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Gaia, l'avvoltoio e il serpente
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Gaia, l'avvoltoio e il serpente
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Gaia, l'avvoltoio e il serpente

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Gaia, l’Avvoltoio e il Serpente
Romanzo di avventure per ragazzi.

La piccola nazione di Tallin esce sconfitta da una guerra avventata da lei stessa iniziata. Un misterioso personaggio prende le redini del paese. Sulle rovine e sulla miseria di un paese distrutto, instaura un regime dittatoriale. La nuova Fede controlla il paese, detta i canoni dell’architettura, impone codici severi dal vestiario al comportamento, elimina i libri, riscrive la storia, imprigiona i dissidenti, celebra sé stessa in parate e cerimonie. Ma soprattutto - grazie ad un terribile invenzione - controlla la mente della popolazione oggi trasformata in un esercito di automi ubbidienti.
Gaia, una ragazzina di quindici anni, strappata suo malgrado all’apatica vita di tutti i giorni, scoprirà il segreto che incatena il paese, ma soprattutto conoscerà con orrore i terribili progetti del dittatore che annienteranno per sempre il sua nazione.
LanguageItaliano
Release dateMay 17, 2013
ISBN9788867559466
Gaia, l'avvoltoio e il serpente

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    Gaia, l'avvoltoio e il serpente - Valentino Szemere

    DELL’AUTORE

    1. IL CUSTODE DELLA FEDE

    Sua eccellenza il Custode della Fede Alindi Marcà Atonessi emerse pesantemente dal mare di cuscini candidi sparsi sotto il baldacchino di seta bianca. Un automa a vapore attraversò la sala su binari nascosti. Il custode, al suo passaggio, afferrò un calice di cristallo e ne bevve il liquido verde e denso schioccando la lingua. Tutti gli automi del palazzo erano stati costruiti prima della Grande Guerra e, pur mille volte riparati e modificati, rivelavano i segni del tempo: le ruote consunte cigolavano e sbuffi di vapore fuggivano dalle connessure del rivestimento. Atonessi, lanciata un’occhiata sprezzante all’automa che si allontanava, si diresse verso un cofanetto posto su un mobile al centro della sala. Sopra di lui si alzava la cupola immensa del Tempio della Fede, la cui volta affrescata si perdeva nella penombra.

    Atonessi aprì il cofanetto e ne trasse un involto di stoffa. Lo sfece rivelando un libro dalle pagine gialle e scomposte, strette tra due assicelle di legno tenute da legacci di cuoio. Iniziò a seguire con il dito la grafia violenta e disordinata che ne riempiva le pagine.

    Te marika to agni Valdi, disse infine ad alta voce rivolto al suo consigliere che lo seguiva con lo sguardo da un lato della sala. Le verità del Santo Valdius - L’hai mai letto Siro? Non credo proprio, eppure contiene alcune intuizioni interessanti. Il resto è spazzatura. Il Santo Valdius! Predicava l’amore universale e poi taceva quando i suoi seguaci massacravano gli infedeli. Viveva come un asceta, scalzo e seminudo, e ha lasciato una fortuna in monete e gioielli. Di cui, peraltro, ho ampiamente approfittato! Atonessi si voltò ridendo. La fede è utile per controllare le masse, ma può sfuggirti di mano. Come il fuoco, Siro, che puoi imbrigliare e sfruttare ma può distruggere una città. Valdius era scaltro, lo senti già nel titolo: ‘Le verità’, non una singola, universale verità, ma tante quante il popolo vuole sentire. Sei credente Siro?

    Siro Atoné Malachi si inchinò profondamente sorridendo in silenzio.

    Ah, certo! Tu non ti comprometteresti mai con una risposta precisa, vero? Bene, basta divagare. Perché mi hai svegliato?

    Eccellenza, il consiglio dei cento ha terminato i lavori. Attendono solo il vostro saluto. rispose il consigliere inchinandosi di nuovo.

    Atonessi alzò le spalle e, gettato il libro e il panno nel cofanetto, si avviò verso il corridoio aggirando un automa, naufragato sul tappeto, che girava su sé stesso sbuffando come un insetto zoppo.

    Il consigliere Siro Atoné Malachi seguiva il Custode caracollando a brevi passetti rapidi. Le braccia all’indietro leggermente divaricate, le spalle curve, il collo sottile e gli sbuffi di capelli bianchi ai lati della testa lo facevano assomigliare ad un goffo volatile da cortile pronto alla zuffa. Aveva occhi sornioni e una specie di sorriso immutabile, fisso, che ne nascondeva perfettamente pensieri ed emozioni. Ma chi lo avesse considerato solo un vecchio servitore ridicolo, avrebbe fatto un grosso sbaglio. Siro Atoné era uno degli uomini più potenti di Tallin. Guardie, generali e persino i ministri del Custode non avrebbero osato muovere un passo senza informarlo e attendere la sua approvazione. Siro Atoné era un uomo dotato di un’intelligenza tagliente e senza scrupoli, mascherata dal suo aspetto impacciato e debole. Molto del suo potere derivava dalla capacità di individuare debolezze e segreti altrui da custodire e utilizzare a tempo debito come arma di ricatto, ma soprattutto dal fatto che il signore supremo di Tallin, il Custode della Fede Atonessi, si fidava ciecamente di lui e ne seguiva ogni consiglio.

    Il Custode, qualche passo dinnanzi a Siro, si fermò di fronte ad una porta in fondo al corridoio che separava le stanze private del palazzo dalle sale ufficiali. C’era nell’aria una nebbia leggera, causata dai numerosi marchingegni a vapore che automatizzavano ogni più piccola funzione del palazzo, dalla rotazione della grande cupola, all’apertura di porte e finestre. A volte sembrava che il palazzo respirasse, come un grande animale adagiato lungo le rive del fiume Taliman. Atonessi si girò ad osservarsi in una specchiera. La tunica immacolata gli cadeva fino ai piedi e accentuava il fisico imponente. Dal candido copricapo a punta, sul quale riluceva in oro il simbolo della Fede, scendeva fino alla vita una cascata di capelli neri dai riflessi azzurri, come un mantello di acciaio brunito. Il fisico di Atonessi era la celebrazione di sé stesso. La pelle bianca, lucida e tesa, gli occhi scuri, sottili come lame tra palpebre leggermente sporgenti, il collo e le spalle da lottatore, erano l’icona di ciò che il Custode voleva rappresentare. Sono il potere, sono l’idea stessa del potere. La Fede, l’Entità superiore, la purezza… pensò il Custode sorridendosi compiaciuto. Alle sue spalle Siro osservava impassibile. Pochi avrebbero saputo leggere in quel viso il disprezzo che vi covava. Atonessi lisciò con le dita un’impercettibile piega della tunica, centrò il medaglione d’oro che gli pendeva sul petto e si volse infine verso la porta. Come ad un segnale questa si aprì ed entrarono entrambi nella sala del Consiglio. 

    In mezzo alla sala, ai lati di un grande tavolo di marmo nero sedevano i cento rappresentanti del potere di Tallin. Consiglieri e ministri, reggenti regionali, amministratori delle otto città, comandanti della guardia e dell’esercito, giù fino ai Padri di quartiere e i presidi delle Scuole della Fede.

    Cento visi si volsero verso Atonessi e cento bocche mormorarono Che la Fede sia con te. facendo vibrare le vetrate colorate della sala. 

    Che la Fede. rispose Atonessi arrestandosi, luminoso e imponente, ad uno dei capi del tavolo.

    La luce, scendendo dalle alte vetrate che illustravano le origini leggendarie di Tallin, creava un atmosfera densa e misteriosa.

    Il Custode attese in silenzio alcuni secondi, posando lo sguardo su ognuno dei presenti. Poi la sua voce profonda iniziò:

    Eletti di Tallin. Quindici anni fa, in questo giorno, finiva la Guerra. La guerra che distrusse Tallin sfiancando il suo popolo, umiliando il suo orgoglio. Di quei giorni ricordo soprattutto i suoni, poiché quelli, più delle immagini, rimasero a lungo nella mia memoria. L’ululare delle sirene, il fragore delle bombe che cadevano sempre più vicine, le urla, i pianti, il tuono sordo e cadenzato di stivali stranieri che calpestavano la nostra terra, i lamenti della paura e della disperazione, l’eco notturno di una lingua straniera per le strade buie… Atonessi fece una pausa, poi riprese: "Quasi tutti siete dei sopravvissuti di quei giorni bui. Dopo la guerra, ognuno di voi era solo una larva in fuga senza futuro e senza speranza.

    Ma poi giunse la Fede. Sulle macerie di quel paese che aveva lanciato una guerra stupida e suicida, sorse la Verità e io fui scelto quale Suo umile servitore per risollevare le sorti di Tallin secondo il Suo volere."

    Atonessi osservò attentamente la lunga teoria di volti immobili che pendeva dalle sue labbra. ‘Stupide marionette, incapaci di pensare e volere’ pensò impassibile ‘voi servirete ai miei piani senza il minimo sospetto su quale sorte vi attenda.’

    Per quindici anni, proseguì "Sotto la mia guida, Tallin ha ricostruito sulle proprie ceneri ritrovando la forza e l’indipendenza. Ma in silenzio, discretamente, nell’ombra, così da non destare sospetti nei nostri nemici. Nemici convinti di averci punito e messo in ginocchio con sanzioni ingiuste, limiti e divieti. Chiusi nei nostri confini abbiamo pagato a testa china i nostri debiti, mentre, in fabbriche segrete, producevamo armi, mentre costruivamo nuove strade e i mezzi per percorrerle, mentre accumulavamo riserve e scorte in caverne segrete. Abbiamo imbrigliato fiumi e torrenti e aperto nuove miniere di Arzite per renderci indipendenti da ogni fonte di energia straniera. Ma soprattutto abbiamo creato un popolo nuovo, illuminato dalla Fede, pronto a morire per essa, non solo coraggioso, ma indifferente al dolore, al sacrificio e alla morte.

    Voi, disse Atonessi soppesando le parole nel silenzio totale Siete i prescelti. Per la vostra fedeltà, per i meriti conquistati in questi anni, per la dedizione con cui avete contribuito a propagandare la fede, siete stati da me eletti a guida del mio popolo. Godete di privilegi e disponete di beni proibiti ai semplici cittadini.  Ma…. e la parola echeggiò nella grande sala Ma.. tradite la mia fiducia, deludete le mie aspettative, e non ci sarà alcuna pietà! La mia collera sarà immensa.

    Atonessi fece una pausa ad effetto, iniziò a girare lento e solenne attorno al tavolo, obbligando metà dei presenti a girarsi per seguirlo. 

    Eletti! Il momento fatale è giunto, il momento atteso per quindici anni. Tallin di colpo si leverà come un gigante addormentato e in un solo passo schiaccerà chiunque si ponga sul suo cammino. Sì, miei fedeli, Tallin muove di nuovo guerra a Valoria. Ma com’è cambiata Tallin! Non siamo più i deboli, insicuri, paurosi scarafaggi di un tempo, ma una marea inarrestabile come nessuno ha mai visto o immaginato.

    In un altro luogo o in un altro tempo una tale dichiarazione di guerra sarebbe stata accolta dalle urla esultanti dei fedeli, ma qui a Tallin cento volti impassibili annuirono fissando attenti il Custode. Solo un giovane che portava l’uniforme di capitano della guardia fluviale, alzò un braccio con la fronte corrucciata.

    Custode, se mi è permesso, perché rischiare ancora? Avete ricordato voi stesso i momenti bui…

    Atonessi l’osservò in silenzio, con un’espressione dapprima sorpresa poi contrariata. Gli si avvicinò. Appoggiò una mano sulla sua spalla, allargando la bocca in un sorriso dai denti bianchissimi. Il giovane si sentì come schiacciato sulla sedia, girò la testa e guardò sgomento gli occhi di Atonessi. Sembravano due sfere di cristallo in cui turbinasse un mare in tempesta.

    Capitano della Guardia fluviale, vero? sibilò il Custode osservandone le mostrine Siete giovane, Capitano. Vi hanno mai raccontato la leggenda del nostro fiume?

    Il ragazzo deglutì assentendo violentemente con la testa.

    Eppure vale la pena ripeterla. Atonessi si drizzò allargando le braccia "Ricordate le strofe che vi hanno ripetuto sin da bambini? 

    Agli inizi della prima Età, si racconta, 

    la madre serpente Taliman, 

    cadde sulla terra per fuggire al padre. 

    Scendendo avvolse le sue spire immense 

    attorno al monte Braila, alta cima

    Che sfiora il cielo.

    Poi si srotolò lenta lungo i fianchi 

    del monte sacro scavando una valle 

    con il suo corpo di smeraldo."

    Di fronte agli occhi attoniti dei presenti, in mezzo al tavolo di marmo nero, si era formata una nebbia vorticosa, che assumeva varie forme indistinte e fantastiche. Poi, lentamente, apparve, diafano come un miraggio, il monte Braila e tutti poterono vedere un serpente svolgere le sue spire e allungarsi a mezz’aria lungo il tavolo.

    Atonessi fissò un attimo l’apparizione, poi parve riprendersi e proseguì abbandonando i versi:

    La madre Serpente giunse infine al mare, la sua testa lambiva le onde e la punta della sua coda era ancora avvolta sulla cima del Braila. Ma il mare era stato avvelenato dal padre e quando Taliman bevve fu colta da spasimi e si accorse che stava per morire. Allora dai suoi fianchi generò un popolo cui diede il compito di vendicarla. Poi si dissolse, lasciando al suo posto il fiume che porta il suo nome, l’immenso, tortuoso Taliman che scorre dalla vetta del Braila fino al mare.

    In uno sprazzo di luce la visione scomparve. Atonessi a braccia aperte riempiva la stanza. 

    Una leggenda certo, tramandata di generazione in generazione, ma in essa vi è racchiuso il nostro destino. Quel mare fu nostro! Il mare è nostro! La testa del serpente ha reso Tallin una potenza, le nostre imbarcazioni hanno conquistato terre e mercati su ogni riva, portato la civiltà nei luoghi più remoti. Ma ora, quale punizione iniqua, quale accanimento contro un popolo vinto, ci è stato sottratto lo sbocco sul mare. Per questo noi ci riprenderemo il mare. Questo è il nostro destino.

    L’eco delle parole si spense. Atonessi ritornò a capotavola, gli occhi fiammeggianti, i pugni serrati.

    Sedere a questa tavola è un privilegio. Solo chi è sorretto da una fede incrollabile, solo chi crede fino a porre la propria vita stessa nelle mie mani, può ambire alla mia fiducia.

    Atonessi si volse lentamente verso il giovane.

    Voi non ne siete degno, Capitano

    Siro, da un lato della stanza, fece un breve cenno, due guardie si avvicinarono veloci, sollevarono il giovane come un fantoccio e lo trascinarono fuori.

    Atonessi proseguì impassibile.

    "Ora voi tornerete ai vostri compiti, questa notizia deve per ora restare segreta, ma già fin d’ora voi opererete per il momento fatale. Spronate gli operai delle vostre fabbriche, aizzate gli studenti contro Valoria, lo stato nemico che ci opprime, parlate del pulpito dei sacrifici che un popolo deve affrontare e dei soprusi di cui Tallin è stata vittima, celebrate eroi che hanno dato la vita per la patria, iniziate gare e tornei di lotta, tiro, percorsi di guerra e quant’altro. Premiate i cittadini coraggiosi e deridete i deboli, insistete sulla storia antica di Tallin e sui suoi confini storici.

    Voglio sentire l’odio e la collera serpeggiare, traboccare, esplodere. Voglio un popolo offeso, umiliato, che brama la vendetta!

    Attendete il segnale e presto sarete chiamati a creare con la Fede una nuova Tallin, un nuovo futuro. Ma attenzione, ognuno di voi sarà personalmente responsabile per ogni esitazione, ogni errore, ogni insuccesso. 

    Che la Fede sia con voi."

    I cento presenti scattarono in piedi inchinandosi, tutta la sala vibrò per il loro saluto.

    Atonessi si girò e, seguito da Siro, scomparve oltre la porta.

    

    Cosa diavolo era? disse infine Atonessi quando furono soli.

    Un piccolo trucco, Custode, creato nei nostri laboratori. Un proietta-immagini abbinato a un condensatore di vapore. rispose Siro inchinandosi.

    "Non male, mi hai colto di sorpresa. Ma non esagerare con le magie a buon mercato. Ricorda che la Fede è qualcosa di mistico, spirituale, elevato, non uno spettacolo di trucchi. 

    Siro, perché quel capitano mi ha contestato? Com’è possibile?"

    Sapete benissimo che i prescelti sono sottoposti a dosi molto minori di Cura, in base alla loro fedeltà, diciamo, spontanea. Inoltre la Cura è efficace, ma ogni essere umano è diverso. Gli uomini sono macchinari complessi, ci possono essere delle varianti…

    Atonessi si voltò di scatto Non devono esserci delle varianti! Da quindici anni attendo questo momento, quindici anni di Cura mi hanno fornito il più perfetto esercito della storia. Pensa, Siro, un milione di esseri senza volontà propria, incapaci di desiderare altro che quello che io li ordino di desiderare. Un milione di operosi insetti pronti a morire a ondate fino a quando non ordino loro di fermarsi. Chi ha mai potuto contare su un esercito simile?

    Atonessi si sedette accarezzandosi il mento.

    Eppure io stesso a volte quasi tollero appena questo stato delle cose disse sorridendo Che tristezza fare una dichiarazione di guerra e vedere cento facce attonite che annuiscono come bestie da soma.

    É quello che avete voluto voi, Custode. disse Siro stringendosi nelle spalle. 

    Atonessi l’osservò serio. Tu non approvi questa guerra, Siro?

    L’uomo si inchinò Quelli come voi, Custode, non possono accontentarsi di uno stagno quando intravvedono il mare. Siete troppo grande per un milione di sudditi imbecilli. Il vostro destino è cercare nuove sfide fino alla fine. 

    Se in quelle parole c’era una messa in guardia, Atonessi non sembrò accorgersene, scoppiò in una risata appoggiando una mano sulle spalle curve di Siro.

    Attento, Siro, non dimenticare mai la tua condizione privilegiata. Ti ho trovato in una prigione in cui avresti passato il resto della tua vita e tu sei uno dei pochi a Tallin che non ho sottoposto alla Cura. Quindi sei uno di pochi che potrebbe tramare contro di me. Il che ti rende utile ma anche pericoloso. Ti tengo d’occhio!. A proposito, quel capitano della guardia fluviale… fallo sparire.

    Siro si inchinò di nuovo mentre Atonessi lasciava solenne la sala, poi si avvicinò a una delle grandi finestre.

    Il suo sguardo spaziò oltre il vasto parco del palazzo e oltre le mura che lo circondavano. Il fiume Taliman si stendeva pigro allargandosi in un vasto lago verso sud, fino alle cataratte che marcavano il confine. A nord si stringeva tra colline verdi scomparendo alla vista. 

    Tallin verrà distrutta, il suo popolo annientato. pensò Siro scuotendo la testa Chissà se sono davvero l’unico, l’unico a pensare lungo le rive del Taliman.

    2. GAIA

    Era il 2 marzo e, come ogni anno si celebrava in tutto il paese la Festa della Fede. 

    Gaia, nel suo appartamento a Tallin, si stava preparando. Gaia aveva quindici anni, alta, magra ma non gracile, buona sportiva, aveva un corpo nervoso e muscoli allenati. Come molte sue coetanee, non si trovava attraente, ma era in realtà dotata di una bellezza ricca di fascino e di una personalità forte e positiva che traspariva dagli occhi intelligenti, dai modi decisi e mai volgari, dalla sua particolare sensibilità per le esigenze e i desideri degli altri. Gaia era decisa ma testarda, sensibile ma suscettibile, generosa ma impulsiva.

    Gaia aveva appena indossato l’uniforme nera e grigia delle ragazze, i capelli raccolti dentro un caschetto aderente di panno. Si guardò il viso allo specchio, così vicina da appannarlo con il fiato. Si stirò le guance e sgranò gli occhi. ‘Sto impazzendo’ pensò Gaia stai diventando pazza o forse lo sei già.’

    Sua zia Attina apparve sulla porta, la osservò in silenzio per qualche istante con occhi dolci e un po’ tristi. 

    A furia di fare smorfie allo specchio, finirai per fare tardi. disse infine "Nessuno fa tardi alla Festa della Fede!

    Ma zia, che barba, sempre le solite cose! sbuffò Gaia prendendo a cantilenare e contando con le dita Prima sfiliamo con le bandiere, poi recitiamo le poesie che raccontavano come la Fede ha sconfitto il male e salvato la nazione. Poi arriva il Padre di quartiere e noi tutti bravi bravi a farci mettere la mano sulla testa recitando l’Inno…

    Per l’amor del cielo! Ti possono sentire, oh Gaia tu mi farai morire…

    Gaia abbracciò la zia stringendosela al petto. Zia Attina, secondo te queste cose da chi le ho imparate? Comunque non preoccuparti, sto sempre molto attenta. Adesso devo sbrigarmi.

    Gaia corse nella sua stanza, completamente spoglia come il resto della casa a parte un armadio e il letto dalle lenzuola grigie. Aveva come sempre mille domande sulle labbra, mille dubbi, ma sapeva che non avrebbe ottenuto risposte. Riconosceva di essere in qualche modo diversa o, almeno, di accarezzare pensieri ed emozioni che erano per lo più proibiti. Ce n’erano altre come lei? Perché la zia Attina era anch’essa così diversa dalle madri e dalle zie delle sue compagne?

    Gaia era stata sempre strana. Strana era la parola che le avevano affibbiato le sue amiche quando aveva cercato di confidarsi. Strane erano certe sue idee, certi attimi di passione che la prendevano come un formicolio allo stomaco. Una volta aveva detto sovrappensiero: Da grande voglio viaggiare, vedere il mondo, poi sceglierò il posto più bello per vivere. Le compagne inorridite l’avevano denunciata al preside e questi l’aveva convocata in direzione. Era un uomo alto, dritto come un bastone, portava l’uniforme dei Prescelti. Aveva iniziato a camminare in cerchio a grandi passi solenni guardando il soffitto, poi si era fermato davanti a lei, imponente e terribile, gli occhi sbarrati come se non riuscisse a credere che qualcuno potesse anche solo pensare cose così avventate: "Così Gaia Sulanesi desidera scegliere il proprio luogo di residenza! 

    Forse Gaia Sulanesi non sa che molto tempo fa, aveva sibilato soppesando le parole La gente SCEGLIEVA! Oh, non certo in base a ciò che è giusto, ma secondo gli impulsi della passione e dell’egoismo. Le madri sceglievano di abbandonare i figli, i padri di darsi alla corruzione, i ragazzi di abbandonarsi al vizio. I tuoi antenati viaggiavano! e le aveva puntato addosso il dito come un’arma Viaggiavano e riportavano a casa idee sbagliate. Alcuni sceglievano, e di nuovo sottolineò con enfasi la parola Dove abitare! Con il risultato che le campagne erano spopolate, le città affollate come topaie, i ricchi sguazzavano e i poveri soffrivano. La gente moriva di fame, ma poteva SCEGLIERE! pausa Nessuno, oggi, vorrebbe questo fardello: la Fede sceglie per noi, ciò che è giusto per tutti, non per l’egoismo di uno solo. 

    Attenta Gaia Sulanesi. Chi perde la Fede, è destinato all’oblio." 

    Nella classe di Gaia, c’era una ragazza di nome Siria. Prima della classe, convinta testimone della Fede, odiava Gaia che riteneva in qualche modo responsabile di tutti i mali dell’universo. Siria osservava le compagne ad ogni passo, pronta a denunciare i comportamenti non in linea con le Regole. Gaia e Siria avevano avuto diverse discussioni. Ma con una differenza nei loro comportamenti: Gaia si arrabbiava, si offendeva, si umiliava, Siria era sempre impassibile, non c’era nulla di personale o di viscerale in lei, era come un altoparlante che annunci le fermate. Gaia ammoniva seria e monocorde Tu stai commettendo un errore. Non capisci che non possiamo permettere che un individuo metta in pericolo il benessere di tutti. Se tu non segui la Fede, il tuo posto non è tra noi. 

    Gaia aveva a lungo cercato di ragionare, di chiedere, ma poi vi aveva rinunciato. Né con Siria, né con alcuna delle sue compagne era possibile porre domande, avanzare dubbi o, peggio, criticare. 

    A volte le accadevano strani fatti: come se all’improvviso qualcuno le levasse dei tappi dalle orecchie o le strappasse una benda dagli occhi. Un attimo prima era tranquilla, un attimo dopo era assalita da sensazioni forti e confuse. Le veniva voglia di piangere e di ridere, di urlare o di correre. Erano come vampate che le salivano al cervello. Negli ultimi tempi si erano fatte più frequenti e se da un lato tutto questo la spaventava, dall’altro era attirata dal piacere intenso di quelle sensazioni. In ogni caso aveva ormai imparato a non parlarne e a nasconderne gli effetti. 

    Gaia si guardò le scarpe e il vestito trovandosi goffa e triste. Non aveva mai sentito una delle sue compagne lamentarsi di quello strano abbigliamento, nessuna che si ribellasse all’essere disperatamente uguale a tutte le altre. Gaia trovava, invece, la giacca nera e la gonna lunga e grigia opprimenti come un vecchio pigiama. 

    D’impulso scattò verso l’armadio, frugò in mezzo a scatole e vecchie borse e trasse una scatola di cuoio rosso. Dentro, appoggiato su un cuscino di velluto, brillava un medaglione d’oro attaccato a una catenella. Era grande più o meno come un’arancia, ovale e con un serpente che lo attraversava ricamandolo di spire intrecciate. C’erano due strani simboli ai lati e una corona in cima. Era stato scolpito da mani sapienti: le scaglie, gli occhi, le decorazioni minute della corona, l’intreccio delle spire, erano perfetti in ogni dettaglio. Gaia lo lucidò contro la manica e lo mise al collo. Sul nero della giacca il ciondolo brillò come un piccolo sole. 

    ‘Bello!’ pensò Gaia e uscì. 

    

    Su i due marciapiedi diversi studenti procedevano ordinati verso la scuola. Gaia avrebbe voluto chiamare e salutare, ma si trattenne. Si mise al passo con alcuni di loro che la salutarono con un cenno breve del capo. I maschi marciando battevano i piedi a ritmo cadenzato, le ragazze recitavano ad alta voce l’Inno della Fede. Il suono riecheggiava amplificato tra le pareti di cemento dei palazzi.

    Qui nei quartieri della città nuova, costruita sulle macerie dell’ultima guerra, le strade erano dritte e larghe come piazze, prospettive perfette di palazzi grigi assolutamente uguali. Il traffico era scarso, per lo più mezzi pubblici e grossi camion a vapore. Solo gli eletti possedevano mezzi propri e questi passavano veloci con due bandiere della Fede ai lati che schioccavano al vento.

    Le guardie della fede, o Molta, come venivano chiamate, volavano a pochi metri da terra con i grandi mantelli-ala spiegati, mentre le loro ombre scivolavano sui passanti come un presagio. I cittadini non le temevano, poiché nessuno avrebbe potuto anche solo immaginare di fare qualcosa di contrario alle regole. Per i più la loro presenza era rassicurante, erano come angeli neri, custodi dell’ordine e della sicurezza.

    Gaia camminando assorta osservò uno dei lampioni allineati lungo il marciapiede. Erano tra i pochi ricordi della Tallin di un tempo, frivoli e romantici. Foglie e rami di ferro battuto che una volta erano stati dorati, avvinti e arcuati a sporgersi sulla strada, con in cima una sfera di cristallo come un fiore delicato

    ‘Chissà perché li hanno mantenuti?’ Pensò, poi la sua mente corse innanzi distratta.

    Ma, girato l’angolo, dovette fermarsi di colpo. Seduto sul bordo di una fontana, pochi metri più avanti, c’era un ragazzo di forse 15 o 16 anni. Non portava l’uniforme, ma un’ampia camicia bianca e dei pantaloni aderenti infilati dentro scarpe alte di pelle nera. Aveva un viso pallido, con capelli neri e lucidi che gli ricadevano sulle spalle. Girò la testa e fissò Gaia con occhi scuri e vivaci. Poi qualcosa sembrò averlo colpito. Spalancò gli occhi e si alzò lentamente, attraversò la strada affiancandosi a Gaia continuando a fissarla a bocca aperta. Gaia si fermò. Lui la superò, lo sguardo fisso sul ciondolo d’oro, si guardò attorno, parve voler dire qualcosa, poi con una mossa fulminea, strappò il gioiello dal collo di Gaia e iniziò a correre. 

    Fu un attimo! La ragazza si riebbe e lo rincorse. Sfrecciavano veloci scartando a zigzag tra gli altri studenti. Il ragazzo aveva fiato e potenza ma anche Gaia era agile e allenata e la distanza tra di loro diminuiva. 

    Ridammelo! urlava Gaia Fermati. Il ragazzo con uno scatto entrò in un vicolo tra due palazzi e quando lei girò l’angolo era scomparso. Gaia si lasciò cadere a terra stringendosi la testa tra le mani. Fu scossa da una voce calda, si girò di scatto e lo vide accanto a sé: 

    Ero dietro quel bidone. spiegò lui indicando. 

    Gaia lo afferrò per la camicia e alzò il pugno minacciosa Ridammelo! sibilò. 

    Ma il ragazzo non si mosse e le sorrise. Tratti sempre così i ragazzi? chiese. 

    Gaia arrossì e lasciò la presa. 

    Mi chiamo Hai, disse il ragazzo, poi, porgendole il medaglione: Questo è pericoloso. Se ti vede una guardia sei finita. Ho dovuto prenderlo prima che qualcuno lo notasse. 

    Perché è pericoloso? 

    Non lo sai? 

    Gaia si fermò a bocca aperta. Certo che lo sapeva, come aveva fatto a non pensarci. Ce l’ho da sempre. disse cercando di giustificarsi

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