti, l'unico capace di rispondere ai bisogni della società vista come corpo omogeneo dove le differenze sono ridotte a zero dal collante identitario usato per ottenere consenso. Approfondiremo il tema della leadership nelle sue implicazioni sull'antipolitica vista come nuova forma aggiornata di populismo più avanti. Cerchiamo ora di dare un quadro generale delle forme di antipolitica: non possiamo che iniziare la nostra analisi dalla studio di Andreas Schedler,uno degli studiosi più insigni di antipolitica il cui contributo è forse il caposaldo della letteratura politica sul tema⁷. Egli distingue in base alle finalità 2 tipi di pensiero antipolitico: uno pretende di detronizzare e bandire la politica, l'altro di conquistarla e colonizzarla. Nel primo caso la sfera pubblica risulta libera, lasciata inabitata e la politica inoccupata mentre nel secondo il fine è quello di assoggettare il campo della politica a regole esterne derivanti da altri campi di attività. Le forme di antipolitica rientranti nella prima grande definizione muovono dal presupposto che la politica sia un'attività non solo inefficace ma perniciosa la cui funzione primaria, il controllo degli affari pubblici, risulta priva di sbocchi e di senso in una società fortemente individualizzata dove i problemi dell'azione collettiva non sembrano esistere. Sono 4 le linee di pensiero sviluppatesi con questi tratti comuni: la prima ritiene la politica non necessaria in quanto la società non esiste e con lei i beni o mali pubblici; la seconda fonda la non necessità della politica sull'assunto che gli individui non esistono né formano quindi gruppi sociali; la terza

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