Viaggio nella costellazione del cancro
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Book preview
Viaggio nella costellazione del cancro - Giuseppe Perrotta
Paola
Premessa
Cancro: una parola che è una vera «costellazione» semantica; un vocabolo che, in ogni sua accezione, è astri, segni, nebulose, punti luminosi e buchi neri.
Cancro: un vocabolo polisemico dai significati così diversi. Ora tristi, aspri, brutti, terribili, deprimenti e dolorosi, ora attraenti, forti, fascinosi, interessanti, mirabili e belli.
Cancro: una polisemia che, comunque la si voglia intendere e in qualunque contesto, lascia la mente incerta, il pensiero incompiuto e il sapere balbettante. E l’immaginazione, anche la più fervida e fluente, e la conoscenza, anche la più avanzata, a un certo punto si fermano, davanti alla soglia dell’ignoto, dell’infinito, dell’arcano e del mistero.
Se fossi astronomo
Da tre anni mi trovo spesso immerso in considerazioni, intime o espresse, sul cancro e, talora, mi sorprendono anche mentre medito o parlo di tutt’altro. Quando penso o parlo o scrivo di cancro, confesso che preferirei essere un astronomo e, di notte, nelle veramente mie vissute notti, quand’anche la fiaccola del sole pudicamente si cela per far risplendere le stelle, vorrei poter spalancare occhi e mente e cuore alla contemplazione delle mille e mille luci della volta celeste.
È un infinito impalpabile, vago e lontano, affascinante e misterioso, apparentemente immoto nei millenni, e sempre brillante al di sopra dei nembi e dei cumuli più foschi, al di sopra degli intelletti e delle miserie umane. È un infinito di cui l’uomo è parte; ma che resta pur sempre molto distante dalle brevi paci e dalle sempre lunghe guerre che affliggono un animo o un popolo o l’umanità intera.
È un infinito impenetrabile e ignoto, che risplende nelle notti di luna piena e in quelle di luna nuova, sia che il cielo si ammanti della sua livrea blu sia di quella nera.
Solo con il buio puoi bearti e innamorarti della visione delle stelle. E più buio è il cielo e più soli, anche migliaia di soli, riesci a vedere. La notte, per questo, è generosa: è generosa di stelle. Il giorno, avaro, ci fa vedere un solo sole!
La volta celeste e la notte sono due entità lontane e vicine, anche inquietanti, talora, per i loro aspetti oscuri, ma entrambe familiari sin dai primi passi dell’uomo sulla terra. Entità e immagini abituali all’uomo sin da quando, stupito e dubitoso, apre gli occhi alla luce abbagliante del giorno e al respiro ansimante del mondo.
La volta celeste e la notte sono dimensioni diverse e intricate: spazio e tempo che si confondono e si fondono in una danza gioiosa ed eterna, sin dalla creazione: è un infinito che pare finito e il finito che porta all'Infinito.
È veramente difficile guardare il cielo stellato di notte e non pensare all’Eterno. Contemplando di notte le stelle, comprendo bene l’osservazione di Benjamin Franklin: «Capisco come si possa guardare la terra ed essere atei, ma non capisco come si possa guardare il cielo di notte e non credere in Dio».
È bella la notte.
È più bella la notte, perché il giorno è crudo, il giorno è affilato, il giorno è spigoloso. Di giorno, con la visione nitida di tante infelici tracce di povertà e d’infiniti angoli di miseria, di adulta crudeltà e di innocente sofferenza, l’animo potrebbe più facilmente vacillare e, per taluni, sarebbe più facile dubitare della stessa presenza del Creatore di tutte le cose.
La notte no. La notte è morbida, e vellutata, e liscia. La notte è tenera. La notte è sinuosa. La notte è impalpabile. Di notte vedi nitide solo le stelle e non dubiti dell’infinito e della grandezza del suo Creatore, perché «le stelle sono buchi da cui filtra la luce dell’infinito» (Confucio). L’immensità del cielo e le miriadi di astri, infatti, con le loro regole, con la loro bellezza, con la loro grandezza, con la loro armonia, che l’astronomo meglio conosce, osserva e verifica, non possono essere frutto del caso, ma creazione di un’entità superiore, in cui ognuno, nella sua libertà di pensiero, può credere o no, e può chiamare come vuole. Per me è Dio, Creatore e Signore di tutte le cose, visibili e invisibili, e Cristo è suo Figlio, nell’unità con il Santo Spirito, immenso, infinito, eterno e creatore come il Padre.
La volta celeste e la notte: il buio e mille punti di luce, sia a occhi aperti sia chiusi, e da astronomo li osserverei più da vicino con lo sguardo degli occhi e con gli occhi del cuore. Sono belli e sempre lì, in alto, come i sogni più appaganti. Basta alzare lo sguardo al cielo e, con il buio, li trovi sempre lì, anche se la rugiada della notte imperla i tuoi occhi assonnati e inondati delle magiche luci dell’indistinto e del mistero.
La volta celeste sta alla notte come l’amore sta al cuore, più del giorno nel comune sentire.
Alla luce del sole apprezzi meno la vastità dell’universo. Non hai riferimenti in quell’azzurro sconfinato e uniforme; e il cielo, sposando il mare in modo continuo e piatto, pare estinguersi in esso. All’orizzonte poi, quand’anche una tenue velatura è presente, cielo e mare paiono un tutt’uno e non distingui più l’etereo impalpabile dalla massa liquida.
Ma non c’è velatura che possa eclissare realmente le stelle, le miriadi di astri della volta celeste; così come nessuno e nulla può cancellare le stelle degli affetti che ognuno custodisce, gelosamente, nel firmamento fantastico del cuore.
I bambini, i tuoi bambini, la tua reale proiezione nel futuro, sono la costellazione di affetti più luminosa e più tenera che puoi vedere, e di cui vorresti vivere esclusivamente e per più tempo possibile. Con i loro grandi occhi e il loro piccolo e smisurato cuore sono capaci di riempire, finanche, ogni spazio vuoto dell’universo e i vuoti più gravi dell’esistenza.
Osservando le mille e mille luci del cielo di notte, come il pastore errante nell’Asia di Leopardi, nel suo canto notturno, mi piacerebbe, fantasticando, poter dire: «Forse s’avess’io l’ale / da volar su le nubi, / e noverar le stelle ad una ad una, / o come il tuono errar di giogo in giogo, / più felice sarei, candida luna». E sarei veramente più felice!
Mi sveglio spesso di notte; e non solo a causa di qualche inquieto fantasma della mia esistenza. Trascorro, vivendo, tante ore notturne, e per lo più serenamente; ore per altri buie, nel sonno, e come mai esistite. Quando si dorme, per la mente, è come un non vissuto: anche i sogni spesso si dimenticano. Il sonno, anche se indispensabile alla fisiologia dell’uomo, è, pur sempre, un tempo di buio e di silenzio della memoria.
Nella notte, spesso, non si apre solo il bagaglio del mio passato, con ricordo dolce e tenero di persone e di fatti, ma è vivo il presente con pensieri lieti e inquieti, e la mente, timidamente, si schiude anche a ravvicinati piccoli progetti futuri.
Nel silenzio e nel buio luminoso delle mie notti vorrei, però, poter spalancare la cupola del mio osservatorio ideale per farne uscire ogni pensiero triste, ogni incubo angoscioso e lasciare entrare, con la luce meravigliosa degli astri notturni, quasi irresistibili sirene, solo la libertà dei sogni e il canto ammaliante delle illusioni.
Sogni e illusioni! Non c’è differenza, anche se il sogno, per quanto impalpabile, lo puoi perseguire e conseguire, mentre l’illusione, che appartiene all’irreale, la puoi solo inseguire. Non c’è differenza perché entrambi danno piacere e gioia alla vita.
Entrambi, sogni e illusioni, riescono a pennellare di colori vivaci quelle pagine in bianco e nero che il trascorrere dei giorni inevitabilmente, nell’esistenza di ogni uomo, porta a scrivere e a leggere.
Entrambi, sogni e illusioni, sanno renderti più felice, riempiendo di luce e di luci l’oscurità, talora intensa, dell’animo, come la luce delle stelle dà luce e fa bella la notte più buia.
Gli astri notturni sono tanti microscopici punti, tante piccolissime luci, tanti infiniti e infinitesimali lumicini, tanti apparentemente pallidi soli, tante costellazioni, tante galassie e tanti universi, un multiverso: ora nitidi, ora tremolanti, si affievoliscono, pulsano, illuminano, risplendono, brillano ...e sono capaci, anche, di parlarti. Sono bianchi, ora rossi, ora arancioni, ora gialli. E l’insieme è una luce fantastica, una luce viva e palpitante, così prossima al concetto di infinito e di eternità.
Compagna inseparabile di questa luce è il silenzio: una dimensione finita nella vita dell’uomo e del mondo. Una dimensione che immagini infinita quando se ne attraversa la soglia, alla fine della vita.
Il silenzio spesso accompagna le veglie notturne e la contemplazione del cielo di notte, sia dello scienziato sia del sognatore.
Mi piace pure il silenzio, talora violato dall’annuire di un assiolo, o dallo stormire del vento tra le foglie, o dall’onda del mare che, senza sosta, s’infrange sulla riva, o dal cadere della pia pioggia, che lascia generosamente il cielo per rivitalizzare l’arida terra.
Amo il silenzio: quando puoi ascoltare solo il battito del cuore e la voce dell’anima sei più vicino alle stelle. Del silenzio, allora, odo quasi il suono. E, quando tutto tace, mi pare di sentire, dallo spazio profondo e vicine, anche le care voci di chi non c’è più.
Immerso nei miei sogni a occhi aperti vorrei poter fermare la notte per rincorrere il mondo dei desideri e delle aspirazioni, dei sogni e delle illusioni. Vorrei poter ascoltare a lungo la melodia del silenzio e arricchirla, quasi splendida cornice, del canto più caro e più sublime, le voci tenere e dolci dei figli dei miei figli, accompagnate dalle note strumentali più armoniose.
No. Non temo la notte. Non mi rattrista la notte. Non m’inquieta la notte. Mi piace tanto la notte, al pari di un astronomo, da aspettare che il giorno passi per poter riprendere a osservare le stelle e lasciar correre il pensiero, senza briglie, nello spazio profondo.
Non mi angoscia la notte, al punto che talora bramerei poter allontanare la luce dell’alba e il sorgere del sole che, inesorabilmente e lentamente, ma solo temporaneamente, cancellano la luce degli astri notturni, dissipano la foschia dell’indistinto, definiscono sempre più i contorni anche delle forme più brutte, materiali e immateriali, e mettono in evidenza ciò che non vorresti mai vedere o cui non vorresti giammai assistere.
Finisce il sogno con il giorno e, con la luce solare, ricompare il reale. Si presentano, con una ricorrenza noiosa e angosciante, problemi vecchi e nuovi, alcuni anche antichissimi, già denunciati da Amos, un profeta dell’VIII secolo avanti Cristo. Ma sono argomenti drammaticamente attuali perché