Valeleu
By Giovanni Pistilli and Iano Lanz
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About this ebook
Iano è un personaggio simpaticamente superficiale, che non si pone grandi problemi etici o esistenziali, le sue riflessioni durano “il tempo di una passeggiata”, è rimasto “un fanciullone che pensa solo a se stesso, ma che è capace di grandi gesti di generosità”. Proprietario di un casale in campagna, non esita ad accogliere, su richiesta del suo amico parroco Don Gabriele, una coppia di rumeni, Giorgio e Suzana, che lavorano duramente e conducono la piccola azienda agricola con scrupolo e onestà, e con loro Iano costruisce, senza praticamente rendersene conto, un rapporto basato sul rispetto reciproco e su una fraterna amicizia. La famiglia si allargherà ulteriormente con l’arrivo in Italia di Marioara, sorella di Suzana, che si innamora di Iano. Marioara si impiega come badante e, nei momenti di festa, canta con la sua bellissima voce le canzoni tradizionali romene. Quando arrivano in Italia anche i figli adolescenti della donna, che è vedova, tutto farebbe pensare ad una positiva “sistemazione” della nuova famiglia, anche perché Iano prende subito a cuore le sorti dei due ragazzi. La vita, però, non è sempre prevedibile...
Valeleu, il titolo del romanzo, è un’ espressione romena a intercalare, ripetuta alla fine di ogni strofa in una canzone tradizionale di Maria Tanase, la più grande cantante di musica popolare della Romania.
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Book preview
Valeleu - Giovanni Pistilli
dell’Editore.
trentacinque gradi
1
Il brusio si avvertiva già da fuori, esplose loro in faccia quando Iano spinse la porta oscillante della sala da pranzo dell’hotel e cedette il passo a Irina.
L’effetto clamoroso delle voci e il tintinnio delle posate provenivano da una cinquantina di tavoli distribuiti nello spazio della sala. Erano occupati in prevalenza da persone di una certa età che frequentavano le terme per ragioni di salute e non solo, considerato l’aggressione in punta di forchetta e coltello diretta verso i piatti fumanti.
Si ravvisavano le persone sole, la maggior parte donne, che con lo sguardo sterzato a destra e a sinistra infilzavano come in una schidionata i vicini di tavolo pescando info sullo stato sociale, il luogo di provenienza, il conto in banca.
I tavoli erano per la maggior parte tutti occupati e questo rappresentava una novità se non una eccezione.
Malgrado la crisi, l’Hotel alle Terme Venete di Abano Terme aveva saputo mantenere una clientela fedele e selezionata grazie alla fermezza e alla lungimiranza di Dorota, la moglie tedesca del proprietario.
Pochi anni prima, circa all’inizio del nuovo millennio, la gestione approssimativa della struttura alberghiera procedeva conformandosi all’andatura ciondolante del suo proprietario che da qualche anno s’incaponiva a effettuare esperimenti su una originale dieta ipercalorica a base di spremute d’uva, indifferente se bianca o nera, e di distillati di piante e cereali vari, tipo luppolo e orzo.
Dorota aveva estromesso il tignoso e ormai svampito proprietario dal potere con sensibilità e accortezza, aveva recuperato la clientela con offerte salutistiche innovative, aveva preso i clienti per la gola con una cucina di classe.
Torchiando la sua graziosa testolina, munita dei più lisci, serici e biondi capelli mai visti e frequentando alcuni raduni di albergatori progressisti e spregiudicati, aveva avuto l’intuizione di proiettare lo sguardo verso un nord Europa intirizzito, compresso nel gelo dell’inverno.
Aveva proposto ad agenzie che giravano i pollici in attesa della bella stagione un pacchetto tutto compreso: viaggio aereo dalla nuova frontiera settentrionale europea San Pietroburgo, Tallinn, Vilnius, Riga, direzione Venezia, transfer per Abano verso una enorme piscina interna e esterna, acqua termale a 35 gradi, beauty– farm, cucina da 2000 calorie a pasto, vini compresi di produzione propria, visite guidate al territorio, insomma una settimana da leccarsi i baffi, in pieno relax e soprattutto in piena uggiosa stagione invernale.
Dopo qualche anno in perdita, l’hotel aveva ripreso quota anche grazie a quei clienti che ormai non lo frequentavano più solo nel periodo invernale, ma scendevano dal nord ad ogni stagione e infoltivano l’affezionata clientela nazionale.
2
Irina proveniva da San Pietroburgo e aveva alle spalle un matrimonio fallito che in seguito alla fortunata modifica di stato civile e di altro, le aveva fruttato un patrimonio di svariati milioni di rubli sgorgati dal sottosuolo sporchi e neri come petrolio.
Come Dorota, anche Irina aveva gestito il suo indiretto capitale con l’intelligenza e la decisione di chi era nata nella gelida catapecchia di un kolchoz e che aveva ricevuto in eredità solo una folgorante bellezza, oltre uno spiccato intuito per gli affari.
Aveva giudiziosamente curato e sviluppato i suoi interessi e solo ora, all’inizio di quel maggio 2005, aveva deciso di concedersi una vacanza speciale, la prima dopo anni di duro lavoro.
Malgrado l’affollamento provocato dal cambio dei turni, il direttore di sala si mosse rapido ad accogliere la coppia e a sistemarla in un tavolo appartato, a lato di una colonna.
Iano spostò la sedia e Irina si accomodò, lui la rincalzò con gesto deciso, girò intorno al tavolo e a sua volta si sistemò di fronte.
Sorrise alla giovane, poi il suo sguardo scivolò intorno e incrociò quelli ostinati di due donne di mezza età che sedevano a fianco, ognuna sistemata in un tavolo singolo.
Articolò un cortese cenno di saluto con la testa, attuò una rapida panoramica della sala, tornò verso Irina il cui sguardo sorvolò indifferente i volti delle vicine.
Le due donne invece riuscivano solo con molto sforzo a staccare gli occhi dalla coppia.
Irina esprimeva senza sforzo una bellezza fredda e distaccata, gli occhi dorati incassati in un viso lungo ed espressivo, appena divaricato da due zigomi aspri che rendevano magnetico lo sguardo.
I lunghi e lisci capelli neri le scendevano sulle spalle quadrate, il supporto ideale per due seni pieni e arroganti. Il corpo rispecchiava la sua vaga età, prossima ancora alla giovinezza piuttosto che orientata verso una seducente maturità.
Un abito scuro, lungo e aderente, rappresentava la confezione ideale per tutto quel ben di dio.
Dissimile era l’interesse che suscitava Iano, capelli lisci e bianchi tirati dietro, il viso segnato da rughe multistrato disseminate sul viso asciutto, il naso altero, le labbra ancora piene che addolcivano l’espressione degli occhi chiari quando decidevano per un sorriso.
Il corpo appariva alto e spigoloso, eppure rotondo nei punti strategici, spalle, glutei, cosce, eredità di una lunga pratica del triathlon, quando questa disciplina era appena agli inizi in Italia. L’uomo traslocava con sciolta rapidità che evidenziava un incipiente dorso curvo marcato dall’età avanzata, difficile stabilire fino a che punto.
Coloro che incrociavano la coppia per la prima volta decidevano d’acchito a una diretta parentela padre–figlia, se non avessero in seguito notato paradossali gesti di tenerezza, carezze elusive, contatti delicati, che mal si addicevano a una supposta consanguineità.
Da qualche giorno la curiosità accendeva gli sguardi degli ospiti dell’hotel quando appariva la coppia, in modo particolare quelli del versante femminile.
Lo stesso interesse che ora si riscontrava sul viso delle due donne sistemate nei tavoli singoli, che consumavano annoiate un’insalata–aperitivo.
I loro sguardi giocavano a ping–pong tra un cetriolino nel piatto e il tavolo dei due che conversavano noncuranti a voce bassa, appena sbarcati su un’isola deserta.
3
Dal momento del suo arrivo, Irina aveva imposto all’organizzazione dell’hotel un suo personale programma di sedute e di visite.
Per il giorno successivo all’arrivo aveva fissato alle ore sette una seduta di massaggio rassodante, quindi la colazione e successiva partenza per Venezia con una guida.
All’osservazione della direzione della beauty– farm che il reparto massaggi schiudeva i cancelli solo alle nove, Irina aveva freddamente osservato:
– This is your problem only.
Il giorno successivo alle sette in punto lei aveva avuto il suo massaggio rassodante tra le luci brillanti di una beauty–farm inconsueta e mattiniera, aveva consumato una leggera colazione e si era presentata nella hall pronta a partire per Venezia.
Una vettura l’attendeva all’esterno, Iano teneva lo sportello posteriore aperto, le augurò buongiorno, lei accennò ad entrare, ma rinculò lesta e sollevò il viso verso l’uomo.
– Lei chi è?
– La sua guida per Venezia.
Lo valutò per un battito di ciglia, si chinò e s’infilò nella vettura.
Iano chiuse lo sportello, girò sul retro, prese posto accanto all’autista e l’auto si mosse veloce.
Lei aveva voluto solo percorrere a piedi la città lagunare, instancabile, gli occhi voraci che scrutavano tutto.
Solo a tratti lo sguardo sembrava perdersi nello spazio di una piazzetta spuntata all’improvviso o fissava ipnotizzata le acque di un canale, pensierosa per quella città così diversa eppure altrettanto ricca di suggestioni come la sua San Pietroburgo.
Di tanto in tanto chiedeva informazioni a Iano.
Lui le camminava accanto a mezza distanza e solo in quella occasione le si avvicinava sfiorandole la spalla e rispondendo alla richiesta.
Con il trascorrere della mattinata le vie si animarono sempre più, i turisti gremirono le calli, un baccano multilingue, furono costretti a camminare spalla a spalla per non essere separati.
Nel momento in cui la calca li pressava, Iano precedeva la donna facendole strada, lei lo seguiva mantenendo contatto con deboli tocchi delle mani sulla schiena. Comunque l’uomo si voltava spesso a controllare, la sovrastava di tutta la testa, nei punti più stretti procedeva di fianco, tenace come un rompighiaccio, risucchiandola nella sua scia.
In un’occasione, di fronte a un flusso di giovani turisti strepitanti che avanzavano in una calle stretta, compatti come una falange di guerriglieri metropolitani, lei volle caparbia farsi strada da sola, non dette il tempo a Iano di porsi davanti, ma lui riuscì solo a marcarla dappresso.
Irina si trovò in un attimo bloccata da una muraglia di corpi che le scorrevano di lato parlando a voce alta, non avanzava, anzi a tratti era respinta.
Percepì all’inizio le mani aperte di Iano dietro la schiena che la tenevano, fino a che la spinta frontale assunse l’irruenza di una piena.
Per scongiurarle fastidi, l’uomo mollò le braccia e l’accolse a corpo pieno puntellandosi sulle gambe.
Irina trovò sostegno nel duro corpo spigoloso che non mollò di un centimetro alla pressione della calca. Per lunghi secondi rimase schiacciata contro di lui, le spalle, i glutei, le gambe fuse nelle sue, ne ricevette un senso di solidità e di protezione.
Avvertì anche qualcos’altro, e una emozione che aveva per lungo tempo trascurato, ma non dimenticato, riaffiorò avvampandole il viso.
Verso mezzogiorno si spalancò davanti ai loro occhi lo spazio di piazza San Marco e la donna si diresse verso le sedie del caffè Florian e decise per una pausa.
L’orchestra posizionata sul palchetto già srotolava musiche romantiche, Iano salutò il fisarmonicista, amico di vecchia data.
Lo spuntino offrì l’occasione per una breve conversazione che Irina sviluppò sul tema dell’atmosfera particolare che lei aveva colto durante il percorso della mattinata.
– Ma è sempre così affollata Venezia?
– Tra qualche mese la situazione peggiorerà, sarà impossibile seguire un percorso turistico senza essere presi a spintoni o compressi nella calca.
Riaffiorò l’episodio avvenuto qualche ora prima, Iano mulinò lo sguardo intorno, Irina invece lo puntò su di lui e lo trattenne legandolo con il cappio dei suoi occhi gialli.
La donna decise di continuare la visita della città, orientandosi questa volta su qualche museo e sulla basilica che si ergeva a fianco.
Il primo pomeriggio passò senza affanno, anzi il ritmo del percorso calò di colpo.
Irina accettò le soste di fronte a un particolare affresco o a una cappella che Iano le programmò senza sollecitare il suo parere.
Per la prima volta si lasciò guidare e mentre lui indugiava a farle notare qualche interessante particolare di un quadro o il profilo architettonico di una navata, lei scrutava di sfuggita la sagoma dinoccolata dell’uomo, lo trovava discreto malgrado l’età, le divenne familiare con il trascorrere del tempo.
Proseguirono la passeggiata fino a metà pomeriggio e il rientro avvenne con le modalità dell’andata: Iano che sedeva accanto all’autista e conversava con lui, Irina che occupava il sedile posteriore.
Si sentiva rilassata, in pace con se stessa e con l’ambiente circostante, anche se straniero, che tuttavia le stava riservando preziosi ritagli di benessere e di riflessione.
4
Dall’inizio della sua gestione, Dorota aveva deciso d’introdurre una consuetudine che, con il tempo, si rivelò azzeccata.
In un tavolo isolato, sistemato a un angolo dell’immensa sala da pranzo, appena discosto dall’accesso alle cucine, consumava i suoi pasti in contemporanea con quelli dei clienti. Era quasi sempre sola, ma a singhiozzo ospitava anche qualche conoscente di riguardo, un albergatore, un amministratore o un’amica.
Durante la cena, quando era sola, di tanto in tanto si faceva portare dal suo esperto di vini qualche bottiglia di rosso d’annata prestigiosa e con calma ne aspirava il bouquet, ne assaporava l’impasto prodigioso.
Quando il vino risultava di sicuro vincente, chiedeva al cameriere di recapitarle due panciuti calici nei quali versava un generoso assaggio della bevanda e gli indicava le persone alle quali condurli su un vassoio di faggio stagionato attraversato da una fascia di lino candido.
Una piacevole sorpresa accendeva il volto dei prescelti, il cameriere spiegava loro da chi provenisse il vino e senza scampo si celebrava il rito del brindisi a distanza, lei che alzava il calice nella loro direzione, quelli che di solito scattavano in piedi e contraccambiavano felici per il privilegio.
Irina aveva appena terminato la cena nel suo tavolo singolo, appariva del tutto assorta, rispondeva in modo asciutto alle suggestioni del cameriere, ripercorreva ogni tanto sprazzi della sua gita a Venezia.
Quando si vide presentare quell’enorme calice contenente il liquido denso e vermiglio non comprese, domandò spiegazione al cameriere, lui supplì alla sua carenza d’inglese indicando più volte con il braccio teso la direzione di Dorota, che attendeva con il calice alzato in un evidente invito al brindisi.
Irina brindò e gustò lentamente la miscela di profumi e di sapori che le scorreva agevolmente in gola, che le procurava calore e subito dopo un gradevole torpore.
Dopo qualche tempo abbandonò il tavolo portando con sé il calice e si diresse decisa verso l’accampamento di Dorota. Lei la prevenne invitandola con un cenno della mano ad accomodarsi.
Irina si accomodò e ringraziò in tedesco. Con grande sorpresa di Dorota iniziò la conversazione in questa lingua.
– Il vino è squisito, se ne può avere ancora un dito?
Alla spontaneità della richiesta seguì la risata di entrambe.
Sollevando la bottiglia e osservandola controluce Dorota osservò:
– Ne è rimasto poco nella bottiglia, se lo desiderate ne ordino altro.
– Mi basta quel poco, è un vino delizioso, non lo scambierei con nessun altro.
Irina ringraziò per il vino e per l’accoglienza.
– Sono passati molti anni dalla mia ultima occasione di vacanza.
Indugiò un attimo e subito aggiunse:
– Comunque le mete erano sempre orientate verso il nord Europa.
– È la prima volta che visita l’Italia?
– Non ho avuto altre occasioni prima. Penso di modificare il trend per il futuro.
– Noi saremmo felici di contribuire al cambiamento.
Le due donne non avevano avuto occasione di conversare prima.
All’arrivo di Irina in hotel Dorota era uscita dall’ufficio e aveva accolto di persona l’ospite, raccomandata dall’agenzia russa. Aveva in seguito controllato che tutto si svolgesse secondo le sue richieste, permettendo anche che saltasse il rigido protocollo degli orari di servizio.
Lei aveva intuito che la russa avrebbe potuto permettersi un soggiorno italiano ben al di sopra dello standard che offriva il suo hotel e per il momento badava che tutto le fosse consentito.
Il successo del soggiorno di Irina poteva avere sviluppi interessanti per il futuro dell’hotel.
5
La sala da pranzo si era ormai svuotata, i camerieri rigovernavano attutendo al massimo l’inevitabile frastuono delle stoviglie per non disturbare le due donne impegnate in una conversazione dai toni bassi, quasi confidenziali.
La leggera atmosfera della serata, una nuova bottiglia miracolosa, dal contenuto più leggero e frizzante, contribuirono ad approfondire i temi della conversazione che da convenzionali scivolarono gradualmente sul privato.
Le due donne scoprirono comuni e sofferte affinità, si riconobbero nel carattere testardo e intraprendente, quasi identico nella caparbia lotta per il recupero di un’impresa che rischiava da un giorno all’altro il tracollo per colpa di mariti ottusi e amicizie sbagliate. Ma l’argomento sembrava angosciarle e lo abbandonarono poco dopo. Infine decisero di alzarsi dal tavolo e si diressero verso il giardino dell’hotel.
Gli altri ospiti erano quasi tutti fuori per la solita passeggiata che favoriva la digestione, nella hall sostava qualche persona sola che sfogliava il giornale. Il tempo volgeva al nuvoloso, ma l’aria era piacevolmente calma e profumata, era il conto niente affatto esoso di un finale di giornata presentato da una primavera trionfante.
– Come è andata la visita a Venezia?
– Molto bene.
Il commento fu laconico, il silenzio che seguì si presentò come la pagina di un libro che doveva essere voltata. E Dorota non esitò.
– Posso farti una domanda molto personale, Irina? – avevano deciso di darsi del tu. Irina accennò di sì.
– La nostra vita, malgrado le evidenti soddisfazioni pratiche, nasconde un lato privato che, almeno per mio conto, è scarso di gratificazioni personali soprattutto di tipo affettivo, ora che i nostri mariti sono usciti di scena. Credo di aver reso l’idea.
S’interruppe, fu rassicurata dall’attenzione con la quale Irina ascoltava con un misurato battito di ciglia.
– È così anche per te?
Irina non rispose subito, ma oscillò appena la testa in avanti tanto da permettere al discorso di ancorarsi e quindi di svilupparsi.
Dorota affondò:
– Nella tua visita in Italia avevi forse previsto anche qualche episodio di carattere sentimentale?
La risposta di Irina tardò appena il tempo di permettere alla riflessione di fare due volte il periplo della testa.
– Non l’avevo scartato, ma se devo essere sincera ora non ne escluderei l’eventualità.
Lasciarono che i passi lenti sull’erba conducessero in giro le riflessioni che gremivano le loro teste.
– Nella gita a Venezia hai conosciuto la nostra guida, Iano. Che impressione ti ha