Antigone
By Sofocle
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Antigone - Sofocle
ANTIGONE
Σοφοκλής, Αντιγόνη
Originally published in Greek
ISBN 978-88-674-4209-6
Collana: AD ALTIORA
© 2014 KITABU S.r.l.s.
Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano
Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.
Ti auguriamo una buona lettura.
Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio
ANTIGONE
PERSONAGGI:
ANTÌGONE (sorella di Polinice, promessa sposa di Emone)
ISMENE (sorella di Antìgone)
CREONTE (re di Tebe)
EMONE (figlio di Creonte, promesso sposo di Emone)
TIRESIA (indovino cieco)
EURIDICE (moglie di Creonte)
CUSTODE
MESSO
CORO DI VECCHI TEBANI
GUARDIE
POPOLO
AMBIENTAZIONE:
La scena sull'acropoli di Tebe, dinanzi alla reggia.
(È l'alba. Dalla reggia escono Antìgone e Ismene)
ANTIGONE:
O mia compagna, o mia sorella, Ismene,
sai tu quale dei mali che provengono
da Èdipo, Giove sopra noi non compia,
mentre siamo ancor vive? Oh!, nulla v'è
di doloroso, di funesto e turpe,
di vergognoso, che fra i mali tuoi,
fra i mali miei visto non abbia. E adesso,
qual bando è questo, che il signore, dicono,
fece or ora gridar nella città?
Lo sai? Lo udisti? O ignori tu che offese,
come a nemici, sugli amici incombono?
ISMENE:
Nessuna nuova, né trista né lieta,
dei nostri amici, Antigone, mi giunse,
da quando entrambe noi di due fratelli
orbe restammo, in un sol giorno uccisi
con reciproca mano. E poi che lungi
la scorsa notte andò l'argivo esercito,
io null'altro mi so: né piú felice
né sventurata piú di pria mi reputo.
ANTIGONE:
Ben lo sapevo; e fuori del vestibolo
perciò ti trassi: per parlarti sola.
ISMENE:
Che c'è? Qualche tuo detto oscuro sembrami.
ANTIGONE:
Non sai tu che Creonte, onor di tomba
concesse all'uno dei fratelli nostri,
l'altro mandò privo d'onore? Etèocle,
come la legge e la giustizia vogliono,
sotto la terra lo celò, ché onore
fra i morti avesse di laggiú; ma il corpo
di Poliníce, che perí di misera
morte, ha bandito ai cittadini, dicono,
che niun gli dia sepolcro, e niun lo gema,
ma, senza sepoltura e senza lagrime,
dolce tesoro alle pupille resti
degli uccelli, che a gaudio se ne cibino.
Questo col bando impose il buon Creonte
a te, dicono, e a me - lo intendi? a me! -
e che vien qui per proclamarlo chiaro
a chi l'ignora; e che non prenda l'ordine
alla leggera; e chi trasgredirà,
lapidato morir dovrà dal popolo
della città. Son questi i fatti. E presto
mostrar dovrai se tu sei generosa,
o se, da buoni uscita, sei degenere.
ISMENE:
Se a questo siamo, o sventurata, come
stringere io mai potrei, sciogliere il nodo?
ANTIGONE:
Vedi, se oprare vuoi, meco affrontare...
ISMENE:
Quale cimento? Il pensier tuo dov'erra?
ANTIGONE:
Se dar sepolcro vuoi meco al defunto.
ISMENE:
Vuoi seppellirlo, e la città lo vieta?
ANTIGONE:
Anche se tu rifiuti: traditrice
niun potrà dirmi: è mio fratello e tuo.
ISMENE:
Quando Creonte fa divieto, o misera?
ANTIGONE:
Strappar non mi potrà da chi m'è caro!
ISMENE:
Ahimè!, sorella, al padre nostro pensa,
che odïato morí, per le sue colpe
ch'egli stesso scoprí, d'onore privo,
e con la man sua stessa ambe le luci
si svelse; e poi la madre sua, sua moglie -
di nomi orrida coppia! - a un laccio stretta,
scempio fe' di sua vita; e i due fratelli,
terza sciagura, l'un l'altro s'uccisero
in un sol giorno, miseri, e compierono
con reciproche mani il triste fato.
Ora noi due, sole rimaste, vedi
quanto sarà la nostra fine orribile,
se i decreti del principe e il potere
trasgrediremo, della legge a scorno.
Ed anche a ciò convien pensare: femmine
siamo, e non tali da lottar con gli uomini;
e assai piú forti son quelli che imperano;
e obbedire dobbiam dunque ai loro ordini,
e se fosser piú duri. Io dunque, ai morti
chiedo perdono, poi che son costretta,
ed ai potenti obbedirò: ché ardire
oltre le proprie forze, è cosa stolta.
ANTIGONE:
Piú non ti prego; né se ancor tu l'opera
partecipar volessi, io di buon grado
t'accetterei: sii tu quale esser brami.
Sepolcro io gli darò; bella, se l'opera
avrò compiuta, mi parrà la morte.
E cara giacerò presso a lui caro,
d'un pio misfatto rea: poiché piacere
piú lungo tempo a quelli di laggiú
debbo, che a quelli che qui sono. Là
giacer debbo in eterno. E tu, se credi,
disprezza pure ciò che i Numi pregiano.
ISMENE:
Non lo disprezzo io, no; ma fare quello
che la città divieta, io non ardisco.
ANTIGONE:
Tu tal pretesto adduci: io vado, e il tumulo
innalzo intanto al fratel mio diletto.
ISMENE:
Misera me! Come per te pavento!
ANTIGONE:
Non temere per me! Pensa a salvarti.
ISMENE:
Non svelare ad alcuno il tuo disegno,
ma nascondilo; e anch'io farò cosí.
ANTIGONE:
Ah, no, parla! Odïosa piú se taci
mi sei, che se ne fai pubblico bando.
ISMENE:
Abbrividir mi fa ciò che t'infiamma.
ANTIGONE:
Ma piaccio a quelli a cui piacere io debbo.
ISMENE:
L'impossibile brami; e non potrai.
ANTIGONE:
Quando piú non potrò, desisterò.
ISMENE:
L'impossibile tenti; e sarà vano.
ANTIGONE:
Se questo dici, l'odio mio sarai,
e infesta anche al defunto; e sarà giusto.
Or me, la mia follia, lascia che soffrano
l'orrenda pena: niun saprà convincermi
ch'io non affronti questa morte bella.
ISMENE: