Gente Senza Storia
By Salvatore Sardu and Maria Sardu
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Gente Senza Storia - Salvatore Sardu
‘50
INTRODUZIONE
Voi non ci crederete, ma questo libretto, serio e drammatico, nasce da un video scherzoso, almeno in apparenza. In sintesi, stanco di non sapere cosa regalare per le festività natalizie ai figli Mauro e Andrea, sempre pronti a portare, in queste occasioni, un piccolo dono al genitore, pensai, una volta tanto, di ricambiare con qualcosa di veramente originale. Decisi di regalare loro la mia infanzia. Si, proprio così, una dettagliata descrizione dei momenti più belli o più spesso tristi dei primi anni della mia esistenza ad Arbus. Originale anche il mezzo impiegato per la narrazione: un video. Che però presentava non poche difficoltà dato che sicuramente nessuno mi aveva mai ripreso o fotografato nel paesello natio. Quindi? Come raccontare la mia esistenza ad Arbus senza una sola immagine, né mia né dell’Arbus di allora? La cosa fu risolta saccheggiando tutti i vecchi film sulla Sardegna esistenti presso la benemerita Società Umanitaria di Cagliari. Soprattutto i film realizzati sui romanzi della Deledda si prestarono allo scopo, permettendo la realizzazione di sequenze a volte serie ma più spesso esilaranti, per i costumi anni 20/30, la recitazione ecc. Immaginate che la mia povera mamma fu interpretata da Eleonora Duse! D’altronde, l’effetto era voluto, visto che non intendevo creare, in un periodo di festa, un’atmosfera drammatica. Così venne fuori il video AR- 42/50, che non era la sigla di un aereo, ma che si riferiva semplicemente al mio passaggio in terra di Arbus (AR), dal 1942 al 1950, anno in cui lasciai il paesello. Lo presentai nel mio studio agli amici più interessati, tra cui Carmen Atzori, funzionaria del Comune di Quartu Sant’Elena, nata anche lei ad Arbus, Pepetto Pilleri, curatore della Cineteca Sarda della Società Umanitaria, oltre ai figlioli e a qualche altro amico. Ne inviai una copia anche alla sorella Maria, che, ormai quasi ottantenne, vive a Chiavari. E che, pur gradendo questa scherzosa ricostruzione, mi consigliò di rimpolpare il racconto, in modo da renderlo più esaustivo e più interessante. E, ad evitare che potessi dimenticare l’invito, mi spedì tosto un quaderno scritto da lei con gli episodi più significativi della storia della nostra famiglia. Così è venuto fuori questo racconto a quattro mani, un po’ con i ricordi di Maria e un po’ con i miei. Scritto con la speranza di trovare tanti imitatori, per far si’ che anche le vicende di gente umile, trovino infine collocazione nelle pagine della grande storia universale. E questo è anche il senso del titolo di questo volumetto che vorrebbe ricordare che la storia non la fanno solo i grandi
, ma anche e soprattutto coloro che con le loro fatiche, il loro sangue e il loro sudore, portano avanti ogni giorno il cammino della civiltà.
Festa di San Lussorio, 1927.
In alto nonno Salvatore Concas; in basso
da sn.: Luigino e Franceschino Frongia col
piccolo Vando (figlio di zio Giovanni Sardu).
Con i fiori Battista Sardu.
SA MAMM’E S’ANGUIDDA
Battista Sardu, alias Ziu Battistinu, come era regolarmente chiamato in paese, nasce ad Arbus il 6 novembre 1905 da una famiglia poverissima. Suo padre Antonio lavorava saltuariamente con i contadini, anche se, più che altro si occupava della sua vigna. Con questi lavoretti tuttavia non riusciva certo a sbarcare il lunario, per cui sua moglie, Emanuela Atzeni, dovette dare una mano a portare qualcosa a casa, andando anche lei a lavorare nei campi. Ma soldi non se ne vedevano ugualmente, dato che veniva pagata in natura, coi prodotti che raccoglieva, frutta, legumi e così via. Per questo motivo era costretta anche a fare un altro lavoro, che praticava all’interno della sua casetta: con robusti pettini di ferro cardava la lana, rendendola più soffice. Quando aveva i bambini piccoli se li sedeva sui piedi e continuava a lavorare. Ne aveva avuti sei: Salvatore, Giovanni, Rosa, Battista, Pietrina e Gavina. I bambini li mandava a scuola sino alla terza elementare, poi dovevano trovarsi una qualsiasi occupazione. Inutile dire che aveva sempre la casa piena di lana, specialmente in cucina, dove lavorava. Quando era buio accendeva un lumicino ad olio e continuava la sua attività. Se doveva spostarsi prendeva con sé il lumicino, lasciando gli altri al buio. In casa sua non c’era neppure il gabinetto. Per le sue necessità si serviva di un fosso praticato in un minuscolo cortiletto. Aveva solo un paio di scarponcini, che indossava esclusivamente per andare in chiesa. La domenica faceva il giro del paese per salutare tutti i figli. Non sapeva né leggere né scrivere ma aveva una memoria prodigiosa. Si ricordava di tutte le varie ricorrenze e