Voglio vivere così: Racconti e ricette del Mondo Piccolo
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Il colorito scenario della Bassa
Sarà per il fatto che Rosalba Scaglioni è una cuoca provetta, sarà perché le sue storie contengono parecchi ingredienti come un buon piatto, sta di fatto che questa mini antologia mi suggerisce l’idea di un succulento impasto. Del resto parlare della Bassa, delle terre d’acque correnti e sospese, di filari di pioppi e campanili all’orizzonte, comporta sempre mischiare le carte di una partita che dura da secoli. I personaggi di Rosalba Scaglioni sembrano plasmati nell’argilla del Po quale veracissimo attestato di appartenenza a un territorio dove la cultura letteraria s’è incrociata con la cultura materiale diventando stile di vita. Si sa che i luoghi non sono più gli stessi dopo che sono stati descritti e resi fondale di storie narrate. Ogni autore aggiunge suggestioni e feconda l’immaginario lasciando il suo deposito fantastico come il grande fiume lascia il suo apporto di limo. Il rapporto tra il territorio e gli scrittori è uno scambio conoscitivo che non conserva immutate le cose. È come la luce che illumina e cambia il volto al paesaggio: la Bassa non è lo stesso mondo all’alba come al tramonto. Di questo colorito scenario fa parte l’universo del cibo che entra nei racconti come un sostrato a volte invisibile a volte protagonista. Ma come nei migliori impasti, non si impone col suo sapore e la sua palatabilità, bensì fa da corollario alle storie con discrezione diventando elemento anch’esso culturale più che ostentazione pantagruelica. In questo nel solco della nobile accezione di Piero Camporesi in cui la storia del nostro stare a tavola si libera dell’elemento meramente gastronomico per assurgere a identità culturale e segno di appartenenza. Niente di ciò che riguarda il cibo nella Bassa è semplice manifattura. Tutto è ammantato d’immaginario culturale, quello lasciato da una formidabile gènia di visionari che sono andati cantando storie tra le nebbie del grande fiume.
Valerio Varesi
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Book preview
Voglio vivere così - Rosalba Scaglioni
Rosalba Scaglioni
Voglio vivere così
Prima Edizione Ebook 2014 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868101060
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 «41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
.
Rosalba Scaglioni
Voglio vivere così
Indice
Il colorito scenario della Bassa
Dai silenzi della foschia
La fola
Come sinfonia
La stiratrice
Voglio vivere così
Cinegiornale
Jolanda
Metti una sera al Regio
Ugo Casoni, il cuoco col farfallino
Sorridi
Piove d’Agosto
La squisita minestra di Giuseppe Verdi
Il profumo delle violette
L’Imperia
Le ricette
Discorso minimo sulle ricette di casa nostra
ANTIPASTI
Baci di Dama con mousse di Culatello
Biscotti alla salvia
Gras pist
Insalata di mele e noci
Ricotta fresca con confettura di viole
Insalata di cappone
Coniglio marinato
Fettine di petto d’anatra marinate
PRIMI PIATTI
Tortelli d’ortiche
Tortelli di zucca alla parmigiana
Malfatti al lardo
Tortelli di mele o pere
Minestra Sacchetto
Mezze maniche ripiene in brodo in terza
Risotto alla Fortana
Chicche del nonno
Pasta sporca
Fazzoletti al basilico
Vellutata di patate e tartufo nero
Cannelloni alla Rigoletto
La squisita minestra di Giuseppe Verdi
SECONDI
Trippa alla Parmigiana alla maniera della Bassa
Lingua salmistrata in agrodolce
Guancialino di manzo all’aceto balsamico
Anatra al mais
Faraona alla crema
Carne alla pizzaiola veloce
Carbonata
Fritto misto rustico
Lombo alla Falstaff
Pasta di salame al vino bianco
Sacrau
Uova in umido coi piselli
VERDURE, CONTORNI, SALSE
Besciamella
La Vecchia
Verdure alla Saba
Giardiniera della zia Ida
Salsa verde con l’uovo
Salsa verde della nonna
Salsa leggera di pomodori verdi
Salsa di barbabietole
Parmigiana di verdure
Parmigiana bianca di zucchine o melanzane
Purè di rape bianche
Mostarda caramellata fatta in casa
DOLCI
Torta di mandorle
Crostata con cioccolata e pere
Stracadent
Spongata
Torta Sabbiosa
Biscotti al Tarassaco
Sprelle morbide
Torta gelato della Rita
Praline al Bargnolino
Ricetta del Bargnolino
Strolghino al cioccolato
Semifreddo alle mandorle
Semifreddo al Nocino
Ricetta del Nocino
Budino al cioccolato
Semifreddo al mascarpone
Savoiardi
Ciambella di ricotta
Prugne al mirto
La zuppa del prete
Coppe alle ciliegie
Sugo d’uva
Ché (liquore di basilico)
Biscotti miele e cannella
Tortelli di pasta frolla al forno
Tiramisù all’ananas
Pattona dell’Angela
Ringraziamenti
La bibliografia di Rosalba
Catalogo Damster
all’amico
Giuseppe Ghisani
Il colorito scenario della Bassa
Sarà per il fatto che Rosalba Scaglioni è una cuoca provetta, sarà perché le sue storie contengono parecchi ingredienti come un buon piatto, sta di fatto che questa mini antologia mi suggerisce l’idea di un succulento impasto. Del resto parlare della Bassa, delle terre d’acque correnti e sospese, di filari di pioppi e campanili all’orizzonte, comporta sempre mischiare le carte di una partita che dura da secoli. I personaggi di Rosalba Scaglioni sembrano plasmati nell’argilla del Po quale veracissimo attestato di appartenenza a un territorio dove la cultura letteraria s’è incrociata con la cultura materiale diventando stile di vita. Si sa che i luoghi non sono più gli stessi dopo che sono stati descritti e resi fondale di storie narrate. Ogni autore aggiunge suggestioni e feconda l’immaginario lasciando il suo deposito fantastico come il grande fiume lascia il suo apporto di limo. Il rapporto tra il territorio e gli scrittori è uno scambio conoscitivo che non conserva immutate le cose. È come la luce che illumina e cambia il volto al paesaggio: la Bassa non è lo stesso mondo all’alba come al tramonto. Di questo colorito scenario fa parte l’universo del cibo che entra nei racconti come un sostrato a volte invisibile a volte protagonista. Ma come nei migliori impasti, non si impone col suo sapore e la sua palatabilità, bensì fa da corollario alle storie con discrezione diventando elemento anch’esso culturale più che ostentazione pantagruelica. In questo nel solco della nobile accezione di Piero Camporesi in cui la storia del nostro stare a tavola si libera dell’elemento meramente gastronomico per assurgere a identità culturale e segno di appartenenza. Niente di ciò che riguarda il cibo nella Bassa è semplice manifattura. Tutto è ammantato d’immaginario culturale, quello lasciato da una formidabile gènia di visionari che sono andati cantando storie tra le nebbie del grande fiume.
Valerio Varesi
Dai silenzi della foschia
La Bassa sa di foschia densa e di salumi appesi. Di concime nei campi e di racconti. Da Bertolucci a Bevilacqua, da Guareschi a Zavattini, il senso di appartenenza a quella terra trasuda tra le pagine sino a contagiare la letteratura universale.
Mi piace pensare, non senza una punta di patrio orgoglio, che anche un giapponese o un francese abbiano sorriso scorrendo i moniti del crocefisso parlante di don Camillo, o che abbiano socchiuso gli occhi immaginando saltimbanchi dinanzi a una sognante luna leggendo Bertolucci.
La mia convinzione non è supportata dalla Penna che deve scrivere la prefazione
: si dicono un po’ di frottole, la si ingigantisce e ci si becca un grazie commosso dall’amico cui hai fatto il piacere di introdurre il suo lavoro. Scrivo invece questo perché credo che la letteratura, non solo nazionale, sia contaminata dai sapori di quel Grande fiume che divide la terra fertile, dalle risate dei contadini stanchi dopo una giornata nei campi, dai venti che superano i monti e regalano gusti e sensazioni, dai profumi dolci del vino mosso e di quelli più intensi della stagionatura, dai giochi poco innocenti tra scollature prosperose di donne vivaci.
I racconti di Rosalba sono un tuffo nella sua Terra, delle piacevoli finestre su un mondo che si preserva antico perché sincero e costruito su emozioni genuine. E la genuina onestà pare una dote in costante caduta libera nelle speciali classifiche taroccate del vivere moderno. Leggendo ci si siede a tavola felici con tabacchine dalle dita ingiallite a furia di lavorare le foglie, si condivide orgogliosi un bicchiere di vino e un racconto. Se poi si tratta di un racconto scritto con maestria e sentimento lo si apprezza ancora di più mentre la nebbia, fuori nella Bassa, avvolge uomini e cose smorzando i rumori. Rimangono solo le storie, capaci di emergere dal silenzio e dalla foschia; importanti come ogni storia capace di incidere in maniera indelebile la memoria. Perché tramandare memoria è un dovere primario per ogni appartenente alla cosiddetta società civile.
Chissà se mai un giorno, un giapponese o un parigino leggeranno ciò che hai scritto, Rosalba.
Io l’ho fatto e sono fiero delle tue parole.
Marco Buticchi
La fola
Perché le favole iniziano tutte con c’era una volta?
Perché per quanto la vita andando avanti migliori, i ricordi di bambino rimangono tutti rosa contornati di dolcezza e glassati di dolce nebbiolina. E sapete perché? Perché l’animo del bambino ha ancora la purezza che si scrosta inesorabilmente col passare del tempo.
Due fotografie ingiallite fanno da cornice ai miei ricordi di bambino, forse foto sbagliate, forse prove sbadate di un gioco meraviglioso e magico. Eppure in due fotografie si racchiudono tante parole non scritte e tante immagini non scattate. La prima ritrae mio nonno arrampicato tra i ciliegi. La seconda mostra una bicicletta con le ruote in aria, solitaria e forse inservibile, in una stanza che pare una soffitta trasandata e che invece è la camera da letto di mia nonna vecchia
alla quale, al tempo di quelle foto, davo del voi e alla quale ancora oggi nei miei pensieri porgo la stessa deferenza.
Allora…
C’era una volta,
non troppo lontana, non troppo vicina, un nonno che raccontava favole e filastrocche ad una schiera di nipotini che si scordavano tutto il mondo pur di ascoltarlo.
Non c’erano né castelli né boschi incantati, ma solo una vecchia stalla riscaldata dal fiato delle vacche, enormi mucchi di neve candida di fuori e sogni da afferrare con le mani della fantasia di dentro. C’era però la foschia da cui apparivano tutti i protagonisti delle favole, ma qua la chiamavano fumèra e, se il giorno diceva giusto, non se ne andava al passaggio dell’eroe della favola.
E di favole e di filastrocche e di detti ce n’era uno per quasi ogni giorno dell’anno.
Il nonno raccontava mentre intagliava il legno che aveva raccolto nella pioppaia lungo il Po e i bimbi con le loro vocette squillanti urlavano: nonno raccontatemi quella di Sant’Antonio
, oppure nonno vorrei sentire quella di San Martino
, nonno vi prego ditemi quella di San Giovanni…
.
In quasi tutti i ricordi c’è di mezzo un santo perché fra le certezze della vita di campagna c’era che per Santa Caterina si macellava il maiale e che i Santi ti venivano a trovare tutti gli anni nello stesso medesimo giorno.
Il nonno allora sbucciava un mandarino e ne porgeva uno spicchio ad ogni nipote poi gettava la buccia rugosa sul tiepido focherello ai suoi piedi, di modo che la stalla non puzzava più di stalla e il ricordo di quei momenti diventava profumato agli agrumi.
Nonno nonno raccontatemi la storia della Merla.
Il nonno si grattava il barbosso rugoso e faceva finta di non ricordarsela poi interrogava il piccino che gli aveva fatto la domanda:
La Merla dei giorni della Merla? I più freddi giorni dell’anno? Gli ultimi tre giorni di gennaio?
E il nipotino annuiva, annuiva concitato perché per fortuna il nonno non aveva dimenticato quella filastrocca.
In un’era da tempo passata
La Merla di bianco piumata
A ogni inverno soffrendo
Un freddo intenso e tremendo
A Messer Gennaio chiese
Di tramutar più mite il mese:
Ma il Sadico disse contento
Che non avrebbe posto cambiamento.
Un anno la Merla attese il secondo mese
Sperando che finisse il tormento scortese
Ma il cattivo Messer Gennaio
Prese tre giorni da Febbraio
E li rese i più rigidi dell’anno
Solo per portare alla Merla danno:
Ma quando la famiglia rischiò di congelare
Mamma Merla vide un camino scoppiettare
Allor si posò su quel tepore di pece
Che le sue piume nere come la notte fece.
Da quell’anno tutti i merli sono neri
E quei tre giorni ghiacciano i pensieri.
E finiva sempre con i bambini che rimanevano a bocca aperta a fissare il nonno che con quella sua voce profonda e un po’ roca, la recitava così bene che raccontata da un altro non era la stessa fola.
E i bambini non sapevano nemmeno che quella filastrocca, come tutte le altre, sarebbe planata nei loro pensieri nei momenti di sconforto, nei periodi bui, oppure anche senza motivo avrebbe bussato alla porta della