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Voi siete qui 2014
Voi siete qui 2014
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Voi siete qui 2014

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Questo libro nasce da una trasmissione radiofonica di Radio 24: Voi Siete Qui, di Matteo Caccia e Tiziano Bonini, un programma di storytelling collettivo in cui gli ascoltatori partecipano con un racconto di un episodio realmente accaduto della propria vita. Ogni giorno Matteo racconta la storia di un ascoltatore. Ogni storia è un punto rosso su una mappa, che racconta chi siamo, e da dove veniamo. Leggerlo è come riaprire vecchie bobine di film di famiglia dimenticate in cantina. Qui si raccolgono un centinaio di racconti andati in onda nella terza stagione di Voi Siete Qui: storie brevi come dei cortometraggi, storie d'amore, adolescenza, ricordi di infanzia, malattie e rinascite, amici perduti e donne ritrovate.
LanguageItaliano
PublisherNarcissus.me
Release dateJun 14, 2014
ISBN9788869094064
Voi siete qui 2014

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    Voi siete qui 2014 - Matteo Caccia

    Qui

    Prefazioni di Matteo Caccia, Tiziano Bonini, Margherita Aina, Alessandra Scaglioni

    Non abbiate paura di essere vulnerabili

    C’è scritto così su un piccolo manuale di storytelling che ho comprato a gennaio durante un fine settimana a Londra. Non impazzisco per i manuali non perché non siano utili ma semplicemente perché per mia indole non li trovo di grande intrattenimento e mi annoio con troppa facilità.

    Di questo piccolo decalogo però sono arrivato fino al punto sei che sostiene che per raccontare una buona storia non bisogna temere di mettere in mostra le proprie debolezze e in modo particolare la propria vulnerabilità. Probabilmente mi sono fermato a questo sesto punto perché mi è sembrato fare luce su una zona che in questi tre anni di lavoro quotidiano sulle storie non ero mai stato veramente in grado di illuminare. C’è in ogni storia che arriva alla redazione del programma un tratto comune che non riuscivo a mettere a fuoco perché è difficile capire che cosa unisca l’episodio di un amore finito con uno di sport, un racconto su un successo professionale con un altro riguardo un nonno che non c’è più, ed ecco che cos’è quel filo rosso: la vulnerabilità, la voglia di raccontare qualcosa di sé con la possibilità che quella cosa possa aprire una piccola ferita, o mostrare il fianco.

    Non sto parlando di continui smottamenti emotivi, o di lacrime ad ogni racconto, parlo di un bagliore di umanità, una sorta di piccola concessione privata che tutti quelli che hanno inviato le loro storie hanno regalato a noi che le leggevamo e a tutti quelli che ogni giorno alle 16 o in podcast (o in replica!) le ascoltavano. Perfino le storie meno sentimentali, quelle più leggere o divertenti hanno sempre avuto in sé, anche solo per il fatto di essere state elaborate, di aver impegnato una piccola parte del tempo di chi le ha scritte, un’intimità priva di imbarazzo e di esibizionismo.

    Ammetto però che qualche riga fa mi sono sbagliato: in realtà non è stato così per tutte le storie. Infatti non tutte sono andate in onda e questa forse è proprio la risposta a un quesito che era sempre rimasto insoluto, la risposta che non sapevo dare a chi mi domandava come scegliete le storie. Non per lo stile – rispondevamo - non per la qualità della scrittura e in fondo nemmeno solo per la bellezza della storia. Eccola qua la risposta, l’ho trovata in quel manualino scritto da una tizia che non so chi sia che insegna storytelling non so dove: il livello di vulnerabilità presente nelle storie. Ma la cosa ancora più assurda è che non credo che sarei in grado di definirlo, teorizzarlo e forse nemmeno identificarlo quell’alone di vulnerabilità, credo che sia una cosa che non si può spiegare né tantomeno insegnare, credo che sia un approccio, non un ingrediente narrativo.

    Grazie per avercelo regalato.

    Grazie a Tiziano Bonini per il cammino quotidiano, a Mauro Pescio per la sua capacità di leggere e scrivere storie, a Margherita Aina perché non so nemmeno come fa a far tutto da sola e a Paolino Corleoni che anche se non è l’unico tecnico-regista di questo programma comunque questo programma è anche il suo. Grazie a Radio24 perché da quattro anni ci fa raccontare storie.

    Matteo Caccia

    Impara a raccontare storie. Impara a inventare e mentire. Te la caverai sempre. Restar muto e non avere risposte è la peggior cosa che possa capitare a un uomo. Sempre che tu voglia diventare un uomo, si capisce. (il pirata Long John Silver)

    Quando iniziammo a fare Voi Siete Qui e chiedere racconti personali ai nostri ascoltatori non immaginavamo che saremmo andati così avanti e che avremmo ricevuto così tanti racconti.

    Una volta al mese passo il fine settimana a leggerli, per smaltire la lunga pila di racconti accumulati. È il momento più difficile del nostro lavoro, perché immergersi nelle vite degli altri di solito è doloroso. A volte la mia compagna viene di corsa nello studio a chiedermi cosa è successo. Niente, stavo ridendo. Questa storia è magnifica, senti qui... E così si mette seduta e inizio a leggerle i racconti che mi piacciono. È la mia prima ascoltatrice. Se funziona con lei allora ho la conferma che c'è qualcosa di buono nella storia e la propongo a Matteo. A volte io e lei passiamo qualche ora seduti a leggere le storie, a commentarle, a ricordare quelle passate. A volte io mi commuovo. A volte è lei che si commuove. A volte io rido, ma lei no. A volte il contrario. A volte ci guardiamo entrambi in silenzio, perché la storia è troppo triste per aggiungere peso nell'aria. Le storie degli altri ci toccano tutti in maniera diversa. Ognuno di noi, per il tempo che ha passato su questo pianeta e le esperienze che ha fatto fin qui, entra in risonanza soltanto con alcune delle storie, perché soltanto alcune vite e alcuni racconti arrivano a pizzicare un'esperienza condivisa, un vecchio ricordo sepolto, un episodio simile accadutoci tanto tempo fa. A volte, anche senza aver mai vissuto quella storia, capita lo stesso di sentirsela addosso, perché sappiamo che avremmo potuto esserci noi, lì, al posto suo. Il tempo che passo a leggere le vostre storie per scegliere quelle che speriamo siano più significative per voi ascoltatori è, prima che un tempo di lavoro, un tempo sospeso: come una parentesi, una smagliatura spazio-temporale in cui inizio a riflettere sulla mia vita. Credo che accada lo stesso a chi ascolta il programma, quando la storia funziona: si comincia a viaggiare, fuori dal tempo e dal luogo in cui avviene l'ascolto, e si va indietro nella propria memoria a ripescare eventi e ci si sorprende a ricordare come eravamo in quell'età della vita, che speranze nutrivamo verso il mondo. Oppure ci si sorprende a immaginarci nei panni dell'altro e chiederci: Io cosa avrei fatto?. E mi ritrovo, alla fine della lettura delle storie, completamente nudo e con le ossa rotte, ma più leggero. Come dopo un allenamento, come dopo una corsa sfiancante. Torni a casa stanco perché hai percorso chilometri. E chilometri. Per pochi minuti hai avuto l'illusione di riscoprire te stesso, cosa sei, cosa desideri intimamente, e a che punto sei della tua vita. È per questo che il programma si chiama Voi Siete Qui. Non è, come diciamo spesso in radio, una mappa emotiva degli abitanti di questo paese, ma una mappa interiore della nostra esistenza. Leggere queste storie, per me che ne sono il primo ascoltatore, significa avere la fortuna di ritagliarsi alcuni momenti per prendersi cura di sé, per capire chi siamo, senza sconti e senza illusioni. Nella cultura greco-romana la conoscenza di sé era una conseguenza del prendersi cura di se stessi. Epicurei e Stoici raccomandavano l'esame di coscienza come forma di purificazione dell'anima attraverso la memoria. Stoici ed epicurei si ritiravano in se stessi a fine giornata per scoprire non le proprie colpe e le proprie mancanze, ma per ricordarsi cosa avrebbero voluto fare e perché non l'avevano fatto. Seneca raccomandava la cura di sé e l'esame di coscienza - non come fecero poi i cristiani, per andare alla ricerca delle colpe e delle cattive intenzioni - ma come pratica per amministrare se stessi, riequilibrare la bilancia tra quello che avremmo voluto fare e quello che abbiamo realmente fatto. Un inventario quotidiano di ciò che siamo e che vorremmo essere, cioè del punto che occupiamo sulla nostra mappa e il punto che avremmo dovuto occupare secondo le nostre intenzioni. Le storie degli altri credo ci aiutino a far questo: a prenderci cura di noi stessi, per questo alla fine della mia immersione nella lettura continua di decine di storie di vita mi sento sempre così stanco e così addolorato: essere messi di fronte a se stessi può non essere piacevole.

    Ma le storie di Voi Siete Qui non servono solo a curarci, sono pensate soprattutto per intrattenerci, nella migliore tradizione del romanzo ottocentesco. Come diceva Charles Dickens, "Make them laugh; make them cry; make them wait. Fateli ridere, fateli piangere, fateli aspettare". Se è successo, se siamo riusciti a farvi ridere, piangere, o rimanere in ascolto della radio fermi in macchina in una piazzola d'autostrada, allora mettere insieme questo programma tutti i santi giorni per 215 volte l'anno, ne sarà valsa davvero la pena. Grazie.

    Tiziano Bonini 

    Una volta che Matteo e Tiziano hanno scelto le storie, tocca a me. Guardo il nome, cerco la email originale con cui ci era stato inviato il racconto, e riscrivo all'ascoltatore. Gli spiego che il racconto é stato scelto, quale giorno verrà letto, e gli chiedo se quel giorno può stare qualche minuto al telefono con Matteo. Come ultima cosa, gli dico che prima della diretta, prima della telefonata con Matteo, dovremo sentirci noi al telefono, perché devo spiegargli qualche dettaglio e fargli registrare qualche frase, che inseriremo nella lettura che verrà fatta del suo racconto.

    E qui comincia una seconda storia, che rimane dietro le quinte, e solo poche volte emerge in diretta. Io faccio una chiacchierata al telefono con tutti gli autori delle nostre storie e, fuori dai tempi contingentati della trasmissione, la nostra telefonata diventa molto di più di uno scambio di informazioni per il format. Dopo anni che i nostri ascoltatori mi sentono nominare da Matteo, sono diventata anche io di famiglia per loro, e molti mi raccontano molto di più di quello che alla fine va in onda. Qualcuno si sfoga, qualcuno mi spiega perché non può raccontare una determinata cosa in diretta o dire il proprio cognome, qualcuno si emoziona e devo guidarlo passo per passo per arrivare alla diretta, qualcun altro vorrebbe raccontarmi tutto quello che fa nella vita, altri rimangono in attesa delle mie domande... . Qualcuno, dal giorno in cui riceve la mia mail, mi scrive tutti i giorni per conoscere dettagli sulla trasmissione. Altri mi mandano, anziché una, due, tre, cinque foto tra cui scegliere quella che li rappresenterà sul sito. Per qualche giorno divento una confidente, ed entro nelle loro vite molto di più di quanto io stessa mi sarei immaginata. Mi stupisce sempre la confidenza e la fiducia che ripongono in me. In realtà dovrei dire in noi, perché credo che questa fiducia sia il riflesso di quella che hanno in Matteo, che ogni giorno mette in gioco voce e vita in questo programma, ma anche in Tiziano, Paolino, e in tutta la trasmissione. Una trasmissione che cerchiamo ogni giorno di fare in modo allegro, simpatico, scherzoso, a volte ironico, ma sempre tenendo in grande considerazione l'intelligenza, la sensibilità e il pensiero dei nostri ascoltatori. Per questo cerchiamo sempre di rispondere a tutti e per questo qualche ascoltatore ci scrive ancora, per aggiornarci su come é andata a finire quella storia là, o per raccontarci un altra storia.

    Abbiamo ascoltato imprenditori, avvocati, ingegneri, architetti, artisti, fruttivendoli, ragazzi delle scuole, camionisti, attori, pensionati, militari, agenti di commercio..... Ringrazio Matteo e Tiziano di aver dimostrato che tutte queste persone, indipendentemente dal lavoro che fanno o dal tempo libero che hanno, hanno voglia di scrivere e di raccontare la loro storia.

    Io sono fortunata, perché della loro storia conosco anche la parte dietro le quinte, che a volte complica il mio lavoro ma gli dà anche un senso. Matteo e Tiziano tengono in grande considerazione questa parte del lavoro e anche me, e li ringrazio. La mia parte del lavoro finisce qui. Come a teatro, tutti poi si monta, si musica, si compone, e diventa una trasmissione, uno spettacolo. E le loro storie, dopo essere state nostre, diventano di tutti.

    Margherita Aina

    Non succede spesso che in radio arrivi la proposta di un programma davvero nuovo. E non intendo una nuova proposta, di quelle ne arrivano molte; sono nella maggior parte dei casi versioni riviste, attualizzate e magari anche interessanti e divertenti, di qualcosa che esiste già. Intendo un formato davvero nuovo, che poi vuol dire un’idea, uno sguardo, un modo per raccontare la realtà. Con Matteo Caccia e Tiziano Bonini è successo, prima con Vendo tutto, poi con Io sono qui, che è diventato grazie al ruolo centrale assunto dagli ascoltatori il programma che conoscete oggi, Voi siete qui.

    E siccome le idee non basta averle ma bisogna anche saperle realizzare, il risultato più interessante è stato che il programma si è incastonato perfettamente all’interno del palinsesto di Radio 24. Perché Radio 24 fa informazione, fa approfondimento, fa ascoltare le voci dell’attualità, di tutta l’attualità - da quella economica e politica a quella sportiva - quindi cerca di raccontare qualcosa del mondo e in ultima analisi cerca di raccontarne e spiegarne le storie.

    Con Voi siete qui racconta le storie del mondo viste con gli occhi di ogni singola persona: del ragazzo che scopre la vita, dell’anziano che ricorda, del giovane che sceglie, della donna che combatte, dell’amico che ascolta, del fratello che protegge, del genitore che accompagna.

    Lo fa portando ogni volta l’emozione che nasce dalle parole, dalle voci e dai suoni.

    E così anche le cose che noi conosciamo si ammantano di una luce nuova: ci possiamo identificare, e possiamo ricordare che qualcosa di simile ci è accaduto, che quel sentimento l’avevamo provato. Oppure possiamo semplicemente farci portare dentro la storia e viverla un po’ come se fosse anche nostra.

    Forse neanche noi pensavamo che ci fossero così tante storie da raccontare e che fossero tutte così diverse, anche quando toccano temi universali come l’amicizia, l’amore, l’avventura, il coraggio, l’orgoglio, la paura, la scoperta. È un modo di raccontare il mondo che ci piace e ci appartiene, e che appartiene alla radio, all’anima più profonda della radio, che al di là di tutta l’innovazione, la tecnologia, la competenza e la tecnica, altro non è che il racconto di una storia davanti al fuoco.

    Alessandra Scaglioni

    caporedattore e responsabile palinsesto Radio24

    97 storie

    Creare una squadra (9 settembre 2013)

    Miracle mile - Cold War Kids

    Francesco Splendori

    Anni '70: mi è sempre piaciuto il rugby, da quando ero un ragazzino e il lunedì sera, a Telesport, facevano vedere la sintesi della giornata di campionato e immancabilmente mio padre diceva: Ecco i matti!

    Anni '80: rinunciavo a tutto per vedere le due o tre partite all'anno che la Rai trasmetteva; i primi nomi che ricordo...Gaetaniello, De Anna, Ghizzoni, Bona..., il mio primo idolo: Massimo Mascioletti, che metteva a ferro e fuoco le difese di URSS, Marocco, Romania... mi sarebbe piaciuto giocarci, ma abitavo lontano da tutti i campi di Roma. 

    Anni '90: cercavo riviste, almanacchi, giornali, reti locali venete... feci venire l'antennista a casa perché non prendevo Antenne 2, il canale francese che trasmetteva il Cinque Nazioni e i test match, quelli con gli All-Blacks, all'epoca ancora un team misterioso. 

    Anni Duemila: finalmente arrivò il Sei Nazioni, SkySport, e la scoperta che ...anche tu segui il rugby? in ufficio, nel quartiere... potevo condividere con altri questa passione, parlarne per ore. Parlarne..., certo che però giocare....è un'altra cosa!!! Mi sentivo quasi non autorizzato a fare commenti, dare giudizi. 

    Settembre 2008: a quarantadue anni (e mezzo), all'improvviso, decido che non posso morire senza aver giocato una partita di rugby. Una sola, da oldie, non so dove, con chi, ma una partita di rugby la devo giocare. Sabato pomeriggio: esco da casa, dico a mia moglie che vado a cercarmi uno sport da fare per l'inverno. Farò questo giro: Centro Coni, Cus Roma, Capitolina. Arrivo al Giulio Onesti, sul campo due decine di ragazzini che giocano e due banchetti. Il primo lo salto. Seduta al secondo c'è una signora energica piacere, Teresa. Mi dice che sì, stanno formando una squadra Old della US Primavera, mi dà il numero di telefono di Maurizio Semplice. Lo chiamo, anche lui mi dice che la Old è in costruzione, mi dà a sua volta l'indirizzo e-mail di chi se ne sta occupando. Si chiama Andrea Paris. Gli scrivo, mi risponde che non fa niente se sono un neofita, di venire il mercoledì, che si comincia. Vado. Paris non c'è. C'è Semplice, con altri quattro o cinque ragazzi. Dalla seconda volta arriva Maurizio Serini. Qualche volta c'è Adamo, c'è Patrizio. Una volta viene anche Paris! Poi, un mercoledì, il diluvio. Quello del Tevere che deve esondare, dei sacchi di sabbia al Villaggio Olimpico. Dal mercoledì successivo siamo io e Maurizio Serini. A metà novembre e fino a metà febbraio siamo noi due, a fare giri di campo, senza pallone, a parlare di rugby, della Roma... A metà febbraio si aggiunge Ros, e fino a giugno siamo noi tre, con un paio di apparizioni di un amico di Maurizio. Ci salutiamo, ci diamo appuntamento per metà settembre. Quando ci risentiamo, Maurizio è dubbioso: siamo troppo pochi, forse non abbiamo spazio sul campo, vuole andare al Villa Old... insisto, passo da Teresa, parlo con D'Ambrosio, il campo c'è, di martedì. Convinco Maurizio a insistere, siamo ancora noi tre. Passa una settimana, mi chiama il mio ex-vicino di casa, mi dice che c'è un suo collega che viene due giorni a settimana da Padova, gli piace il rugby...vorrebbe allenarsi... La prima volta che lo sento al telefono io sono su un treno a San Donà di Piave, lui è a Roma. Buffo... Si chiama Paolo, dice che verrà. E infatti viene, io intuisco la sua delusione: due pippe totali e un ex-rugbysta di sessant'anni e passa. Senza falsa modestia intuisco altre due cose: che è uno giusto e che prima o poi avrà a che dire con Maurizio. Spero che sia talmente matto e fissato da continuare a venire. Per fortuna lo è. Un paio di settimane dopo arriva Francesco Tuccio. Siamo cinque, non mi pare vero. Intanto ho iscritto mia figlia al mini-rugby, dove un sabato arrivano tre ragazzi per far provare i figli. Sento uno che dice: Che invidia, sarebbe bello fare come loro.... Gli dico che se vuole può provare a farlo. Amedeo e gli altri due sono Andrea Negroni e Andrea Franco. Vengono ad allenarsi, si divertono, gli piace... convinco Adamo a tornare, Paolo porta Cesare e Salvo Russo, arriva Andrea Marin, Amedeo porta altri ragazzi. La pausa natalizia e un paio di impraticabilità di campo non ci disperdono. Allora si può. A gennaio, col termometro sotto zero, dico: Se stasera siamo in quattordici mi faccio la doccia col tubo fuori dagli spogliatoi. Mi salvo, siamo in tredici. Mi sembra un numero enorme, impensabile solo due mesi prima. 

    Sabato 27 maggio 2010: centro Giulio Onesti, campo 1. Pippo fischia l'inizio di Autumn Old Rugby contro Triari. Paolo calcia il pallone. Sento le lacrime agli occhi: ce l'ho fatta, sto giocando a rugby!

    Il canottino (12 settembre 2013)

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    Estate 1974. Nel mondo usciva l'album It's Only Rock'n'Roll dei Rolling Stones, in Italia Sanremo lo vinceva Iva Zanicchi con la canzone Ciao cara, come stai? sparita dai ricordi musicali di ognuno di noi ma per fortuna, seppur nell'indifferenza generale usciva, sempre in Italia, Ingresso libero di Rino Gaetano. Io ero un bambino all'epoca, di otto anni, i Rolling Stones li avrei scoperti più tardi. In quel periodo come ogni estate si andava al mare con tutta la famiglia allargata a cugini, zii ecc., un bel periodo che ricordo ancora con grande gioia. Quell'anno la scelta era caduta sul litorale di Albinia, rigorosamente in campeggio che per un bambino rappresenta senz'altro un gran divertimento. Le giornate erano tutte uguali, all'apparenza monotone, mattina in spiaggia, pranzo più o meno al sacco, pennica[1] rigorosa fino alle quattro (nei campeggi vige la regola del silenzio pomeridiano e non so come ma tutti la rispettano) poi di nuovo spiaggia e infine cena tutti insieme. Un giorno di quelli, io e mio cugino Marco, più piccolo di me di tre anni, eravamo in spiaggia, quell'anno, siccome eravamo ormai grandi, i nostri genitori ci avevano messo a disposizione un piccolo canotto con il quale movimentare le giornate. Dopo le prove iniziali ed ormai certi della nostra ormai acquisita conoscenza del mare, delle sue correnti, dei suoi venti, delle sue alte e basse maree ci sentivamo ormai pronti per la grande avventura. Un paio d'anni prima, sempre con tutte le nostre famiglie eravamo stati in vacanza in Sardegna e per noi era stata, e lo è tutt'ora, una vacanza indimenticabile quindi perché non tornare lì con il nostro canottino? In fondo la Sardegna era li davanti a noi, sulle cartine viste a scuola era proprio vicinissima assicurato a Marco. Mattina presto, mare calmo, condizioni climatiche perfette, ed io da vecchio lupo di mare avevo deciso che era giunta l'ora di partire. Mammaaaa, papààààà!! noi andiamo a fare un giretto con il canottino!. Va bene ma mi raccomando non allontanatevi dalla riva. Chi noi? No, no arriviamo in Sardegna e torniamo per pranzo!. Sì, sì...bravi ma puntuali per l'una a casa e non fate tardi sennò sono botte.

    Pensavano che scherzassimo, questi genitori sono tutti uguali, in tutte le epoche, si fanno sempre abbindolare dai loro bambini.

    Canotto in acqua, remi in spalla, una spinta e poi via tutti dentro, direzione sud- ovest. Remo un po' io, rema un po' Marco e zitti zitti il litorale si era veramente allontanato, non distinguevamo più le persone che stavano in quella triste spiaggia di Albinia senza sapere che noi ormai eravamo pronti per i stupendi scogli della Sardegna. Intanto però il caldo aumentava, il sole picchiava veramente, la corrente, al largo, aveva cambiato direzione, remare era diventato faticoso e ci sembrava di stare fermi lì. Io studio un attimo la situazione e decido di cambiare rotta: senti Marco facciamo così, direzione nord, paralleli alla spiaggia, puntiamo all'isola d'Elba, da lì la Corsica è ad un tiro di schioppo, poi magari anche a piedi raggiungiamo la Sardegna!

    A scuola mi piaceva la geografia ed ora questa mia passione mi tornava veramente utile! Marco dall'alto della sua grande esperienza di mare, come conoscenze scolastiche era decisamente più indietro di me, fa due conti, ed approva la mia nuova rotta. Allora via, direzione nord, la velocità aumenta decisamente, remare diventa un piacere mentre vedevamo scorrere in lontananza la spiaggia e cammina cammina, anzi rema rema, arriviamo alla fine dell'insenatura in cui era posto il nostro campeggio. Certo non era l'isola d'Elba, né tanto meno la Corsica o ancor meno la Sardegna ma per noi era veramente una conquista, ci sentivamo come naufraghi che dopo non so quanto tempo vedono la terra, quindi ormai affamati ed anche decisamente stanchi decidiamo di tornare indietro e di lasciare la conquista della Sardegna a più grandi e magari con un mezzo nautico più grande di quel misero metro, metro e mezzo massimo di canottino.

    Da capitano della nave do quindi l'ordine di invertire la rotta, due manovre veloci e via direzione sud, verso il guadagnato pranzo, vista anche la mancanza di cibo e soprattutto di acqua, errore che due vecchi lupi di mare come noi non dovevano commettere ma dall'alto dei nostri tredici in due ci siamo perdonati da soli! Purtroppo però qualcosa non andava, troppa fatica, i nostri sforzi ai remi non corrispondevano affatto alla distanza percorsa in acqua, la corrente che prima ci era a favore ora era decisamente contro. Consiglio di bordo e tutto l'equipaggio approva a maggioranza assoluta lo sbarco a terra, da li canotto in spalla avremo raggiunto a piedi il nostro campeggio e soprattutto il nostro guadagnato pranzo. Ora si viaggiava decisamente meglio ed in breve tempo raggiungiamo la spiaggia e sbarchiamo in una zona a noi completamente sconosciuta, la famosa ed esclusiva Corte dei Butteri. I bagnanti locali ci sembravano molto diversi rispetto a quelli della nostra zona, ci guardavano in maniera strana, per loro eravamo due extraterrestri appena sbarcati sulla terra mentre per noi erano loro gli extraterrestri che avevano appena occupato il nostro pianeta. Soltanto ora a distanza di quarant'anni capisco cosa hanno provato quei bagnanti a vedere due bambini sconosciuti approdare sulla spiaggia con quel ridicolo canotto, ma questo noi all'epoca non potevamo capirlo e quindi sguardo dritto e canotto in spalla siamo subito partiti per i nostri lidi.

    Il ritorno a piedi si è subito rivelato molto piacevole. Notavamo però che la spiaggia si andava svuotando ed i bagnanti rimasti erano tutti presi a mangiare quindi era ormai chiaro che l'una era passata ed il nostro pranzo si stava freddando. Non vedevamo l'ora di arrivare e raccontare ai nostri genitori la nostra avventura, di quanto eravamo stati bravi

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