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Il filo che ci lega
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Il filo che ci lega

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About this ebook

A seguito di un malore Marina, ex ballerina in pensione, viene portata, suo malgrado, dai nipoti in una casa di riposo. Nella stessa casa di riposo lavora Clara che, dopo un passato da donna in carriera che le ha causato la perdita di tutti gli affetti, è riuscita a reinventarsi una vita dedicandosi con estrema devozione agli ospiti dell’Istituto. Nonostante la reciproca diffidenza iniziale le due donne stringono un’amicizia profonda, costellata da una serie di coincidenze inattese che segnano il loro rapporto. Finché un giorno arriva la nipote di Marina, Michela, con un pacco marrone legato con uno spago. A Clara non sfugge la reazione sconvolta della sua amica. Il pacco contiene delle lettere. Sono lettere dal passato di Marina, scritte negli anni del terrorismo dal suo uomo, poliziotto prima a Milano, poi a Roma e infine a Bologna. Lettere che ci fanno rivivere il clima degli anni di piombo.

Piombo, come quello che ha avvolto il cuore di Marina quando l’ennesima strage si è portata via il suo Rossano. A nulla è servito il tempo trascorso, soltanto Clara, con la sua amicizia, riuscirà ad ammorbidire il cuore di Marina. La convincerà ad accettare il passato, a ricongiungersi con i suoi ricordi.

Lo stesso farà Marina con Clara, aiutandola a comprendere e ad affrontare i suoi demoni. Grazie a Marina, Clara rimedierà ai suoi errori e si riconcilierà con la sua famiglia.

Un romanzo che si concentra sui sentimenti, in particolar modo sull’amicizia, e ci descrive come qualsiasi ostacolo possa essere superato con un buon amico al proprio fianco.
LanguageItaliano
Release dateJun 24, 2015
ISBN9788891194640
Il filo che ci lega

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    Il filo che ci lega - Graziella Dotta

    storie.

    Autunno

    CLARA

    Una settimana di ferie e la passo a piangere. E se lo racconto a qualcuno so già che mi darà dell’idiota. Piangere la morte di una persona amica è una causa di tutto rispetto ma se dico che la persona aveva 93 anni e viveva in una casa di riposo dove io lavoro allora ti guardano storto, come se la morte in un pensionato fosse meno grave, come se fosse un ovvio effetto collaterale di un qualsiasi lavoro. E forse hanno anche ragione. Ecco perché sono qua a piangere sul mio letto con l’unica compagnia della mia gatta che pare comprendere le mie ragioni e mi abbuona una dose di coccole in più. Proprio lei che di solito è isterica. Mi era già un po’ passata, non è la prima volta, ormai sono due anni che non vado da nessuna parte e prendo una settimana di ferie ogni volta che qualcuno dei miei amici viene a mancare. Non succede per tutti, non mi basterebbero le ferie… E come se non bastasse ieri sera sono pure andata a cena con i miei ex compagni di scuola. Erano anni che ne parlavamo, non potevo mancare anche se non ero in perfetta forma. Io non potevo mancare… Ma quella perfida creatura che occupava l’ultimo banco con la stessa vitalità di un’ameba, doveva proprio venire lì e rovinarmi la serata? Non aveva di meglio da fare??? Ha cominciato col chiedermi del mio lavoro e la sua espressione valeva più di mille parole quando le ho detto che sono assistente agli anziani in una casa di riposo. Forse temeva che non avessi avuto il tempo di lavarmi le mani prima di raggiungere gli amici, o che avessi qualche pannolone in borsa… o forse gli è balenata in mente l’immagine di lei fra 30 anni nella mia casa di riposo… Fatto sta che la sua faccia si è trasformata in una maschera di sdegno e si è allontanata per andare a sedersi tra i medici e gli avvocati.

    Ma la cosa non mi ha creato il minimo fastidio, anzi. Ormai sono abituata alla reazione della gente. Sono tre anni che ho lasciato quello che era il mio lavoro e ho iniziato questa sfida con me stessa. Prima ero responsabile dell’Ufficio Acquisti di una multinazionale, a un niente da un ulteriore avanzamento di carriera. Quando si è trattato di fare il fatidico passo avanti l’ho fatto, ma in direzione contraria. Mi sono dimessa lasciando tutti di stucco. Ho capito che mi ero persa, non esistevo più come persona, lavoravo dodici ore al giorno, sempre reperibile anche di notte, ho sacrificato gli affetti e le amicizie. Ho creato il vuoto attorno a me, tutta proiettata verso il lavoro e la carriera. Quando è mancato mio papà ero a Lione, sapevo che sarebbero stati i suoi ultimi giorni ma sono partita lo stesso. Sono rientrata in fretta e furia a funerale già iniziato. Non l’ho più visto, non gli ho tenuto la mano quando se ne andava, non l’ho baciato per l’ultima volta, non gli ho accarezzato i capelli ma soprattutto, lui non mi ha più vista. Mi ha aspettata ma io non sono arrivata. Da quel giorno mio fratello e mia cognata non mi hanno più parlato. Hanno ragione, l’ho capito tardi, al momento mi sono offesa perché non prendevano sul serio il mio lavoro. E non ho ancora trovato il coraggio di rimediare, di scusarmi. Mia mamma ha cercato di comprendere e ha mantenuto i rapporti con me ancora per circa sei mesi, poi è stata ricoverata in ospedale per una frattura al femore. E dov’ero io? A Parigi per una convention di una settimana. E potevo mollare tutto e tornare a casa da mia mamma? Ma scherziamo??? Quando sono arrivata lei era già a casa, mio fratello se ne era preso cura. Io le ho fatto una visita veloce perché dovevo ripartire subito per Lione per relazionare sugli esiti della convention di Parigi. Ora lei abita con mio fratello e tratta mia cognata come se fosse la figlia che sente di avere perso. Posso biasimarla? La chiamo a Natale per farle gli auguri e lei mi chiede come sto, ma non possiamo parlare più di un paio di minuti perché mio fratello mette giù la cornetta. L’ultima volta che l’ho chiamata ha risposto lui e mi ha detto di non chiamare più perché le faccio del male, dice che appena mette giù comincia a piangere e ci vogliono due giorni per rasserenarla. Bel casino che ho combinato. E non basta, avevo anche un marito che mi amava. Ho fatto fuggire anche lui. Voleva un figlio da me ma io non avevo tempo per nessuno figuriamoci per un bambino. L’ha fatto il figlio, con quella che era la mia parrucchiera, hanno fatto anche il bis e ora lei fa la mamma a tempo pieno e, ovviamente, non è più la mia parrucchiera. Che bella persona ero, eh? Avrò fatto bene a lasciare quel meraviglioso lavoro? Almeno di questo sono convinta, è stata la prima decisione giusta della mia vita. Un po’ in ritardo però. Lo sfascio era già completo, senza possibilità di recupero. Prima o poi troverò il coraggio per provare a riannodare i fili. E speriamo che non venga scambiato per faccia tosta… Comunque non mi considero certo un esempio per le generazioni a venire. Almeno non nei primi 32 anni della mia vita. Ora non mi riconosco più, ho fatto un lavoro grandioso su me stessa, ho riconosciuto i miei errori, ho cambiato valori. Ma le scuse, quelle non ho ancora trovato il modo di farle. Mi succede a volte di non portare a termine i compiti che mi sono imposta. Arrivo a fare 30 ma non riesco a fare 31, anche se ne sento un disperato bisogno. Lo farò, metto ancora un po’ d’ordine e poi lo farò.

    Intanto non è proprio vero che ho fatto terra bruciata attorno a me, un’amica mi è rimasta. Una di quelle che ti amano incondizionatamente, che ti giustificano qualunque cosa tu faccia e ti spronano a ricominciare. Lei c’è ma è lontana, anche lei aveva un po’ di quesiti irrisolti ed è partita cinque anni fa per l’Africa, doveva essere un anno sabbatico e invece si è trasformato nella sua vita. Ora è con Medici Senza Frontiere e, aiutando gli altri, si è lasciata finalmente i suoi problemi alle spalle. Ci sentiamo su Skype un paio di volte a settimana. Benedetto Skype…

    Tornando a ieri sera la simpatica iena, lei che fa la segretaria in uno studio notarile e che ricordava il mio vecchio lavoro, non ha mancato di far notare a tutti i presenti quanto io sia caduta in basso. Dall’essere a un soffio dal manager al pulire il culo ai vecchi rimbambiti del ricovero. Li ha definiti proprio così vecchi rimbambiti. A parte il fatto che se c’è qualcuno di rimbambito è sicuramente lei, vorrei farle capire quanto ci ho guadagnato io da questo cambio. Quanto mi danno questi vecchi rimbambiti in termini di affetto e conforto. E insegnamento e sostegno. Ieri sera ho anche pensato per un attimo di tentare di spiegarlo ma ho desistito subito. Sono persone dedite al guadagno e alla carriera, come ero io prima. Non capirebbero. Io non avrei capito. Ci sono traguardi nella vita a cui devi arrivare da solo, soluzioni che gli altri non ti possono dare. Momenti in cui devi sentirti finito per ricominciare a credere in qualcosa. Per me è stato così. Quando ho realizzato la gravità della mia situazione ormai non avevo più il tempo per rimediare. Da sola ho guardato mio marito prepararsi le valigie per trasferirsi da lei. Da sola l’ho sentito parlare con lei e rivolgerle quelle attenzioni che io non avevo voluto e che in quel momento mi mancavano come mai prima. Da sola ho sopportato le sue giustificazioni anche se sapevo che non aveva bisogno di giustificarsi. L’ho visto scegliere i suoi cd, staccare le sue foto dai muri, prendere il maglione che a volte indossavo anch’io, fare piazza pulita della sua presenza nella mia vita. E lasciare le sue chiavi sul tavolo prima di uscire. Come a dire per me non esisti più e io non voglio più esistere per te. Ho pianto solo quando la porta si è chiusa dietro di lui. Non so neanche se per lui che mi lasciava o per me stessa e per quello che ero diventata. Non avevo nessuno da chiamare, nessuno con cui poter parlare, nessuno che sentendo la mia voce non avrebbe messo giù la cornetta… Avrei potuto cadere ancora più in basso in un momento del genere. Avrei potuto accettare la polverina bianca che girava nell’ambiente dei miei super impegnati colleghi e che io ho sempre fermamente rifiutato. Avrei potuto cercare sollievo nell’alcool. Invece ho cercato e trovato conforto in una pallina di pelo grigio bagnata e miagolante che ho trovato per strada il giorno dopo sotto una pioggia battente. La stessa che ora mi sta guardando e sbatte la coda a destra e sinistra in evidente segno di nervosismo. Quel giorno di tre anni fa stava per essere investita da un’auto davanti a me quando io l’ho vista e mi sono precipitata in strada per salvarla. Due giorni prima non l’avrei fatto, probabilmente non l’avrei neanche vista. Non sarei stata lì, ferma sotto la pioggia, a pensare alla mia vita, senza preoccuparmi di bagnare le mie Prada o di rovinare il mio trench Burberry. L’auto che stava arrivando ha inchiodato slittando sulla pioggia. Il conducente mi ha apostrofato in malo modo ma a me non importava, io ero felice perché avevo salvato qualcuno. E lei, infreddolita, bagnata e spaventata, mi ha guardato con i suoi occhi grandi e mi ha sussurrato un miao così dolce che ho deciso all’istante di occuparmi di lei per tutta la vita. Era la prima parola dolce che sentivo in due giorni e non importa che fosse solo un miao. Le sarò sempre grata per quella prima parola che mi ha costretta ad uscire dal tunnel che mi ero scavata con le mie mani. La prima espressione di affetto dopo giorni. La prima creatura che voleva stare con me. Sono cambiata prima per lei, poi per me stessa e poi per tutti gli altri, compresi quelli che non lo sanno ancora.

    All’inizio è stata una botta, ritrovarsi disoccupati così da un giorno all’altro, a 32 anni, senza sapere cosa fare della propria vita, in un momento che non era dei migliori… Ero sicura di aver fatto la scelta giusta ma la sensazione di aver dato un calcio alla fortuna per un po’ non me la sono tolta. Ero come intossicata dalla mia attività, mi sentivo orfana, come un tossico in crisi d’astinenza. Mi spiace solo che nulla prima mi abbia aperto gli occhi, non la morte di mio papà, non l’incidente di mia mamma, non il biasimo dell’intera famiglia. Solo mio marito che se n’andava… Forse perché mi era rimasto solo lui. E quando mi sono guardata attorno c’era il vuoto.

    La decisione è stata quasi immediata, c’ho pensato su durante la mia prima notte da single. Per la prima volta non ho dormito. Prima crollavo esausta e nel giro di cinquanta secondi ero già in fase REM. Quella notte invece mi è servita per rivedere tutta la mia vita. Le mie priorità, i miei valori, nulla di quello che mi avevano inculcato i miei genitori era rimasto. Avevo eliminato tutto per fare spazio alle mie nuove dottrine. Il mattino dopo ero un’altra me, molto simile a quella che sono adesso. Sono andata in ufficio con gli occhi pesti e, per la prima volta, il cuore gonfio… Sì, il cuore gonfio. Lo stesso organo che fino ad allora avevo pensato servisse solo a pompare il mio sangue nelle vene e a far sì che tutto funzionasse nel migliore dei modi. Quel mattino me lo sentivo strano, come fosse stato pieno di lacrime, allo stesso modo dei miei occhi che non volevano saperne di smettere di lacrimare. Non ho dovuto inventare fantasiose giustificazioni per il mio stato perché a nessuno importava, lì. Niente rapporti personali, solo competizione esasperata.

    Sono andata dritta alla mia scrivania, ho acceso il pc e ho scritto lì sul momento la più breve lettera di dimissioni della storia. Con decorrenza immediata. L’ho stampata e l’ho consegnata al mio superiore in carica che ha firmato senza neanche guardare cosa gli stavo proponendo, tanto si fidava di me. Poi sono tornata alla mia postazione e con un solo movimento della mano ho fatto cadere all’interno della mia borsa tutti quelli che erano i miei effetti personali. Non ho mai avuto foto di famiglia o gadget personali sulla mia scrivania, solo un calendario e la foto-cartolina di Oriana Fallaci sull’aereo militare che la portava in Vietnam. Mi facevano ridere quelli che si portano la scatola di cartone come se dovessero affrontare un trasloco. Non ho dovuto cancellare mail o messaggi personali come solitamente si fa, non avevo nulla di personale, la mia vita era il lavoro. Ho spento per l’ultima volta il p.c., mi sono alzata e sono uscita senza voltarmi indietro. Prima che i superiori si rendessero conto di ciò che avevo fatto io ero già fuori dall’edificio a respirare aria pulita.

    Dopo mi hanno cercata, prima per convincermi a tornare e poi, vista la mia resistenza, per farmi sentire in colpa per averli lasciati nella merda. Come se a loro importasse qualcosa di me… Alla terza chiamata ho impostato il telefono in modalità silenziosa, giusto per eventuali emergenze, e l’ho lasciato così per due settimane, tanto non mi avrebbe chiamata nessuno… In seguito hanno avuto gioco facile perché io ho accettato tutte le loro condizioni pur di non entrare più in quell’edificio, quasi fosse colpa di quei muri…

    I primi due giorni sono stata in catalessi assoluta, uscivo solo per non essere a casa da sola, passeggiavo nel parco, pensavo alla mia vita commiserandomi. Non mi accorgevo neanche della pioggia. Per fortuna. Perché se me ne fossi accorta non sarei stata fuori e non avrei incontrato la mia Bisy. Il primo gradino della mia risalita.

    Da quel momento è cambiato tutto. Non potevo più andare alla deriva, avevo qualcuno di cui occuparmi. Qualcuno che dipendeva da me.

    Ho pensato subito che se volevo dare un’impronta diversa alla mia vita dovevo cambiare radicalmente. La scelta non è stata premeditata, è stata assolutamente casuale, sempre che non sia intervenuto il destino a mia insaputa. Ho preso un volantino al super, non so neanche io perché, pubblicizzava un corso da O.S.S. (Operatore Socio Sanitario) che sarebbe iniziato di lì a poco nella mia città. Prevedeva un paio di mesi di teoria e poi studio ed esperienza sul campo. Ho telefonato ed era fatta. Quando è arrivato il momento di decidere la specializzazione ho pensato a mio papà e ho scelto gli anziani. E ho avuto gioco facile perché tutte le mie compagne di corso hanno scelto i bambini. Io invece volevo passare il mio tempo con chi poteva insegnarmi qualcosa. E sono stata la migliore del corso perché, al contrario di molte mie colleghe, per me non è stato un ripiego. Io c’ho creduto fin dal primo momento e c’ho messo lo stesso impegno che dedicavo al vecchio lavoro, la stessa dedizione. Mi si è aperto un mondo nuovo con loro. Niente competizione, niente arrivismi. Vivere ogni giorno come fosse l’ultimo perché in effetti potrebbe essere così. Cercare di non perdere nulla di ciò che ti possono dare. E stringere nuove amicizie con persone più grandi, anzi con delle grandi persone. Unico neo: sono amicizie che non possono durare a lungo e proprio per questo bisogna viverle intensamente. E questo mi riporta qui, su questo letto, con Bisy accanto a me, su questo cuscino bagnato di lacrime. E chissenefrega di quella paracula di segretaria di ieri sera, non è certo lei il mio problema. Non so neanche se la rivedrò mai, di certo non mi mancherà come invece mi manca Agnese.

    MARINA

    Che bella cosa è la vita!!!

    Lavori, ti sfianchi, guadagni, non ti sposi per essere indipendente, decidi per te stessa per più di 70 anni, e poi? Ti ritrovi a 76 presa e sbattuta tra un nipote e l’altro, come fossi un pacco postale, le tue cose ammassate in una casa che sembra non essere più tua. E adesso dovrei pure essere felice perché finalmente si è liberata una camera alla casa di riposo? Felice? E poi sono io quella che sragiona??? Posto bellissimo, non ho dubbi. Personale gentilissimo, cibo eccellente. Però andateci voi! Io non ci voglio andare. Io voglio tornare nella mia casetta, da sola. Voglio finire i miei giorni circondata dalle mie cose, le cose che mi hanno accompagnata nella mia vita, che ho comprato nei miei viaggi. Le stesse cose che per i miei nipoti sono un fastidio. Per me sono la vita stessa. E quando il Signore mi vorrà è lì che voglio farmi trovare.

    Zia di qua, zia di là… ma chi vi ha mai chiesto niente? Ma perché tutto a un tratto vi siete ricordati di me? Io stavo benissimo senza di voi, quasi come voi senza di me. Una telefonata a Natale e poi per un anno potevo fingere di essere sola al mondo. Ché poi in questa situazione forse sarebbe meglio… Come siamo arrivati a questo? E’ bastata la debolezza di un momento, un collasso, la vicina che mi trova riversa sul pavimento e chiama uno di voi. Un paio di settimane di disorientamento e io non sono più padrona della mia vita… Io che ogni sera mettevo su il valzer viennese e facevo due giri di danza con me stessa prima di andare a dormire, tra il tavolino e il divano, facendo attenzione a non sbattere nella poltrona. Adesso me ne guardo bene, me ne sto ferma in poltrona o sulla sedia, a seconda di chi mi ospita, con la mia copertina sulle gambe. Le mie bellissime gambe che mi hanno resa famosa. Mi hanno portata in tutto il mondo, perché adesso non hanno la forza di portarmi lontano di qui? Perché io non ho il coraggio di alzarmi e improvvisare qui in mezzo a loro due giri di valzer? Mi prenderebbero per pazza sicuramente ma, tanto, che importa? Cosa cambierebbe?

    So già che farò quello che mi diranno di fare, accetterò tutte le loro imposizioni, alla faccia di quello spirito ribelle che ha contraddistinto la mia vita e che ora mi ha lasciata sola con me stessa.

    Sono qua, a casa del figlio maggiore di mio fratello, seduta su questa poltrona scomoda per la quale mi dovrei pure sentire in colpa perché era quella che ospitava il deretano del capo famiglia che ora è costretto sulla sedia perché il divano è di proprietà esclusiva dei suoi figli. Questi sconosciuti tiranni in miniatura di cui non ricordo neppure i nomi. Non ho mai amato i bambini, dovrei cambiare idea ora, solo perché sono ospite in casa d’altri? L’unico pregio che gli riconosco è quello di capire al volo quali sono le persone con le quali possono interagire, come i cani che entrano subito in sintonia con le persone che amano gli animali. Hanno questo sesto senso che li avvisa quando si trovano di fronte una persona come me che non si lascia tiranneggiare da loro. Quindi ci ignoriamo reciprocamente. Ma come ignorarli quando iniziano a urlare tra di loro e nessuno riesce a zittirli??? Alle loro urla si uniscono quelle dei genitori che dopo aver provato a calmarli con le buone ora non ce la fanno più e sbottano pure loro… Mi viene da piangere. Questi sono tutti pazzi, tutti, non escludo nessuno, neanche il gatto… Dov’è il mio silenzio? Dov’è la mia musica, le mie luci soffuse? Altro problema le luci… io amo la luce bassa, quella che rende tutto più intimo, più tranquillo… Qui sembra di essere sempre sotto il neon di una camera operatoria, qui tutti i dettagli devono essere nitidi, qui tutto va in piena luce. Anche la mia età. Da quando non sono più a casa mia evito accuratamente di guardarmi negli specchi di queste case che mi ospitano temporaneamente e che sono tutte così illuminate. Non so più come sono, preferisco ricordarmi com’ero. D’altronde se non mi ricordo io chi si ricorda di me? Questi incompetenti che mi circondano? Per loro la danza vuol dire andare a ballare in discoteca il venerdì o,

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