Comunicazione politica
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Comunicazione politica - Daniele Zumbo
capillare.
Capitolo 1 – Lineamenti storici
La comunicazione, il linguaggio, l’informazione sono ambiti nella quale sono rimarcati ed evidenti le conseguenze, i campi in cui negli anni si sono ridefiniti obiettivi e regole.
La storia della comunicazione ha inizio in epoca antica, quando la filosofia greca, e l’orazione, prendono avvento e supremazia sui rapporti politici dei membri della comunità.
I filosofi di quel tempo, in particolare Aristotele e Platone, hanno cura di studiare i fenomeni persuasivi della retorica¹.
La comunicazione politica, quale forma civile di interazione politica, precede la stessa riflessione sul suo uso e suoi abusi, laddove esiste un embrione di organizzazione sociale di carattere urbano e di natura democratica.
Nelle elezioni e campagna elettorali si fondono le regole della retorica con le arti della persuasione di tipo clientelare.
Più della comunicazione scritta o visiva era praticata la propaganda orale.
Da una prospettiva storiografica, a fianco del dispotismo e soffocamento delle voci libere da parte dei sovrani e delle chiese, c’è anche la sistematica manipolazione della cultura e dell’informazione. Solo dopo la rivoluzione americana, con il varo della Costituzione, e con la rivoluzione francese, dunque con la rinascita degli ideali libertari e democratici, possiamo ritrovare l’esercizio di forme di comunicazione politica.
Nel XIX° secolo con la rivoluzione industriale, l’urbanesimo, la scolarizzazione di massa, si hanno anche le libere elezioni su cui si basano le democrazie di massa dei nuovi stati.
In particolare, soprattutto nella storia italiana possiamo riscontrare le seguenti fasi:
- Fase pretelevisiva, ovvero quel periodo dal 1945 al 1959, con una riorganizzazione della vita politica, l’elevata partecipazione del popolo alla vita politica con forme e modelli propri di militanza. Si va costruendo una struttura organizzativa solida, con un livello di militanza esteso, partecipazione agli eventi, contatti con leader i quali sono presenti nelle piazze e nei comizi.
In particolare per il tratto comunicativo, notiamo delle vere macchine di comunicazione: pubblicazioni, strumenti di propaganda e informazioni, redazioni giornalistiche, comizi, manifesti, volantini, una vera rivoluzione.
A una tale efficienza comunicativa si accompagna però una scena pubblica poco sviluppata, la televisione infatti arriva solo nel 1954.
- Fase paleo-televisiva, all’inizio degli anni ’60 si apre una nuova fase della comunicazione politica italiana.
L’esordio nel 1960 di Tribuna Elettorale decreta la nascita di un nuovo spazio pubblico da tutti accessibile che si sostituisce ai tradizionali strumenti del partito.
Nel 1963 il trasferimento del dialogo dalle piazze dei comizi agli studi televisivi della Rai e nelle case degli italiani è il primo esempio di piazza elettronica dove non ci si confronta davanti al proprio uditorio, ma davanti all’intero elettorato.
Nel 1963 la comunicazione politica e la propaganda elettorale si aprono ad altri ambiti tenuti prima lontani, la Dc si rivolge per la propria campagna elettorale al motivazionalista Dichter e alle sue tecniche di analisi e monitoraggio dell’opinione pubblica; è un primo segno che i partiti non si ritengono più autosufficienti.
La nascita nel 1961 del secondo Canale della Rai caratterizzato da un’informazione come documentazione diretta della realtà che raggiunge le punte più alte con programmi quali Tv7 e Zoom che rafforzano la centralità nella vita sociale e culturale del Paese; una televisione più forte nei confronti della quale tutti i partiti esprimono perplessità sentendo minacciata la loro egemonia.
La decisione del Pci di dotarsi di un’agenzia di stampa, la Parcomit, di una società di produzione audiovisiva: l’Unitelefilm e di avviare con Terzo Canale un’esperienza concorrenziale alla Rai, rivelano l’adeguamento della comunicazione sul finire degli anni ’60.
La televisione sta influenzando la comunicazione politica ed elettorale con i programmi e con il linguaggio.
Alla fine di questa seconda fase il tono persuasivo al limite della coercizione presente nella comunicazione politica del periodo precedente lascia il passo ad un approccio più seduttivo.
Il ruolo dei partiti, soprattutto quelli di massa, non è in discussione in quanto al loro forza organizzativa e la loro penetrazione sociale continuano a essere elementi centrali della società e della politica italiana.
Si afferma una riduzione degli iscritti, il venire meno della militanza, la frammentazione e la disfunzionalità del sistema partitico. Partiti ancora forti nella loro rappresentanza sociale e politica e nella loro comunicazione all’interno di una scena pubblica più articolata e più indipendente.
- Fase neotelevisiva, che va dal 1975 al 1989. Alla metà degli anni ’70 si avvia una nuova fase dove coincidono cambiamenti nel settore delle telecomunicazioni e l’accentuarsi di tendenze politiche e sociali.
Sul fronte della comunicazione la riforma della Rai del 1975 e la seconda riforma ad opera della legge Mammì nel 1990 portano una rivoluzione negli assetti, nelle proprietà , nei soggetti, nelle logiche d’offerta e nella cultura del Paese; le conseguenze sono la nascita di tanti protagonisti, di un mercato di informazione, di una scena pubblica mediatizzata.
I media e la televisione in particolare assumono un ruolo importante nella rappresentazione della realtà sostituendosi alla vecchia agorà.
L’evoluzione tecnologica linguistica degli strumenti di comunicazione e l’imporsi della tv come medium principale portano all’adeguamento dei soggetti e in special modo dei partiti che perdono il contatto e la capacità di dialogo con gli elettori.
Sul fronte politico si consuma la crisi del partito radicato sul territorio e costruito sulla militanza; il lavoro cessa di essere elemento di identità sociale che determina l’appartenenza di classe unite a valori e usi ben definiti e si passa ad una società in cui l’identità si configura in base a consumi e abitudini nel campo della comunicazione; la società è più complessa e mobile e all’inizio degli anni ’80 il partito di massa entra ufficialmente in crisi a cui si sostituisce il partito pigliatutto o il partito elettorale.
Con il ridefinirsi delle classi sociali d’elezione i militanti perdono la loro funzione di mediatori e a quest’evoluzione i partiti rispondono in maniera differente: il Psi la cavalca, la Dc la ignora, il Pci si oppone, ma per tutti comporta la rottura del contatto diretto con l’elettorato e quindi il venir meno della funzione di dialogo e rappresentanza nelle forme